Bevin, Ernest

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B. (Winsforth 1881-Londra 1951) trascorse un’infanzia caratterizzata dalla povertà. Per qualche tempo la sorellastra e il marito si presero cura di B. il quale ebbe modo di frequentare la scuola e imparare a leggere e scrivere. A undici anni fu inviato a lavorare come apprendista in una fattoria. Nel 1894 però, a quattordici anni, su suggerimento di un fratello decise di recarsi a Bristol, ove per alcuni anni passò da un lavoro all’altro. Lo scarso interesse a imparare un mestiere qualificato era compensato da un forte impegno di carattere religioso nell’ambito della Chiesa battista. Nel corso dei primi anni del Novecento B. cominciò ad avvicinarsi agli ideali socialisti. Nel 1908 entrava a far parte del Bristol right-to-work committee, un’organizzazione la quale cercava di fronteggiare un periodo di grave disoccupazione che aveva colpito la città. In tale ambito B. organizzò manifestazioni di disoccupati e si presentò quale candidato socialista alle elezioni municipali per essere però sconfitto dal candidato liberale. L’impegno nei confronti dei lavoratori divenne un carattere dominante della vita di B. e nel 1910 gli venne offerto il compito di organizzare un fondo di soccorso ai disoccupati da parte della Docker’s union; egli quindi organizzava la sezione dei guidatori di carro di questo sindacato e il suo proselitismo e capacità organizzative gli valevano l’anno dopo l’ingresso come funzionario a tempo pieno nell’organizzazione dei lavoratori di Bristol. Nel 1914 B. era già considerato uno degli elementi di spicco della National transport workers federation.

Con l’ingresso del Regno Unito nella Prima guerra mondiale il Partito laburista, il Trades union congress (TUC) e la General federation of trade unions (GFTU) dichiaravano una tregua a favore dello sforzo bellico del paese. B. si adeguò alla strategia di collaborazione, ma non mancò di esprimere alcuni rilievi critici sostenendo che il movimento dei lavoratori avrebbe dovuto ottenere di più dal governo, ad esempio la creazione di un ministero del Lavoro. Al termine delle ostilità B. si presentò come candidato laburista alle elezioni, ma venne sconfitto sull’onda della spinta conservatrice presente in numerosi elettorati europei. Da parte sua egli si dedicò con maggiore determinazione alla trasformazione del TUC e fu all’origine della nascita di un importante organismo di coordinamento, il General council.

Sino al 1920 B. si era caratterizzato come leader sindacale sul piano locale; in quell’anno si presentò l’occasione per la sua affermazione in ambito nazionale. I 125.000 lavoratori dei docks avanzarono una serie di richieste, alle quali gli imprenditori risposero proponendo l’istituzione di una commissione di inchiesta indipendente. Pur fra vari dubbi la Transport workers federation accolse l’ipotesi e B. fu nominato rappresentante sindacale in questo organismo, che divenne noto come Commissione Shaw dal nome del presidente, Lord Shaw of Dumferline, un giudice dell’Alta corte. La forza e i metodi a volte poco ortodossi ma efficaci con cui B. difese la causa dei lavoratori gli valsero l’attenzione della stampa nazionale e dell’opinione pubblica. Egli inoltre riuscì a ottenere dalla Commissione una valutazione positiva intorno alle richieste dei lavoratori. A questo successo personale avrebbero fatto seguito la nomina ad assistant general secretary del sindacato dei Transport workers e il trasferimento a Londra. In questo stesso periodo B. prese posizione per la prima volta su una questione di carattere internazionale, opponendosi all’eventuale sostegno da parte del governo britannico, allora guidato da Lloyd George, alla Polonia la quale si trovava in guerra con lo Stato bolscevico.

