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Castiella y Maiz, Fernando María

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C. (Bilbao 1907-Madrid 1976) studia Diritto a Madrid, dove entra in contatto con un ramo dell’Azione cattolica, più precisamente con il circolo di Angel Herrera e la sua Asociación católica nacional de propagandistas (ACNP), che si prefiggeva l’obiettivo di formare una élite, promuovere l’attivismo politico e professionale dei cattolici, e ricristianizzare una società sempre più secolarizzata e liberale. C. si specializzò in Diritto internazionale «per continuare la gloriosa tradizione internazionalista spagnola di Suárez y Vitoria». Il suo primo obiettivo era quello di ottenere una cattedra universitaria in questa materia; a tal fine decise di completare la sua formazione all’estero. Con l’aiuto della sua famiglia e di varie borse di studio messe a disposizione dalla Junta de ampliación de estudios, ebbe la possibilità di studiare tra il 1929 ed il 1933 all’Istituto di alti studi internazionali di Parigi, all’Università di Cambridge, all’Accademia di Diritto internazionale dell’Aia e infine a Ginevra, dove, per un certo periodo, arrivò perfino a collaborare con il Segretariato generale della Società delle Nazioni. I suoi progetti professionali subirono un lieve ritardo a causa della proclamazione in Spagna della II Repubblica nell’aprile del 1931. Con il suo amico José María Areilza (in seguito politico e diplomatico) si mobilitò contro il nuovo regime, affiliandosi alla Juventud monárquica di Bilbao e al Partido nacionalista español, una formazione radicale con inclinazioni fasciste. Queste due formazioni promossero una piattaforma elettorale monarchica per le elezioni dell’Assemblea costituente del giugno 1931. Questo impegno politico gli costò una breve permanenza in carcere. Le sue disavventure politiche finirono qui, visto che la preparazione dei concorsi a cattedra assorbì tutta la sua attività fino alla fine del 1935.

Alla vigilia delle elezioni del febbraio 1936, da poco nominato professore, C. risultava ideologicamente vicino al cenacolo della Acción española (la nuova destra radicale), anche se non aveva rotto il suo stretto rapporto con l’ACNP e con il cattolicesimo politico de “El Debate”. In questo giornale, vincolato alla Confederación española de Derechas autónomas (CEDA), egli era l’editorialista di politica estera. Nonostante ciò, il programma contingente della destra cattolica gli sembrava troppo blando, in quanto prevedeva la collaborazione al progetto democratico-repubblicano. Il suo ideale era un fronte nazionale antirivoluzionario ed antiliberale delle Destre, basato sulla cultura cattolica comune, che avrebbe potuto sconfiggere nelle urne il Fronte popolare. Nel frattempo, l’esperienza repubblicana e la crisi europea avevano inciso sul suo pensiero internazionale, che scivolò verso posizioni sempre più nazionaliste, con simpatie per i comportamenti imperialisti di Giappone, Italia e Germania.

Durante la guerra civile C. si rifugiò nell’ambasciata di Norvegia a Madrid per sfuggire alla repressione repubblicana, e da qui, nel febbraio 1939, passò poi nella zona controllata dai nazionalisti, dove si affiliò al partito unico franchista. Ritornò quindi agli impegni universitari e, poco dopo, anche alla politica. Nel frattempo alcuni suoi amici monarchici ed ex cedisti avevano conquistato posti di rilievo in vari ministeri, in particolare in quello dell’Educazione. Venne quindi cooptato da A. Garcia Valdecasas per lavorare nella sezione di politica estera del nuovo Istituto di studi politici (IEP), creato ad imitazione di quello italiano fondato dal fascismo. Tra questo periodo e il 1943 deve essere collocato il momento della sua fascinazione per le dottrine ultranazionaliste e germanofile. Nel giugno 1940 C. elaborò un programma di riforma del Servicio exterior che, senza copiare il modello fascista, si prefiggeva di eliminare i vecchi metodi diplomatici avviando alla carriera del personale giovane e di provata lealtà politica, e assegnando alle nuove generazioni il compito di «conferire alla Spagna la sua grandezza storica facendo risorgere, nuovamente, l’Impero». Fu questo il momento culminante delle tentazioni belliciste del franchismo, che avrebbe voluto trarre profitto da una rapida vittoria dell’Asse nella guerra. C. ricevette l’incarico di scrivere un libro che giustificasse le rivendicazioni della Spagna (Gibilterra, Tangeri e parte dell’Africa francese in Marocco, Orano e persino alcuni territori nel Golfo di Guinea) se fosse entrata in guerra a fianco dell’Asse. Lo scrisse insieme ad Areilza e venne pubblicato nella primavera del 1941, contemporaneamente alla costituzione del Consejo de la Hispanidad (strumento di una politica di propaganda aggressiva in America latina ideato dal ministro degli Esteri Serrano Suñer), del quale C. fu nominato consigliere. Il passo seguente fu l’arruolamento nella División Azul, il corpo dell’esercito che combatté sul fronte sovietico a fianco dell’esercito tedesco. Quando C. tornò in Spagna nel 1942, la sua posizione ultragermanofila lo fece scontrare con il nuovo ministro degli Esteri, F. Gómez-Jordana, fautore di una politica più neutralista. Rifiutò quindi l’incarico di delegato nazionale del Servicio exterior del partito unico, ma, viceversa, nel marzo 1943 accettò la direzione dello IEP: con questa avrebbe acquisito automaticamente il ruolo di Delegato nazionale e avrebbe avuto accesso al Parlamento e alla giunta politica del partito. Nello IEP si dedicò alla formazione dei futuri dirigenti politici e amministrativi del regime, e alla elaborazione della nuova dottrina politica del franchismo: dal 1943 fu necessario diluire le tesi più fasciste con maggiori dosi di nazional-cattolicesimo, per arrivare a una dottrina nella quale avrebbero potuto riconoscersi tutti i vari segmenti del franchismo, nonché i paesi alleati.

