Attlee, Clement Richard

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A. (Putney 1883-Londra 1967) crebbe in un ambiente familiare tipico della middle class vittoriana. Henry Attlee, un avvocato che accumulò rapidamente una consistente fortuna con il commercio delle granaglie, era un gladstoniano convinto, mentre la moglie aveva orientamenti più conservatori. Clement fu educato secondo le convenzioni della classe sociale di provenienza: la scuola elementare nell’Hertfordshire, la public school ad Haileybury, dove originariamente si formavano i quadri dell’amministrazione coloniale, e infine l’università a Oxford, dove si laureò in storia nel 1904.

Il torismo giovanile di A., ispirato alla tradizione filantropica ereditata dalla madre, fu ben presto rinnegato a favore dell’adesione agli ideali socialisti che egli maturò in seguito alla lettura di John Ruskin e di William Morris. Accanto alle letture, ebbe un forte impatto sulla sua conversione politica l’impegno sociale con i ragazzi dei bassifondi londinesi dell’East End. Abbandonata la prospettiva di una carriera da avvocato, nonostante avesse superato nel 1905 l’esame per entrare nell’ordine professionale, si occupò a tempo pieno della disciplina e del benessere dei giovani. Nel 1908 si iscrisse all’Indipendent labour party, assumendo rapidamente la carica di segretario del partito a Stepney. Nel 1912 la sua esperienza sociale nell’East End gli valse un posto di lettore in scienze sociali presso la London School of Economics. Lo scoppio della Grande guerra lo convinse della necessità di battersi in prima persona per gli ideali dell’interventismo democratico. Fu aggregato al sesto battaglione del Lancashire del sud e combatté a Gallipoli e in Mesopotamia, riportando gravi ferite. Dopo una lunga convalescenza, tornò a combattere, ma questa volta sul fronte occidentale, in Francia. Alla fine della guerra fu promosso maggiore.

Una volta smobilitato, A. tornò al suo impiego presso la London School of Economics, pubblicando nel 1920 il suo primo libro, The Social Worker, frutto delle sue esperienze precedenti alla guerra. A partire dal dopoguerra, A. si dedicò interamente alla vita politica nelle file del partito laburista. Divenne sindaco di Stepney in seguito al successo ottenuto alle elezioni locali del 1919. Successivamente, abbandonò Stepney e si trasferì a Woodford Green, una zona del nord est di Londra abitata da famiglie della classe media. Si presentò alle elezioni generali nelle file del partito laburista, riuscendo ad essere eletto ai Comuni nel collegio elettorale di Limehouse, a Stepney. A. visse un’intera stagione della lotta politica all’ombra di Ramsay MacDonald, prima come suo segretario particolare e dunque come sottosegretario al War Office nel corso del primo governo laburista, guidato dallo stesso MacDonald nel 1924. Condivise le posizioni moderate del leader laburista, convinto che l’emancipazione delle classi lavoratrici dovesse avvenire attraverso il graduale innesto della legislazione sociale nel tessuto delle istituzioni rappresentative britanniche. Sostenne le Trade unions nella loro azione rivendicativa culminante nello sciopero generale del 1926, senza però condividere la strategia dello scontro frontale, né tanto meno l’estremismo anticapitalista di alcune frange della sinistra del partito.

