Movimento europeo in Estonia

Il Movimento europeo internazionale, con sede a Bruxelles, racchiude più di 30 movimenti europei nazionali e diverse altre organizzazioni paneuropee. Dal 1950 comprende anche il Movimento europeo in Estonia (EME) fondato a Stoccolma già allora dai membri del governo in esilio della Repubblica di Estonia e da altri profughi politicamente attivi. Il Movimento, ufficialmente ricostituito in Estonia nel 1998, raggruppa attualmente più di mille cittadini e parecchie organizzazioni. È stato uno dei movimenti volontari di cittadini più energici nel sostenere l’adesione all’Unione europea (UE) del paese. L’EME è stato tra coloro che il 2 aprile 2003 hanno dato vita al movimento a favore dell’Unione europea (campagna per il “sì”) (v. Movimento per il “sì” all’Europa) quale coalizione non governativa prereferendaria.

La missione dichiarata dell’EME è stata quella di promuovere i valori europei in Estonia sulla base di una rappresentanza equilibrata dei diversi gruppi d’interesse e di sostenere lo sviluppo della società estone come Stato membro dell’Unione europea.

L’EME si prefigge di sostenere l’idea di un’Europa unita, di incoraggiare e far conoscere le politiche e i principi dell’UE in Estonia, di sostenere la cooperazione tra gli operatori scientifici, educativi, commerciali, culturali e del terzo settore dell’Estonia e di altri paesi europei, di favorire la cooperazione tra organizzazioni che si occupano dell’integrazione europea in Estonia, di pubblicare testi dedicati all’integrazione europea, di fornire servizi ai propri membri e al pubblico interessato all’integrazione europea.

L’EME, in quanto attore sociale, ha una sua rappresentanza in seno al Consiglio di amministrazione della V Priorità (valutazione generale e promozione dei fondi) del Piano di azione nazionale estone per l’implementazione dei Fondi strutturali UE (v. Fondo di coesione).

La sede centrale dell’EME si trova a Tallinn. I presidenti del Movimento europeo dopo il 1998 sono stati Olav Aarna e Peeter Tulviste. Oggi è presieduto dall’Ambasciatore Riivo Sinijärv. I partner e i sostenitori dell’EME sono: la Commissione europea, la Fondazione Open Estonia, la Cancelleria di Stato, il ministero degli Affari esteri, il ministero delle Finanze, i vari Movimenti europei nazionali, diverse fondazioni pubbliche e private, ambasciate, gruppi editoriali e varie aziende private.

Tra i recenti progetti dell’EME figurano lo sportello nazionale della rete “Eurodesk” (http://www.eurodesk.org), la gestione della rete di ONG “Sì all’Unione europea” (campagna prereferendaria non governativa a favore dell’UE nel 2003), la celebrazione annuale della giornata dell’Europa il 9 maggio, i Forum della Società civile europea del 2001-2002, le pubblicazioni, i corsi di formazione per i membri, i partner e i cittadini, il servizio di informazione, i seminari, le conferenze.

Oggi il Movimento europeo in Estonia ha deciso di partecipare attivamente all’implementazione della politica europea di vicinato attraverso la promozione della cooperazione transfrontaliera con Russia, Moldavia, Bielorussia e Ucraina. L’EME si adoprea a favore della libera circolazione della forza lavoro e dei servizi all’interno dell’UE; promuove attivamente l’Unione europea e le sue strutture fondamentali, nonché le opportunità per le persone alle prime esperienze e soprattutto per i giovani.

Aivar Roop, Raul Talvik, Barbi Pilvre (2012)




Nouvelles équipes internationales

Le Nouvelles équipes Internationales (NEI) sono state create nel 1946 con l’ambizione di costituire un legame internazionale tra le forze democratico-cristiane europee. Le NEI danno la priorità al dialogo fra i grandi leader dei partiti democratici-cristiani europei e non ad un qualche fondamento dottrinale sull’Europa da ricostruire, ma alcuni di questi partiti non hanno nemmeno mai aderito al movimento. Per iniziativa di alcuni membri del Mouvement républicain populaire (MRP) e del Parti conservateur populaire suisse, e anche di alcune personalità politiche (Jules Soyeur, Robert Bichet, Joseph Lebret), nell’estate 1946 si tiene una prima riunione a Montreux, che approda ad una conferenza alla quale partecipano i rappresentanti di otto nazioni a Lucerna, tra il 26 febbraio e il 2 marzo 1947. La formula proposta si limita ad enumerare una serie di principi della democrazia sociale cristiana (rispetto della personalità umana, difesa della libertà e del progresso sociale), attorno ai quali in giugno vengono create le NEI a Chaudfontaine (primo congresso dal 31 maggio al 2 giugno 1947, Robert Bichet presidente), sullo sfondo della Guerra fredda: quest’ultima mette in luce una tendenza profondamente anticomunista, che si contrappone a coloro che auspicano la difesa dei principi di un’Europa come terza forza. Al congresso successivo (Lussemburgo, 30 gennaio-1° febbraio 1948) i partecipanti trovano un’intesa sulla riconciliazione franco-tedesca, già avviata tramite i contatti bilaterali informali conosciuti come “colloqui di Ginevra”, che continueranno fino al 1953, e sulla difesa dell’Occidente cristiano, che però non delinea alcun programma europeo particolare, come dimostra il ruolo debole che il movimento svolge nella preparazione e nei dibattiti al Congresso dell’Aia.

Inoltre il ruolo che alcuni membri rivestono in diversi governi dell’epoca spinge a una certa moderazione nelle rivendicazioni europee, sia attraverso un punto di vista gradualista sulle autorità settoriali, sia attraverso l’auspicio di costituire un’Assemblea europea limitata a un compito consultivo. Queste posizioni moderate, che avvicinano le NEI al Movimento europeo, mettono sempre più in risalto le questioni economiche disinteressandosi delle loro rispercussioni sociali, un’evoluzione che porterà alcuni membri fondatori alle dimissioni dal movimento (Jules Soyeur, marzo 1949). In effetti, il messaggio delle NEI è rivolto essenzialmente verso la controformula di un “kominform cristiano” (Sorrento, 12-14 aprile 1950) e il sostegno al Piano Schuman. L’organizzazione resta relativamente duttile, accettando sia i partiti che gli individui schierati nella difesa dello spirito cristiano e, solo in seconda istanza, per una politica europea lasciata all’iniziativa dei governi responsabili. I tentativi di creare dei legami più solidi all’interno delle NEI e una vera struttura interpartitica, nei congressi successivi, si rivela infruttuoso, perché l’organizzazione si limita a registrare la sconfitta dei tentativi federalisti (Comunità europea di difesa, CED, e Comunità politica europea, CPE, la cui proposta proviene da Alcide de Gasperi) e a discutere sul rilancio europeo (v. anche Federalismo).

L’organizzazione è scavalcata anche dalla creazione di una Conferenza dei segretari generali dei partiti democratico-cristiani (31 maggio 1954). Il nuovo segretario generale dell’organizzazione, Amintore Fanfani, cerca di rilanciare il movimento verso nuovi dibattiti che appoggiano una strategia globale di distensione, libera da qualsiasi finalità regionale. Questo tentativo approda all’istituzionalizzazione di nuove strutture di collaborazione simboleggiate dalla trasformazione dei NEI in Unione europea dei democratico-cristiani (1965). Alla fine è necessario relativizzare il mito dell’Europa vaticana, nella misura in cui le NEI, pur consentendo l’avvicinamento di alcune personalità forti che hanno fatto da vera e propria cassa di risonanza (Konrad Adenauer, Robert Schuman e de Gasperi), non hanno svolto un ruolo attivo nella nascita delle istituzioni che avrebbero concretizzato la costruzione europea, dimostrando che l’impegno cristiano, per quanto importante a livello degli individui coinvolti e determinante nella fase della riconciliazione, non è stato all’origine di una vera militanza a vocazione europea.

Bertrand Vayssière (2012)




Open Estonia Foundation

La Open Estonia Foundation (OEF) è una delle più vecchie organizzazioni non governative di beneficenza del paese. Venne fondata nell’aprile 1990 su iniziativa di George Soros, uomo d’affari e filantropo statunitense, di origine ungherese. Analogamente ad altre fondazioni open society dell’Europa centrale e orientale, l’obiettivo dell’OEF è quello di difendere e promuovere i valori di una società aperta, visione che comprende la democrazia, una società civile, la responsabilità sociale e pari opportunità per partecipare al processo democratico di decision-making. Al fine di perseguire questo obiettivo, l’OEF finanzia e gestisce diversi programmi e attività ed è quindi al contempo un’organizzazione che eroga fondi e operativa. L’OEF avvia programmi e progetti sia per proprio conto che in collaborazione con altre organizzazioni.

L’OEF si è impegnata a sostenere varie attività e idee legate al concetto di società aperta nei settori dell’istruzione, della cultura, legislativo, delle minoranze etniche, dei diritti umani e del no profit. In tutte questi campi la priorità è stata quella di stabilire politiche e pratiche pubbliche che promuovessero i valori di una società aperta. In 15 anni di attività, il totale dei fondi stanziati e dei progetti avviati dall’OEF ammonta a 4.000 milioni di corone estoni.

L’odierna OEF è incentrata sui seguenti concetti chiave: integrazione europea; società civile; cooperazione tra i paesi dell’Europa centrale e orientale; parità fra i generi.