Gli inizi degli anni Venti furono caratterizzati in Gran Bretagna da una profonda crisi economica e da forti difficoltà all’interno del movimento operaio. B. fu uno degli artefici del tentativo di razionalizzare e rafforzare le strutture di un sindacalismo diviso in varie organizzazioni; fu un suo successo la creazione della Transport and general workers union (TGWU), la cui azione fu ispirata negli anni successivi da B., il quale, a dispetto della nascita di un governo guidato dal leader laburista Ramsay MacDonald, fu l’animatore di una serie di importanti azioni sindacali. Nel settembre del 1925 B. veniva eletto membro del General council del TUC. Pur non svolgendo un ruolo di spicco nello sciopero generale del 1926, B. fu uno dei pochi leader sindacali il cui prestigio restò intatto a dispetto della sconfitta subita dai lavoratori, in particolare dai minatori; ancora una volta la figura di B. emerse per le sue capacità organizzative e il suo pragmatismo. Negli anni successivi egli confermò il suo ruolo centrale nel movimento sindacale britannico, mostrando tra l’altro una crescente ostilità nei confronti dei tentativi di infiltrazione da parte comunista nelle organizzazioni dei lavoratori.

Nel 1939, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il Partito laburista confermò il suo atteggiamento critico verso la politica perseguita dai conservatori e rifiutò di entrare nel gabinetto Chamberlain. Solo nella primavera del 1940 con l’arrivo al potere di Winston Churchill e di fronte ai drammatici eventi derivanti dalla “caduta” della Francia il Partito laburista decise di entrare a far parte di un governo di unione nazionale. In tale ambito Clement Attlee assumeva il ruolo di vice primo ministro. Egli propose a B. di entrare nel gabinetto con la funzione di ministro del Lavoro, una carica che questi avrebbe ricoperto per cinque anni sino al termine delle ostilità e allo scioglimento del gabinetto di unione nazionale, premessa delle elezioni politiche dell’estate del 1945. L’esperienza ministeriale si rivelò un pieno successo; anche grazie alla leadership esercitata sul TUC, B. riuscì a favorire la massiccia adesione dei lavoratori allo sforzo di produzione bellica; egli inoltre non perse di vista la prospettiva postbellica e la necessità di garantire alla popolazione inglese un futuro migliore; fu infatti B. a coinvolgere William Beveridge nelle attività del governo favorendo indirettamente la redazione dell’omonimo Rapporto Beveridge, il quale sarebbe stato all’origine del welfare state creato dai laburisti nel dopoguerra.

All’indomani della vittoria elettorale conseguita dal Partito laburista, B. si candidava come uno degli elementi di spicco della nuova compagine governativa. La decisione di Attlee di porlo alla guida del Foreign office risultò in parte inaspettata per lo stesso leader sindacale e la nomina del rude leader sindacale a segretario di Stato contrastava con la sua scarsa preparazione sul piano internazionale e con le tradizioni aristocratiche ed elitarie dei funzionari e dei diplomatici britannici. In realtà B. riuscì a instaurare in breve tempo un rapporto di fiducia e di cooperazione con i suoi collaboratori e seppe condurre con abilità ed efficacia la politica estera inglese in una fase difficile e travagliata delle relazioni internazionali, caratterizzata dalla crisi del ruolo imperiale di Londra, dall’emergere di un mondo bipolare e dalla Guerra fredda.

A dispetto di quanto a volte sostenuto dall’opposizione conservatrice, obiettivo del governo laburista e dello stesso B. era la salvaguardia del ruolo della Gran Bretagna quale grande potenza. Il segretario di Stato laburista avrebbe sostanzialmente accettato la teoria esposta da Churchill nel 1948 sui “tre cerchi” – il Commonwealth, la special relationship con gli Stati Uniti e l’Europa – quali elementi fondamentali della politica estera britannica. In tale ambito tra le prime preoccupazioni di B. vi fu la “riforma” dell’Impero, che si tradusse in alcune dolorose rinunce, quali ad esempio la concessione dell’indipendenza all’India, ma che prevedeva anche un rafforzamento dei legami nel contesto di un Commonwealth rinnovato, il quale non avrebbe potuto limitarsi ai dominions “bianchi”. Alcune vicende connesse al ridimensionamento del ruolo imperiale della Gran Bretagna ebbero risvolti drammatici e contrastanti rispetto alle speranze della leadership britannica, come nel caso del conflitto tra India e Pakistan o dell’abbandono del mandato sulla Palestina in cui infuriava lo scontro fra arabi ed ebrei, ma in questi casi non tutte le responsabilità possono essere attribuite alle scelte di B. Egli inoltre fu all’origine di una serie di progetti che avrebbero dovuto permettere alla Gran Bretagna di mantenere la sua influenza in Asia e di trasformare e rafforzare il suo controllo in Africa.

