Brugmans, Hendrik

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Intellettuale olandese, deputato socialista, federalista della prima ora e rettore del Collegio d’Europa di Bruges, B. (Amsterdam 1906-Bruges 1997) era figlio dello storico Hajo Brugmans, docente all’Università di Amsterdam, e di Maria Kiezer. L’ambiente familiare, di origini cristiano-protestanti e di alta levatura intellettuale, fu un fecondo bacino di coltura per la maturazione politico-culturale del giovane B. Dal padre, in particolare, oltre ad aver ereditato la passione per le materie umanistiche, mutuò la concezione del carattere artificiale delle frontiere nazionali, la quale avrebbe in gran parte veicolato la sua apertura al Federalismo europeo.

La predilezione per le lettere, in special modo per la lingua e la letteratura francese, spinse il sedicenne B., ancora studente di liceo, ad approfondire lo studio della materia recandosi a Parigi, presso un collegio cattolico, il Lycée la Fontaine, dal 1922 al 1923. Diplomatosi ad Amsterdam, nel 1925, si iscrisse alla facoltà di lingua e letteratura francese della Gemeentelijke Universiteit, sempre nella capitale olandese, non trascurando altresì l’esperienza accademica alla Sorbona, negli anni 1929-1930. Laureatosi cum laude nel 1931, nel 1934 conseguiva il dottorato in filologia romanza, presentando una tesi sul teatro francese di Georges de Porto-Riche, pubblicata a Parigi nello stesso anno.

L’esperienza alla Sorbona, oltre che fertile sotto il profilo accademico, accompagnò il processo di formazione politica di B. sulla via del pieno consolidamento attorno alle concezioni socialdemocratiche di Jean Jaurès, improntate al pacifismo e a una visione fortemente critica dei contenuti rivoluzionari dell’ideologia marxista. Divenuto frequentatore assiduo dei circoli intellettuali socialisti, B. entrò in contatto con Hyacinthe Dubreuil, sindacalista e operaio, assertore della necessaria ristrutturazione del sistema produttivo delle imprese. Il giovane studente di lingue rimase presto affascinato dalla progettualità politica – mirante alla creazione di stabilimenti industriali autonomi, dotati di risorse proprie e con un’organizzazione interna tale da consentire la crescita economica, morale e intellettuale degli operai – non meno che dalla retorica di Dubreuil, ai cui insegnamenti si sarebbe ispirato, di lì a qualche anno, nell’ambito delle sue attività a sostegno della classe lavoratrice (v. Fridenson, 1986, pp. 223-227). L’avventura parigina favorì inoltre l’avvicinamento dello studioso olandese alle teorie di Pierre-Joseph Proudhon e al suo Principe fédératif (1863), apprezzato in special modo per l’idea dello “smembramento della sovranità” e della molteplicità dei gruppi naturali quale fondamento dell’organizzazione del potere politico.

Il soggiorno nella capitale francese, in sintesi, offrì a B. un ampio e variegato quadro di riferimenti politico-intellettuali, i quali, all’indomani del secondo conflitto mondiale, avrebbero significativamente agevolato la sua adesione al federalismo militante (v. Hick, 1991, pp. 28-34).

Al ritorno da Parigi, ancora giovanissimo, B. aderì al Sociaal-Democratische Arbeiderspartij (SDAP), all’interno del quale l’originalità della sua visione politica non faticò ad emergere. Designato membro della commissione per la programmazione, tentò di sollecitare i vertici del partito a intraprendere un indirizzo più moderato, promuovendo una limitazione degli eccessi antireligiosi e del radicalismo (v. Groeneveld, 997).