A partire dal 2000 l’OEF si è concentrata sulle questioni concernenti l’adesione all’UE e ha lanciato il proprio Programma europeo, il cui obiettivo è stato quello di far conoscere meglio ai cittadini le istituzioni e le ONG “ombrello” d’Europa, di rendere possibile il riavvicinamento di tali istituzioni e reti ai cittadini, nonché di dar loro la possibilità di avere voce in capitolo nella creazione di politiche pubbliche in diversi settori, nell’ambito del processo di adesione (oggi: nell’ambito del nuovo Stato membro dell’UE). L’OEF ha svolto un ruolo importante nell’integrazione della società nell’UE, al fianco del governo che si è occupato di integrare lo Stato. Negli ultimi anni gli obiettivi più specifici del programma europeo sono stati i seguenti: migliorare il contesto nel quale si svolgono i dibattiti inerenti all’Allargamento dell’UE fra i cittadini e lo Stato; potenziare la capacità istituzionale del terzo settore di cooperare con partner sia di Stati membri UE, che di altri paesi europei; aumentare la capacità del terzo settore di cooperare con le istituzioni dell’UE; rendere più attivo il ruolo del pubblico nel dibattito sul futuro dell’Estonia nell’Unione europea, nonché nel dibattito sul futuro dell’UE stessa.

Per conseguire tali obiettivi, l’OEF si è impegnata a organizzare tavole rotonde, seminari, conferenze e corsi di formazione, a perseguire la ricerca e l’analisi politica, a produrre pubblicazioni e a stanziare fondi per alcuni progetti. Pertanto, anche in questo caso, l’OEF destina fondi ad altre organizzazioni per condurre attività legate alle priorità del suo programma europeo e al contempo intraprende attività per conto proprio (o in collaborazione con altre organizzazioni).

L’OEF ha lanciato il suo programma europeo nel 2001 con la pubblicazione della versione in lingua estone della “Guida ai finanziamenti per le ONG nei paesi candidati – Edizione speciale” redatta dall’European citizen action service (ECAS). La guida forniva una panoramica sulle opportunità di finanziamento esistenti per le ONG, informazioni essenziali sulle istituzioni dell’UE e sul processo di allargamento e informazioni pratiche sugli sportelli informativi.

Nel 2002 l’OEF ha attuato in collaborazione con la Scuola diplomatica estone un progetto di formazione di due mesi (ottobre-dicembre) denominato “Le ONG estoni e l’Unione europea”, fornendo alle ONG estoni formazione sulle istituzioni dell’UE e le opportunità di finanziamento. In breve tempo, il tema dei “fondi strutturali” ha acquisito importanza e l’OEF ha preso l’iniziativa di informare le ONG a questo riguardo. Da maggio ad aprile 2003 la Open Estonia unitamente ai Centri risorse regionali delle ONG estoni hanno organizzato quattro corsi di formazione di due giorni ciascuno sui fondi strutturali UE per più di 100 rappresentanti di ONG e di governi locali di diversi paesi. Nel maggio 2003 è seguito un gioco di simulazione sui fondi strutturali.

Numerosi seminari, tavole rotonde e conferenze su vari temi legati all’UE si sono svolti nell’ambito del Civil society contact group estone. Ad esempio, il 5 settembre 2003 a Tallinn si è tenuta una conferenza, cofinanziata dalla Commissione europea, dal titolo “Una nuova Europa per tutti: la società civile impegnata a costruire ponti”. La conferenza ha riunito diversi rappresentanti di ONG con sede a Bruxelles, politici dell’UE e locali, insieme a 250 partecipanti, per discutere riguardo alle possibilità e all’importanza della partecipazione della società civile al decision-making dell’UE.

All’interno del Programma europeo, oltre alle iniziative una tantum, sono state realizzate tre attività a lungo termine. Avendo vinto la gara d’appalto della Commissione europea per la figura di direttore tecnico del programma UE, istituito con l’obiettivo di rafforzare la società civile e preparare l’adesione dei paesi candidate, l’OEF ha amministrato il programma tra il 2001 e il 2002. A partire dal 2001 l’OEF ha erogato fondi alle ONG affinché potessero sviluppare progetti informativi (seminari, corsi di formazione, pubblicazioni, cooperazione con i media, ecc.) concernenti l’Unione europea. Nell’estate del 2002 l’OEF è stato il principale promotore del Civil society contact group estone sulla Convenzione sul futuro dell’Europa: fino a oggi l’OEF ha mantenuto il ruolo di principale facilitatore nonché unica autorità di finanziamento della rete. Il Contact group è un network aperto di ONG costituito con la finalità di coinvolgere le ONG estoni nel dibattito sul futuro dell’Europa, nonché di fornire alla popolazione una migliore comprensione dell’UE. Nell’ambito di dibattiti pubblici e discussioni di minore portata del Contact group sono state organizzate riunioni relative alla Convenzione sul futuro dell’Europa, i cui lavori si sono svolti dal febbraio 2002 al luglio 2003. Nell’anno 2004-2005 sono state organizzate diverse tavole rotonde e seminari (cofinanziate dalla Commissione europea) riguardo al Trattato che stabilisce una Costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea). In questo ambito, l’OEF ha organizzato dibattiti su cinque punti prospettati dal Trattato costituzionale: democrazia partecipativa, carta dei diritti fondamentali, divisione delle competenze nell’UE, Europa sociale ed Europa nel mondo.

L’insieme di attività condotte nell’ambito del Programma europeo dell’OEF hanno contribuito significativamente al raggiungimento degli obiettivi iniziali di integrare la società nell’Unione europea. Grazie agli sforzi e soprattutto ai fondi erogati dall’OEF, il livello di conoscenza dei cittadini sulle questioni UE è aumentato e così anche la loro volontà di farsi coinvolgere (sia nell’ambito delle opportunità di finanziamento, che in quello del policy-making). L’OEF, infatti, attraverso le ONG, si è adoperata attivamente per rendere i cittadini consapevoli di essere parte dell’Unione e di avere voce in capitolo nel processo di formazione dell’Unione. A tal fine, l’OEF ha lavorato sia a livello di ONG che del governo. I contatti tra le ONG estoni e i loro partner in altri paesi europei e quelli con Bruxelles si sono rafforzati. Nel corso degli anni, l’OEF ha contribuito a migliorare i contatti tra ONG estoni, varie organizzazioni “ombrello” di Bruxelles e altre ONG in Europa.

Dopo l’adesione dell’Estonia all’Unione europea si è delineata un’altra dimensione – i nuovi vicini dell’UE. I nuovi Stati membri possono e dovrebbero offrire la propria esperienza (sia rispetto all’integrazione nell’UE che al più ampio processo di transizione) a quegli Stati che hanno appena intrapreso il loro cammino verso la democrazia e l’integrazione europea. In questo nuovo ambito, l’OEF prevede di svolgere un ruolo chiave e sta stabilendo priorità e attività specifiche (analogamente all’UE).

Barbi Pilvre (2005)




Opt-out della Danimarca dal diritto UE: problema o privilegio

Fin dal 1993 la Danimarca ha beneficiato di una serie di opt-out dall’Unione europea in riferimento all’Euro, alla Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), alla Giustizia e affari interni (GAI) e alla cittadinanza nell’Unione (v. Cittadinanza europea). Mentre l’ultimo opt-out è ora irrilevante, i rimanenti toccano questioni centrali dell’attuale politica UE.

Gli opt-out riflettono un generale scetticismo danese rispetto al cosiddetto “processo di unificazione” ed emergono drammaticamente nel referendum del 1992 sul Trattato di Maastricht. Sebbene il Trattato fosse approvato da una grande maggioranza del Folketing, poi respinto nel successivo referendum. Seguirono sei mesi di difficili negoziati sul modo di risolvere tale problema, ovvero il fatto che la Danimarca non era costituzionalmente in grado di firmare il Trattato nella sua forma originaria. Poiché gli altri 11 Stati membri escludevano una revisione del Trattato, gli sforzi furono indirizzati affinché la Danimarca fosse esonerata dall’applicazione di quelle parti di esso che apparivano particolarmente sgradite ai cittadini. Nell’ottobre 1992 una larga parte della coalizione accettò il cosiddetto “compromesso nazionale”, il cui nucleo era costituito dai quattro opt-out menzionati. E malgrado la forte perplessità di diversi paesi, il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 accettò gli opt-out avanzati dalla Danimarca, con la clausola che il paese non avrebbe dovuto intralciare il processo di unificazione nelle aree oggetto di deroga. In tal modo la Danimarca ottenne i propri opt-out, ma perse influenza. In seguito, la Risoluzione di Edimburgo e il Trattato di Maastricht furono ratificati con un nuovo referendum.

A quel tempo gli opt-out erano ipotetici, più che reali. L’euro, il PESD e il GAI erano all’epoca cose a venire e rimaneva da vedere quanto seriamente gli opt-out avrebbero influito sulla posizione danese nell’Unione.

Dai primi anni Settanta la Danimarca aveva preso parte attiva nella Cooperazione monetaria europea, ma per ragioni costituzionali il governo aveva negoziato un protocollo per il trattato, alla Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) del 1991. Venne affermato che la decisione della Danimarca di aderire alla terza fase dell’Unione economica e monetaria (UEM), cioè l’adozione dell’euro, non sarebbe stata presa nel 1992, ma soltanto dopo un successivo referendum. La Risoluzione di Edimburgo costituì un significativo, ulteriore passo poiché stabiliva che la Danimarca avrebbe rinunciato definitivamente ad aderire all’euro. D’altro canto, la Risoluzione di Edimburgo non esentò la Danimarca dagli altri obblighi nell’UEM e, infatti, la Danimarca si dimostrò oltremodo scrupolosa nell’osservarli. Inoltre, nel 1998, la Danimarca concluse un cosiddetto Accordo ERM II (Exchange rate mechanism) con l’UE che ancorò la corona danese all’euro. Ma essendo stato negato alla Danimarca l’accesso al Comitato per l’euro, il gruppo informale che controlla di fatto l’Ecofin, il paese fu comunque relegato ai margini della politica economica e monetaria europea.

