Agenzia lettone per l’investimento e lo sviluppo

L’Agenzia lettone per l’investimento e lo sviluppo è stata istituita nel settembre 1993 con un decreto del Consiglio dei ministri inizialmente con il nome di Agenzia lettone per lo sviluppo (LIA), una società per azioni. Il 1° febbraio 2004 sono stati modificati il suo status legale e la sua denominazione. Con il decreto del gabinetto dei ministri lettone del 24 dicembre 2003, l’Agenzia lettone per lo sviluppo è stata trasformata in ente pubblico ed è così nata l’Agenzia lettone per l’investimento e lo sviluppo (Latvijas investīciju un attīstības aģentūra, LIAA). La LIAA è un’istituzione statale che opera sotto il controllo del ministero dell’Economia e agisce in conformità con la legge sulle agenzie pubbliche, con il regolamento n. 746 del gabinetto dei ministri, con il regolamento dell’Agenzia per l’investimento e lo sviluppo della Lettonia e altre leggi e regolamenti.

Storia

Sin dal 1993 l’Agenzia è stata un ente semigovernativo no profit con diversi compiti, tra cui essenzialmente quello di attrarre investimenti stranieri, favorire lo sviluppo delle esportazioni e promuovere progetti per lo sviluppo della proprietà industriale e commerciale. Il Consiglio dell’Agenzia lettone per lo sviluppo, formato da alti rappresentanti del settore pubblico e privato, è stato stabilito con decreto. L’Agenzia ha iniziato subito a intraprendere un audit industriale, ad avviare progetti speciali, a rispondere a indagini progettuali, a lanciare promozioni all’estero e a creare sistemi d’informazione. Il programma UE-PHARE ed esperti provenienti da diversi paesi dell’UE, hanno fornito assistenza tecnica e formazione del personale.

Lo scopo fondamentale dell’Agenzia lettone per lo sviluppo consisteva nel favorire il processo di rinnovamento economico nazionale promuovendo la circolazione di capitali imprenditoriali internazionali all’interno dell’economia lettone, favorendo l’investimento interno in Lettonia, lo sviluppo delle esportazioni dalla Lettonia e progetti di sviluppo selezionati.

L’Agenzia lettone per lo sviluppo (LIA) riuscì in breve tempo a offrire ai propri assistiti una molteplicità di servizi essenziali per l’avvio di progetti di investimento interno e di sviluppo dell’esportazione. Tra di essi la pubblicazione di una guida per gli investitori, una guida per l’export, un notiziario mensile, una rivista quadrimestrale e una annuale di economia, una serie di relazioni sulle problematiche industriali e inoltre programmi di export link con i paesi confinanti, servizi d’informazione e di indagine, servizi di formazione e consulenza e studi settoriali dettagliati.

L’Agenzia lettone per lo sviluppo (LIA) aumentò le proprie attività secondo quanto stabilito dalla politica governativa, dai regolamenti operativi dell’agenzia (regolamenti del gabinetto dei ministri del 18 luglio 1995) e dagli articoli dello statuto dell’associazione (regolamenti del gabinetto dei ministri del 21 novembre 1995 ed emendamenti del 1997). Le attività dell’Agenzia si basavano su strategie di attrazione degli investimenti e promozione delle esportazioni. Tali strategie sono state sviluppate congiuntamente con gli esperti del Programma EU-PHARE e approvate durante la seduta del Consiglio dell’Agenzia del 10 maggio 1996. Inoltre l’Agenzia operava in conformità con il Progetto d’impresa approvato nella seduta del Consiglio dell’Agenzia del 23 agosto 1996 e il Piano d’azione, sviluppato dal Dipartimento per l’energia della LIA.

Al fine di raggiungere gli obiettivi previsti eseguita venne eseguita una regolare attività di informazione e consulenza, offrendo supporto alle imprese locali e straniere e promuovendo un dialogo proficuo tra i funzionari del governo lettone e i vari management delle imprese straniere. Le attività dell’Agenzia lettone per lo sviluppo si basavano sullo studio, l’analisi e la progettazione di piani d’azione per ogni settore specifico. L’Agenzia offriva, quindi, una vasta gamma di servizi e attività che venivano sviluppati e riveduti dalla stessa LIA, adeguandoli al mutare dei tempi e alle esigenze dalle situazioni presenti.

Obiettivi

La LIA svolgeva la funzione di Sportello unico per gli investitori esteri e offriva una vasta gamma di servizi quali: raccolta, compilazione e diffusione di informazioni sulle opportunità di creazioni d’impresa in Lettonia nei vari settori (tecnologie dell’informazione, lavorazione del legno, ingegneria meccanica e lavorazione del metallo, tessile, alimentare, industrie chimiche e farmaceutiche, trasporti e logistica); assistenza nello stabilire e sviluppare i contatti con partner commerciali lettoni; organizzazione di viaggi e incontri di affari con potenziali interessati partner commerciali lettoni; consulenza ed erogazione di assistenza pratica nell’ambito di questioni relative ai beni immobili così come ogni tipo di assistenza legale; erogazione di ogni tipo di assistenza successiva all’avvio di una attività commerciale in Lettonia.

I principali servizi erogati dall’Agenzia alle attività commerciali in Lettonia erano: la preparazione, l’aggiornamento periodico e la diffusione di informazioni all’estero riguardo all’offerta di prodotti esportati dalle aziende lettoni e ai profili delle aziende esportatrici; la diffusione di informazioni riguardanti la capacità di esportazione dei settori industriali lettoni; la diffusione di informazioni elaborate sui volumi di esportazioni di un determinato prodotto e sulle procedure per contrattare con le imprese lettoni a seconda delle richieste degli acquirenti stranieri; l’organizzazione di seminari e missioni commerciali all’estero e servizi forniti per missioni commerciali all’interno della Lettonia; l’assistenza alle imprese lettoni nell’offrire i propri prodotti e servizi all’interno di fiere internazionali all’estero.

L’uso razionale delle fonti energetiche pubbliche era strettamente collegato alla promozione dell’utilizzo di fonti energetiche locali rinnovabili e alle questioni ambientali. Il Dipartimento per l’energia della LIA si specializzò nel fornire soluzioni a tali questioni.

Nell’ottobre del 1998, su richiesta del ministro lettone delle Finanze, il Servizio di consulenza per gli investimenti esteri (Foreign invesment advisory service, FIAS), un organo di servizio congiunto tra la Società finanziaria internazionale e la Banca mondiale, condotto condusse una ricerca sulle barriere amministrative agli investimenti in Lettonia. L’obiettivo dello studio era quello di analizzare l’interazione tra le agenzie governative lettoni e gli investitori stranieri e fornire raccomandazioni sui miglioramenti da apportare in campo commerciale in modo da rendere la Lettonia più attraente per gli investitori stranieri. I membri della LIA parteciparono attivamente a tale studio e la Lettonia fu il primo dei paesi baltici ad aver condotto uno studio di questo tipo.

Il risultato di questo studio fu un piano che comprendeva più di 30 proposte specifiche riguardanti le iniziative da sostenere per eliminare le innumerevoli barriere amministrative che ostacolavano l’accesso, la residenza e l’attività professionale dei cittadini stranieri, la registrazione delle imprese, l’amministrazione fiscale, le attività doganali, la costruzione, la registrazione legale dei terreni e l’attività dei vari organi di controllo preposti alle ispezioni.

Tali attività spinsero i più importanti investitori stranieri a formare il Consiglio degli investitori stranieri in Lettonia, che si riunisce due volte all’anno con il governo lettone. Il primo incontro avvenne il 1° giugno 1999. Nell’intervallo tra le due sessioni, opera una commissione guidata dal primo ministro. La commissione è composta da rappresentanti del governo e ha il compito di promuovere il dialogo con i rappresentanti del Consiglio degli investitori stranieri in Lettonia e di risolvere le questioni correnti.

Unitamente a questi processi, nell’ambito del progetto EU-PHARE e LIA per migliorare il mondo commerciale, fu organizzato per la prima volta in Lettonia un sondaggio per capire il punto di vista delle compagnie. Durante i 10 anni di attività della LIA, il settore imprenditoriale in Lettonia e le richieste dei mercati stranieri sono cambiati in modo significativo, specialmente in considerazione della necessità di integrarsi nel mercato unico europeo dell’Unione europea e della corsa all’adesione della Lettonia all’Unione europea (v. Criteri di adesione; Paesi candidati all’adesione). Il compito di migliorare la competitività commerciale attraverso nuovi strumenti, tra cui l’impiego dei fondi strutturali dell’UE, rese necessaria la riorganizzazione dell’Agenzia.

Juris Kanels, direttore dell’Agenzia per l’investimento e lo sviluppo della Lettonia (LIAA) ha affermato: «La cosa più importante nella riorganizzazione dell’Agenzia è cambiarne lo status legale: in quanto agenzia di stato, alla LIAA è concesso lo status di ente pubblico. In questo contesto, anche gli ambiti d’intervento sono stati modificati, utilizzando uno schema chiaro degli obiettivi: sostenere l’imprenditorialità e migliorare la competitività. Le funzioni e i compiti sono stati definiti in linea con questi obiettivi».