Gli ambiti in cui però si fece sentire in maniera più forte l’influenza di B. furono quelli relativi al nascente contrasto tra Est e Ovest e alla creazione di un sistema europeo occidentale, quindi alle origini della costruzione europea. Quanto alla Guerra fredda, per qualche tempo B. restò dell’idea che uno stabile assetto postbellico dovesse sorgere da una stretta collaborazione tra i vincitori della Seconda guerra mondiale, Unione Sovietica compresa. Ciò non significava che B. intendesse rinunciare a difendere gli interessi britannici, e sin dal suo coinvolgimento nella conferenza di Potsdam si comprese che l’ex leader sindacale non sarebbe certo stato un interlocutore malleabile; egli d’altronde aveva avuto un’esperienza diretta di rapporti non facili con gli esponenti comunisti presenti nelle Unions durante gli anni Venti e Trenta. Nel corso del 1946 B., come d’altronde la maggioranza della leadership laburista, si convinse che da parte di Mosca non vi fosse alcuna volontà di negoziare in maniera costruttiva con l’Occidente e il capo del Foreign office restò impressionato negativamente dalla tattica perseguita dai partiti comunisti in Europa orientale, tendente a isolare gli elementi socialisti filooccidentali e a strumentalizzare quei socialisti disposti a collaborare con i partiti comunisti. B. accettò dunque abbastanza presto l’ipotesi di collaborazione con gli Stati Uniti in Germania attraverso la creazione della “bizona” e ritenne fondamentale il coinvolgimento di Washington nella lotta contro l’Unione Sovietica, che a partire dalla fine del 1946 e gli inizi del 1947 venne percepita come una minaccia e come un attore con mire espansionistiche. Il leader laburista comprese ben presto che l’Europa era al centro dello scontro tra Est e Ovest e che la creazione di un forte rapporto di collaborazione tra Londra e Washington sarebbe stato vitale per un’efficace difesa dell’Occidente, come d’altronde per la conferma della funzione di Londra quale grande potenza. Rilevante fu ad esempio la parte giocata da B. nello spingere l’amministrazione di Harry Truman durante la primavera del 1947 a elaborare un progetto di aiuti economici all’Europa, il futuro Piano Marshall e la Gran Bretagna avrebbe avuto un ruolo centrale nei negoziati che avrebbero condotto alla nascita dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Fin da queste prime battute B. dimostrò come egli fosse sì interessato a favorire forme di stretta cooperazione, ma queste non dovevano intaccare la sovranità degli Stati. Restava inoltre ferma la convinzione di B. che la Gran Bretagna dovesse continuare a qualificarsi quale potenza con interessi e responsabilità di carattere globale.

