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Calamandrei, Piero

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Giurista, giornalista e politico italiano, C. (Firenze 1889-ivi 1956) è stato esponente di primo piano dell’antifascismo italiano e uno dei padri della Costituzione repubblicana. Protagonista della politica nazionale nel secondo dopoguerra, non trascurò mai le questioni internazionali che vedeva strettamente connesse al futuro dell’Italia e dell’Europa. Convinto sostenitore della federazione europea (v. Federalismo), tra gli anni Quaranta e Cinquanta, C. fu tra i protagonisti del dibattito sull’unità europea che contrassegnò le prime fasi del processo d’integrazione e della storia comunitaria (v. Integrazione, Teorie della; Integrazione, Metodo della).

Laureatosi in Giurisprudenza all’Università di Pisa nel 1912, dopo aver scelto di proseguire la carriera accademica partecipò a vari concorsi ottenendo la cattedra di procedura civile all’Università di Messina nel 1915. Dopo la Prima guerra mondiale, alla quale prese parte come ufficiale volontario, insegnò prima presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e poi in quelle di Siena e di Firenze, dove ottenne la cattedra di diritto processuale civile che occupò fino alla sua scomparsa. Nel campo dell’attività giuridica esercitò anche la professione forense, fondò e diresse “La Rivista di diritto processuale civile” e ricoprì la presidenza del Consiglio nazionale forense dal 1946 fino alla morte; fu altresì membro della regia commissione per la riforma dei codici e membro dell’Accademia dei Lincei. Profondo studioso e autore di una vasta produzione giuridica contribuì ad aggiornare gli studi nel campo della scienza processuale italiana con la sua Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936, opera confluita successivamente nel libro quarto del codice di procedura civile del 1942. La modernità delle tesi e degli studi di C. nell’ambito del diritto influenzarono profondamente la successiva produzione giuridica e la giurisprudenza del secondo dopoguerra.

Politicamente orientato a sinistra e vicino all’area socialista, C. fu tra i primi oppositori di Mussolini. Nel 1925, dopo la Marcia su Roma e la vittoria del fascismo, fece parte del consiglio direttivo dell’Unione nazionale antifascista promossa da Giovanni Amendola e sottoscrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Durante il ventennio partecipò insieme a Nello e Carlo Rosselli alla fondazione del Circolo di cultura di Firenze (chiuso nel 1924 per ordine del prefetto) e collaborò con Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi alla pubblicazione del periodico antifascista “Non mollare” e all’associazione “Italia Libera”, che più tardi avrebbe ispirato il movimento Giustizia e libertà. Nel 1931, in qualità di professore universitario, giurò fedeltà al regime fascista, continuando così a insegnare all’Università con l’intento di impedire che molti giovani, privi di strumenti critici culturali e morali, cadessero vittime dell’ideologia fascista; ma fu anche uno dei pochi avvocati che non ebbe né chiese mai la tessera del Partito nazionale fascista.

Durante la dittatura e il consolidarsi al potere del regime tornò agli studi giuridici, pur mantenendo sempre i contatti con il fuoriuscitismo antifascista in Francia, in particolar modo con i fratelli Rosselli, con i quali continuò a collaborare clandestinamente, aderendo nel 1941 al movimento Giustizia e libertà. Nel luglio dell’anno successivo fu tra i fondatori del Partito d’Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Emilio Lussu e altri con i quali collaborò anche alla pubblicazione clandestina del periodico “Italia libera”, organo ufficiale del Partito. Dopo l’8 settembre 1943, inseguito da un mandato di cattura, si rifugiò in Umbria, da dove seguì la nascita e l’espansione del movimento partigiano, mantenendo contatti con la Resistenza, nella quale militava il figlio Franco.

Nel panorama del pensiero politico antifascista, C. apparteneva all’esperienza di Giustizia e libertà e del Partito d’azione, in cui alle tensioni liberali e socialiste si coniugava l’ideale federativo che aveva negli Stati Uniti d’Europa, da una parte, e nel regionalismo – inteso come federalismo infranazionale –, dall’altra, i suoi obiettivi principali. Per un verso, infatti, il socialismo liberale del giurista fiorentino finì per contrassegnare il suo impegno politico a livello nazionale anche nel secondo dopoguerra: prima nel Partito d’azione come membro eletto dell’Assemblea costituente, poi, quando il partito si sciolse nel 1947, nel Partito socialdemocratico come deputato del nuovo parlamento. Così per un altro verso, anche l’ideale europeo e il federalismo finirono per caratterizzare le scelte di C., avvicinandolo al Movimento federalista europeo (MFE) nel quale militò e con il quale condivise importanti battaglie politiche.