Nel portare avanti l’attività svolta dal suo predecessore, la LIAA cerca di promuovere in modo più incisivo lo sviluppo degli affari, facilitando la crescita di investimenti esteri e accrescendo la competitività degli imprenditori lettoni in Lettonia e nei mercati esteri collegati all’Unione europea. Proprio come la LIA, la LIAA offre assistenza per tutta la durata delle attività in Lettonia, agendo come primo punto di contatto e come sportello unico per l’assistenza agli investitori e l’elaborazione di soluzioni su misura per soddisfare le esigenze specifiche di ciascun investitore. L’Agenzia è dotata di una propria banca dati regolarmente aggiornata delle imprese lettoni per favorire la ricerca di partner commerciali interessati a progetti d’investimento e ad attività di esportazioni o subappalto. Inoltre la LIAA è uno degli organi che attua programmi di assistenza pubblica, erogando prestiti agli imprenditori per aumentare la loro competitività, nonché programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’UE.

Richard Charles Mole (2009)




Banca del Portogallo

La Banca del Portogallo (Banco de Portogal) venne istituita il 19 novembre 1846 in seguito alla fusione tra il Banco de Lisboa e la società di assicurazioni Compagnia nazionale; iniziò come banca per investimenti, specializzata nel finanziamento del debito pubblico. Fino al 1887 condivise i diritti di emissione della valuta nazionale con altre istituzioni bancarie, ma nel 1891 ottenne un diritto esclusivo in questo ambito, per il Portogallo continentale e per le isole Azzorre e Madeira. Fino al 1974 appartenne principalmente ad azionisti privati, in seguito la partecipazione dello Stato aumentò in modo sostanziale. Durante la seconda metà del XIX secolo, la Banca del Portogallo divenne la maggiore banca commerciale del paese ed esercitò la funzione di “banca di tutte le banche”, contribuendo a una certa supervisione informale del settore.

Durante la prima fase del regime autoritario di Antonio Oliveira Salazar, la Banca del Portogallo venne obbligata a modificare significativamente le proprie attività. Questo diede il via a un controllo monetario più rigoroso ed efficace. Il governo aumentò il controllo amministrativo nei confronti della banca, che aveva l’obbligo, tra l’altro, di seguire una politica di tassi fissi d’interesse e di cambio. Contemporaneamente, il commercio e il movimento dei capitali vennero completamente liberalizzati e la banca fu in grado di estendere le proprie Competenze al settore dei pagamenti internazionali, della gestione dei fondi di riserva e della politica monetaria interna. Dopo la Seconda guerra mondiale, furono introdotti dal regime autoritario vari regolamenti amministrativi che limitarono le transazioni internazionali e portarono allo sviluppo di un sistema molto complesso di controllo sui cambi. Inoltre, il settore bancario fu obbligato a mantenere le riserve minime. La Banca del Portogallo, inoltre, aumentò le proprie competenze, particolarmente nell’area del controllo sul credito e in materia di fissazione dei tassi d’interesse.

La “Rivoluzione dei garofani” del 25 aprile 1974 pose fine allo status privato della Banca del Portogallo, che nel settembre 1974 venne nazionalizzata dal governo provvisorio. Con la legge organica del 15 settembre 1975 le fu attribuito lo statuto di banca centrale nazionale, comprendente per la prima volta la funzione formale di supervisione del settore bancario. La Banca del Portogallo divenne un attore più attivo nella governance economica del paese, acquisendo maggiori competenze nelle aree di controllo monetario, del credito e nell’organizzazione dei mercati monetari, particolarmente dopo l’adesione alla Comunità europea, nel 1986. Durante gli anni Settanta e Ottanta il ruolo e le funzioni della Banca del Portogallo si avvicinarono a quelle delle banche nazionali dell’UE. Nell’ottobre 1990, essa acquisì più autonomia tramite una nuova legge organica. In più, vennero imposti limiti al finanziamento dei deficit di bilancio.

Durante gli anni Novanta, la Banca del Portogallo si impegnò, in collaborazione con il governo portoghese, a raggiungere la stabilizzazione dell’economia. Nell’aprile 1992 fu adottata la decisione di partecipare al Meccanismo di cambio (Exchange rate mechanism, ERM) del Sistema monetario europeo (SME). L’adesione all’ERM implicò varie svalutazioni nell’economia portoghese e un periodo di recessione. Furono mosse critiche nei confronti di questa politica dell’escudo forte. Malgrado tali critiche, il governo portoghese, insieme alla Banca del Portogallo, portò avanti politiche di convergenza con gli altri Stati membri. Nel dicembre 1992, fu completata la piena liberalizzazione dei movimenti dei capitali e l’escudo portoghese diventò del tutto convertibile. La Banca del Portogallo divenne un importante attore nella guida del paese verso l’adesione all’Unione economica e monetaria (UEM), come stabilito dal Trattato sull’Unione europea (TUE) entrato in vigore nel 1993. Le politiche di stabilità monetaria e dei prezzi della Banca del Portogallo furono sostenute dalle ponderate strategie fiscali e di bilancio dei governi di Cavaco Silva, tra il 1991 e il 1995, e successivamente dal governo Guterres, tra il 1995 e il 1998. Come adattamento alle disposizioni dell’UEM, la legge organica della Banca fu nuovamente cambiata nel 1995.

L’adesione del Portogallo alla terza fase dell’UEM, in seguito al rapporto della Commissione europea del marzo 1998, condusse alla completa integrazione della Banca del Portogallo nel Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Ufficialmente, l’UEM prese il via il 1° gennaio 1999 e la Banca del Portogallo divenne parte del SEBC il 1° giugno 1998. Nel 1998 il varo di una nuova legge organica rifletteva questi cambiamenti nello status della Banca del Portogallo e rafforzava ulteriormente la sua indipendenza. La partecipazione alla terza fase dell’UEM richiedeva l’adesione del Portogallo all’ERM II, che fissava un tasso centrale della valuta nazionale in rapporto all’euro, ma con una possibile fluttuazione del +/- 15%.

Il 1° gennaio 2002, l’euro entrò in circolazione in tutti i dodici paesi che aderivano alla terza fase dell’UEM.

La Banca del Portogallo è oggi il ramo nazionale del SEBC. Essa segue effettivamente politiche compatibili con quelle della Banca centrale europea (BCE). La Banca del Portogallo è impegnata a seguire la politica della moneta unica stabilita dal SEBC. Il principale obiettivo è quello di assicurare una sostenibile stabilità dei prezzi. Ciò significa che il SEBC è impegnato nel mantenere basso il livello dell’inflazione. La Banca del Portogallo applica i tassi d’interesse della Banca centrale europea.

Il Portogallo deve inoltre aderire a un patto di crescita e di stabilità che mira a mantenere un deficit di bilancio inferiore alla soglia del 3% del prodotto interno lordo (PIL). Il governo portoghese ebbe difficoltà nell’aderirvi fin dal 2001. In realtà, nell’estate del 2002, l’Unione europea aprì un procedimento di infrazione per eccessivo deficit di bilancio nei confronti del Portogallo. In una situazione di tensione tra i due principali partiti politici, quello Socialista e quello Socialdemocratico, il rapporto della Banca del Portogallo riguardante la situazione del bilancio risultò essere un fattore importante e imparziale per stabilire l’esatta entità del deficit di bilancio stesso.

Infatti, nel 2002 (durante il governo della coalizione di centrodestra), fu richiesto alla Banca del Portogallo di presentare un rapporto. Quest’ultimo fu reso pubblico il 23 luglio 2002; dal medesimo emergeva la valutazione per il 2001 di un deficit di bilancio pari al 4,1% del PIL. La causa principale di questo dato era il fatto che nell’anno 2001 si era verificata una recessione economica che aveva causato una considerevole diminuzione delle entrate fiscali. Il governo della coalizione di centrodestra, presieduto da José Manuel Durão Barroso, fu sollecitato dalla Banca ad adottare misure drastiche per ridurre il deficit di bilancio al fine di evitare un procedimento di infrazione a tale proposito della Commissione europea. Malgrado gli sforzi per mantenere il deficit al di sotto del 3% nel 2002, 2003 e 2004, il governo portoghese continuò ad avere difficoltà nel tenerlo sotto controllo. Il basso livello di crescita economica e il calo del gettito fiscale contribuirono a un aumento del deficit di bilancio nel 2004. Secondo il rapporto della Banca del Portogallo del maggio 2005, la previsione del deficit di bilancio per il 2005 era del 6,8%, senza considerare le entrate straordinarie derivanti dalla vendita di società pubbliche, o altri proventi. Se si fosse tenuto conto di tali entrate straordinarie, si sarebbe potuto pensare a un deficit di bilancio superiore al 4% del PIL. Nel 2006, il governo socialista, presieduto dal primo ministro José Socrates, considerava di ridurre il deficit al 4,8% del PIL. Il nuovo piano di convergenza voleva arrivare a una riduzione del deficit di bilancio al di sotto del 3% del PIL entro il 2008.