La militanza nello SDAP, inoltre, offrì a B. l’opportunità di familiarizzare con le nuove correnti di pensiero che rimandavano all’idea di una pace stabile e duratura nel vecchio continente, diplomaticamente sancite dal patto Briand-Kellog e variamente inneggianti – per voce di pensatori del calibro di Richard Coudenhove-Kalergi, Edouard Herriot, Gustave Stresemann e Aristide Briand – alla costruzione dell’unità europea. Seguendo il flusso della riflessione coeva sull’Europa, B. giungeva a Roma, nel novembre del 1932, convitato illustre tra la selezionatissima rosa di studiosi e pensatori chiamati a partecipare ai lavori del “Convegno Volta”, dedicato all’Europa e promosso dalla “classe delle scienze morali e accademiche” della Reale accademia d’Italia. Si trattava, in effetti, di una tavola rotonda di altissimo profilo, convocata, alla presenza dello stesso Benito Mussolini, per commemorare il decennale del regime fascista. Anche di fronte ad una platea tanto prestigiosa, il venticinquenne B. non mancò di prendere posizioni affatto distanti dalle tesi dei fiancheggiatori del fascismo, diversamente orientate a sostenere l’intento propagandistico e celebrativo della romanità come possibile modello continentale. In particolare, il giovane intellettuale dei Paesi Bassi, levando la sua critica nell’ambito del coro sparuto delle posizioni dissonanti, entrò in contraddizione con Alfred Rosenberg e con la sua proposta di un’Europa guidata dalle “quattro grandi nazionalità”, la tedesca, l’italiana, la francese e l’inglese. L’intervento di B., peraltro, si caratterizzò per il forte accento sull’importanza “spirituale e materiale” dei piccoli paesi in un contesto continentale unitario. Oltre a rimarcare la necessità di superare le divisioni interne, generatrici di tensioni e conflitti, il socialdemocratico olandese promuoveva la creazione di «un’organizzazione europea» capace di rimuovere «la differenza materiale fra grandi e piccoli Stati» e di fondarsi su una sostanziale parità tra i singoli membri. Premessa essenziale, a suo giudizio, per «mantenere la pace tra i confederati». (v. Brugmans, 1933, pp. 113-116).

La partecipazione di B. al dibattito sull’unificazione europea, benché significativa nel lungo periodo, rimase circoscritta all’assise capitolina. In effetti, negli anni tra le due guerre, con la crisi economico-finanziaria che imperversava in Europa, gravando soprattutto sui ceti più deboli, egli ritenne di doversi impegnare con maggiore sistematicità in una serie di iniziative a sfondo sociale, piuttosto che lasciarsi assorbire dalle pur stimolanti speculazioni teoriche sull’unità continentale.

Gli anni Trenta, in particolare, rappresentarono per l’intellettuale olandese un passaggio fondamentale, l’occasione per impiantare le proprie convinzioni politiche nel concreto della realtà umana. Nella sua prospettiva, fortemente influenzata dalla visione di Dubreuil, per riemergere dalla “grande depressione” l’Olanda avrebbe dovuto intraprendere, innanzitutto, un percorso di profonda riforma culturale, centrata sull’obiettivo dell’emancipazione intellettuale delle masse, nonché volta a rafforzare la classe operaia, elemento imprescindibile per il funzionamento della macchina produttiva olandese (v. Groeneveld, cit.).

Animato da tale convinzione, già agli inizi del 1932 B. aveva cominciato a insegnare letteratura francese alla scuola serale di Terneuzen, piccolo centro portuale dell’Olanda sudoccidentale. Nel 1935, in qualità di presidente, offrì un importante contributo alle attività del Nederlandse instituut voor Arbeidersontwikkeling, un ente dedito espressamente all’istruzione dei lavoratori. Sulla scia dell’entusiasmo, accresciutosi anche in base agli esiti positivi registrati nel campo d’azione che si era ritagliato, iniziò persino a immaginare la creazione di una sorta di “Internazionale dell’istruzione”, che agisse nei terreni di pertinenza della politica e dei sindacati, ma che mantenesse una sostanziale autonomia rispetto ad essi. Idea che, ad ogni modo, non ebbe mai occasione di tradurre nel concreto.

Giunto nel 1939, appena trentaduenne, all’elezione alla Camera, B. intraprese una battaglia a viso aperto contro la diffusione del nazionalsocialismo, in Olanda non meno che in Europa, e in difesa dei valori democratici, della pace e della solidarietà, in una commistione di tradizione cristiana e lezione socialista. E anche nella primavera del 1940, mentre le truppe tedesche invadevano il territorio nazionale, non perse lo spirito combattivo e la determinazione a opporsi alla “folle ideologia hitleriana”, affossatrice di una civiltà secolare. Nell’estate dello stesso anno, B. si unì infatti al discusso movimento politico Nederlandse Unie – il solo tollerato dalle autorità occupanti –, fondato da Jan De Quay, Louis Einthoven e Johannes Linthorst Homan, il quale mirava alla ricostruzione della società olandese secondo i principi della solidarietà civile, della convivenza armoniosa e della giustizia sociale.