In questo scenario il governo indisse un referendum, nel settembre 2000, sulla revoca dell’opt-out relativo all’euro, ma 53% della popolazione votò contro. L’argomentazione del governo si rivelò inefficace in una situazione nella quale l’economia danese era più forte di quella dei paesi dell’euro, e dove la moneta europea perdeva nei confronti del dollaro. Infatti, il pubblico parve considerare l’opt-out sull’euro come un privilegio e non un problema, come invece faceva il sistema politico. E, effettivamente, gli urgenti avvertimenti sulle conseguenze negative derivanti da un “no” all’euro, non risultarono essere giustificati. Dal 2000, l’economia danese continua a dare migliori risultati di quella dell’Eurolandia ed è oggi una tra le più forti in Europa.

Sul versante della politica di difesa, la Risoluzione di Edimburgo stabilì che la Danimarca non avrebbe aderito all’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e nemmeno avrebbe preso parte ai processi decisionali stabiliti dall’art. J.4.2. del Trattato di Maastricht. Come risultò in seguito, ambedue le esenzioni erano state di relativa importanza fino al 1999, con l’inizio del PESD, e la decisione di creare una forza di reazione UE entro il 2003. A causa dell’opt-out, la Danimarca si recò a mani vuote alla “conferenza di impegno dell’ottobre 2000, organizzata per l’adesione alle forze di reazione. D’altra parte, essa decise di prendere parte agli organismi politico-militari del PESD fino a un certo punto: il membro danese dello Stato maggiore si limitava a trattare con il direttivo per le crisi civili, e il capo della Difesa danese non partecipava al voto del Comitato militare. Fino a ora, il tratto più significativo dell’opt-out danese in materia di difesa è stato il ritiro del personale dalla Macedonia e dalla Bosnia quando l’UE succedette all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) rispettivamente nel 2003 e 2004. Il ruolo attivo della Danimarca come partner di una coalizione con gli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq può essere considerato come una reazione compensativa rispetto all’esclusione autoimposta dal PESD.

Nel 1992 l’opt-out danese sulla Giustizia e affari interni, sotto forma di ipotesi, stabilì che la Danimarca non avrebbe accettato il trasferimento di parti della GAI dalla cooperazione intergovernativa a quella sovranazionale. È esattamente ciò che avvenne con il Trattato di Amsterdam del 1997 e, come conseguenza, la Danimarca ottenne una revisione dell’opt-out; ciò venne applicato a quelle parti degli Accordi di Schengen che sarebbero dovute essere incluse nel “primo pilastro” dell’Unione (v. Pilastri dell’Unione europea). In tal modo la Danimarca fu esentata dal partecipare alle politiche dell’UE per l’asilo politico e l’immigrazione, per la legge sulla cooperazione civile e sul controllo delle frontiere (v. Politiche dell’immigrazione e dell’asilo). D’altra parte, la Danimarca avrebbe continuato a partecipare, a pieno titolo, alle parti governative della GAI, come la cooperazione di polizia (v. Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale).

A lungo il sistema politico considerò gli opt-out come limitazioni indesiderate dell’impegno europeo della Danimarca; il problema era come convincere il pubblico che gli opt-out costituivano un ostacolo, e non un privilegio. Ma dal 2003 il governo liberal-conservatore cambiò orientamento e decise di voler mantenere gli opt-out sulle questioni dell’asilo politico e dell’immigrazione, in merito alle quali esso aveva adottato una politica rigidamente nazionalista che avrebbe quasi certamente dovuto essere liberalizzata nell’ambito della politica comune UE.

All’interno delle trattative per il nuovo Trattato costituzionale dell’UE del 2003 (v. Convenzione europea), l’obiettivo primario per la Danimarca fu quello di salvare gli opt-out facendo sì che essi fossero inclusi nel Trattato. Gli opt-out sull’euro e sulla politica in materia di difesa vennero inclusi senza modifiche nei protocolli del Trattato. Gli opt-out sulla GAI si rivelarono più difficili, poiché la GAI, nel suo insieme, doveva adesso essere stabilita dal Metodo comunitario, e quindi con procedure sovranazionali. Ora la Danimarca si trovava di fronte a un dilemma: da una parte, un opt-out non modificato l’avrebbe esclusa da ogni partecipazione negli ambiti della Giustizia e affari interni, il che era politicamente inaccettabile; dall’altra, il governo voleva salvaguardare gli opt-out sulle politiche dell’immigrazione e dell’asilo politico. Il dilemma venne risolto trasformando l’opt-out sulla GAI in un opt-in di tipo britannico, che avrebbe consentito alla Danimarca di prendere parte alle decisioni che fossero di suo interesse, e non alle altre.

All’inizio del 2005 il futuro degli opt-out danesi era incerto. Il governo liberal-conservatore aveva fermamente rifiutato di fissare una data per un altro referendum sugli opt-out, argomentando che il referendum sul Trattato costituzionale (del settembre 2005) avrebbe dovuto avere la precedenza (v. anche Costituzione europea). Lo status incerto di questo Trattato, oltre al recente interesse governativo in merito agli opt-out sulla GAI e l’ombra lunga del fallito referendum sull’euro nel 2000, sembrano indicare che gli opt-out rimarranno ancora per un certo periodo di tempo un aspetto importante della politica danese in ambito UE.

Nikolaj Petersen (2012)




Parlamento portoghese

In Portogallo la democrazia venne introdotta nel 1974 e le elezioni del primo parlamento democraticamente eletto, l’Assemblea della Repubblica (AR), ebbero luogo due anni più tardi. La candidatura come membro della Comunità economica europea (CEE) venne presentata il 28 marzo 1977. Il Trattato di adesione fu firmato il 12 giugno 1985, dopo anni di trattative, una volta soddisfatte le condizioni necessarie e consolidata la democrazia. Il Portogallo diventò infine membro a pieno titolo della CEE il 1° gennaio 1986.

Durante i negoziati, nel 1979, l’AR creò una delegazione per favorire lo scambio di informazioni con il Parlamento europeo (PE), creando nel 1980 la Commissione per l’integrazione europea. Questa Commissione aveva un duplice obiettivo: monitorare il processo dei negoziati governativi e stabilire regolari contatti con il PE, con gli altri parlamenti nazionali e con la società civile. Nel 1987 fu ribattezzata Commissione per gli Affari europei (CAE), una commissione permanente specializzata, su un totale di circa 12 commissioni parlamentari. L’odierna CAE ha 33 membri del Parlamento ed è di solito presieduta dal partito alla guida del governo.

L’adesione all’UE ha avuto un impatto considerevole sul quadro giuridico portoghese, traducendosi in uno sforzo continuo per adattare le prerogative costituzionali e giuridiche ai Trattati europei e alla Comunità europea in generale. Cinque revisioni costituzionali su sette riguardavano adattamenti all’UE.

Tutti i trattati sono negoziati dal governo, approvati dal Parlamento e ratificati dal Presidente della Repubblica. Il solo mezzo a disposizione del Parlamento per riequilibrare la propria perdita di competenze legislative e di controllo parlamentare su di una serie di questioni divenute di competenza UE, è quello di ricevere le informazioni dal governo e di esercitare il controllo politico sul governo durante i negoziati di ciascun trattato. Ciò consente al parlamento di partecipare, ex ante, al processo di decision-making definendo i contenuti legislativi.

La Costituzione portoghese (CRP) sancisce che il governo è tenuto a informare il Parlamento circa l’andamento del progetto europeo. Il Parlamento può seguire e valutare la partecipazione del Portogallo in tale processo; può deliberare sulle decisioni in sospeso, prese dalle organizzazioni UE, che potrebbero ricadere sotto la propria esclusiva competenza legislativa; può deliberare sulla trasposizione della legislazione UE, qualora essa influisca sulla legislazione portoghese; può legiferare circa il regime di designazione dei membri che compongono gli organismi UE (eccetto quelli della Commissione); e le commissioni parlamentari possono convocare i membri del governo per consultazioni.

Fino all’ultima revisione costituzionale, nel 2004, non vi era alcun provvedimento volto a sottoporre ogni tipo di trattato a referendum; soltanto questioni di interesse nazionale, incluse in tali trattati, potevano divenire oggetto di referendum. Nel 2004 fu introdotto un emendamento specifico per permettere di sottoporre il Trattato costituzionale a referendum. Infatti, la partecipazione del Portogallo all’UE non è mai stata sottoposta a un referendum nazionale, malgrado due tentativi in tal senso (il Trattato di Amsterdam e il Trattato costituzionale). Ambedue i tentativi furono respinti dalla Corte costituzionale sulla base di una mancanza di chiarezza nelle questioni da sottoporre a referendum.

Oltre che dalla CRP, il monitoraggio degli affari UE viene regolato dalla legge 20/1994, terza legge in materia (successiva alla legge 28/1987 e alla 111/1998) che determina la relazione tra governo e Parlamento sulle questioni UE. Ad esempio, essa stabilisce l’obbligo da parte del governo di tenere il Parlamento informato in modo sistematico (tutte le proposte europee devono essere comunicate al parlamento), il dovere di fornire un’informativa globale (presenza del governo in Parlamento durante ciascuna presidenza del Consiglio e di presentare un resoconto annuale circa la partecipazione del Portogallo all’UE) e l’obbligo di consultazione (qualora siano in questione argomenti che implichino competenze riservate al Parlamento). Questa legge regola anche i rapporti tra il CAE e le altre commissioni permanenti, il plenum, i deputati portoghesi al Parlamento europeo e la Conférence des organes spécialisés dans les affaires communautaires (COSAC). Riguardo alle informazioni fornite dal governo, è responsabilità del Parlamento considerare la legislazione riguardante materie UE, come pure il programma finanziario del progetto UE, ad esempio, in termini di fondi strutturali.