La Banca del Portogallo partecipa a varie organizzazioni internazionali, come ad esempio il Fondo monetario internazionale (FMI).

La Banca del Portogallo è anche diventata un modello di riferimento per le economie di transizione. Ha privilegiato le relazioni con i paesi di lingua portoghese in Africa (Paises africanos de lingua oficial portuguesa, PALOP), vale a dire Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, Sao Tomé e Principe e le isole di Capo Verde. I partecipanti al PALOP seguono i programmi di formazione presso la Banca del Portogallo, al fine di migliorare le proprie qualifiche ed esercitarle nelle proprie banche nazionali. Ogni anno si organizzano incontri tra le banche nazionali del PALOP e la Banca del Portogallo con rappresentanti del FMI e della Banca mondiale. La Banca del Portogallo monitora le economie del PALOP e questa è una importante fonte di informazioni per queste banche nazionali africane. La Banca del Portogallo è coinvolta nella formazione dei funzionari dei nuovi paesi membri dell’UE dell’Europa centrale e orientale, che intendono imitare il vincente modello portoghese.

José M. Magone (2012)




Banca della Lettonia

Introduzione

La Banca di Lettonia è la banca centrale della Repubblica di Lettonia. È un ente giuridico che opera secondo le norme stabilite dalla Legge “sulla Banca di Lettonia” del 19 maggio 1992. È diretta da un Consiglio d’amministrazione e da un Consiglio esecutivo. Il Consiglio d’amministrazione, composto da otto membri e presieduto dal Governatore della Banca di Lettonia, assume tutte le decisioni per conto della Banca. Il Consiglio esecutivo è nominato dal Consiglio d’amministrazione per “eseguire l’attività operativa e assicurare un’efficiente gestione della Banca di Lettonia” (articolo 23, Legge sulla Banca di Lettonia). Ai sensi dell’articolo 22, “il Governatore della Banca di Lettonia è nominato tramite votazione segreta dalla Saeima della Repubblica di Lettonia su raccomandazione di almeno dieci membri della Saeima”. Il vicegovernatore e i membri del Consiglio d’amministrazione vengono successivamente nominati dal Parlamento su raccomandazione del Governatore.

Storia

La prima “Legge sulla Banca di Lettonia” fu adottata dall’Assemblea Costituzionale della neoindipendente Repubblica di Lettonia, il 7 settembre 1922, per favorire l’attuazione della politica monetaria lettone e, in particolare, introdurre la nuova valuta nazionale. Lo statuto provvisorio della Banca fu approvato il 19 settembre 1922 e il 2 novembre la Banca di Lettonia stampò le sue prime banconote. La Banca operava sia come banca centrale che come banca commerciale, battendo moneta ed erogando prestiti a imprese pubbliche e private.

Nel 1940, la Banca di Lettonia fu incorporata nel sistema finanziario sovietico, in seguito all’annessione della Repubblica di Lettonia all’URSS. Di conseguenza, il sistema monetario della Repubblica Socialista Sovietica di Lettonia fu controllato dalla Banca di Stato dell’Unione Sovietica fino all’avvento della perestrojka alla metà degli anni ’80, che comportò una significativa ristrutturazione del sistema bancario. Nel 1987, l’Ufficio della Repubblica di Lettonia presso la Banca di Stato dell’Unione Sovietica venne ridenominato Banca della Repubblica di Lettonia presso la Banca di Stato dell’Unione Sovietica ma non diventò una banca centrale e non poté quindi battere moneta o stabilire la politica monetaria.

Il 2 marzo 1990, la Banca di Lettonia fu ridenominata Banca centrale della Repubblica Socialista Sovietica di Lettonia a seguito della Legge “Sulle Banche” e della Risoluzione “Sulla Banca di Lettonia” adottata dal Consiglio supremo della Repubblica Socialista Sovietica di Lettonia. Sebbene la legge garantisse alla Banca il diritto esclusivo de jure di emettere la valuta nazionale e di sviluppare e attuare una politica monetaria indipendente, fu solo dopo il riconoscimento internazionale dell’indipendenza della Lettonia, nell’agosto del 1991, che poté esercitare tali competenze de facto. In conformità alla Risoluzione del Consiglio supremo della Repubblica di Lettonia “Sulla Riorganizzazione delle Banche nel territorio della Repubblica di Lettonia”, approvata il 3 settembre 1991, la Banca di Lettonia assunse il controllo della Banca della Repubblica di Lettonia presso la Banca di Stato dell’Unione Sovietica e di altri istituti di credito statali, che essa incorporò nella propria struttura. Einars Repse, presidente del Sottocomitato banca e finanza del Comitato economico del Consiglio supremo della Repubblica di Lettonia (e futuro primo ministro), diventò il primo governatore della rinnovata Banca di Lettonia. Il 19 maggio 1992 il Consiglio supremo adottò la Legge “Sulle Banche” e la Legge “Sulla Banca di Lettonia”, che per la prima volta consacrarono l’indipendenza della banca centrale dal governo.

Obiettivi della Banca di Lettonia

Il principale obiettivo della rinnovata Banca di Lettonia fu quello di riprendere il controllo della politica monetaria e reintrodurre la moneta nazionale lettone. Per raggiungere il secondo obiettivo, la Banca si avvalse di numerosi consulenti lettoni e stranieri e istituì il Comitato per la Riforma monetaria della Repubblica di Lettonia. Il 4 maggio 1992 fu approvata una risoluzione che introdusse una moneta temporanea, il rublo lettone. Nel 1993 fu introdotta come moneta nazionale il lats, suddiviso in 100 santims. L’introduzione di una nuova moneta nazionale e il perseguimento di una politica monetaria miravano a mantenere la stabilità dei prezzi facilitando la transizione verso un’economia di mercato. La rigida politica monetaria aiutò a ridurre l’inflazione dal 951% del 1992 al 2,3% del 2003.

Le funzioni della Banca di Lettonia sono definite nella legge “Sulla Banca di Lettonia” del 19 maggio 1992. Gli obiettivi più importanti della banca centrale sono i seguenti:

  • attuare la politica monetaria controllando il quantitativo di moneta in circolazione allo scopo di mantenere la stabilità dei prezzi nello Stato;
  • emettere la valuta nazionale, le banconote e le monete, nonché fissare il tasso ufficiale di cambio dell’unità monetaria nazionale contro le valute estere;
  • mantenere le riserve di valuta estera convertibile, oro e titoli per garantire la stabilità della moneta nazionale;
  • consigliare la Saeima e il Consiglio dei Ministri sulla politica monetaria e altre questioni riguardanti lo svolgimento dei propri compiti;
  • rappresentare la Repubblica di Lettonia presso le banche centrali estere e le istituzioni monetarie internazionali e collaborare con altri istituti finanziari e di credito internazionali;
  • promuovere un agile funzionamento dei sistemi di pagamento nella Repubblica di Lettonia.

Ai sensi degli articoli 12 e 14 della Legge Sulla Banca di Lettonia, la Banca non può partecipare ad alcuna iniziativa commerciale ed è «autorizzata ad aprire conti solo per il Governo di Lettonia, le banche straniere, gli istituti monetari, finanziari e di credito internazionali, le banche lettoni e altri istituti di credito».

La Banca di Lettonia finanzia le sue attività con le entrate provenienti dal cambio estero e dalle operazioni di credito effettuate nell’ambito dei propri obiettivi. La legge Sulla Banca di Lettonia fissa il capitale nominale autorizzato della Banca a 25 milioni di lati.

Politica monetaria della Banca di Lettonia

La politica monetaria è stata orientata verso il mantenimento del valore esterno del lats, che è agganciato al paniere di valute Diritti Speciali di Prelievo (SDR) del Fondo monetario internazionale. Sebbene la Lettonia non abbia un regime di currency board, la Banca garantisce che vi siano sufficienti riserve per coprire la base monetaria. Il tasso di cambio fisso è utilizzato per mantenere sotto controllo l’inflazione e la crescita del credito interno. La Banca ha dimostrato di volere e di essere capace di difendere il valore del lats aumentando il costo del denaro ogni qualvolta la moneta è sotto pressione.

L’ancoraggio del lats all’Euro il 1 ° gennaio 2005 è stato il primo significativo adeguamento monetario dopo l’adesione della Lettonia all’Unione europea, adeguamento che sarà seguito dall’adesione al meccanismo di cambio II (ERM II) il 2 maggio dello stesso anno. ERM II consiste in un accordo per l’ancoraggio del tasso di cambio e, al contempo, una procedura per testare la maturità di uno Stato membro ai fini dell’adozione della moneta unica. La partecipazione della Lettonia all’ERM II è rilevante per il rispetto dei criteri di convergenza di Maastricht e allo scopo del raggiungimento dello status di membro a pieno titolo dell’Unione economica e monetaria.