Arrestato nel maggio del 1942 e deportato a Sint-Michielsgestel, nel Brabante settentrionale, il campo di prigionia che accoglieva l’élite politico-intellettuale olandese ostaggio del Reich, B. vi trascorse due anni. Nonostante le angosce e le incertezze della detenzione, B. Allora visse il più alto momento della sua riflessione politica, portando di fatto a piena maturazione la sua coscienza europeista. Entrò infatti a far parte della cerchia dei cosiddetti Heren Zeventien (il nome, ampiamente evocativo, apparteneva in origine al corpo direttivo della Compagnia delle Indie orientali, l’impresa nazionale dal glorioso passato), un gruppo di diciassette intellettuali, di diverso colore politico, che si riuniva in segreto per discutere sul futuro dei Paesi Bassi. Pur nella sostanziale difformità dei retroterra ideologico-culturali dei componenti, Heren Zeventien si presentava compatto nel denunciare la crisi irreversibile dello Stato nazione e nel promuovere un nuovo assetto europeo, basato sui principi della collaborazione fra gli Stati e del diritto internazionale. In tale contesto, il carismatico B. assunse un ruolo guida, non solo in virtù del suo solido retroterra culturale, al quale sistematicamente attingeva per nutrire i suoi interventi, ma anche e soprattutto per la sua capacità di coinvolgere ed entusiasmare gli interlocutori, appassionandoli alle concezioni di Jean Jaurès, non meno che al personalismo di Emmanuel Mounier, indicato come via intermedia tra capitalismo e comunismo.

E lo stesso intellettuale socialista lasciava Sint-Michielsgestel, il 20 aprile del 1944, dopo la liberazione del Brabante settentrionale, arricchito di una coscienza europeista sensibilmente più solida e precisata nei contenuti, frutto dei frequenti dialoghi con coloro che, di lì a poco, avrebbero costituito il nucleo duro dell’europeismo dei Paesi Bassi, da Max Kohnstamm, a Johannes Linthorst Homan, a Willem Schermerhorn, a Marinus van der Goes van Naters, per citare solo i nomi più noti.

Ancora in corso le ostilità, forte delle nuove convinzioni, B. entrò a far parte del gruppo di editori dell’opuscolo clandestino “Je Maintiendrai”, fondato già nel 1943, polo di raccolta dei pionieri del federalismo olandese e sostanzialmente orientato a sostenere l’azione politica del governo in esilio, con particolare riferimento all’avvio della cooperazione regionale con il Belgio e il Lussemburgo. Dalla collaborazione col “Je Maintiendrai” al federalismo militante il passaggio fu relativamente breve. Con Willem Verkade, coeditore del “Je Maintiendrai”, e Hans Dieter Salinger, economista prussiano emigrato in Olanda nel 1936, B. fondò, nel gennaio del 1945, l’associazione intereuropea Europeesche Actie – meglio nota come Europese Actie – costituita con l’obiettivo di progettare con metodo la costruzione del quadro federale dell’Europa postbellica (v. Lipgens, 1985, vol. 1, p. 594).

Il movimento andò progressivamente infoltendosi di nuovi adepti a partire dal maggio del 1945, allorché la liberazione dell’Olanda fu completata e il governo tornò dal Regno Unito. Tale ampliamento, tuttavia, anziché arricchire la piattaforma progettuale di Europese Actie di nuove proposte per la “rinascita dell’Europa”, coincise con un sostanziale rallentamento delle attività. L’opinione pubblica nazionale, infatti, a diversi livelli, piuttosto che alla campagna europeista, rivolgeva interamente l’attenzione alle questioni interne, dal necessario ripristino della funzionalità politica, alla ripresa delle attività economico-produttive del paese, seriamente compromesse da cinque anni di occupazione. Il dibattito sulla “soluzione europea” alle problematiche del dopoguerra rimaneva pertanto circoscritto a una stretta cerchia di giovani intellettuali ed economisti (v. Heinen, vol. 3, p. 349).