Da quando essa venne approvata sono stati proposti cinque differenti emendamenti per modificare questa legge. A eccezione del primo, i termini per l’approvazione di tali disegni di legge decaddero prima di poter essere votati. Tali emendamenti miravano a rendere obbligatorio che l’iniziativa di legge ricadesse sotto la competenza legislativa esclusiva del Parlamento, a promuovere un rapporto più stretto tra l’AR e l’EP, ad ampliare i doveri del governo nell’ambito dell’informazione (particolarmente circa i fondi provenienti dall’UE) e a creare un maggior numero di dibattiti parlamentari con il governo. I progetti di legge miravano inoltre a incoraggiare rapporti più saldi con le Assemblee legislative delle Azzorre e di Madeira e ad attirare più risorse (umane, tecniche e finanziarie) al fine di consentire un più efficace monitoraggio degli affari europei.

La realtà pratica è in qualche modo differente da quella che il quadro legislativo (Costituzione, diritto e trattati) stabilisce. Non soltanto in termini di informazione che il governo fa pervenire concretamente al Parlamento, ma anche nelle procedure di controllo di quest’ultimo. Ciò è riconducibile a varie cause, ad esempio la difficoltà nel quantificare il rapporto costi/benefici in termini di risultati che l’azione del Parlamento può raggiungere al livello europeo. Ma anche il fatto che il Portogallo abbia avuto in più occasioni delle ampie maggioranze ha comportato una certa inerzia nel processo di controllo, così come il fatto che i due partiti principali abbiano posizioni molto simili sull’UE e che nessun partito rappresentato in parlamento abbia alcuna obiezione rispetto all’integrazione europea. Oltre a ciò, vi è tuttora una mancanza di pratica parlamentare che permetta un’analisi costante e dettagliata delle politiche UE, in parte a causa della generale mancanza di risorse del Parlamento portoghese; un sostegno amministrativo e tecnico per esaminare le questioni UE viene fornito a livello di Commissione, più che a singoli deputati, e tale supporto è sovente limitato a uno o due assistenti ricercatori.

Per queste ragioni, il rapporto tra il Parlamento portoghese e il governo può essere definito, per quanto concerne le questioni UE, come un sistema di influenze e informazioni informali (v. Fraga, 2001, p. 74 e ss.). Questo modello permette al governo di essere più flessibile nelle trattative e implica un basso livello di intervento da parte del Parlamento; specialmente se lo si paragona ad altri sistemi nei quali il governo segue le raccomandazioni del parlamento durante l’intero ciclo di negoziazione e voto (come avviene in Danimarca) o dove vi è un’analisi sistematica in cui si vaglia tutta la documentazione relativa all’UE e su incontri regolari con membri del governo (come nel Regno Unito).

Inoltre in Portogallo si possono notare tendenze positive nel rapporto tra governo e Parlamento. Ad esempio, quest’ultimo riceve correntemente regolari informazioni sia dal Dipartimento di Giustizia e affari interni, sia direttamente dal PE e, dal 2005, dalla Commissione europea. In più, ogni semestre, la presidenza del Consiglio è oggetto di un dibattito parlamentare di verifica, in presenza di membri del governo. Il Parlamento valuta pure, tramite le Commissioni permanenti e nel plenum, il resoconto annuale presentato dal governo riguardante l’adesione del Portogallo all’UE. Infine, il ministero degli Affari esteri, oppure il segretario di Stato per gli Affari europei si incontra con il CAE prima e dopo ciascun Consiglio europeo. Questi incontri puntano a uno scambio di informazioni riguardo alle questioni principali in gioco e alla posizione sostenuta dal governo.

Inoltre, il CAE presenta annualmente un piano d’azione, all’inizio di ogni anno legislativo. Questo piano delinea una certa quantità di argomenti importanti dell’agenda europea, che verranno analizzati nel corso dell’anno. Inoltre, fin dal 2003, vi è stato un tentativo per stabilire un procedimento per il monitoraggio del Programma legislativo e operativo della Commissione europea, malgrado alcune difficoltà rispetto a un pieno funzionamento di tale procedura. Dal 2002 si sono tenuti regolari incontri con membri governativi, al fine di arricchire il dibattito sul futuro dell’UE. È stata inoltre creata una pagina internet dedicata al CAE (www.parlamento.pt), che si focalizza sulla partecipazione dell’AR all’UE, in particolare sulla Convenzione. Il CAE ha anche organizzato una “Convenzione giovanile” sul futuro dell’UE e ha consultato in varie occasioni la comunità accademica, così come i rappresentanti della società civile, dei sindacati, degli imprenditori, delle ONG, e così via. Tra le altre cose, relazioni e incontri con deputati al Parlamento europeo hanno fatto parte delle normali attività del CAE.

L’esperienza della convenzione ha avuto un notevole impatto sul ruolo avuto dall’AR. La quantità di attività interparlamentari è aumentata considerevolmente e ora vi è senza dubbio un più dinamico rapporto tra l’AR e gli altri parlamenti della UE. Ciò si è reso soprattutto evidente dal 2004 con la creazione del segretariato del COSAC, del progetto Inter-parliamentary EU information exchange (IPEX) e, in particolare, il meccanismo di allarme rapido della sussidiarietà, come stabilito da un protocollo allegato al Trattato costituzionale. Inoltre, l’AR è presente nella Conferenza dei presidenti dei parlamenti dell’UE e in altre organizzazioni internazionali quali l’Assemblea parlamentare euromediterranea; in questo ambito prende pure parte a incontri a livello europeo come quelli delle commissioni permanenti e alle attività di cooperazione tecnica nel contesto di specifici programmi interparlamentari.

Il ruolo del Parlamento portoghese in termini di monitoraggio degli affari europei è dunque tuttora più di tipo reattivo che proattivo. Le ragioni principali di ciò sono da attribuirsi a fattori politici (come la cultura politica e il ruolo del parlamento) e alle scarse risorse disponibili da parte del parlamento e dei deputati. Tuttavia, si sono verificati notevoli progressi, specialmente a partire dalla crescente consapevolezza dall’inizio degli anni 2000, in relazione all’esperienza della Convenzione.

Cristina Leston-Bandeira (2012)




Partito civico democratico della Repubblica Ceca

Il Partito civico democratico (Obcanska demokraticka strana, ODS) è stato fondato nella Repubblica Ceca nell’aprile 1991 dopo che il Forum civico, il movimento emerso durante la transizione, si era sciolto nel febbraio 1991. Fra il giugno 1992 e il novembre 1997 l’ODS fu il partito dominante della coalizione di governo, sebbene avesse formato un governo di minoranza dopo le elezioni del giugno 1996. Václav Klaus divenne la figura di maggior spicco del partito, che costruì la sua piattaforma intorno alle riforme neoliberali – note anche come “terapia choc” – introdotte da Klaus dopo la transizione nel 1989. In questo modo il partito cercava di emulare i programmi economici messi in atto dai conservatori britannici e dalle amministrazioni repubblicane di Reagan negli Stati Uniti a metà degli anni Ottanta.

Il partito divenne dipendente dalle sorti economiche della Repubblica Ceca e dalle sue politiche per la crescita economica. Il peggiorare della situazione economica nel 1997 causò una perdita di consensi per l’ODS, minando la fiducia nella sua capacità di gestire l’economica. Gli alleati del partito, l’Unione cristiana e democratica-Partito popolare cecoslovacco (Křesťanská a demokratická unie-Československá strana lidová, KDU-ČSL) e l’Alleanza civica democratica (Občanská demokratická aliance), si ritirarono dalla coalizione nel novembre 1997, dopo le accuse di finanziamenti illegali a carico dell’ODS. Queste accuse diedero un colpo durissimo al governo e furono rese note proprio dai partner di coalizione dell’ODS. In seguito al crollo del governo guidato dall’ODS alla fine del 1997, un nutrito gruppo di funzionari di spicco del partito si unì al governo di transizione con a capo Josef Tosovsky, che all’epoca era governatore della Banca nazionale ceca. Dissentendo dal sostegno che continuò ad espresso a Václav Klaus durante il congresso straordinario dell’ODS nel gennaio 1998, questo gruppo abbandonò il partito per crearne uno nuovo: l’Unione liberale (Unie svobody, US). Sebbene il partito perdesse consensi, passando dal 30% del 1996 al 10% registrato in un sondaggio del marzo 1998, si riprese sorprendentemente nelle settimane precedenti le elezioni, in cui ottenne il 27,7% dei voti.

L’ODS conta attualmente 22.000 iscritti. Sul piano ideologico è un partito conservatore di centrodestra, paragonabile al partito conservatore britannico. L’ODS si propone di creare un’economia liberale riducendo al minimo gli interventi statali e chiede stretti legami con l’Europa occidentale. Sostiene con fermezza anche il legame con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) a scopo di difesa e di sicurezza. Per quanto concerne l’Unione europea, l’OSD è favorevole in particolare all’adesione al Mercato unico europeo, ma al pari dei conservatori britannici non vede con favore la creazione di uno Stato federale europeo (v. anche Federalismo). È quindi più critico nei confronti dell’integrazione europea rispetto al Partito socialdemocratico ceco (Česká strana sociálne demokratická, ČSSD) e si definisce “eurorealistico” – detto in altri termini, “eurosceittoco” – in merito alla creazione di un’unione politica (v. Euroscetticismo). Il partito aderisce all’idea di Václav Klaus secondo il quale l’integrazione europea dovrebbe sostenere principalmente e innanzitutto una concezione economica neoliberale (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Per questa ragione l’ODS si oppone alla dimensione burocratica e di regolamentazione dell’integrazione europea.