Il governo lettone ha così compiuto un passo significativo ai fini dell’attuazione del piano per l’introduzione dell’euro. In futuro, lo sforzo congiunto del governo e la banca centrale sarà diretto alla riduzione dell’inflazione e a garantire il rispetto dei criteri di Maastricht. Ilmars Rimsevics, governatore della Banca di Lettonia, sottolinea che la lotta all’inflazione è necessaria non solo per soddisfare i criteri di Maastricht, ma anche per promuovere lo sviluppo del paese, come ribadito anche nella ricerca da parte del Fondo monetario internazionale sul legame tra bassa inflazione e rapida crescita economica (www.bank.lv).

In coerenza con il programma di convergenza della Lettonia per il periodo 2009-2012, che sviluppa delle proiezioni a medio termine sulla maturità della Lettonia per soddisfare i criteri di Maastricht nel 2012, il governo lettone ha fissato nel 1 gennaio 2014 la data per l’adozione dell’euro. Il fallimento nel tentativo del governo baltico di introdurre l’euro già nel 2008 è avvenuto a causa della forte inflazione. L’introduzione della moneta unica in Lettonia sarà tema di discussione nell’ambito delle relazioni multilaterali dell’UE come un argomento di interesse comuni a tutti i paesi dell’UE.

Richard Charles Mole (2008)




Banca della Lituania

Storia

La Banca di Lituania, fondata nel marzo 1990, ha continuato le tradizioni della Banca centrale lituana, operante nel periodo tra le due guerre mondiali.

Dal 1990 al 1992, quando la Lituania, dal punto di vista valutario, faceva ancora parte della zona del rublo, la Banca di Lituania non era in grado di svolgere un’attiva politica monetaria, e i suoi sforzi principali erano diretti a preparare l’introduzione della moneta nazionale. Nel 1992, venne introdotta la moneta temporanea, il talonas, che consentì alla Banca di Lituania l’espletamento delle funzioni di una banca centrale indipendente. L’attuale valuta lituana, il litas, venne introdotta nel 1993, l’inflazione a tre zeri fu frenata e il tasso di cambio del litas si stabilizzò.

Nella ricerca di una relativa stabilità dei prezzi, la legge sulla credibilità del litas del 1994 permise di agganciare la valuta al dollaro statunitense a un tasso di cambio fisso; conformemente a questa legge, il litas viene messo in circolazione con una copertura del 100% in oro e riserve monetarie convertibili, e la principale fonte di emissione sono gli acquisti di valuta estera da parte della Banca di Lituania.

Le riserve internazionali, che consistevano inizialmente nelle riserve auree e di valuta estera della Banca di Lituania tra le due guerre mondiali restituite da altre banche centrali, erano integrate continuamente da riserve di valuta estera accumulate dalla Banca di Lituania e investite con le modalità internazionali delle banche centrali.

La nuova Legge sulla Banca di Lituania, adottata nel 2001, concesse maggiore indipendenza alla Banca centrale e più ampie possibilità di intervento nella gestione della politica monetaria.

Il ruolo della banca nell’integrazione della Lituania nell’Unione europea

A causa della progressiva integrazione della Lituania nelle strutture occidentali, dello sviluppo delle relazioni economiche con gli Stati membri dell’Unione europea e dei conseguenti cambi nella struttura della valuta commerciale, il 2 febbraio 2002 il litas venne agganciato all’euro (il cambio ufficiale del litas venne fissato a 3,4528 litas per un euro) e contemporaneamente fu conservato il regime del tasso di cambio fisso.

In occasione dell’ingresso della Lituania nell’Unione europea, avvenuto il 1° maggio 2004, la Banca di Lituania è diventata membro del Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), che include la Banca centrale europea (BCE) e le banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri UE. La Banca di Lituania fruisce del capitale sottoscritto della BCE. In seguito all’aumento del capitale BCE, il 1° maggio 2004, fino a 5.565 milioni di euro, la quota spettante alla banca di Lituania del capitale sottoscritto della BCE è il 0,442.5 per cento (equivalente a 24.623.661 euro).

Il 28 giugno 2004 la Lituania entrò nel Meccanismo di tasso di cambio (ERM II).

La Banca di Lituania partecipò attivamente ai processi per l’integrazione del paese all’Unione europea. Le funzioni della Banca di Lituania erano direttamente collegate all’acquis dei tre capitoli della legislazione UE: Unione economica e monetaria, Libera circolazione dei capitali e Libera circolazione dei servizi. Nell’ambito delle proprie competenze, la Banca di Lituania gestì gli obblighi assunti dalla Repubblica di Lituania nelle posizioni negoziate di questi tre capitoli succitati; inoltre si occupò delle attività collegate alla trasposizione della legge UE, dei requisiti, degli standard e delle pratiche della BCE in settori specifici dell’attività di una banca centrale, e di ampliare le proprie prerogative istituzionali. Allo stesso modo le decisioni adottate dalle Istituzioni comunitarie furono importanti per la Banca di Lituania, essendo di pertinenza delle politiche economiche perseguite dall’UE. La banca venne coinvolta nello sviluppo del Programma di Convergenza della Lituania, nel Rapporto nazionale sulle riforme strutturali e revisionò le ampie linee guida della politica economica della UE, riguardanti le priorità delle politiche macroeconomiche.

L’adozione dell’Euro in Lituania: i compiti principali della Banca di Lituania

Con l’adesione all’Unione europea il 1° maggio 2004, la Lituania ha assunto anche l’obbligo futuro di adottare l’euro. Ciò è previsto nel trattato che istituisce la Comunità europea, il quale sancisce che tutti gli Stati membri dell’Unione europea devono coordinare le loro politiche economiche e di cambio, che debbano introdurre un’adeguata politica fiscale e al momento del completamento delle singole condizioni come impostate nel trattato CE debbano adottare l’Euro Gli esperti dicono che nel lungo periodo l’Euro creerà condizioni più favorevoli per lo sviluppo dell’economia nazionale e accelererà l’incremento dello standard di vita, sarà anche più conveniente per i viaggiatori a causa della necessità legate al cambio valuta. La Banca di Lituania sostiene che «la moneta unica darà all’Lituania maggiore sicurezza economica e finanziaria» (www.lb.lt).

Passi importanti verso l’introduzione dell’euro erano già stati intrapresi allorquando il litas fu ancorato all’euro e quando la Lituania aderì all’ERM II. Con la partecipazione all’ERM II, la Lituania si è impegnata unilateralmente a mantenere il regime di cambio fisso e il tasso di cambio stabile del litas nei confronti dell’euro. I preparativi per l’adozione dell’euro sono stati compiuti già in alcune aree rilevanti, o almeno molto è stato fatto. Questo potrebbe essere detto a proposito del conio delle monete in euro e in euro cent, la sostituzione del contante e sistema di giunzione di pagamento dell’Eurosistema.

L’introduzione dell’Euro è uno degli obiettivi della politica economica lituana dopo la cui adozione al paese sarà permesso di trarre tutti i benefici offerti dalla politica economica e monetaria europea. Anche se una data esatta per l’introduzione dell’euro in Lituania non è ancora stata fissata, i preparativi connessi con l’adeguamento del diritto nazionale, la sensibilizzazione del pubblico, la preparazione per la sostituzione del contante, l’armonizzazione delle operazioni di politica monetaria e le altre aree sono già effettuate gradualmente.

Il successo dell’introduzione dell’euro in Lituania è associato non solo con l’attuazione dei criteri di convergenza, ma anche con una pianificazione accurata e la preparazione dal punto di vista pratico. Sulla base delle competenze degli stati membri dell’UE in vista dell’adozione dell’euro, è stato elaborato il piano di transizione nazionale che prevede l’introduzione dei principali orientamenti della Lituania e delle misure atte a garantire la tutela degli interessi dei consumatori, la sostituzione regolare del litas con l’euro ed una efficace informazione del pubblico.

Le linee guide strategiche del governo lituano per 2008-2013 definiscono come obiettivo l’adozione dell’euro per il 2013 (www.euro.lt).

Jolanta Stankeviciute




Banca di Slovenia

Nel novembre del 2003 la Banca di Slovenia e il governo sloveno adottarono un programma per l’ingresso nel meccanismo di cambio (ERM II) e per l’adozione dell’Euro, annunciando che avrebbero aderito all’ERM II alla fine del 2004 e all’euro all’inizio del 2007.

Rispetto agli altri nuovi Stati membri dell’Unione europea, la Slovenia ha un contesto economico favorevole che le ha permesso di rientrare nel primo gruppo dei nuovi Stati membri che hanno aderito all’ERM II e all’euro. Innanzitutto, la Slovenia è una piccola economia. Il suo PIL costituisce soltanto lo 0,4% del PIL totale nell’Unione economica e monetaria (UEM) misurato in PPA (parità di potere d’acquisto). È generalmente riconosciuto che per le piccole economie i vantaggi derivanti dall’adesione a un’area monetaria comune sono molto maggiori poiché la politica monetaria è più efficace in aree monetarie più vaste e anche la credibilità della Banca centrale aumenta. In secondo luogo, il PIL della Slovenia (espresso in PPA) si attestava al 76,8% della media UE nel 2003. In terzo luogo, l’economia slovena è aperta. Infine, la struttura dell’economia slovena è molto simile a quella di un’economia media dell’UE. Tutto ciò conduce a una maggiore simmetria tra shock e sincronizzazione del ciclo economico e ha contribuito al successo dell’adozione dell’euro.