Nel 1927 A. divenne membro della Commissione parlamentare presieduta da Sir John Simon che aveva il mandato di esplorare la possibilità dell’autogoverno in India. A. si recò oltremare per studiare a fondo la questione, diventando rapidamente un esperto in materia. I tempi e i modi dell’indipendenza indiana nel 1947, allorquando A. era diventato primo ministro, dipesero per una parte significativa dalle convinzioni che egli aveva maturato già nei tardi anni Venti e che avevano trovato espressione nelle parti che egli scrisse di suo pugno nel Report conclusivo dei lavori della Commissione nel 1930. Terminato l’impegno con la Commissione presieduta da Simon, A. entrò nel nuovo governo laburista di minoranza, guidato a partire dal 1929 ancora da MacDonald. A. ebbe la carica di cancelliere del ducato di Lancaster in sostituzione di Oswald Mosley, il quale aveva lasciato l’incarico perché le sue proposte per combattere la disoccupazione dilagante con un forte intervento statale non erano state accettate in nome dell’ortodossia liberista, propugnata dal cancelliere dello scacchiere, Philip Snowden. Di lì a poco Mosley, uscito dalle file del partito, avrebbe fondato la British union of fascists. Nel frattempo, MacDonald e Snowden proseguirono sulla strada del risanamento finanziario, proponendo un piano di tagli drastici alla spesa pubblica. Respinto dalla maggioranza laburista nell’agosto 1931, il piano fu realizzato da un nuovo governo “nazionale”, ancora guidato da MacDonald, il quale aveva nel frattempo abbandonato il partito laburista insieme a Snowden. I primi anni Trenta furono dunque anni difficili per il partito laburista, come del resto rivelò l’esito disastroso delle elezioni di ottobre del 1931. I problemi venivano anche dalla sinistra interna. Proprio in questo periodo nasceva la Socialist league, guidata da Stafford Cripps, e Harold Laski pubblicava un’opera –Democracy in crisis – in cui il gradualismo era criticato aspramente come metodo per giungere al socialismo.

Dallo stato di disorientamento in cui si trovava allora il partito emerse una nuova generazione di quarantenni, i quali, provenienti per lo più dagli ambienti dei ceti medi e intellettuali, erano decisi a mantenere al “centro” la barra politica e ideologica del partito laburista. A. vinse la corsa per la leadership, mentre i concorrenti Greenwood e Herbert Morrison furono battuti. Accanto allo spinoso problema di come uscire dalla crisi economica – continuando con le ricette ortodosse dell’economia liberale oppure adottando la lezione keynesiana che iniziava allora a circolare nelle file laburiste – si stagliava infatti all’orizzonte il problema del fascismo internazionale e della guerra. L’attacco dell’Italia mussoliniana all’Etiopia e l’inizio della guerra civile spagnola rappresentarono uno spartiacque nella storia del laburismo inglese. George Lansbury, pacifista a oltranza, dovette lasciare il posto ad A., il quale, accordatosi con Hugh Dalton e Morrison, spinse il congresso annuale del partito ad approvare una risoluzione a favore delle sanzioni contro l’Italia fascista. A. mostrò nei confronti della politica di riarmo ancora qualche titubanza, che però fu superata con il congresso di Bournemouth nel 1937. A partire da allora, le critiche laburiste nei confronti dell’appeasement furono sempre più intense fino a quando il 3 settembre 1939 la Gran Bretagna (v. Regno Unito) entrò in guerra contro Hitler con il pieno appoggio laburista. L’8 novembre 1939 A. intervenne ai Comuni. Con il suo discorso, egli intese sbarrare la strada a quanti sperassero ancora di giungere a un accomodamento con Hitler; quindi lanciò un drammatico appello ai popoli europei perché unissero i loro sforzi contro l’avvento del totalitarismo.