L’ODS è stato all’opposizione a partire dal 1998, esercitando un’influenza notevole sul governo di minoranza del ČSSD grazie al cosiddetto “patto d’opposizione”. In particolare, ha dato all’ODS voce in capitolo sulle dimensioni del deficit di bilancio che il governo potrebbe sostenere. Nel 2002 la vittoria del ČSSD alle elezioni e la formazione di una coalizione di governo ha messo fine a questo accordo con l’opposizione. Nel 2003 il suo leader di lungo corso, Klaus, è succeduto a Václav Havel alla presidenza della Repubblica Ceca, un’elezione che ha di nuovo rafforzato il peso dell’ODS nel governo. Questa influenza si è manifestata in particolare sulla riforma delle finanze e sulla politica economica, in quanto Klaus è ricorso al veto presidenziale sulle proposte di bilancio del governo.

L’ODS ha ottenuto il 24,47% dei voti nelle elezioni parlamentari del 2002. Resta critico sull’“estensione” e sull’“approfondimento” dell’Unione europea, per esempio attraverso l’opposizione alle conclusioni del Vertice di Nizza, malgrado abbia sostenuto il voto a favore nel referendum sull’adesione all’Unione. Il presidente Klaus non ha preso posizione in merito al referendum.

Nella Repubblica Ceca si è scatenato un dibattito per stabilire se l’ODS sia un partito realmente “euroscettico”. Si tratta di una questione importante, considerato che secondo alcuni osservatori l’Allargamento significherà anche l’inserimento di ulteriori partiti politici “euroscettici” nella famiglia europea. Sebbene probabilmente sia troppo presto per effettuare generalizzazioni in merito alle divisioni ideologiche emergenti nei sistemi partitici dell’Europa centrale e orientale e dell’Unione europea, è chiaro che dall’opposizione l’ODS ha usato strategicamente gli oneri e i costi dell’adattamento necessario per l’ingresso nell’Unione contro la coalizione governativa guidata dal ČSSD. La disfatta di questo partito nelle elezioni europee del 2004 ha mostrato l’efficacia di questa tattica dell’opposizione e l’impatto di questi costi. Comunque il sostegno dell’ODS al voto a favore nel referendum sull’Unione, anche se contro gli auspici di Klaus, ha dimostrato che il partito ha usato l’Europa per lo più come arma politica nella fase preparatoria alle elezioni generali. Quindi l’ODS ha preso le distanze dal principale artefice del suo programma “euroscettico”, il presidente Klaus.

Christian C. van Stolk (2010)




Radio e Televisione nazionale lituana

La Radio e Televisione nazionale lituana (Lietuvos nacionalinis Raijas ir Televizija), o LRT, è una società pubblica no-profit per la diffusione di programmi. La LRT opera con due reti televisive nazionali, due programmi radiofonici nazionali e ha fornito regolari servizi (radiofonici fin dal 1926 e televisivi dal 1957). A partire dal 1993 la LRT è membro dell’Unione radiotelevisiva europea. Poiché sia la Radio lituana (Canale 1) sia la Televisione lituana (Canale 1) costituiscono le due divisioni principali dello stesso ente radio-televisivo pubblico (la LRT riceve il 75% circa dei suoi fondi dal governo lituano), e lavorano congiuntamente per lo sviluppo della consapevolezza del pubblico circa l’integrazione nella Unione europea (UE), esse vengono menzionate in un’unica voce.

Risultò naturale da parte della LRT, come emittente nazionale, assumere la funzione di uno dei principali promotori del processo di integrazione europea. Essa trasmise una serie di programmi focalizzati sull’adesione della Lituania all’UE, specialmente nel corso di questi ultimi anni, prima che il paese divenisse membro dell’Unione europea, nel 2004.

I programmi

Uno dei programmi, intitolato Tarp Rytų ir Vakarų (“Tra l’Est e l’Ovest”), era destinato a tutte le fasce di pubblico interessate all’integrazione UE, che approvavano o disapprovavano i tentativi della Lituania di far parte dell’Unione europea. Lo scopo principale del programma era quello di fornire un’immagine chiara e obiettiva di ciò che avveniva nell’Unione europea e discutere i problemi relativi all’integrazione della Lituania nella UE. Ogni puntata, trasmessa dalla Radio nazionale lituana, ogni lunedì alle 11:05 del mattino, ospitava diversi esperti di questioni europee, pronti a rispondere alle domande, anche le più difficili, poste dagli ascoltatori “in diretta”.

Le questioni economiche relative all’integrazione nell’UE venivano trattate in un altro programma d’opinione, Litas prie Lito, in onda il giovedì pomeriggio alle 16:05 e in replica lo stesso giorno alle 20:20. Tra le questioni discusse vi erano l’impatto dei requisiti UE e le decisioni del governo nazionale su affari, società e privati cittadini, le prospettive per l’economia nazionale e il tenore di vita dei cittadini a seguito dell’adesione all’UE, l’impatto dell’adesione sui prezzi, sui salari e sulle tasse.

Ryto garsai (“I suoni del mattino”), uno dei più popolari programmi mattutini della Radio nazionale Lituana, ascoltato da un terzo della popolazione, conteneva una rubrica speciale, Labas Rytas Europa (“Buongiorno Europa”), trasmessa alle 9:05 del mattino.

Prima del referendum sull’ingresso della Lituania nell’Unione europea, la LRT produsse una quantità di programmi destinati ad aumentare la consapevolezza del pubblico e a incoraggiare i cittadini a votare al referendum.

Uno dei programmi, Būkime Europiečiai (“Diventiamo europei”) fu trasmesso dalla Radio nazionale lituana a intervalli di pochi giorni dal marzo al maggio 2003. Tra gli argomenti trattati: la sovranità dello Stato dopo l’adesione della Lituania all’Unione europea, i problemi rurali e agricoli, le conseguenze del Trattato di adesione per la Lituania, la democrazia, l’Unione europea, e la Lituania, il futuro della nazione, della lingua e della cultura lituani dopo l’adesione, nonché confronti di opinioni tra favorevoli e contrari all’adesione.

Al referendum UE fu anche dedicata una serie di programmi del longevo talk show della LRT, Paskutinė Kryžkelė (“L’Ultimo crocevia”), trasmesso il lunedì sera alle 21 cui prendevano parte molti politici, sia europessimisti, sia euro ottimisti, per mantenere acceso il dibattito.

Una serie di programmi speciali, dedicati all’ingresso nell’UE e al referendum UE, prodotti dal popolare talk show della LRT Spaudos Klubas (“Circolo della Stampa”), mandati in onda per la prima volta nel 1998, venne votato come migliore talk show del 1999 e ospitò famosi politici quali Václav Havel, Romano Prodi, J. Primakov, A. Kvasnievsky e altri. Ai programmi partecipavano di solito politici di differenti opinioni per assicurare una discussione interessante e per dare agli spettatori l’opportunità di ascoltare vari punti di vista sull’argomento.

Infine, il 24 aprile 2003, il programma della LRT Prašau Žodžio (“Per favore, posso avere la parola”) ospitò il presidente del Parlamento studentesco lituano che parlò del referendum UE organizzato dal parlamento degli studenti insieme al Centro per le iniziative civiche, al ministro dell’Educazione e della Scienza, e dal Sindacato degli studenti lituani. Scopo del referendum era di aiutare gli studenti lituani a sviluppare un’opinione obiettiva sull’Unione europea e a esprimere la loro volontà circa questa questione strategica per la Lituania. Inoltre si sperava che questo referendum avrebbe favorito dibattiti, sulle questioni relative alla UE, nelle famiglie degli studenti e, di conseguenza, aumentato il numero dei cittadini votanti nel referendum del 10-11 maggio 2003.

Jolanta Stankevičiūtė (2006)




The “Dilemma Two Plates”

Alla riunione del Consiglio europeo tenutasi a Bruxelles nel dicembre 2003, la delegazione finlandese si trovò in una situazione imbarazzante. Il presidente, il primo ministro e il ministro degli Esteri erano tutti intenzionati a partecipare ai negoziati, ma c’erano soltanto due sedie assegnate a ciascun paese. Alla fine, il primo ministro Matti Vanhanen si avvicinò a Silvio Berlusconi, il primo ministro italiano che rappresentava la presidenza del Consiglio, chiedendogli di aggiungere un’altra sedia nella sala. Si riproponeva così la situazione che ha caratterizzato la politica finlandese dopo l’adesione alla Unione europea: da allora infatti il presidente ha facoltà di prendere parte ai summit assieme al primo ministro, sicché da quel momento si è dovuto aggiungere un altro coperto in tavola (di qui il cosiddetto “problema dei due coperti”).

Questa situazione ebbe origine nel 1994, quando la Finlandia si preparava ad aderire all’Unione europea (v. anche Criteri di adesione). La Commissione per gli affari costituzionali dell’Eduskunta, il Parlamento nazionale finlandese, emanò una disposizione in base alla quale spettava al governo, e non al presidente, rappresentare la Finlandia al Consiglio europeo.

La Commissione per gli affari costituzionali giunse alla conclusione che la decisione sulla partecipazione della Finlandia ai Summit del Consiglio europeo spettasse al governo come stabilito dalla Costituzione. Tuttavia, il presidente Martti Ahtisaari (1994-2000) diede un’interpretazione che differiva dalla posizione assunta dalla Commissione. A suo avviso, per non compromettere la divisione dei poteri in politica estera sarebbe spettato al presidente decidere in merito alla partecipazione alle riunioni del Consiglio europeo. Questa soluzione venne confermata con un accordo tra il primo ministro Paavo Lipponen e Ahtisaari nel 1995 e continua a essere valida tuttora.