Nel 2003 La Slovenia soddisfaceva già tre dei quattro criteri di convergenza. Il disavanzo pubblico corrispondeva al 2% del PIL e il debito pubblico si aggirava intorno al 30,0% del PIL. Anche i tassi di interesse a lungo termine soddisfacevano i requisiti, mentre lo stesso non poteva dirsi del tasso d’inflazione. Ciò nonostante, alla fine del 2004, l’inflazione raggiungeva il 3,2%, risultato che indicava chiaramente che si stava raggiungendo la stabilità dei prezzi.

Nel 2003 e nel 2004, la Banca proseguiva nell’adeguamento dei suoi strumenti di riserve obbligatorie e in vista dell’adesione all’ERM II avviato avviava una graduale riduzione della consistente scorta di swap di valute con l’acquisto in blocco di 300 milioni di euro in valuta estera da istituti bancari. Inoltre nel 2002 la Banca di Slovenia eliminò le ultime restrizioni sui movimenti di capitale consentendo ai singoli individui di aprire conti correnti all’estero (in vigore dal febbraio 2003) e nell’ottobre del 2003 tutte le restrizioni sui prestiti bancari in valuta estera.

La tendenza inflazionistica favorevole nel 2003 e nel 2004 e quindi la previsione di un’inflazione più bassa consentivano alla Banca di Slovenia di ridurre gradualmente i tassi di interesse. Nel 2003, i tassi di interesse nominali erano scesi di 2,5/3 punti percentuali rispettando così il criterio di Maastricht sui tassi di interesse.

La Slovenia aderiva all’ERM II il 28 giugno 2004. La parità centrale del tallero fu fissata a 239,640 SIT per 1 EUR e le dinamiche del tasso di cambio rimasero stabili e vicine alla parità centrale a partire dall’adesione all’ERM II. Il tasso di cambio poteva fluttuare entro una banda di oscillazione del 15% rispetto alla parità centrale. L’accordo sulla partecipazione del tallero all’ERM II si basava su un fermo impegno assunto dalle autorità slovene di continuare ad attuare le misure necessarie per ridurre l’inflazione. Queste includevano soprattutto misure volte a liberalizzare ulteriormente i prezzi amministrati e a proseguire con la deindicizzazione soprattutto dei salari e di alcuni meccanismi di redistribuzione sociale. Le autorità insieme agli organismi preposti dell’UE monitorarono attentamente gli sviluppi macroeconomici. La politica fiscale svolse un ruolo centrale nel controllo delle pressioni inflazionistiche indotte dalla domanda mentre una supervisione finanziaria aiutò a contenere la crescita del credito interno.

Come parte del processo di preparazione all’adozione dell’euro, la Banca di Slovenia dovette allineare tutti i suoi strumenti di politica monetaria a quelli della Banca centrale europea (BCE). Il governo, dal suo canto, sviluppò la politica fiscale conformemente all’obiettivo comune e subordinò la politica monetaria a quella della BCE.

Il 1° gennaio 2007 la Slovenia divenne così il tredicesimo paese dell’UE ad adottare l’euro.

Hana Genorio (2007)




Banca Nazionale Ceca

Tre sono i temi principali riguardanti l’operato della Banca nazionale ceca (BNC) e, in generale, delle banche di molti paesi postcomunisti: il suo specifico mandato politico relativo alla stabilità monetaria; la sua indipendenza dagli attori politici; la nomina dei suoi governatori. In tutti e tre i casi la Repubblica Ceca è passata da una forte enfasi sull’indipendenza della politica e delle nomine nei primi anni Novanta a un indebolimento dell’indipendenza della Banca nel 2000, quando l’esecutivo ha cercato di ottenere una più ampia libertà d’azione relativamente alla politica monetaria e agli obiettivi dell’inflazione. Alla fine, in seguito a una decisione della Corte costituzionale e alle pressioni dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale (FMI), è stata ripristinata una piena indipendenza della Banca. Tuttavia, questa situazione ha provocato un conflitto fra il presidente della Repubblica Václav Havel e il governo sulle nomine, nonché una crisi più ampia in merito all’influenza del governo sulla gestione dell’inflazione e la messa a punto dei tassi di interesse.

Il mandato della Banca nazionale ceca consiste innanzitutto nel mantenimento della stabilità monetaria. Questa stabilità ha una dimensione interna, ossia la stabilità dei prezzi, e una esterna, ossia la stabilità del tasso di cambio. Recentemente l’aspetto interno della stabilità monetaria – la stabilità dei prezzi –, vale a dire la creazione di un quadro di inflazione bassa, è diventato l’obiettivo primario delle banche centrali. Questa evoluzione si può osservare in tutte le banche centrali del mondo. Attuare e mantenere la stabilità monetaria è il contributo della banca centrale alla creazione di condizioni favorevoli a una crescita economica sostenibile. L’indipendenza della banca centrale è un prerequisito dell’attuazione di una politica monetaria che porta alla stabilità dei prezzi. L’obiettivo principale della politica monetaria e quello centrale della Banca sono formulati nell’art. 98 della Costituzione della Repubblica Ceca e nell’art. 2 della legge n. 6/1993 coll. sulla Banca nazionale ceca. Questi provvedimenti davano principalmente mandato alla Banca di mantenere la stabilità dei prezzi.

Da quando è diventata operativa nel gennaio del 1993, la Banca ha goduto di un alto grado di indipendenza dalle strutture politiche nell’adempimento delle sue funzioni statutarie. L’indipendenza dalla Banca è formulata nella legge sulla Banca nazionale ceca (n. 6/1993 coll.) del 1993.

L’indipendenza personale consiste nel frenare le pressioni politiche che possono essere esercitate nella nomina e nella revoca dei membri del consiglio della Banca. I sette membri del consiglio della Banca sono nominati e rimossi dall’incarico dal Presidente della Repubblica senza il concorso del governo. La legge sulla Banca quindi definisce rigorosamente le ragioni che possono giustificare la rimozione di un membro del suo consiglio (mancato adempimento delle condizioni richieste per lo svolgimento dei suoi compiti, mancato adempimento dei suoi compiti per un periodo superiore a sei mesi, oppure gravi abusi). L’indipendenza istituzionale significa che il consiglio della Banca, quando esegue i compiti e gli incarichi che gli sono stati conferiti per legge e quando svolge le sue altre attività, non può chiedere e prendere istruzioni dal presidente, dal Parlamento, dal governo o da altri organi. L’indipendenza operativa consiste nell’autonomia della Banca quando formula gli obiettivi dell’inflazione e predispone gli strumenti richiesti per realizzarli. Alla Banca si chiede di fissare il regime del tasso di cambio solo dopo averne discusso con il governo, ma non devono esservi pregiudizi verso il suo obiettivo monetario primario. La Banca e il governo si informano reciprocamente su questioni riguardanti i principi e le misure di politica economica e monetaria da adottare. L’indipendenza finanziaria consiste nella proibizione di qualsiasi finanziamento diretto del settore pubblico o degli organi che controlla. La Banca opera con un bilancio approvato dal suo consiglio. Esso viene analizzato per dare trasparenza alle spese della Banca nell’acquisizione di proprietà e alle spese operative. Alla fine dell’anno finanziario la Banca è tenuta a compilare un resoconto dei profitti e delle perdite che deve essere sottoposto alla verifica di un revisore esterno. Questo resoconto è usato come base per un rapporto finanziario annuale che viene sottoposto all’esame del Parlamento. La Banca è tenuta anche a fornire regolarmente ogni dieci giorni un bilancio di esercizio sulla sua posizione finanziaria.

Nel 2000 è stato approvato un emendamento alla legge sulla Banca nazionale. L’obiettivo originario di questo emendamento (n. 442/2000) è stato quello di armonizzare la legge con la legislazione della Banca centrale europea. Quindi è stato cambiato l’obiettivo principale della banca, da quello della “stabilità monetaria” a quello della “stabilità dei prezzi”, in linea con le norme dell’Unione europea ma in contraddizione con l’enunciato della Costituzione. Da qui è sorto il problema principale. Questo emendamento costituzionale indiretto ha permesso anche alcune revisioni supplementari che vanno al di là del quadro delle modifiche di armonizzazione, che sono state incorporate nell’emendamento nel passaggio attraverso il Parlamento. In effetti, dal gennaio 2001 questi cambiamenti hanno ridimensionato in modo significativo l’indipendenza della Banca. Essi riguardano in particolare le seguenti misure: le questioni relative agli obiettivi dell’inflazione e al sistema di cambio devono essere discusse con il governo ed è necessario raggiungere un’intesa con il governo prima che possa essere fissato l’obiettivo di inflazione e il sistema di cambio; il consiglio della Banca deve approvare solo il bilancio per le attività associate al perseguimento del suo obiettivo monetario primario, mentre il bilancio per le operazioni e gli investimenti della Banca deve essere approvato dalla Camera dei deputati e dal Parlamento della Repubblica Ceca.