In seguito alla campagna che l’esercito tedesco condusse contro la Norvegia, il partito di A. si dichiarò disponibile a partecipare a un governo di coalizione che non fosse però guidato da Chamberlain. Il governo fu affidato a Winston Churchill, l’uomo politico che più di ogni altro aveva criticato la politica dell’appeasement nei confronti della Germania nazista. A. ebbe un ruolo di grande importanza nel governo per tutta la durata del conflitto, rimanendo a fianco di Churchill nei momenti più difficili. La conduzione della guerra fu svolta da tre commissioni tra loro collegate. A. prese parte (fino a diventarne presidente) al Lord president committee, vale a dire la commissione che si occupava dell’economia di guerra nonché dell’organizzazione della vita sociale. Fu anche il vice di Churchill nelle commissioni da questo dirette: il Gabinetto di guerra e la commissione di Difesa. Quando Churchill era assente, toccava ad A. riferire in Parlamento circa l’andamento delle operazioni militari. Negli anni della guerra A. dovette gestire un problema politico estremamente complesso: da un lato, doveva operare per l’unità del governo, tenendo a freno le spinte più radicali provenienti dalla sinistra del partito laburista; dall’altro, doveva preoccuparsi dell’unità del partito, stimolando il governo sulla strada di una graduale trasformazione della società. La “guerra popolare” di A. aveva insomma una duplice dimensione: da un lato, era una guerra combattuta da un popolo libero contro l’aggressione totalitaria, dall’altra significava un deciso impegno per la trasformazione sociale attraverso un intervento delle istituzioni pubbliche a favore di una maggiore uguaglianza sociale.

La vittoria elettorale dei laburisti all’inizio del luglio 1945, a cui seguì il 28 dello stesso mese l’annuncio della formazione di un governo presieduto da A., era il risultato di un programma elettorale efficace che prometteva pieno impiego, un vasto piano di nazionalizzazioni e la riorganizzazione dei servizi sociali secondo le direttrici indicate dal Rapporto Beveridge del 1942. Il governo A. realizzò la costruzione di un moderno Stato sociale (con al centro il National health service) nonché un vasto piano di nazionalizzazioni (dalla Banca d’Inghilterra alle miniere del carbone fino alle acciaierie, alle ferrovie, al gas e all’elettricità). Se la politica estera non aveva avuto un ruolo particolare nella vittoria laburista, essa tuttavia tornò a giocare un ruolo decisivo quando il clima di cooperazione esistente tra i vincitori della coalizione anti-hitleriana venne rapidamente meno, già a partire dal 1946. A. e il ministro degli esteri Ernest Bevin guidarono la Gran Bretagna negli anni della Guerra fredda seguendo linee strategiche probabilmente non dissimili da quelle che avrebbe seguito un governo conservatore guidato da Churchill. Scartata l’ipotesi terzaforzista e socialista, caldeggiata da quella parte della sinistra laburista che si era riunita a partire dal 1947 nel gruppo Keep Left, A. e Bevin cercarono infatti di mettere in atto la teoria churchilliana dei “tre cerchi”. Secondo questo ragionamento, il rafforzamento della special relationship con gli Stati Uniti doveva servire da puntello per la conquista di un ruolo di primo piano nella formazione dei nuovi equilibri europei, evitando però che questo ruolo di primo piano nel vecchio continente, accompagnato da forme di integrazione economica e militare, finisse per distogliere il governo britannico dal compito decisivo, cioè la riorganizzazione del Commonwealth su nuove basi.

Il terreno principale di questa complessa strategia fu la Guerra fredda. Già nel corso delle conferenze dei ministri degli Esteri che si tennero tra l’autunno 1945 e la primavera del 1946, i britannici si batterono contro la pressione sovietica in attesa che gli americani assumessero le redini del mondo occidentale, abbandonando l’aspirazione di Franklin Delano Roosevelt di collaborazione mondiale con l’URSS. La contestazione che settori del laburismo inscenarono contro il discorso di Churchill sulla “cortina di ferro” fu respinta con durezza da A., il quale mostrò una forte consapevolezza della realtà del confronto globale tra le democrazie occidentali e l’impero sovietico in via di formazione. In considerazione delle difficoltà dell’economia, A. spinse un riluttante Bevin ad accettare la prospettiva del ritiro della Gran Bretagna da alcune aree strategiche; prospettiva che il titolare del Foreign office accettò laddove gli Stati Uniti mostrarono una decisa propensione a intervenire, come effettivamente avvenne in Grecia e in Turchia nella primavera del 1947. A. aveva compreso che il declino dell’impero era diventato inarrestabile e che la posizione britannica nel mondo dovesse affermarsi in nuove forme. Anche grazie alle competenze che aveva acquisito come membro della Commissione Simon alla fine degli anni Venti, A. indicò tempi e modi dell’indipendenza del subcontinente indiano nella convinzione che la fine dell’impero avrebbe contribuito alla riorganizzazione del Commowealth. Effettivamente, i due Stati che uscirono dal processo di indipendenza, l’India e il Pakistan, entrarono a far parte del Commonwealth che già nel 1949 mutò le regole di adesione, estendendo la possibilità anche agli Stati che si erano dati forme repubblicane.