Alla fine del 1947 B. comprese che ormai non vi era più spazio per il dialogo con l’Unione Sovietica e in occasione dell’ultima conferenza dei quattro ministri degli Affari esteri, tenutasi a Londra nel novembre-dicembre di quell’anno, accettò che si andasse verso una rottura definitiva con Mosca, preparando così la strada all’avvio di una nuova conferenza, senza i delegati sovietici, dalla quale nel giugno del 1948 sarebbe scaturita la decisione occidentale di favorire la nascita di uno Stato tedesco occidentale. B. si rendeva conto comunque che da un lato gli Stati Uniti non erano ancora pronti a passare dall’impegno economico verso il vecchio continente a un impegno politico e militare, dall’altro che gli Stati dell’Europa occidentale erano deboli e, soprattutto la Francia, pur temendo la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica, era preoccupata dalla rinascita della Germania. Nel gennaio del 1948 B. tenne un importante discorso alla Camera dei Comuni nel quale denunciò l’Unione Sovietica quale potenza aggressiva e auspicò la creazione di una “unione occidentale”. Tale ipotesi era destinata da un lato a far comprendere all’amministrazione Truman come vi fosse da parte europea la volontà di contrastare efficacemente la minaccia comunista, dall’altra di rassicurare i leader francesi e degli altri Stati europei occidentali circa la determinazione inglese a svolgere un ruolo centrale nella costruzione di un’efficace sistema europeo occidentale. Era, questa, la risposta britannica alle sollecitazioni statunitensi affinché gli europei applicassero i principi di self help e di mutual aid già espressi nel Piano Marshall, e si indirizzassero verso una più stretta integrazione. Dal progetto di B., nel marzo del 1948 avrebbe avuto origine il Patto di Bruxelles, un primo esempio di collaborazione politico-militare – ma in teoria anche economica, culturale, ecc. – che vide coinvolte, oltre alla Gran Bretagna, la Francia e le tre nazioni del Benelux. Per B. e il Foreign office l’alleanza a cinque divenne ben presto lo strumento in una strategia il cui massimo obiettivo era la nascita di un’alleanza politico-militare “atlantica”, la quale permettesse il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, con la loro forza economica e militare, nella difesa dell’Europa occidentale. La politica di B. non teneva però conto delle aspirazioni della Francia a non svolgere un ruolo di partner minore all’interno del sistema occidentale in corso di elaborazione e di risolvere la questione vitale rappresentata dalla rapida rinascita della Germania. Fin dall’estate del 1948, traendo vantaggio dal Congresso dell’Aia, il governo francese, dapprima per voce di Georges Bidault, poi di Robert Schuman, si convinse che, grazie a un aperto sostegno all’integrazione europea, Parigi avrebbe recuperato il ruolo di leader dell’Europa occidentale e posto le premesse per una soluzione della questione tedesca favorevole ai propri interessi (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In tale ambito Parigi decise di sostenere il progetto del congresso dell’Europa per la creazione di un’assemblea europea, i cui contorni restavano vaghi, ma che sembrava ispirarsi a ideali federalisti (v. Federalismo). La reazione di B. fu negativa; in un primo tempo egli ritenne che il progetto avanzato dal congresso dell’Europa fosse l’iniziativa prevalente di Churchill, leader dell’opposizione e esponente di spicco del Movimento europeo che aveva organizzato la manifestazione dell’Aia. In seguito, quando l’ipotesi venne ripresa dalle autorità di Parigi nella prospettiva di un inserimento del progetto nel contesto del Patto di Bruxelles, B. temette che essa avrebbe potuto creare ostacoli e ritardi alla realizzazione di quello che era divenuto al momento il suo primo obiettivo: la nascita di un’alleanza atlantica. Dal suo punto di vista la costituzione di un’assemblea europea era un’iniziativa prematura. B. era d’altronde ostile agli ideali federalisti, che considerava in contrasto con la tradizione e con gli interessi britannici. D’altro canto egli ben sapeva che l’ipotesi federalista era cara alle autorità americane; finì così con l’accettare che si discutesse del progetto francese, ma nella speranza che l’apertura del negoziato non avrebbe creato ostacoli alla definizione del Patto atlantico, le cui trattative erano ormai entrate nella fase conclusiva. L’alleanza atlantica veniva in effetti siglata il 4 aprile del 1949 e può essere considerata in parte come un risultato dell’azione del segretario di Stato britannico (v. Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Quanto al negoziato sul progetto di assemblea parlamentare, esso fu aperto ad altre nazioni europee, fra cui l’Italia. B. inoltre avanzò l’ipotesi per l’istituzione di un consiglio dei ministri di carattere intergovernativo e continuò a mostrare una ferma opposizione nei riguardi di un embrione di parlamento europeo, che il segretario di Stato non esitò a definire un “vaso di Pandora”. Poste di fonte all’atteggiamento di Londra, le autorità francesi avrebbero finito con l’accettare un compromesso, il quale avrebbe condotto alla nascita del Consiglio d’Europa (Trattato di Londra del maggio del 1949), un organismo articolato in un Consiglio dei ministri e in un’assemblea parlamentare, quest’ultima con funzioni meramente consultive e quindi destinata all’impotenza.