L’emendamento include anche una modifica del meccanismo di nomina dei membri del consiglio della Banca. Secondo questo emendamento essi devono essere nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del governo. Questa modifica ha provocato un grave scontro costituzionale fra il presidente Havel e il governo di Miloš Zeman a proposito della nomina di un vicegovernatore giudicato dal governo troppo rigido in materia di inflazione. La politica monetaria aveva assunto un’importanza preminente perché la Repubblica Ceca stava uscendo da una recessione. Il governo di Zeman riteneva che la Banca centrale dovesse perseguire una politica monetaria di maggior ampiezza. Havel, di fronte a questa sfida ai suoi poteri presidenziali, decise di rivolgersi alla Corte costituzionale. «Questo tipo di coordinamento con il governo [sugli obiettivi dell’inflazione] poteva limitare in modo sostanziale la BNC nell’adempimento del suo obiettivo principale stabilito dalla Costituzione», ha dichiarato Havel nella sua petizione alla Corte (Bouc, 3 gennaio 2001). Queste revisioni hanno suscitato inoltre reazioni negative da parte di numerosi rappresentanti di categorie professionali e di importanti istituzioni internazionali, come per esempio il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea e la Banca centrale europea. La Commissione europea temeva che questi legami così stretti con il governo potessero condizionare il futuro comportamento della Banca e, di conseguenza, insidiare l’indipendenza richiesta alla Banca centrale.

La Corte costituzionale della Repubblica Ceca ha giudicato incostituzionali le revisioni ed esse quindi sono state abrogate con effetto a partire dal 3 agosto 2001. Nel maggio 2002 è entrato in vigore un altro emendamento alla legge sulla Banca (n. 127/2002), che ha ripristinato l’indipendenza statutaria della Banca secondo la posizione precedente all’emendamento del 2000. Inoltre è stata modificata la definizione dell’obiettivo della Banca centrale, identificato non più con la “stabilità monetaria”, bensì con la “stabilità dei prezzi”, in conformità con le richieste dell’Unione europea. Zdeněk Tůma, un “falco” in materia di inflazione, nominato da Havel e poco gradito al Česká strana sociálně demokratická (ČSSD, il Partito socialdemocratico ceco), è l’attuale governatore della Banca nazionale ceca.

Christian C. van Stolk (2009)




Banca Nazionale Polacca

La Banca nazionale polacca (Narodowy bank Polski, NBP) è la banca centrale della Repubblica di Polonia. I suoi compiti sono stati stabiliti dalla Costituzione della Repubblica di Polonia, dalla Legge sulla Banca nazionale polacca e dalla legge sul sistema bancario. L’obiettivo fondamentale della NBP è quello di mantenere un livello stabile dei prezzi. Inoltre, la NBP è responsabile della stabilità della valuta nazionale. Per adempiere a questo obbligo costituzionale essa sviluppa e applica la strategia e le linee guida annuali della politica monetaria. Attraverso la gestione delle riserve ufficiali, la NBP garantisce un livello adeguato di sicurezza finanziaria per lo Stato. In qualità di emittente di valuta, mantiene la liquidità dei pagamenti in contante. La NBP controlla anche la stabilità del sistema finanziario. Per raggiungere tale obiettivo, la Commissione e l’Ispettorato generale per la supervisione bancaria (che fanno parte della struttura della NBP) controllano il settore bancario e garantiscono la sicurezza dei fondi affidati alle banche. Rientra nelle sue funzioni di vigilanza e di regolamentazione il compito di controllare la liquidità, l’efficienza e la sicurezza del sistema dei pagamenti, nonché quello di contribuire allo sviluppo di un’infrastruttura sicura del mercato finanziario.

La struttura istituzionale della NBP è guidata dal presidente, che viene nominato dal parlamento su richiesta del presidente della Repubblica di Polonia per un mandato di sei anni. Il presidente della NBP è responsabile dell’organizzazione e del funzionamento della Banca nazionale. Egli presiede il Consiglio della politica monetaria, il Consiglio d’amministrazione della NBP e la Commissione per la supervisione bancaria, e rappresenta gli interessi della Repubblica di Polonia nelle istituzioni bancarie internazionali alle nonché nelle istituzioni finanziarie internazionali, qualora il Consiglio dei ministri non decida diversamente. La carica di presidente non può essere ricoperta dalla stessa persona per più di due mandati (di sei anni ciascuno). Nel 1992, Hanna Gronkiewic-Waltz fu nominata presidente della Banca nazionale polacca e durante il suo primo mandato rafforzò l’indipendenza della banca centrale. L’incarico le fu rinnovato nel 1998, ma si dimise nel dicembre 2000. Nel gennaio 2001, il Parlamento designava come suo successore Leszek Balcerowicz, sostenitore di una rigida politica monetaria. Nelle vesti di vice primo ministro e ministro delle Finanze nel primo governo non comunista della Polonia dopo la Seconda guerra mondiale, e in quelle di presidente della Commissione economica del Consiglio dei ministri, Balcerowicz si guadagnò la fama di garante della stabilità monetaria. In questo importante periodo della transizione polacca egli pianificò e attuò una radicale stabilizzazione e trasformazione dell’economia polacca, nota come “terapia shock”.

La storia recente della banca centrale della Polonia inizia nel gennaio1989, quando nuove leggi facenti parte del pacchetto di riforme mirate alla creazione di una “economia socialista riformata” istituiscono in Polonia un sistema bancario a due livelli. Nel dicembre dello stesso anno un altro cambiamento giuridico trasforma la Banca nazionale polacca in una moderna banca centrale. L’obiettivo principale è quello di “rafforzare la valuta polacca” e di ottenere una sostanziale indipendenza dal braccio esecutivo del governo. Tuttavia, il Parlamento ha il potere di definire alcuni parametri importanti della politica monetaria, come ad esempio i limiti di credito diretto, verso il governo.

Fin dal 1989 gli analisti hanno individuato diverse fasi della politica monetaria della NBP. Nella prima fase dopo il 1989, quando la Polonia era sull’orlo di un’iperinflazione, la politica monetaria macroeconomia in senso stretto faceva parte di un programma più ampio di stabilizzazione dell’economia polacca. Questo programma consisteva nella creazione di alcune istituzioni di mercato di base volte a sviluppare il giusto contesto per una politica monetaria guidata da strumenti indiretti (v. Ugolini, 1996). Così la nascita della banca centrale polacca coincise con gli sforzi del nuovo governo di riportare l’inflazione a un livello tollerabile. Durante i primi anni di vita, la Banca nazionale si dedicò esclusivamente a perseguire tale obiettivo.

Una seconda fase della politica monetaria prese il via quando le autorità unirono alla politica di deflazione, basata sul controllo delle riserve di denaro e sul regime di crawling peg (regime di parità mobile), il tentativo di mantenere alcuni sviluppi positivi nella bilancia commerciale e nelle riserve di valute estere. Tuttavia, a metà degli anni Novanta, il surplus della bilancia dei pagamenti fu accompagnato da un forte aumento degli afflussi di capitale, e questi due elementi esercitarono una pressione eccessiva su tale strategia. Il governo riuscì a controllare l’entità del disavanzo fiscale ma non fu capace di adeguarlo agli afflussi di capitale, passando quindi dal disavanzo all’eccedenza.

L’inizio della terza fase fu quindi segnato dall’introduzione della crawling band (cambio variabile nei limiti della banda fluttuante) nel 1995, che consentiva una maggiore flessibilità del regime di cambio. Questo portò a un quadro di controllo dell’offerta di moneta unito a un regime di crawling band, a seguito dei crescenti costi della politica monetaria nel far fronte al maggior costo della sterilizzazione. L’altra riforma storica del sistema bancario polacco, messa in atto nel 1995, fu la riemissione dello zloty con nuovi valori facciali.

La quarta fase venne contraddistinta da una nuova legge sulla banca centrale e dalla ricerca di una coerente strategia di deflazione. Fortemente influenzato dall’acquis dell’Unione europea (UE) (v. anche Acquis comunitario) riguardante il sistema bancario centrale, nel 1997 il governo di sinistra propose una nuova legge sulla banca centrale. Questa nuova disposizione legislativa stabilì in maniera trasparente l’obiettivo ultimo della banca centrale e abolì l’influenza del Parlamento sugli obiettivi della politica monetaria. Le scelte strategiche nell’ambito della politica monetaria fu l’unica responsabilità del neoistituito Consiglio della politica monetaria (Rada Polityki Pieniężnej, RPP). L’RPP ridefinì la strategia della politica monetaria e il suo assetto definitivo portando nel 1998/1999 all’adozione di un strategia basata su un obiettivo di inflazione diretta (v. Gomulka, 2001).

