Amendola, Giorgio

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A. (Roma 1907-ivi 1980) era figlio di Giovanni, politico democratico-liberale (deputato dal 1919, sottosegretario alla Finanze e poi ministro delle colonie nel gabinetto di Luigi Facta) esponente di spicco nell’opposizione costituzionale a Mussolini dopo il delitto Matteotti. Oggetto di ripetute e feroci aggressioni squadriste, Giovanni fu costretto all’esilio a Cannes dove morì nel 1926 per i postumi delle bastonature subite. La madre di Giorgio, Eva Kühn, era una vitale e raffinata intellettuale mitteleuropea partecipe del vivace e anticonformista mondo intellettuale della borghesia romana cui introdusse il figlio.

All’interno di questa famiglia colta e liberale ma anche, per l’impronta materna, alquanto lontana dagli schemi ritenuti “normali” per l’epoca, A. trascorre gli anni della giovinezza, giovandosi per la sua formazione del vivere in una casa che è crocevia di incontri tra personaggi illustri della politica e della cultura; da questo osservatorio privilegiato assiste alla presa di potere di Mussolini, alle connivenze tra le aree liberal-democratiche e fascismo, alla svolta antidemocratica del regime, sino all’Aventino e alla lunga traversata lungo il ventennio sino alla guerra partigiana e alla Liberazione. Un percorso che contribuisce alla formazione di una coscienza critica in A. e che ne detterà il suo “essere politico”: lo scontro ideologico che si vive in Italia dal biennio rosso in poi diviene cioè l’universo determinante di “una scelta di vita” (come scriverà lui stesso più tardi) solo in apparenza lontana dall’eredità liberaldemocratica paterna.

Dopo la morte di Giovanni, Giorgio si trasferisce a Napoli dove svolge attività antifascista all’interno dell’Unione goliardica della libertà. In questa stagione della sua vita collabora alla diffusione del bollettino clandestino “Non mollare” promosso da Ernesto Rossi e Carlo Rosselli, ed entra in contatto con giovani intellettuali comunisti. Tra il 1927 e il 1929 matura la sua decisione di aderire al Partito comunista d’Italia (PCd’I), sola forza politica che giudica in grado di svolgere una forma attiva e organizzata di opposizione al fascismo dilagante. Abbandonato il crocianesimo partecipa, clandestinamente, al IV Congresso nazionale del partito che si tiene in Francia nel 1931. Entrato nell’apparato del partito comunista nell’emigrazione, promuove contatti e svolge attività di proselitismo tra i giovani; collabora inoltre a “Stato operaio”, rivista teorica pubblicata a Parigi. Rientrato a Milano in missione clandestina nel giugno del 1932 viene arrestato e inviato dal regime al confino di polizia di Ponza. Nel 1937 il confino viene trasformato in ammonizione e nel novembre di quell’anno espatria nuovamente diretto a Parigi dove rimane, quasi ininterrottamente, lavorando alla riorganizzazione del movimento comunista sconvolto dal patto tedesco-sovietico.

Rientrato in Italia con Agostino Novella nell’aprile del 1943, A. si impegna attivamente per organizzare a Roma e in altre parti d’Italia la lotta partigiana ed è chiamato a rappresentare il partito comunista nel nascente Comitato di liberazione nazionale (CLN). Nella primavera del 1944 è chiamato a svolgere la sua azione di dirigente al Nord ed è membro del comando generale delle brigate Garibaldi.

Al termine della guerra il suo ruolo nel partito risulta consolidato ed è, a pieno titolo, parte della nuova classe dirigente nazionale del PCI: entra nel Comitato centrale e nella direzione. A livello istituzionale viene eletto alla Costituente ed è sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel gabinetto presieduto da Ferruccio Parri e, ancora, nel primo gabinetto di Alcide De Gasperi; dal 1948 alla morte sarà poi eletto continuativamente per tutte le legislature al Parlamento italiano e, dal 1969, al Parlamento europeo.

L’ attività politica di A. prosegue anche a livello locale: dal 1947 al 1952 è segretario regionale del PCI in Campania, incarico che svolge ponendo al centro della sua azione – nel quadro delle lotte per la terra – il tema del riscatto del Mezzogiorno, muovendo dalle analisi gramsciane sulla rottura del blocco agrario e dallo studio dei problemi economici delle regioni meridionali. Nel 1954-1955 viene cooptato nella segreteria nazionale del partito e chiamato a sostituire Pietro Secchia nella carica di responsabile dell’organizzazione centrale, ruolo tra i più portanti e delicati nella struttura del PCI. Dopo il 1956 e l’VIII congresso A. si distingue come uno dei più convinti sostenitori della “via italiana al socialismo” teorizzata da Palmiro Togliatti. Negli anni Sessanta, dopo la morte del segretario, la sua autorità nel partito si rafforza divenendo il più autorevole esponente di quella “destra” fautrice di una linea riformista in costante confronto (pur in un partito che non ammette correnti) con l’ala di “sinistra” capeggiata da Pietro Ingrao. In questo ruolo, nel corso del decennio, in più occasioni si fa sostenitore della tesi della necessità dell’unità tra i partiti della sinistra, auspicando l’unificazione tra PCI e PSI.