Il sistema politico finlandese viene normalmente classificato come semipresidenziale, vale a dire una combinazione di presidenzialismo e democrazia parlamentare, con le funzioni esecutive divise fra un presidente eletto e un governo tenuto a rendere conto al parlamento. La separazione dei poteri è altresì chiaramente sancita dall’articolo 3 della nuova Costituzione finlandese, entrata in vigore nel marzo 2000: «I poteri legislativi vengono esercitati dal Parlamento, il quale delibera anche in materia di bilancio. Il potere esecutivo è esercitato dal presidente della Repubblica e dal governo, i cui membri devono godere della fiducia del Parlamento».

Quando diventò membro dell’Unione, la Finlandia affrontando affrontava una revisione costituzionale di vasta portata. Già allora la partecipazione della Finlandia allo Spazio economico europeo (SEE) avrebbe comportato, in conformità con la rigida interpretazione della Costituzione, l’inclusione dell’intera politica SEE nelle competenze del presidente. La Costituzione dovette, di conseguenza, essere modificata per consentire la partecipazione del governo e del parlamento. Nella nuova Costituzione il governo è chiaramente designato come attore principale della politica di integrazione. Il testo del nuovo art. 93 sulla leadership nella politica estera afferma: «La direzione della politica estera della Finlandia spetta al residente della Repubblica in cooperazione con il governo. Tuttavia, il Parlamento accetta gli obblighi internazionali della Finlandia e la loro denuncia e decide in merito all’entrata in vigore di detti obblighi della Finlandia come previsto dalla Costituzione. Il presidente decide in materia di guerra e di pace, con il consenso del Parlamento.

Il governo è responsabile della preparazione nazionale delle decisioni da prendere in seno all’Unione europea e decide in merito alle concomitanti misure finlandesi, a meno che la decisione non richieda l’approvazione del Parlamento. Il Parlamento partecipa alla preparazione nazionale delle decisioni da prendere in seno all’Unione europea, come previsto da questa Costituzione. La comunicazione di posizioni importanti in politica estera a Stati esteri e a organizzazioni internazionali è di responsabilità del ministro degli Affari esteri».

Recenti cambiamenti costituzionali e politici hanno drasticamente mutato la natura della politica finlandese e in questo contesto il governo e in particolare il primo ministro sono diventati gli attori principali. Ora è il governo a costituire la suprema autorità esecutiva, e non più il presidente, i cui poteri sono più limitati. Il primo ministro è leader diventato il leader indiscusso sia nell’ambito della politica interna sia per quanto riguarda la politica dell’integrazione. Il presidente guida la politica estera, ma lo fa congiuntamente al governo e attraverso la commissione ministeriale del governo. I poteri costituzionali e politici del presidente sono stati ridotti in modo tale che la Finlandia non rientra più a pieno titolo nella categoria dei sistemi semipresidenziali.

Il “problema dei due coperti” continua quindi a sussistere. Il primo ministro resta il principale rappresentante della Finlandia nell’UE; è il primo ministro infatti, e non il presidente, a svolgere il ruolo di attore principale nella formulazione della politica nazionale e a riferire al parlamento sulle questioni dell’UE. Tuttavia, il presidente ha partecipato alle riunioni del Consiglio europeo, a eccezione di qualche riunione straordinaria. Tarja Halonen, eletta nel 2000, ha affermato di non avere alcuna intenzione di rimanere nell’ombra e ha assunto un ruolo attivo nelle politiche di integrazione, almeno in materia di sicurezza (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Così la Finlandia continuerà, nell’immediato futuro, a essere rappresentata in seno al Consiglio europeo sia dal governo che dal presidente. Trovare una soluzione a questo problema è altresì importante in termini di governance democratica, poiché il presidente non è tenuto a rendere conto del proprio operato al parlamento.

Tapio Raunio (2012)




Ufficio del comitato per l’integrazione europea

L’Urząd komitetu integracji europejskiej, Ufficio del comitato per l’integrazione europea (UKIE) è il segretariato permanente del Comitato per l’integrazione europea (Komitet Integracji Europejskiej, KIE), la massima autorità con competenze statutarie in materia di coordinamento delle politiche europee della Polonia. Istituito il 10 ottobre 1996 con un rimpasto governativo, esso portò avanti l’attività dell’Ufficio per gli Affari europei. Quest’ultimo era stato fondato nel 1991 come cellula dell’Ufficio del Consiglio dei ministri in sostegno all’attività del plenipotenziario per l’integrazione europea (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della).

L’UKIE, un ibrido tra un comitato di gabinetto e un organo collettivo supremo, fu fondato con lo scopo di istituzionalizzare e coordinare ulteriormente le attività governative in merito all’integrazione europea. Come dichiara la legge dell’8 agosto 1996 istituiva del KIE, «il Comitato per l’integrazione europea è l’organo amministrativo supremo del governo a cui spetta la programmazione e il coordinamento delle politiche legate all’integrazione della Polonia nell’Unione europea (UE), la programmazione e il coordinamento delle misure della Polonia per adeguare [il paese] agli standard europei nonché il coordinamento delle misure dell’amministrazione statale nel campo dell’assistenza ricevuta dall’estero».

Danuta Hübner, il primo segretario del KIE, mantenne l’incarico a partire dalla sua creazione nel 1996 fino al suo scioglimento, nel 1997. Il suo successore, Rychard Czarnecki, che fu nominato nel 1997 dal governo maggioranza guidato dall’Azione elettorale di Solidarność (Akcja Wyborcza Solidarność, AWS), fu ritenuto responsabile di aver indebolito l’autorità dell’UKIE. L’euroscettico Czarnecki (v. Euroscetticismo), dimostratosi un ministro debole a causa della sua giovane età e della sua relativa inesperienza, ebbe poca cura delle funzioni formali dell’istituzione. Inoltre, dopo le dimissioni di Czarnecki nel giugno 1998, un lungo periodo di instabilità istituzionale, dovuta a un’impasse della coalizione, impedì al primo ministro di nominare un segretario permanente del KIE. Riguardo alla trasposizione giuridica, il ruolo dell’UKIE si limitò all’approvazione del Programma nazionale per l’adozione dell’Acquis comunitario (PNAA) nel maggio 1998. Esso monitorava i progressi e riferiva annualmente sull’implementazione del PNAA, sebbene ulteriori controlli venissero esercitati a margine delle istituzioni dellAccordo europeo (v. Accordi europei), o del contributo polacco alla relazione della Commissione sui progressi. Le debolezze dell’UKIE in quel periodo fecero sì che nel 1999 l’Unione europea dichiarasse che il ritmo lento della trasposizione costituiva il principale ostacolo della Polonia.

All’epoca l’UKIE era composto dal Dipartimento per l’Armonizzazione giuridica (Departamentu harmonizacji prawa, DHP), con un personale di circa 20 giuristi che si occupavano di controllare che tutti i progetti di legge proposti dal governo fossero conformi alla legislazione dell’Unione europea. Il Dipartimento per la politica di integrazione, il quale aveva alle proprie dipendenze circa 18 persone principalmente con competenze in ambito economico, sosteneva l’UKIE nella pianificazione e nel monitoraggio della trasposizione giuridica. A partire dal 1997-1998 lo strumento principale dell’UKIE per influenzare il processo legislativo furono i pareri legali sulla compatibilità con le normative UE che venivano preparati dai giuristi del DHP. Ai pareri legali venivano anche allegati commenti più generali degli economisti del Dipartimento per la politica di integrazione sulla conformità dei progetto progetti di legge con le priorità in materia di integrazione della Polonia. Alcuni critici sottolinearono come, durante il biennio 1997-1998, questi strumenti fossero inadeguati a guidare i ministeri nella trasposizione legislativa. Erano infatti troppo generici o troppo specifici e assumevano la forma di rapporti in materia legale e di pareri in tema di trasposizione giuridica commissionati all’esterno.

Nel 1999, per rendere la trasposizione giuridica più efficace, la cancelleria del primo ministro rilevò il coordinamento della trasposizione della legislazione UE. Il nuovo interesse della Cancelleria per la trasposizione coincise con gli sforzi dei funzionari dell’UKIE per stabilire un nuovo sistema di pianificazione e di monitoraggio che avrebbe integrato l’NPAA e le attività dei negoziati, fissando scadenze precise e occupandosi della distribuzione dei compiti. A metà del 2000 avvenne un cambiamento nell’organizzazione del KIE/UKIE allorché il primo ministro nominò Jacek Saryusz-Wolski, suo consulente ed ex ministro degli affari UE, segretario permanente del KIE e direttore dell’UKIE. La nomina fu resa possibile grazie a una significativa mobilitazione d’élite che ebbe luogo all’inizio del 2000. Potenziando gli strumenti sviluppati dalla cancelleria del primo ministro e dallo staff dell’UKIE, Sariusz Wolski riportò la responsabilità del coordinamento della trasposizione dalla Cancelleria al KIE/UKIE, rafforzando in tal modo la posizione istituzionale dell’UKIE in seno al governo. Nel maggio 2000, il KIE approvò una risoluzione formale che conteneva un elenco dettagliato delle leggi da trasporre in sospeso con le relative scadenze. Il segretario del KIE fu incaricato formalmente di monitorare i progressi. Due mesi dopo fu approvata un’altra risoluzione per trasformare il KIE in un comitato che si occupasse della legislazione relativa all’UE (v. Zubek, 2001).