Nonostante questi progressi, i mutamenti del regime di cambio, come ad esempio l’introduzione della fluttuazione pura, avvennero solo all’inizio del 2000. La strategia della politica monetaria a medio termine, adottata formalmente nel 1998, prevedeva di riportare l’inflazione al di sotto del 4% nel 2003. Questo obiettivo quantificato fu definito con l’intento di diminuire il gap inflazionistico tra la Polonia e l’Unione europea riportandolo a un livello tale da permettere alla Polonia di aderire senza intoppi agli AEC (Accordi europei di cambio) II. In conformità con la “Strategia della politica monetaria oltre il 2003”, redatta dalla MPC, l’obiettivo della NBP era quello di stabilizzare il tasso d’inflazione a un livello del 2,5%, con una banda di fluttuazione accettabile dell’1%. Di conseguenza, i tassi d’interesse furono bruscamente abbassati quando l’inflazione diminuì fino al 2% nel 2002.

Sebbene, fino all’ingresso della Polonia nell’Unione europea nel maggio 2004, i criteri europei non avessero «un ruolo dominante negli accordi specifici raggiunti in Polonia», le Banche centrali europee (insieme con la Banca federale e altre istituzioni finanziarie internazionali) svolsero un ruolo importante nel progetto di modernizzazione della Banca nazionale polacca (v. Kokoszczynski, 2002). Quando la decisione di aderire all’Euro divenne un obiettivo certo del governo, al fine di assicurare un’adeguata preparazione all’adozione dell’euro la NBP mirò ad avere tutti i requisiti di pertinenza delle banche centrali di quei paesi che avevano già introdotto l’euro. È quindi prevedibile che, negli anni a venire, l’adesione della Polonia all’area dell’euro determinerà in larga misura l’adempimento dei compiti della NBP. Tuttavia, gli sforzi polacchi per soddisfare i criteri di adesione stabiliti dal Trattato di Maastricht sono diventati più impegnativi a causa dell’aumento del disavanzo del governo che ha superato il tetto del 3% e per via dell’instabilità dei tassi di cambio nella seconda metà del 2003.

Madalena Pontes-Resende (2006)




Banca Nazionale Slovacca

La Banca nazionale slovacca (Národná banka slovenska, NBS) ha svolto un ruolo marginale nell’adesione del paese all’Unione europea. Tuttavia, tra il 1998 e il 2002, congiuntamente al governo, l’NBS ha cercato di attuare misure in linea con i requisiti stabiliti dall’UE. Il successo dell’NBS a questo riguardo è stata una componente essenziale per l’ingresso della Slovacchia nell’UE.

La NBS è stata fondata il 1° gennaio 1993 con il compito di mantenere la stabilità dei prezzi. Essa svolge quattro funzioni principali: formulare e attuare la politica monetaria; emettere banconote e monete; assicurare, controllare, coordinare la circolazione della moneta, i pagamenti interbancari e la programmazione delle scadenze dei pagamenti; inoltre supervisionare lo sviluppo del settore bancario. Sebbene la NBS fosse formalmente indipendente durante il governo guidato da Vladimir Mečiar (1993-1998), e con l’allora governatore della NBS, i legami personali tra il governatore della Banca centrale dell’epoca, Vladimír Masár, e il primo ministro sembrarono minarne l’indipendenza. Anzi, il governo tentò di eliminare l’indipendenza della NBS a livello formale nel 1997, ma non riuscì a raccogliere un sufficiente sostegno in parlamento. L’immagine ampiamente positiva della NBS all’estero e l’importanza per il governo delle fonti di credito provenienti da altri paesi, furono molto probabilmente elementi importanti che convinsero il governo a non procedere (v. Beblavý, 2000, p. 111).

Ciò nonostante, perfino durante il mandato di Masár si ottennero molti risultati. Anche se egli divenne governatore soltanto nel luglio 1993, a Masár va il merito di aver contribuito a stabilire e consolidare la nuova moneta slovacca (la corona), introdotta subito dopo l’indipendenza. Nei primi anni della sua permanenza, la gestione della politica monetaria ebbe un «buon esito, grazie a un’inflazione contenuta, a un tasso di cambio stabile e a livelli maggiori di liberalizzazione del mercato delle valute estere e del mercato monetario» (v. Beblavý, 2000, p. 95). Inoltre, la politica monetaria restrittiva introdotta dalla NBS nel 1996 per controbilanciare la politica fiscale di espansione del governo contribuì a evitare una crisi economica. Questa ferma posizione si protrasse anche dopo le elezioni del 1998, anche se il nuovo governo introdusse un pacchetto di stabilizzazione fiscale. La combinazione di una politica fiscale e monetaria restrittiva aiutò a ristabilire la fiducia nel settore finanziario. Nell’ottobre 1998, grazie in larga misura alla crisi economica russa, l’NBS abbandonò la politica mirata a agganciare la corona slovacca al paniere di valute e fece fluttuare quella locale. I tassi di interesse, quindi, divennero lo strumento principale dell’NBS per ottenere la stabilità dei prezzi.

In linea con i requisiti UE, il governo, insieme all’NBS (e al suo nuovo governatore, Marián Jusko), intraprese una politica di ristrutturazione e privatizzazione del settore bancario slovacco. Insieme alla sua politica monetaria, questo è stato il più significativo contributo della NBS all’adesione della Slovacchia all’UE. Le tre maggiori banche di proprietà dello Stato (con una partecipazione azionaria mista di quasi il 50%), inclusa la Slovenská sporitel’ňa, vennero privatizzate con successo.

La Relazione periodica della Commissione europea del 2002 elogiò il governo per aver rafforzato il «quadro legislativo per i mercati dei titoli, in modo da ottenere, inter alia, una maggiore tutela dei diritti degli azionisti» (v. Commissione europea, 2002, p. 42). La Commissione apprezzò la nuova base legale per la regolamentazione e il controllo del settore finanziario, inclusi gli emendamenti alla Costituzione, l’introduzione di una nuova legge bancaria, nuovi decreti per i titoli e le assicurazioni; espresse però dubbi sulla capacità di implementazione, specie riguardo agli standard contabili e di auditing.

Tim Haughton (2006)




Centro di Informazione Europea Jacques Delors

Il Centro d’Informazione europea Jacques Delors (Centro de Informação Europeia Jacques Delors) fu fondato l’8 dicembre 1994 e inaugurato il 27 marzo 1995 dal presidente della Commissione europea Jacques Delors e dal primo ministro Anibal Cavaco Silva. È situato all’interno del Centro culturale di Belém a Lisbona. Questa organizzazione no profit si impegna a diffondere informazioni sulle politiche europee. Secondo la relazione del 2003, la principale fonte di entrate, proveniente da due membri fondatori, il governo portoghese e l’Unione europea, è di 1,1 milioni di euro, mentre 180.000 euro derivano da fonti esterne. Il CIEJD, insieme con i centri di Parigi e Roma, è fra i tre più grandi centri d’informazione sull’Europa e ha assunto la personalità giuridica di Associazione europea di interesse economico. Secondo i dati statistici del centro, quasi mezzo milione di cittadini ha avuto qualche contatto con esso, con i servizi offerti in sede o con programmi di divulgazione. Questo rappresenta circa il 5% della popolazione, cosa che lo rende il centro nazionale più importante di informazione sull’Unione europea.

Nel frattempo Il CIEJD ha celebrato il suo decimo anniversario ed è parte integrante della società civile che si occupa delle questioni europee. L’attività principale è quella di fornire servizi all’interno del Centro culturale di Belém. Il CIEJD è organizzato intorno a tre dipartimenti principali che adempiono diverse funzioni. Il dipartimento delle informazioni gestisce la biblioteca di sola lettura sulle politiche dell’Unione europea e, attraverso la sua rete informatica, è ben connesso ai siti internet delle istituzioni europee. Il Centro fornisce anche informazioni generali al pubblico su temi concernenti il processo d’integrazione europea. Il dipartimento di comunicazione e d’immagine si occupa della divulgazione e di gran parte delle informazioni e delle comunicazioni elettroniche attraverso la gestione del sito web. Il terzo dipartimento si occupa di istruzione, e di diffusione di informazioni; organizza inoltre delle attività esterne in tutto il paese.

Un’importante attività del Centro è quella didattico-educativa, presso scuole e altre sedi, sui temi dell’Europa e dell’Unione europea. Le cosiddette “lezioni Jacques Delors” (aulas Jacques Delors) hanno come obiettivo in particolare le scuole, spiegando in modo accessibile i processi di integrazione europea. Attualmente questo programma viene offerto ad altre organizzazioni che possano avvertirne la necessità. Nel 2004, il Centro organizzò iniziative di educazione permanente agli insegnanti: vennero offerti loro dei moduli sulla Cittadinanza europea, l’Unione europea e le sfide del XXI secolo, lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, l’accesso alle fonti dell’Unione europea. Il Centro ha collaborato in stretto contatto con la rappresentanza del Parlamento europeo in Portogallo, offrendo 400 sessioni di informazioni e di dibattiti sulla partecipazione dei cittadini nel processo d’integrazione europea, una campagna informativa sul progetto di Costituzione, sedute informative, per le imprese, sull’allargamento e altre iniziative connesse alla diffusione d’informazioni.