In parallelo all’attività politica, e molto spesso come supporto teorico di questa, A. prosegue a interrogarsi sulla storia d’Italia, sulla democrazia, oltre che – con un interesse molto spiccato – sui problemi economici innescati dal fordismo e dalla modernizzazione. Centinaia sono gli articoli apparsi sulle principali testate quotidiane e periodiche del partito; molte anche le pubblicazioni in massima parte pubblicate con gli Editori Riuniti di Roma; fra gli altri vanno ricordati i volumi: La democrazia nel Mezzogiorno (1957), Classe operaia e programmazione democratica (1966), Comunismo antifascismo resistenza (1967), La classe operaia italiana (1968), La crisi italiana (1971), I comunisti e l’Europa (1971).

Dall’attenzione per i temi economici discendono conseguenze importanti per la vita intellettuale del partito: svolta particolarmente significativa è la nascita della rivista “Politica ed Economia” (pubblicata dal 1957 al 1962 e poi nuovamente dal 1970) che viene a colmare il vuoto apertosi sui temi economici nelle file comuniste dopo la scomparsa delle riviste “Notizie economiche”, “Riforma agraria” e “Critica economica”. Fortemente influenzata, ma anche garantita, dalla copertura politica di A., “Politica ed Economia” riunisce un colto comitato direttivo (Bruzio Manzocchi, Emilio Sereni, Antonio Pesenti, Luciano Conosciani, Luciano Barca) sotto la responsabilità di Eugenio Peggio, redattore capo. Un gruppo composito che, rifacendosi all’eredità di “Critica economica”, tenta di raccogliere intorno a una testata d’ispirazione marxista forze tra loro molto diverse, ospitando anche interventi di studiosi e intellettuali su posizioni molto distanti dal quelle del PCI. L’interesse del gruppo per l’Europa è evidente sin dalle discussioni politiche e parlamentari che accompagnano la nascita della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom, 1957) e che coincidono, d’altra parte, con l’uscita del primo numero della rivista.

La vivacità intellettuale con cui A. e il suo gruppo seguono le tematiche economiche e, in certa misura obbligatoriamente, europee (essendo il processo principalmente, in quegli anni, principalmente un problema d’ordine economico) si fa particolarmente importante e alta nel marzo del 1962 quando, al teatro Eliseo di Roma, si svolge il convegno sulle tendenze del capitalismo italiano. A. (con Eugenio Peggio, Antonio Pesenti, Bruno Trentin e altri) presiede l’iniziativa, a testimonianza del suo ruolo di guida della schiera di politici ed economisti comunisti che più sono impegnati, in campo economico, per disincagliare il partito dalle secche dell’ortodossia; un gruppo di innovatori che si colloca alla “destra” della linea del partito, e che si caratterizza per una sensibilità europeista scarsamente presente nell’elettorato. Al convegno, nella vastità e complessità dei temi toccati, A. destina uno spazio tutt’altro che irrilevante all’approfondimento del processo d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Se la critica formulata in più occasioni dal PCI rispetto agli organismi europei viene confermata, lo stesso non avviene per la critica “puramente negativa” che aveva ostacolato, secondo A., l’esatta interpretazione da parte del partito dei mutamenti avvenuti. Un’autocritica che sdogana posizioni sino a quel momento patrimonio di singoli intellettuali o considerate armamentario polemico dei compagni socialisti nel confronto politico. In quell’occasione A. sottolinea anche come l’opposizione ai trattati di Roma espressa dal PCI nella primavera del 1957 rappresenta un voto politico ma non implica una volontà assenteistica dalla scena europea e dagli organismi europei, dai quali il PCI è tenuto lontano in conseguenza della politica discriminatoria del governo.

Anche la costituzione del CESPE (Centro studi di politica economica), presieduto da Pesenti e A., offre un contributo positivo al partito per comprendere i mutamenti economici nazionali e internazionali. Nato nel 1966 come sezione del Comitato centrale del PCI, il Centro studi pubblica un proprio notiziario, che segna la presenza di un foglio prettamente economico in casa comunista in una fase (tra il 1962 e il 1970) di vuoto per la temporanea soppressione della rivista “Politica ed Economia”.