Negli anni 2001-2002 il nuovo governo di sinistra integrò l’UKIE nel ministero degli Affari esteri (Ministerstwo Spraw Zagranicznych, MSZ). I cambiamenti ministeriali miravano a riavvicinare le varie istituzioni preposte ai negoziati di adesione, agli affari esteri e all’adeguamento nazionale. Il risultato fu l’integrazione delle principali istituzioni esecutive. Il nuovo segretario dell’UKIE, Danuta Hübner, fu nominata viceministro degli Affari esteri e il negoziatore capo venne trasferito dalla cancelleria del primo ministro per diventare il diretto sottoposto nel ministero degli Esteri. Integrati grazie al doppio ruolo istituzionale della Hübner, l’UKIE e il dipartimento per l’UE dell’MSZ iniziarono a operare come “Segretariato europeo”. L’integrazione istituzionale avvenne anche a livello di dipartimenti. Il gruppo del negoziatore capo della cancelleria del primo ministro e il Dipartimento per l’adesione dell’UKIE vennero fusi con il dipartimento per l’UE dell’MSZ (v. anche Paesi candidati all’adesione). Alcuni analisti dell’UKIE e della cancelleria del primo ministro formarono nell’UKIE un nuovo Dipartimento per le analisi socio-economiche (v. Zubnek, 2001). Le risorse del centro per il monitoraggio della trasposizione e la gestione della regolamentazione furono potenziate quando i giuristi del Dipartimento per la legislazione europea si unirono al DHP, creando così il secondo dipartimento, in ordine di grandezza, dell’UKIE (con circa 40 membri del personale). Fu formata una nuova unità di coordinamento, il Dipartimento di sostegno del KIE, per gestire il flusso di documenti dai ministeri all’UKIE/KIE.

Prima dell’adesione si aprì un dibattito all’interno del governo e dell’élite sul futuro dell’UKIE nel quale alcuni sostennero che esso avrebbe dovuto essere sostituito da un nuovo Segretariato europeo. Tuttavia, prevalse l’opzione a favore della continuità istituzionale del coordinamento delle politiche nazionali sull’UE. In seguito all’adesione della Polonia nell’UE nel maggio 2004, lo statuto e l’organizzazione dell’UKIE sono stati modificati per adattarsi alle nuove condizioni di Stato membro della Polonia. Quando la Hübner divenne commissario delle Politiche regionali in seno alla Commissione europea, Jaroslaw Pietras le succedette come segretario di Stato dell’UKIE. La riforma dell’UKIE in merito al suo ruolo post adesione ha determinato uno spostamento di obiettivo dalla trasposizione dell’acquis comunitario al coordinamento della partecipazione polacca nel processo legislativo dell’UE, sia nel Consiglio dei ministri che nel Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER). Il compito dell’UKIE è inoltre quello di monitorare il lavoro dei comitati, così come la delegazione polacca davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Inoltre, l’UKIE è responsabile dell’analisi dei nuovi sviluppi, strategie e tendenze nell’UE e della gestione dei fondi strutturali (v. anche Fondo di coesione).

Madalena Pontes-Resende (2012)




Ufficio governativo per gli Affari europei della Slovenia

In Slovenia, il coordinamento generale delle questioni legate all’Unione europea (UE) è di competenza del primo ministro, del Consiglio dei ministri e dell’Ufficio governativo per gli Affari europei (UGAE) in accordo con la delegazione di negoziatori per l’adesione della Repubblica di Slovenia all’Unione europea (v. anche Criteri di adesione; Paesi candidati all’adesione). Essi hanno tutti svolto un ruolo fondamentale nell’integrazione della Slovenia, essendo coinvolti in tutte le decisioni strategiche e responsabili della gestione generale degli affari UE.

In primo luogo, il primo ministro sloveno guida, dirige e coordina l’attività e si occupa del corretto funzionamento dell’intero governo. Quindi, tra i vari compiti, si è anche direttamente occupato dell’adesione della Slovenia all’UE e della cooperazione.

In secondo luogo, va riconosciuta l’importanza del ruolo del Consiglio dei ministri, che è rimasto il principale organismo nazionale di policy-making in materia di politiche UE. E in ultimo, ma non meno importante, vi è l’Ufficio governativo per gli Affari europei, al quale è stato affidato ufficialmente il ruolo di leader nella gestione di tutte le questioni UE.

Il processo di europeizzazione ha apportato alcuni cambiamenti strutturali, sebbene non radicali, nella struttura amministrativa slovena. Quando si concluse la fase di preadesione (v. Strategia di preadesione) e iniziarono concretamente i negoziati di adesione all’UE, il governo sloveno creò, tra l’altro, la delegazione di negoziatori e istituì uno specifico Ufficio indipendente per gli Affari europei. l’UGAE fu fondato nel dicembre 1997, a seguito della legge sull’organizzazione e la competenza dei ministeri. Dopo l’adozione di questa legge, il nuovo Ufficio rilevò il personale, il lavoro incompiuto e gli edifici principali dell’ex Ufficio per gli Affari europei presso il ministero degli Affari esteri. In altre parole, rispetto al precedente sviluppo delle relazioni tra UE e Slovenia, il suo ruolo e le sue responsabilità erano per certi versi cambiati ed erano stati ridotti. L’Ufficio per gli Affari europei fu istituito per due motivi principali: in primo luogo, per migliorare l’efficienza del coordinamento delle questioni riguardanti l’UE a livello nazionale sloveno; in secondo luogo, perché i protagonisti politici (il Consiglio dei ministri) ritenevano che le questioni relative all’UE non dovessero essere trattate come le tradizionali questioni diplomatiche. Quindi, in linea con l’istituzione dell’UGAE – come unità centrale di coordinamento per la gestione degli affari europei a livello nazionale sloveno – si è assistito a un sostanziale cambiamento di direzione nella gestione degli affari esteri verso una sistematica internazionalizzazione degli affari europei. Questa trasformazione ha anche comportato un avanzamento verso un sistema centralizzato di gestione degli affari UE a livello nazionale e la scomparsa del precedente ruolo (informale) di coordinamento del ministero degli Esteri.

L’UGAE ha gestito e coordinato il processo generale dell’adesione slovena all’UE, svolgendo attività importanti nell’ambito del coordinamento ministeriale delle relazioni con l’UE. L’ufficio non ha approvato leggi o altri atti amministrativi, ma si è limitato a coordinarne l’armonizzazione con l’acquis comunitario e i relativi standard europei. Le aree speciali d’attività dell’UGAE sono state: l’armonizzazione, il coordinamento, il monitoraggio e la supervisione dei preparativi per l’integrazione slovena nell’UE (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). L’Ufficio ha inoltre gestito i preparativi interdipartimentali per i negoziati con l’UE e ha coordinato i medesimi; ha altresì coordinato l’implementazione degli accordi firmati con l’UE e le attività di organismi comuni (autorità miste) costituite in base ai suddetti accordi; ha inoltre definito le priorità, controllato i contenuti e coordinato l’attuazione dei programmi di assistenza alla Slovenia nel processo d’adesione all’UE; ha anche coordinato il processo di partecipazione all’attività delle istituzioni e degli organismi UE (v. Istituzioni comunitarie); ha svolto inoltre compiti speciali relativi al coordinamento ministeriale delle relazioni con l’UE.

L’UGAE guida la Commissione interministeriale per le relazioni con l’UE a livello dei ministri, e coordina inoltre i gruppi di lavoro della Commissione. Quindi rappresenta anche le unità centrali di coordinamento per la gestione degli affari europei e ha prestato un’attenzione costante alle questioni UE e a quelle concernenti la capacità organizzativa nazionale in merito alle questioni europee.

Quando fu costituito nel dicembre 1997, l’UGAE iniziò la sua attività con 17 impiegati, che arrivarono a essere 123 nel dicembre 2002. Attualmente vi lavorano 120 persone. I problemi maggiori per l’UGAE sono stati (e continuano a essere tuttora) l’assunzione di specialisti in affari europei. Parte del personale dell’UGAE proveniva dall’ex Ufficio per gli Affari europei presso il ministero degli Affari esteri; il personale più anziano proveniva da differenti ministeri e da altri dipartimenti, mentre la maggior parte del personale assunto recentemente è composto da persone giovani senza alcuna precedente esperienza (in campo UE). L’assunzione del personale avviene tramite concorso pubblico, e i criteri di scelta riguardano soprattutto il livello di istruzione e la conoscenza delle lingue straniere. Inoltre, ogni anno l’UGAE offre da 6 a 8 borse di studio per il Collegio d’Europa di Bruges, mentre gli specialisti neoassunti prendono continuamente parte a numerosi corsi di istruzione e formazione, a seminari, dibattiti e conferenze, in patria o all’estero.

L’istituzione dell’UGAE comprendeva la carica di ministro per gli Affari europei senza portafoglio. Il ministro per gli Affari europei aveva essenzialmente le medesime responsabilità degli altri ministri, e il primo ministro gli affidava il coordinamento giornaliero degli affari europei. Il negoziatore principale, Janez Potočnik, fu nominato consigliere ministeriale per gli Affari europei presso il Gabinetto del primo ministro sloveno (Il primo ministro può nominare un consulente ministeriale per coordinare l’attività di singoli segmenti governativi in merito a specifici progetti governativi) nel giugno 2001 e rimase in carica fino al febbraio 2002, quando Igor Bavčar, l’allora ministro per gli Affari europei, decise di lasciare la politica e continuare la propria carriera nel settore privato. Per questo motivo, la posizione di consigliere ministeriale per gli Affari europei scomparve e furono accorpate le due funzioni di ministro per gli Affari europei e di negoziatore principale. Ciò fu politicamente possibile poiché l’allora negoziatore principale, Janez Potočnik, divenne anche ministro per gli Affari europei. Potočnik divenne Commissario europeo verso la fine del mandato della Commissione, nel maggio 2004 e fu sostituito in Slovenia da Milan M. Cvikl, il quale mantenne la posizione di ministro per gli Affari europei fino all’insediamento del nuovo governo sloveno, nel dicembre 2004.