In tale contesto, i leader dei gruppi europeisti sorti durante la Resistenza si mossero in una duplice direzione. Da un lato, continuarono a riflettere sulle tematiche dell’unificazione europea, cercando il più possibile di trovare una linea comune a livello nazionale, nell’intento di evitare una sterile frammentazione delle iniziative. Tale sforzo di omogeneizzazione sarebbe culminato nella nascita di quello che, a partire dal 1947, divenne noto come Beweging van europese federalisten (BEF). Dall’altro lato, B., Salinger e Verkade nella pattuglia di testa, nonché il politico socialdemocratico Willem Schermerhorn, decisero di intraprendere un’azione di penetrazione più capillare nel tessuto sociale del paese attraverso la fondazione di un movimento, il quale, lungi dal volersi proporre come partito politico propriamente detto, fosse capace di farsi interprete della forte esigenza di rinnovamento socio-politico-culturale emersa in Olanda all’indomani del conflitto. Si organizzarono, pertanto, attorno al Nederlandse Volksbeweging (NVB), istituito nel maggio del 1945 e promotore della riforma della democrazia secondo il dettato di Mounier, nonché dello smantellamento della rigida compartimentazione della società (verzuiling). Quanto agli aspetti di politica estera, che pure stavano a cuore a tutti i membri del NVB, il manifesto programmatico si limitava a richiamare la necessità di un rafforzamento del ruolo internazionale della legge, escludendo qualsiasi menzione al tema dell’unità europea. Dopo un iniziale consenso, il nuovo gruppo scomparve rapidamente dalla scena olandese, progressivamente marginalizzato dai partiti di ben più lunga e consolidata tradizione politica. (ivi, pp. 359-361).

A fronte della deludente riuscita del NVB, il periodo compreso tra il maggio del 1945 e l’aprile del 1946 fu comunque denso di riflessi significativi per la vita pubblica di B., sia nell’ambito del policy-making nazionale, sia sul piano del coinvolgimento nella causa dell’unificazione europea. In particolare, in patria, egli fu nominato dapprima segretario di Stato e poi commissario dell’Aia per la stampa e l’informazione nel governo di unità nazionale guidato da Schermerhon. Una formazione alquanto singolare, giacché il primo ministro, anch’egli deportato a Sint-Michielsgestel e pertanto non indifferente al richiamo del federalismo, aveva proceduto ad attribuire alcuni tra gli incarichi più rilevanti a personalità di sicura fede europeista. In tale contesto, B. contribuì alla fondazione, nel febbraio del 1946, del Partij van Arbeid (PvdA), erede diretto dello SDAP, ma orientato al personalismo piuttosto che alla fedeltà al dettato marxista, nonché forte promotore dell’unificazione continentale. Ancor di più, a livello europeo, dall’immediato dopoguerra il leader di Heren Zeventien cominciò a riscrivere progressivamente la propria vicenda politico-intellettuale attorno all’aspirazione al riavvicinamento dei popoli europei e all’unità del vecchio continente, inaugurando di fatto la stagione più vivace, nonché la più fertile di apporti essenziali della sua vita pubblica.

La consapevolezza di aver intrapreso un nuovo ciclo maturò nel settembre 1946, nella cittadina elvetica di Hertenstein, ove si riunì la prima conferenza dei federalisti europei. In tale contesto, il carisma dell’europeista olandese si affermò senza difficoltà al centro della scena e le sue concezioni informarono in larghissima misura il cosiddetto “Programma di Hertenstein”, il documento in dodici punti che della conferenza fu il prodotto più significativo. Non sorprese, pertanto, che già nel dicembre dello stesso anno, a Parigi, allorché venne istituita l’Unione europea dei federalisti (UEF), il nome di B. si imponesse quasi d’ufficio per la nomina alla presidenza dell’organizzazione.

Non che si trattasse di un incarico puramente onorifico. Le profonde divergenze interne all’UEF – sia di carattere dottrinale, tra sostenitori della federazione mondiale e promotori di una struttura spiccatamente europea, sia di natura metodologica, tra l’ala “possibilista e gradualista” di B., i “massimalisti” di Altiero Spinelli e i federalisti integrali di Alexandre Marc – obbligavano infatti il presidente ad un faticosissimo lavoro di mediazione, esponendolo, peraltro, alle critiche feroci degli oppositori (v. Hick, cit., vol. 4, p. 11).