La fama del Centro è cresciuta negli anni, non solo a Lisbona, ma anche nel resto del paese. Secondo le cifre della relazione del 2003, il 72,3% delle iniziative è stato intrapreso nella regione di Lisbona, mentre il 12,2% nella regione centrale nei dintorni di Coimbra e il 10,4% nella regione settentrionale vicino a Oporto. Il Centro è meno presente in Alentejo (3,8%), Algarve (1,3%) e nelle regioni autonome di Madeira e Açores (0,4%). Il CIEJD ricevette l’apprezzamento dalla Commissione europea nella sua relazione generale sulle attività dell’Unione europea del 2003 per il partenariato stabilito con il governo portoghese, la Commissione europea e il Parlamento europeo. Ciò dimostra l’importanza crescente del CIEJD quale “grande centro nazionale” in materia di educazione su questioni inerenti l’Unione europea. Il CIEJD intende continuare una politica di espansione in termini di utenti e iniziative volte a far acquisire maggiore consapevolezza sull’Unione europea.

Uno degli eventi più importanti per il CIEJD è l’assegnazione annuale del Premio Jacques Delors, conferito al miglior studio portoghese sull’integrazione europea. Il premio trova un buon seguito tra i giovani accademici i quali presentano sovente le loro tesi di laurea specialistica o di dottorato di ricerca alla Commissione del Premio Delors, che consiste di eminenti studiosi portoghesi provenienti dalle diverse università nazionali. Generalmente l’assegnazione del premio porta alla pubblicazione della tesi e in tal modo il vincitore guadagna una certa fama in tutto il paese.

Da ultimo, ma non meno importante, è il periodico del CIEJD “Europa: Novas fronteiras”, che si pubblica regolarmente fin dal suo esordio. Sinora sono stati pubblicati 17 numeri, che ospitano articoli tratti da conferenze tenute da eminenti politici e studiosi presso la sede del Centro. Tutti i numeri vertono su un particolare tema, come ad esempio: “La Presidenza Portoghese dell’Unione europea. Da gennaio a giugno 2000” (7, 2000) oppure “La Strategia di Lisbona: L’Agenda europea per lo Sviluppo economico e sociale” (9-10, 2001).

José M. Magone




Commissione per gli affari europei del Parlamento danese

L’organismo precedente l’attuale Commissione per gli Affari europei (Europaudvalget –Europan affairs committee, EAC) del Parlamento danese (Folketinget) venne originariamente costituito nel 1961 per monitorare le trattative sull’adesione della Danimarca alla Comunità economica europea. Nel 1972 esso divenne, senza alcuna particolare relazione con la possibile adesione alla CEE/UE, una delle nuove commissioni permanenti specializzate, allorché l’intero sistema delle commissioni fu totalmente riorganizzato. Dopo un referendum che vide la vittoria del “sì”, nell’autunno 1972, la Danimarca entrò nella Comunità europea a partire dal 1° gennaio 1973. L’art. 6 del Trattato di adesione del 1972 obbligava il governo a riferire in Parlamento sugli sviluppi nelle Comunità europee, e a notificare alla Commissione parlamentare le proposte per le deliberazioni del Consiglio destinate a entrare in vigore, o quelle la cui attuazione richiede l’intervento del Parlamento. A livello formale, quindi, l’EAC era soltanto un organismo consultivo. Vi era alla base l’idea che il policy-making europeo fosse una sorta di policy-making estero, di cui doveva interessarsi il governo, ma con il consenso della maggioranza parlamentare.

Tuttavia, i successivi sviluppi hanno rafforzato significativamente la posizione della Commissione. Dopo una crisi politica all’inizio del 1973 in cui i partiti d’opposizione proposero un voto di sfiducia nei confronti del governo (poiché si diceva che il ministro dell’Agricoltura avesse accettato un accordo nel Consiglio dei ministri che non era sostenuto dal Folketinget), tutti i partiti si accordarono per varare nuove e più restrittive regole procedurali per il controllo da parte del Parlamento. Tali regole implicavano che il governo dovesse consultarsi con la Commissione sulle questioni di «primaria importanza politica» e che prima delle trattative nel Consiglio dei ministri sulle «decisioni di maggiore rilevanza», dovesse ottenere dalla Commissione per gli Affari europei un mandato per i negoziati. Da quel momento ciò divenne una procedura normale. L’introduzione di nuove regole fu probabilmente il frutto di una singolare combinazione di governi di minoranza e di scetticismo piuttosto diffuso in Danimarca nei confronti della CE/UE. Un governo di minoranza deve assicurarsi un sostegno sufficiente e i partiti scettici nei confronti dell’UE erano ansiosi di sviluppare il più possibile dei sistemi di controllo.

Le regole danesi non si riscontrano in nessun altro paese membro dell’UE. Tuttavia esse sono state spesso considerate come un modello possibile per altri paesi in cerca di sistemi per garantire l’influenza e il controllo parlamentari del decision-making sulle politiche UE, non ultimi i paesi dove una parte piuttosto vasta dell’elettorato è scettica rispetto all’integrazione europea. In Danimarca due referendum su sei per l’UE ebbero esito negativo, perfino quando nette maggioranze in Parlamento erano favorevoli alla proposta (Trattato di Maastricht, 1992; adesione all’Unione economica e monetaria, 2000).

Da un lato, la soluzione danese era un’applicazione naturale del principio del “parlamentarismo negativo”, il quale stabilisce che per i governi danesi non è necessario ricevere un voto positivo di investitura per essere nominati. È sufficiente che il governo venga “tollerato” da una maggioranza parlamentare. L’unico requisito richiesto è che non vi sia una maggioranza contro il governo. In modo analogo, i governi danesi hanno bisogno solo della certezza che in Parlamento non vi sia una maggioranza contro le proprie posizioni negoziali nelle materie UE. Dimostrare questo è esattamente la funzione chiave dell’EAC. Lo stabilire cosa costituisca tema di “primaria importanza politica” e le “decisioni di maggiore rilevanza” è compito esclusivo del governo, e nel far ciò quest’ultimo deve sempre prevedere le strategie politiche dei partiti non governativi, poiché i governi danesi sono in generale governi di minoranza. Dal 1971 soltanto un governo (in carica per un breve periodo, dal gennaio 1993 al settembre 1994) ha avuto una propria maggioranza in parlamento.

Sebbene altre commissioni specializzate siano anche, in una certa misura, coinvolte nel decision-making sulle politiche UE riguardanti le proprie aree politiche, soltanto l’EAC può conferire un mandato negoziale al governo, indipendentemente dall’argomento politico in questione. Ma il vero potere dell’EAC non deriva soltanto dai suoi poteri formali. Diversi indicatori suggeriscono che l’EAC si scosta considerevolmente da una normale commissione parlamentare.

In termini di composizione, le commissioni parlamentari generalmente riflettono la composizione del partito alla camera di riferimento. Ma la partecipazione all’EAC è molto ambita dai parlamentari e quindi la commissione tende ad annoverare leader politici tra i propri membri più di quanto non facciano altre commissioni. L’EAC si riunisce ogni venerdì durante quasi tutto l’anno, anche quando il Parlamento non lavora. Il numero degli incontri è più alto e la loro durata più lunga di quella delle normali commissioni parlamentari. Le sedute dell’EAC vengono verbalizzate, cosa che non avviene in altre commissioni. Perciò i membri della EAC hanno un carico di lavoro oneroso ma, d’altra parte, lo staff è più numeroso di quello di qualsiasi altra commissione. Per di più, e a differenza di tutte le altre, essa si affida in larga misura a una sottocommissione, specialmente in materie procedurali e istituzionali. Inoltre, l’EAC è la commissione parlamentare che compie il maggior numero di consultazioni con i ministri. In breve, l’EAC è considerata una commissione “forte” con un grado di autonomia istituzionale relativamente alto.

Studi recenti hanno accertato che l’EAC è molto importante perché permette ai suoi membri di influenzare la politica relative alla UE. Ma sarebbe sbagliato immaginare che la commissione in quanto tale sia un attore autonomo rispetto al governo. I membri della commissione, mentre hanno o sviluppano competenze sugli affari europei che equivalgono a quelle dei ministri che richiedono il mandato negoziale e normalmente difendono gli interessi istituzionali della commissione, sono anche e prima di tutto rappresentanti dei rispettivi partiti. Il lavoro dei gruppi partitici in Parlamento è basato su tre principi fondamentali: la divisione del lavoro tra i membri del gruppo (specializzazione); ciascun deputato rappresenta i suoi compagni di gruppo, ed è da essi rappresentato (nelle altre aree); all’esterno i gruppi di solito si presentano in maniera unitaria, dopo avere appianato possibili divergenze interne. Si potrebbe perciò concludere che l’affiliazione al partito sia più importante della partecipazione alla commissione. Ma è anche vero che i membri delle commissioni, compresa l’EAC, possono esercitare una forte influenza sulle posizioni politiche assunte dai propri rispettivi partiti.

L’importanza dell’EAC e dei suoi membri è forse particolarmente evidente perché i governi danesi sono stati quasi esclusivamente di minoranza da quando la Danimarca è entrata a far parte dell’UE. Qualora il paese ritornasse a un tipo di governo di maggioranza, l’importanza dell’EAC quasi sicuramente diminuirebbe.

Erik Damgaard (2012)