I temi dell’autonomia e del federalismo accompagnarono costantemente l’attività teorico-pratica del giurista e politico fiorentino, dai primi anni a contatto con Salvemini, alla vicinanza con Carlo Rosselli e ai rapporti con il gruppo torinese di Giustizia e libertà. C. trovò poi un’adeguata corrispondenza di pensiero nell’ambito del Partito d’azione, svolgendo in tal senso un ruolo significativo sia nel MFE, partecipando alla campagna per la convocazione di un’assemblea costituente europea, sia durante i lavori dell’Assemblea costituente nazionale.

Nel gennaio 1945 le forti istanze europeiste presenti all’interno della corrente azionista fiorentina, spinsero C. a fondare, insieme a Paride Baccarini, l’Associazione federalisti europei (AFE), le cui radici ideologiche affondavano nel terreno del federalismo risorgimentale. Per C. il federalismo era la naturale conseguenza storica dell’aggregazione di entità politiche e sociali sempre più ampie e articolate: «alla creazione dello Stato – scriveva – si è giunti attraverso l’aggregazione graduale di nuclei sempre più ampi, dal comune alla regione, dalla regione alla nazione». Un tale processo di aggregazioni progressive costituiva il presupposto teorico e pratico per il superamento dell’entità dello Stato nazionale attraverso la costituzione di una federazione europea inserita in prospettiva mondiale e concepita «non più come un ente isolato, ma come un individuo aggregato in una collettività internazionale» (in “L’idea Federalista”, pubblicazioni divulgative dell’Associazione federalisti europei – Firenze, 27 gennaio 1945, p. 14). Infatti, il giurista fiorentino pensava che il federalismo sopranazionale, unitamente a quello infranazionale, avrebbero garantito sia un corretto funzionamento del sistema democratico, sia una maggiore libertà, in quanto avrebbero creato i presupposti di una realtà politica policentrica capace di incrementare gli spazi di libertà per gli individui oltre che di realizzare una vera giustizia sociale. Il federalismo, spiegava C., «vuol dire limitazione di sovranità e di indipendenza dello Stato nazionale a favore del superstato federale; federalismo vuol dire aumento di diritti civili dei cittadini i quali, godendo di una doppia cittadinanza, parteciperanno in regime democratico non solo alla vita politica dello Stato componente, ma altresì alla formazione della maggioranza che dirigerà il superstato federale» (v. Parri et al., 1947, pp. 30-31).

Il federalismo di C. era, dunque, contrassegnato da una dimensione nazionale e internazionale che era stata la visione di Carlo Rosselli e di Silvio Trentin e che in parte lo allontanava dal federalismo di Altiero Spinelli, meno integrale e proudhoniano, più anglosassone e proiettato verso la sola dimensione europea; inoltre, la centralità delle libertà individuali e l’importanza dell’aspetto sociale orientavano il giurista a individuare nel modello europeo una terza via rispetto ai divergenti sistemi politici ed economico-sociali propri degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Sostenendo tale prospettiva, C. fu uno dei più autorevoli esponenti di quella corrente detta di “Terza forza” che, di fronte alla scelta di campo forzata dalla logica bipolare, tra USA e URSS, frapponeva l’idea di una «federazione occidentale europea, politicamente e militarmente unita e indipendente», né alleata né ostile, «ma mediatrice tra i due blocchi opposti, e capace di conciliare in una sua sintesi di democrazia socialista due esigenze […] preziose e irrinunciabili, quella della libertà democratica e parlamentare, e quella della giustizia sociale» (v. Calamandrei, 1949). In questo senso il federalismo europeo di C. esprimeva, come ha sottolineato Daniele Pasquinucci (v. Pasquinucci, 2005, vol. II, pp. 705-706), il tentativo di «una trasposizione dell’azionismo sul piano sovranazionale», dimostrando altresì di avere una concezione politica attenta a individuare il nesso esistente tra il piano nazionale e quello internazionale. La logica liberalsocialista e “terzaforzista” del federalismo di C., lontana dal federalismo realista di Spinelli, non gli impedì nell’immediato dopoguerra di farsi promotore della fusione tra l’AFE, di cui era membro del Consiglio direttivo, e il MFE di Rossi e Spinelli, contribuendo in maniera significativa alla campagna indetta da quest’ultimo per la convocazione di una Costituente europea.

Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, C., in qualità di rappresentante della cultura, fece parte del Consiglio italiano del Movimento europeo – sezione italiana del Movimento europeo (ME) – ed espressione di tutte le forze democratiche impegnate nel conseguimento dell’unità europea. Proprio in relazione all’aspetto culturale, nello stesso periodo, la riflessione sul federalismo europeo trovò un proprio canale d’espressione nell’illustre rivista mensile di politica e letteratura “Il Ponte”, fondata dall’intellettuale fiorentino nel 1945.

In occasione del Congresso dell’Unione europea dei federalisti (UEF) del novembre 1948, la rivista fiorentina pubblicò la relazione su La convocazione dell’Assemblea costituente europea, presentata a nome del MFE, ma recante la firma di C. Il giurista fiorentino, partendo dall’approfondimento e dal chiarimento di alcuni aspetti trattati dal “Piano” di Interlaken (settembre 1948), aveva redatto in rigorosi termini giuridici un vero e proprio progetto di trattato per la convocazione di un’assemblea costituente europea, nella quale l’esempio della Convenzione di Filadelfia e il modello statunitense venivano esplicitamente richiamati. Nel documento che poneva in risalto la distinzione tra confederazione e federazione, si affrontava il tema dell’assemblea costituente considerato ormai dalle varie correnti federaliste come «l’organo fondamentale per fondare gli Stati uniti d’Europa» mediante un sistema democratico. Per C., l’assemblea avrebbe dovuto raggiungere da una parte la legittimazione a deliberare il testo della Costituzione federale europea con efficacia vincolante, dall’altra ricevere tale potere in conformità alle esigenze dei vari ordinamenti giuridici dei singoli Stati. Nel progetto si prevedeva una conferenza preliminare dei rappresentanti dei governi per accordarsi sullo statuto dell’Assemblea costituente europea e farne oggetto di trattato internazionale da sottoporre alla ratifica dei rispettivi parlamenti. Dopo la stesura dello statuto, il quale avrebbe dovuto chiarire le norme relative al funzionamento dell’organo internazionale composto dai rappresentanti dei popoli europei, la conferenza preliminare dei governi avrebbe dovuto istituire un comitato esecutivo permanente con il compito di procedere alla convocazione dell’Assemblea costituente europea. In seguito, redatta la nuova Costituzione, il testo avrebbe dovuto essere sottoposto all’approvazione dei singoli Stati nelle forme previste dalle costituzioni di ciascuno di essi. Il giurista fiorentino, inoltre, prevedeva che la carta, accettata o respinta e non modificabile, sarebbe entrata in vigore a seguito dell’approvazione di almeno sei Stati.

Malgrado questo progetto non fosse stato accolto favorevolmente dalla maggioranza dell’UEF, la quale si era limitata ad approvare una mozione che richiedeva in termini vaghi la creazione di un’assemblea europea, tralasciando però di indicare la sua funzione costituente, il documento redatto da C. contribuì comunque a suggerire a Spinelli l’opportunità di rilanciare l’idea dell’unità federale dell’Europa attraverso un approccio costituzionalistico.

Nell’aprile 1950 il giurista toscano lanciò un appello a favore dell’unità europea dalle pagine de “Il Ponte”, in cui spiegava come nel mondo, ormai diviso in due emisferi, «l’ultima speranza di pace e di distensione mondiale» fosse riposta negli Stati Uniti d’Europa (v. Calamandrei, 1950, p. 337). Nei primi anni Cinquanta, da convinto sostenitore della linea costituzionalista, C. partecipò sia all’iniziativa del Patto di unione federale avanzata dal MFE, con la quale si voleva promuovere una campagna per la creazione di un governo europeo e l’elezione diretta dei parlamentari europei, sia ai lavori del Conseil des peuples de l’Europe (istituto formato da personalità del mondo politico e culturale e da dirigenti delle organizzazioni europeiste e federaliste), nato con l’obiettivo di far pressione sui membri dell’Assemblea parlamentare di Strasburgo affinché rivendicassero la dignità democratica e il ruolo costituente dell’istituzione europea (v. anche Parlamento europeo). Nel 1951, C., insieme a Fernand Dehousse, Henri Frenay, Hans Nawiasky, Georges Scelle e Spinelli, prese parte – in qualità di membro del comitato giuridico del Conseil – alla redazione di un progetto di trattato per la convocazione della costituente europea. Il documento divenne, in seguito alla conferenza internazionale di Lugano dell’UEF dell’aprile 1951, la piattaforma teorica da cui Spinelli rilanciò l’azione per la costituente europea.