Pur non mancando in questi anni motivi di contrasto con gli americani (la sospensione del lend lease act, il condizionamento di nuovi prestiti alla convertibilità della sterlina, la mancata condivisione delle informazioni cruciali per la costruzione della bomba atomica), il governo presieduto da A. puntò con forza sull’intervento statunitense in Europa come elemento chiave della propria politica estera. Bevin spinse il presidente Harry Spencer Truman a elaborare un progetto di aiuti economici per la ripresa europea, che si concretizzò con il Piano Marshall. Grazie all’iniziativa del titolare del Foreign office, con il quale A. era oramai entrato in piena sintonia, la Gran Bretagna ebbe un ruolo decisivo nei negoziati che condussero alla nascita dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Il 1948 si aprì a Londra con il discorso di inizio anno tenuto dal primo ministro. Nel corso della sua prolusione, A. pose l’accento sulla collaborazione tra USA e Gran Bretagna contro l’espansione della tirannia sovietica in Europa. Nella fase più dura della Guerra fredda, segnata dal colpo di Praga del febbraio 1948, A. mantenne un atteggiamento di fermezza, equiparando a più riprese fascismo e comunismo e collocandoli entrambi dentro la comune cornice del totalitarismo. I comunisti britannici furono interdetti dalle cariche cruciali per la sicurezza dello Stato. La sinistra laburista denunciò l’attacco alle libertà civili.

A conclusione delle trattative per il Patto di Bruxelles, iniziate da Bevin con l’intento di dimostrare agli americani la volontà degli europei di contrastare anche sul terreno militare la minaccia comunista e allo stesso tempo di rassicurare gli europei circa la determinazione britannica a svolgere un ruolo centrale nella difesa dell’Europa, A. annunciò al Parlamento il 17 marzo 1948 l’adesione britannica al patto (v. anche Unione dell’Europa occidentale). Nel contesto della Guerra fredda, il governo laburista si faceva nel complesso promotore di forme di intensa cooperazione europea (economica e militare), che tuttavia non intaccassero la sovranità degli Stati. Il culmine del disegno britannico sembrò raggiunto con la firma a Washington dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), il 4 aprile 1949. La tutela statunitense sull’Europa rendeva la special relationship anglo-americana un elemento decisivo per l’affermazione di un ruolo di primo piano per Londra in Europa. Se è vero – come lo stesso A. ha narrato nelle sue memorie – che il Patto di Bruxelles e il Patto atlantico rappresentarono essenzialmente il frutto dell’impegno personale di Bevin, si deve nondimeno aggiungere che A. contribuì a rafforzare quelle scelte, compiendo un paziente lavoro di tessitura all’interno del partito laburista per cercare di isolare le forze antiamericane, come il gruppo Keep Left.