Sul finire degli anni Sessanta grazie anche al lavoro di A. e del suo gruppo viene raggiunto un risultato significativo: la richiesta, più volte reiterata da parte della dirigenza comunista, di avere propri rappresentanti nelle assemblee comunitarie viene accolta. Nel 1969 la prima delegazione di deputati e senatori rappresentanti del PCI entra al Parlamento europeo; il gruppo è capeggiato da A. Con lui ci sono Nilde Iotti, Mauro Scoccimarro, Silvio Leonardi, Francesco D’Angelosante, Giovanni Bertoli e Agide Samaritani. Un traguardo importante che A. sottolinea, in tutte le sue implicazioni, in una tempestiva intervista a “l’Unità”: «Noi ci apprestiamo oggi a essere presenti al Parlamento di Strasburgo essendo ben consapevoli dei limiti di fondo di questa istituzione – dovuti anche al fatto che tanta parte delle forze democratiche e socialiste dell’Europa occidentale ne è esclusa – e della crisi profonda in cui versa tutta la politica europeistica. Ci proponiamo comunque in questa sede di conseguire una più diretta conoscenza dei termini delle questioni che si pongono nella “Piccola Europa” e di utilizzare le possibilità di nuovi contatti con tutte le forze di sinistra per portare avanti in Europa la battaglia contro i monopoli, il militarismo e il revanscismo, per la pace, il superamento dei blocchi, la cooperazione economica internazionale e profonde riforme sociali e politiche» (Eletti, in “l’Unità”, 22 gennaio 1969). Poche settimane più tardi, nel primo discorso tenuto al Parlamento europeo, A. tornerà a rimarcare l’importanza di procedere a profonde trasformazioni nella Comunità, per assicurare una politica di reale cooperazione economica nel rispetto dell’autonomia di ogni paese con l’obiettivo del superamento dei blocchi militari (v. Amendola, 1969).

La frequentazione dell’ambiente comunitario favorisce l’apprendistato europeistico del PCI e porta a un mutamento della linea politica, scandito da piccoli passi, molti dei quali vedono come protagonista A., sempre più precisamente “simbolo” dell’europeismo comunista; ne è un primo esempio l’intervento del leader italiano alla conferenza economica londinese dei partiti comunisti dell’Europa occidentale (1971) in cui si sforza di evidenziare gli aspetti positivi del Mercato comune (v. Comunità economica europea), ma anche la necessità per la classe operaia europea di colmare i ritardi e porsi alla testa di tale realtà per trasformarla con l’obiettivo di «fare dell’Europa, il Continente nel quale sono scoppiate le due grandi guerre mondiali, un Continente di pace» (v. Gallico, 1971).

Negli anni Settanta il cammino del PCI verso l’europeismo è ormai compiuto come dimostrano le argomentazioni contenute in un fondamentale articolo di A. pubblicato su “l’Unità” il 29 novembre 1975 dal titolo L’Europa oggi: «Consideriamo come negativa una crisi delle istituzioni comunitarie che ritarda il processo di unificazione politica ed economica, e rinvia a tempo indeterminato la creazione di un nuovo potere multinazionale, il solo che possa risolvere problemi che gli Stati nazionali non sono più in grado, ciascuno per conto suo, di dominare. […] Alla crisi attuale della CEE bisogna opporre l’alternativa democratica della creazione di una Unione politica fondata sulla forza di un largo consenso popolare. Per questo motivo i comunisti si battono, con le altre forze democratiche europeistiche, per una trasformazione democratica della CEE, per la presenza immediata nella attività delle istituzioni comunitarie del movimento sindacale, dei movimenti organizzati delle masse lavoratrici e per la elezione di un Parlamento europeo a suffragio universale, con una legge elettorale unica, da svolgersi nella stessa giornata in tutti i paesi. Sarà questo Parlamento, eletto dai popoli, la vera Costituente della Unione politica dell’Europa occidentale».

Un articolo che Altiero Spinelli, commissario alla CEE e punto di riferimento storico del federalismo europeo (v. Federalismo; Movimento federalista europeo), non esita a giudicare federalista, quasi l’avesse scritto lui stesso. Spinelli, del resto, segue da tempo e con attenzione i progressi del PCI, sino a scegliere di dimettersi da commissario per candidarsi, come indipendente, nelle file del PCI alle elezioni politiche del 1976, con l’assicurazione di venire delegato al Parlamento europeo.

Negli ultimi anni di vita alle pubblicazioni teoriche e politiche A. accompagna libri di riflessione autobiografica: pubblica, con gli Editori Riuniti, Lettere a Milano 1939-1945: ricordi e documenti (1973), Gli anni della Repubblica (1976), Storia del Partito comunista italiano 1921-1943 (1978). Con Rizzoli i due volumi autobiografici Una scelta di vita (1976) e Un’isola (1980). Degno di essere ricordato anche per la notorietà e il dibattito che provocò al suo apparire, il libro-intervista curato da Piero Melograni per i tipi della Laterza Intervista sull’antifascismo (1976).

Mauro Maggiorani (2010)

Bibliografia

Amendola G., I comunisti italiani al Parlamento europeo, in “Bollettino CeSPE”, n. 28, marzo 1969.

Cerchia G., Giorgio Amendola. Un comunista nazionale. Dall’infanzia alla guerra partigiana (1907-1945), Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.

Gallico L., Amendola: un’azione generale in Europa contro i monopoli, in “l’Unità”, 13 gennaio 1971.

Maggiorani M., Ferrari P. (a cura di), L'Europa da Togliatti a Berlinguer: testimonianze e documenti, 1945-1984, il Mulino, Bologna 2005.

Matteoli G. (a cura di), Giorgio Amendola comunista riformista, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.

Righi M.L. (a cura di), Giorgio Amendola: discorsi parlamentari, Camera dei Deputati, Roma 2000.