Nell’ultima fase trascorsa alla guida del Foreign office B. confermò i suoi crescenti dubbi nei riguardi del processo di integrazione con caratteri federali, che al contrario sembrava trovare crescente sostegno in Francia, in Italia, nelle nazioni del Benelux e nella neonata Repubblica Federale Tedesca. In particolare, il leader laburista si mostrò scettico verso il Piano Schuman che avrebbe visto la nascita dell’europeismo “funzionalista” alla Jean Monnet e la creazione della prima comunità a Sei, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) (v. Funzionalismo). Le autorità inglesi si mostrarono irritate per la mancata consultazione da parte di Parigi prima del lancio del progetto, erano timorose per la sorte della siderurgia inglese, uno dei settori ove il governo laburista aveva espresso la propria politica di nazionalizzazioni, e, soprattutto, ritenevano che la scelta dei Sei fondata sulla cessione di sovranità, per quanto parziale, non potesse applicarsi alla Gran Bretagna, la quale voleva continuare a svolgere il ruolo di grande potenza di rango mondiale e a essere considerata tale. Ancor più scettica fu la valutazione di B. e della leadership britannica nei confronti del Piano Pleven (v. Pleven, René) per la possibile creazione di una Comunità europea di difesa. Le posizioni di B. rispondevano d’altronde a convincimenti profondamente radicati nel Partito laburista – nonché in tutte le altre forze politiche e nell’opinione pubblica britannici – in basi ai quali la special relationship con gli Stati Uniti e il legame con il Commonwealth rappresentavano elementi ben più importanti e utili per il Regno Unito di un coinvolgimento nel processo di integrazione europea. Non si comprese infine come da parte francese con il Piano Schuman e con il Piano Pleven, i quali implicavano l’accettazione del dialogo diretto con la Repubblica Federale Tedesca e il venire meno di un possibile rapporto privilegiato con Londra, Parigi avesse compiuto una scelta fondamentale, destinata a condizionare le vicende del vecchio continente nei decenni successivi.

In realtà tra il 1950 e il 1951 per B. e per il Foreign office la costruzione europea rappresentò solo uno dei numerosi problemi che Londra dovette affrontare, e con tutta probabilità maggiore attenzione fu dedicata alle vicende connesse al futuro dell’Impero e, soprattutto, alla Guerra fredda (dalla guerra di Corea all’ambizione britannica di divenire una potenza nucleare).

Con il 1950 la salute di B. tese a declinare rapidamente e nel marzo del 1951 Attlee gli propose di abbandonare il Foreign office per il ruolo meno impegnativo di Lord del sigillo privato; una carica che l’ex leader sindacale detenne per poche settimane, prima della morte. Se è difficile sostenere che B. fu un artefice dell’integrazione europea, egli fu certamente uno dei più significativi ed efficaci ministri degli Esteri che la Gran Bretagna ebbe dopo la Seconda guerra mondiale e centrale fu il suo ruolo nei caratteri che il sistema occidentale (dal Piano Marshall al Patto Atlantico, dalla rinascita della Germania al Consiglio d’Europa) assunse durante le fasi iniziali della Guerra fredda.

Antonio Varsori (2012)