A. non aveva mai creduto a una politica estera volta a costruire una federazione europea (v. anche Federalismo), se si eccettua qualche vago riferimento all’inizio della guerra antihitleriana. Fu costantemente scettico verso le posizioni terzaforziste, in particolare nei confronti di quelle che circolavano intorno al 1947-48 nella sinistra socialista per opera del gruppo Keep Left, i cui esponenti erano convinti che compito della Gran Bretagna laburista fosse quello di guidare l’Europa come soggetto internazionale equidistante dall’URSS e dagli USA. Già nel 1945 A. aveva espresso un forte scetticismo circa le basi materiali e spirituali della terza forza europea, sostenendo – in una lettera a un vecchio amico sindacalista, Fenner Brockway – che ciò che era rimasto dell’Europa dopo la guerra di Hitler non era sufficiente per resistere alla pressione sovietica senza l’impiego della forza economica e militare, rappresentata dagli USA. Al di là delle posizioni terzaforziste, emersero nel corso di quegli anni anche le motivazioni dell’estraneità di A. e del suo governo rispetto alla prospettiva della federazione europea, caldeggiata invece dagli Stati Uniti. In sintonia con Bevin, A. era convinto che la federazione europea avrebbe innanzi tutto messo fine alla specificità della tradizione giuridica britannica, immergendola nel calco del costituzionalismo europeo continentale. Integrando la Gran Bretagna nello spazio europeo, la federazione avrebbe inoltre finito per allentare i forti legami che invece Londra intendeva mantenere con il Commonwealth. Ancora, la natura stessa della special relationship con gli USA sarebbe stata modificata in profondità qualora Londra non avesse più svolto la funzione di iniziativa e mediazione che aveva svolto per il Piano Marshall, il Patto di Bruxelles e il Patto atlantico. Infine, i progetti di pianificazione socialista, intrapresi dal governo laburista a partire dal 1945, sarebbero stati ostacolati da un super-Stato europeo, nato sotto le insegne del moderatismo di Robert Schuman, Alcide De Gasperi e di Konrad Adenauer.

Una celebre battuta di A. («Non ho fiducia negli Europei, perché non giocano a cricket») rappresenta qualcosa di più di una tipica espressione dello humour inglese. Il disagio nelle relazioni con i partner europei si acuì allorquando questi ultimi (e in particolare la Francia) misero in campo progetti di integrazione europea che entravano in contrasto con il design britannico (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Le autorità francesi raccolsero le proposte per un’assemblea europea, lanciata dal Movimento europeo presieduto da Churchill, nella convinzione che la carta dell’integrazione potesse risultare utile affinché la Francia uscisse dallo stato di marginalità in cui si trovava nell’ambito del sistema occidentale che si andava allora costituendo. Soprattutto Schuman pensò che un asse franco-tedesco potesse bilanciare l’iniziativa inglese, risolvendo il problema della ricostruzione della Germania e del riarmo tedesco in modo consono agli interessi francesi. Iniziava allora una forte conflittualità tra il governo britannico e quello francese che giunse a una tregua con la nascita del Consiglio d’Europa. L’ostilità del laburismo inglese guidato da A. nei confronti delle iniziative funzionaliste (v. Funzionalismo) di Jean Monnet (dall’integrazione del carbone e dell’acciaio fino al progetto di difesa comune) è ben rappresentato dai giudizi sferzanti che il periodico laburista, “New Stateman” dedicò alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), stigmatizzata come l’espressione di un accordo reazionario tra Vaticano, industriali della Ruhr e burocrazie francesi.

Dopo la sconfitta di misura riportata alle elezioni dell’ottobre 1951, che aprì la strada al ritorno al potere di Churchill, A. rimase a capo del partito per altri quattro anni, anche se la sua rinomata capacità di mediare tra le diverse anime del partito sembrava oramai essersi logorata. Del resto, questo logoramento era già emerso nell’aprile 1951 con le dimissioni di Aneurin Bevan da ministro della Sanità per protestare contro le deroghe alla gratuità del servizio sanitario, decise dal cancelliere dello scacchiere Hugh Gaitskell per finanziare il riarmo britannico. Quando i laburisti vennero sconfitti per la seconda volta, alle elezioni generali del 1955, A. decise di ritirarsi dalla scena politica, lasciando il posto di leader laburista a Gaitskell. A. ricevette quale riconoscimento della sua attività politica e istituzionale il titolo di conte.

Luca Polese Remaggi (2010)

Bibliografia

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Morgan K.O., Labour in Power 1945-1951, Clarendon Press, Oxford 1984.

Pearce R., Attlee, Longman, London-New York 1997.

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