Nel corso dei negoziati, la struttura interna dell’UGAE era diretta dal ministro per gli Affari europei ed era sostenuta da quattro dipartimenti principali: Integrazione I, Integrazione II, Aiuti esteri e Traduzioni, tra cui erano stati ripartiti i ruoli principali e le attività connesse agli affari UE. Il Dipartimento per l’integrazione I aveva il compito principale di coordinare il mercato interno e monitorare alcune politiche settoriali dell’UE. Le funzioni del Dipartimento si concentravano sull’attuazione della strategia di preadesione e in misura ridotta anche sul processo negoziale relativo all’adesione stessa. Nella strategia di preadesione, questo Dipartimento ha svolto un ruolo chiave preparando il Programma per l’adozione dell’acquis entro il 2002 e monitorandone l’applicazione attraverso relazioni periodiche. È stato anche di fondamentale importanza nel preparare i resoconti sui progressi della Slovenia verso l’adesione, in relazione agli obiettivi dell’implementazione del partenariato di adesione. Tali relazioni furono alla base di quelle pubblicate dalla Commissione sui progressi della Slovenia verso l’adesione. Di conseguenza, a seguito dei rapporti della Commissione, il Dipartimento I ha anche svolto i necessari compiti di coordinamento nelle aree in cui i progressi sono stati giudicati insufficienti. Esso ha inoltre preparato e organizzato le attività dei Comitati di associazione, collaborato ai preparativi (insieme al ministero degli Affari esteri e agli altri dipartimenti interessati) per il Consiglio di associazione e ha partecipato agli incontri dei singoli sottocomitati. Ha inoltre monitorato e controllato l’attuazione di particolari clausole dell’Accordo europeo. In aggiunta, ha fornito il supporto tecnico alla delegazione di negoziatori nella preparazione delle posizioni negoziali e ha avuto rappresentanti in tutti i 31 gruppi di lavoro durante lo svolgimento dei negoziati nell’ambito dello screening legislativo. Ha così assicurato collegamenti orizzontali tra i diversi gruppi di lavoro. Il Dipartimento integrazione II ha monitorato e analizzato lo sviluppo e l’allargamento dell’UE. Inoltre, ha avuto l’incarico di supervisionare lo sviluppo della Politica estera e di sicurezza comune dell’UE, nonché lo sviluppo nel settore della Giustizia e affari interni in seno all’UE. In quel contesto ha fornito assistenza a ministeri specifici (quello della Giustizia e degli Interni) quando venivano coinvolti nel dialogo con l’UE. In collaborazione con altri organismi statali e istituzioni esterne alla pubblica amministrazione, ha anche coordinato ed elaborato la redazione finale dei documenti per i negoziati e ha fornito altre forme d’assistenza specializzata alla delegazione di negoziatori sloveni. Il Dipartimento aiuti esteri ha svolto funzioni operative tecniche e specialistiche nel quadro dell’assistenza alla cooperazione nazionale, fornendo tempestive informazioni alla pubblica amministrazione sulle opportunità e gli orientamenti nell’ambito degli aiuti UE e delle procedure del Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE), e informando regolarmente il governo sloveno sui risultati dei programmi di assistenza UE. Il quarto dipartimento, Traduzioni, si è occupato principalmente del vasto e impegnativo compito delle traduzioni prima dell’adesione della Slovenia all’UE. Oltre a tradurre le normative UE e la Costituzione slovena, che riconosce lo sloveno come lingua ufficiale della Slovenia (articolo 11) (v. anche Lingue minoritarie dell’Unione europea), il Dipartimento di traduzione fornisce i testi legislativi sloveni, necessari per il processo di ravvicinamento legislativo e per i negoziati di adesione. Tra i compiti più importanti vi è anche quello riguardante l’introduzione e la creazione della nuova terminologia giuridica in lingua slovena nell’ambito delle questioni europee. Nel dicembre 2002, qualche anno dopo la sua fondazione, l’UGAE aveva 37 impiegati a tempo pieno in questo dipartimento, che sono arrivati a essere 50; vi si trovano traduttori, revisori-traduttori, revisori-giuristi, revisori linguistici per la lingua Slovena ed esperti di terminologia. Va anche aggiunto che dopo l’adesione all’UE, la Slovenia avrebbe avuto urgente bisogno di circa 150-200 impiegati tra traduttori esperti, specialisti di terminologia e revisori linguistici per l’immediata traduzione di vari documenti in lingua slovena.

All’interno dell’UGAE, in aggiunta a questi quattro dipartimenti principali, è stato istituito un dipartimento speciale, il Dipartimento per i negoziati, il cui scopo è stato quello di fornire varie forme di assistenza, tra cui un’assistenza tecnica completa, e dare sostegno al Capo negoziatore e alla sua delegazione. Questo dipartimento si è occupato di coordinare e sostenere l’intero processo negoziale e ha collaborato con gli Uffici di pubbliche relazioni e di promozione mediatica, con l’Ufficio legislativo, con i ministeri e altre istituzioni e organizzazioni coinvolte nel processo negoziale. Tra i compiti principali vi erano l’organizzazione e il coordinamento della preparazione e presentazione delle posizioni negoziali, dei pareri per le conferenze sull’adesione, gli incontri e le visite in Slovenia e all’estero, il monitoraggio dell’assolvimento degli impegni sloveni fissati nelle condizioni dei negoziati, e le informazioni da dare al pubblico sull’andamento e sui progressi dei negoziati con dati accurati e aggiornati. Poiché il lavoro dell’UGAE, e in particolare quello del Dipartimento per i negoziati, era strettamente collegato a quello della delegazione di negoziatori, essi collaboravano costantemente tra loro e organizzavano frequenti incontri attraverso i vari organi collegiali. Al termine dei negoziati della Slovenia con l’UE, il gruppo di negoziatori è stato formalmente sciolto nell’aprile 2003, il Dipartimento è stato chiuso e il personale trasferito ad altri (nuovi) dipartimenti dell’UGAE riorganizzato.

Dopo la decisione adottata dal governo sloveno nel febbraio 2003 (il governo sloveno ricevette la relazione sul Coordinamento degli Affari europei nell’ambito dei criteri di adesione all’UE e incaricò l’UGAE di avanzare proposte per adattare leggi e regolamenti ai criteri stessi durante il processo di adesione) il ruolo centrale di coordinamento della gestione degli affari UE dopo la conclusione dei negoziati rimane sotto la giurisdizione dell’UGAE parzialmente riformato. L’obiettivo principale delle sue attività resta l’efficiente promozione degli interessi sloveni nell’ambito dell’UE e il contributo della Slovenia al policy-making delle istituzioni europee.

Con l’adesione all’Unione europea, nel maggio 2004, sono cambiati gli obiettivi e le priorità dell’UGAE, così come l’organizzazione. Oggi l’Ufficio è presieduto dal sottosegretario al Gabinetto del primo ministro, Marcel Koprol e da Rado Genorio, e Andrej Engelman in qualità di vicedirettori. l’UGAE si avvale inoltre della collaborazione di vari esperti di affari europei che hanno acquisito la loro preziosa esperienza durante i negoziati di adesione all’UE. L’Ufficio del Sottosegretariato svolge funzioni organizzative, amministrative e di consulenza, e coordina il lavoro delle singole unità dell’Ufficio governativo per gli Affari europei e la loro cooperazione con gli altri ministeri e con il governo della Repubblica di Slovenia. Le altre unità organizzative interne dell’UGAE sono la Direzione traduzioni e Affari generali e la Direzione per il Coordinamento e i negoziati, la quale prepara il materiale e i pareri e fornisce consulenza ad altri ministeri, organizzazioni e istituzioni nazionali.

Oggi, dopo il successo dei preparativi per l’adesione all’UE, l’UGAE svolge molte attività di coordinamento nell’ambito degli affari europei. È responsabile del coordinamento del lavoro dei rappresentanti sloveni in seno a varie istituzioni e organismi dell’UE e coordina le attività della Slovenia come Stato membro. Si occupa anche di quelle attività connesse alla strategia di graduale eliminazione dei programmi d’assistenza alla preadesione e di altri strumenti della strategia di preadesione nell’ambito del processo di integrazione della Slovenia nell’UE, che non siano sotto la giurisdizione di altri specifici organismi. L’UGAE controlla la preparazione del materiale riguardante gli affari UE per il governo sloveno. Tale materiale viene successivamente inoltrato all’Assemblea nazionale della Repubblica di Slovenia, a eccezione della parte concernente la politica estera e di sicurezza comune dell’UE. L’UGAE partecipa alla revisione del materiale insieme a vari commissioni e organismi dell’Assemblea nazionale, in particolare la Commissione per gli Affari UE. Coordina inoltre la formulazione di pareri in merito ai processi di adesione di nuovi Stati membri e partecipa ai negoziati negli organismi dell’UE. Controlla, inoltre, l’armonizzazione dell’attuazione degli effettivi accordi firmati con l’UE e le attività degli organismi comunitari stabilite dai sopraccitati accordi; supervisiona la cooperazione della Slovenia all’assistenza tecnica dell’UE ai paesi del Terzo mondo e le condizioni per la cooperazione delle organizzazioni non governative nell’ambito delle questioni connesse alle attività dell’UE.

Helena Korošec (2007)