Ciononostante, nel corso del suo mandato, B. non mancò di intraprendere iniziative di ampio respiro, principalmente indirizzate a conferire maggiore visibilità e pregnanza politica all’azione dell’UEF. Già nel gennaio del 1947, infatti, a fronte del progressivo acuirsi delle tensioni Est-Ovest, l’intellettuale olandese si impegnava in una personale campagna per la costruzione della “terza forza europea”, alternativa ai due blocchi, nonché generatrice e garante della pace universale. Nel 1948, altresì, il presidente dell’UEF era tra i più vivaci sostenitori della partecipazione attiva del movimento alla fase preparatoria e ai lavori del Congresso dell’Aia, nel quale ravvisava un’opportunità irrinunciabile per sensibilizzare l’opinione pubblica, non meno che i governi europei, sui grandi temi del federalismo, primo fra tutti la sovranazionalità. Aspettative ampiamente condivise dai militanti europeisti, ma presto disattese dall’esito del Congresso, il quale, come è noto, piuttosto che accogliere la proposta federalista e dar vita ad un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale, istituiva il Consiglio d’Europa, sancendo in tal modo l’affermazione del modello confederale caro agli unionisti, a Winston Churchill e, più in generale, all’establishment londinese.

La sconfitta subita all’Aia ebbe un impatto immediato, e altamente destabilizzante, sull’UEF. Vecchie e nuove tensioni interne ripresero improvviso vigore, alimentandosi progressivamente e giungendo a esplodere nel novembre del 1948, a Roma, durante il secondo congresso annuale dell’organizzazione. Occasione in cui, peraltro, si consumò il definitivo tramonto della leadership di B. nell’ambito del movimento federalista (v. anche Movimento federalista europeo), preannunciato dalla crescente affermazione della linea costituzionalista e rivoluzionaria di Spinelli ed Ernesto Rossi e consacrato dalla designazione di un nuovo presidente, Henri Frenay.

All’indomani del congresso, di conseguenza, la permanenza nell’UEF dell’ardente europeista olandese, che pure era stato preposto al vertice del Bureau exécutif, divenne tutt’altro che scontata. E, difatti, già nel 1950, B. si congedava definitivamente dall’organizzazione, nonché dalla Rijksuniversiteit di Utrecht, presso la quale, dal 1948, insegnava letteratura francese. Si trasferiva in Belgio, a Bruges per la precisione, chiamato – anche e soprattutto in virtù delle sue eccellenti qualità comunicative, della sua cultura e della sua approfondita conoscenza delle lingue straniere – a ricoprire la funzione di rettore del Collegio d’Europa, l’istituto indipendente di formazione europea postuniversitaria fondato l’anno precedente da un gruppo di cittadini guidati da padre Karel Verleye.

Sentendosi di fatto investito della responsabilità di concorrere alla formazione della futura società europea, B. concepì il nuovo incarico come una missione. Ininterrottamente, fino al 1972, profuse il suo impegno e la sua assoluta dedizione sia nella ricerca e nella produzione intellettuale – pubblicando, fra gli altri, saggi del livello di Le federalisme contemporain: criteres, institutions, perspectives (1963), Vingt ans d’Europe (1966), L’Europe des nations (1970) e L’Idée Européenne 1920-1970 (1970) – sia nella promozione di quei principi – dalla valorizzazione della persona umana, alla complementarietà tra popoli e Stati, al rispetto per la diversità politico-religioso-culturale – in nome dei quali aveva condotto le sue battaglie più aspre all’interno dell’UEF, oltre che negli anni della Resistenza.

Nel 1972, lasciate le aule del Collegio, B., personalità ampiamente accreditata in ambito accademico, veniva nominato docente onorario di letteratura e cultura francese all’Università cattolica di Louvain, incarico che avrebbe abbandonato all’età di 73 anni.

Giulia Vassallo (2010)

Bibliografia

Brugmans H., La questione europea lumeggiata storicamente, in Regia Accademia d’Italia, Fondazione Volta, Atti dei convegni. Convegno di scienze morali e storiche, 14-20 novembre 1932, XI. Tema: L’Europa, Regia Accademia d’Italia, Roma 1933.

Brugmans H., L’Idée Européenne 1920-1970, De Tempel, Bruges 1970.

Fridenson P., Hyacinthe Dubreuil, in J. Maitron (a cura di), Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier français, 1914-1939, t. XXVI, Editions ouvrières, Paris 1986.

Groeneveld F., H. Brugmans (1906-1997); Ambitie, roeping en ideaal: Europa!, in “NRC Handelsblad”, 13 maart 1997.

Lipgens W., Loth W. (a cura di), Documents on the history of European integration, voll. 3-4, De Gruyter, Berlin-New York 1991.