Agli inizi del 1952 C. fu cooptato in qualità di giurista esperto nel Comitato di studi per la Costituzione europea (CECE) del Mouvement européen che affiancava il Comitato d’azione per la costituente europea, voluto dal suo presidente Paul-Henri Spaak. Lo statista belga, infatti, dopo aver accettato il suggerimento di Spinelli, aveva deciso di assumere la guida della campagna per la costituente, condotta fino ad allora dalle organizzazioni federaliste. Il Comitato di studi che aveva il compito di elaborare alcune proposte sulla costituzione federale europea, preparò tra la primavera e l’autunno 1952 nove progetti di risoluzione relativi alla carta costituzionale, toccando aspetti quali la finanza, la difesa e la politica estera della futura comunità politica. Successivamente, nel 1953 tali risoluzioni furono messe a disposizione dell’Assemblea ad hoc – costituita dai membri dell’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) integrati da un numero di delegati per raggiungere il numero previsto dalla futura Assemblea della Comunità europea di difesa (CED) – incaricata di elaborare il progetto di Trattato istitutivo della Comunità politica europea (CPE).

Accanto all’attività federalista che caratterizzò il suo impegno politico, occorre infine ricordare il ruolo avuto da C. nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente nazionale e lo sforzo di inserire nella nuova Costituzione repubblicana quei presupposti giuridici per far sì che l’Italia avesse gli strumenti costituzionali per demandare parte della propria sovranità a un’organizzazione internazionale in grado di garantire più compiutamente la pace. Nominato membro della Consulta nazionale nel settembre 1945 e poi eletto all’Assemblea costituente nel giugno 1946, C. fece subito presente alle diverse forze politiche la necessità che nella Costituzione fosse espressa la volontà dell’Italia di far parte di organismi internazionali, spiegando come fosse importante prevedere nella carta fondamentale delle “ammorzature giuridiche” tali da servire in futuro «di raccordo e di collegamento con una più vasta costruzione internazionale» (v. Calamandrei, 1945). L’esperto giurista fiorentino, facendo sua una proposta del Partito d’azione, fatta anni addietro da Spinelli, sosteneva l’esigenza di inserire nella nuova costituzione la disponibilità italiana a trasferimenti di sovranità a vantaggio di una federazione europea. A tal fine C. pensava a una formula che prevedesse non solo la rinuncia da parte dello Stato nazionale di certe prerogative, come la moneta e l’esercito, ma anche la creazione di un organo costituente supremo – nel caso una costituente europea – in grado di tradurre in atto questa rinuncia per la formazione di una sovranità internazionale superiore a quella dello Stato stesso. Per C., come per Spinelli era importante, dunque, che nella Costituzione vi fossero chiaramente esplicitati la volontà e gli strumenti per indirizzare l’Italia verso il processo costitutivo della federazione europea.

Quando infine nel 1947 si giunse a definire il contenuto dell’art. 11 della costituzione, C. fu costretto ad accettare una vaga formulazione, in cui non venivano menzionate né la federazione europea, né l’Europa, ma si faceva riferimento solo a generiche organizzazioni internazionali; e ciò a causa di un compromesso raggiunto con la sinistra, allora condizionata dall’atteggiamento negativo dell’URSS nei confronti di una federazione europea.

C. non poté vedere la firma dei Trattati di Roma (marzo 1957), ma riuscì comunque ad assistere al rilancio del processo d’integrazione europea avvenuto con la Conferenza di Messina (giugno 1955), grazie alla quale fu possibile superare l’impasse seguita al fallimento della Comunità politica europea e della Comunità europea di difesa.

Nel panorama del dopoguerra, della costruzione istituzionale della Repubblica italiana e della battaglia per la federazione europea, la figura di C. si distinse, nel panorama culturale, politico e della scienza giuridica italiano, europeo e internazionale, per la forte idealità e per gli insegnamenti di civiltà e di modernità.

Filippo Maria Giordano (2012)

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