Dal 1945 C. lavorò in stretta collaborazione con gli esponenti del cattolicesimo politico, guidati da Alberto Martín Artajo, che Franco portò al governo per neutralizzare la campagna di ostracismo internazionale contro la sua dittatura, senza dover affrontare cambiamenti politici significativi. Per il generale Franco questa era l’unica alternativa al caos delle democrazie liberali e, soprattutto, al comunismo. Dallo IEP C. collaborò con la cosiddetta “Diplomazia cattolica”, avviata dal Ministerio de asuntos exteriores, dall’ Instituto de cultura hispánica, dal Consejo superior de investigaciones científicas e da organizzazioni cattoliche (Pax Romana) per tessere una trama di rapporti culturali, religiosi e diplomatici che rafforzassero l’identità cattolica e anticomunista del regime e influissero nelle votazioni delle Nazioni Unite sulla “questione spagnola”. Nell’ambito di questa strategia, fra il 1948 e il 1951 C. fu ambasciatore in Perù, dove ottenne l’appoggio della dittatura conservatrice di Odría, rafforzò tramite questo rapporto i legami con Washington e tentò di conferire maggiore equilibrio alla politica spagnola nella regione, che sino a quel momento aveva puntato quasi esclusivamente sull’amicizia con l’Argentina di Perón. Tra il 1951 e il 1957, dopo aver rifiutato il ministero dell’Educazione, C. fu inviato come ambasciatore in Vaticano per concludere il negoziato sul Concordato, firmato poi nel 1953. Questo successo agevolò la sua nomina a ministro degli Esteri nel febbraio del 1957, nel contesto di una crisi di governo provocata dal progetto di J.L. de Arrese di favorire il settore falangista e il Partito unico nella distribuzione del potere, a discapito delle altre famiglie politiche del Franchismo. C. parve allora una figura di consenso, in buoni rapporti con tutti i gruppi in lotta.

C. desiderava che la Spagna recuperasse quel ruolo internazionale al quale era “destinata” in virtù della sua storia e della sua posizione geografica: essere cioè considerata come una media potenza in Europa e una grande potenza in America. Credeva che, una volta superata tra il 1953 e il 1955, la “persecuzione straniera” (vestigio della vecchia immagine della cospirazione antispagnola di matrice antiliberale), sarebbe stato necessario disegnare una nuova politica estera, basata su una diplomazia pragmatica, il meno ideologizzata possibile, capace di reinserire la Spagna nel sistema internazionale in condizioni di uguaglianza con il resto dei paesi occidentali. Per questo era necessario un avvicinamento all’Europa e una maggiore copertura militare di Washington (modificando il testo del 1953 e ottenendo più finanziamenti per modernizzare l’esercito), nonostante il massimo obiettivo fosse quello dell’integrazione nell’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (NATO). Il secondo punto del suo disegno consisteva nel promuovere e nel far fruttare la storica “vocazione universalistica” della Spagna, il che avrebbe permesso una politica di prestigio in ambiti regionali secondari del sistema internazionale (quello ibero-americano e quello arabo-mediterraneo), di grande utilità negli organismi e nei consessi multilaterali. Con questa doppia strategia, la capacità di manovra in politica estera si sarebbe moltiplicata. Si sarebbe potuto contribuire al decollo economico spagnolo (nei prolegomeni del Piano di stabilizzazione), si sarebbero potute soddisfare le necessità difensive del paese, affrontare con meno pressione esterna gli inevitabili processi di decolonizzazione in Guinea o nel Sahara e perfino riprendere il discorso storico del recupero di Gibilterra, simbolo per definizione della tradizionale dipendenza estera spagnola. Per sostenere questo progetto, C. cercò di far sì che la dittatura limasse i suoi aspetti più autoritari e retrogradi: la repressione politica, la censura, ecc. Il suo maggior problema consisteva nel fatto che, politicamente, il franchismo era molto più scorretto di quello che egli potesse supporre e che il suo zoccolo duro (Carrero Blanco e Franco) non era disposto a muoversi in una direzione liberale oltre lo stretto necessario. Comunque la sua fedeltà al franchismo non venne meno, nonostante egli avesse modificato nel tempo le sue convinzioni, fino a immaginare una via d’uscita monarchica, conservatrice o perfino liberale dalla dittatura. In ogni caso, negli anni successivi sarebbe stata la politica estera e non quella interna ad occupare le sue energie.

Il periodo compreso tra il 1957 e il 1961 fu di preparazione. C. si preoccupò di ottenere la massima efficacia e professionalità dalla burocrazia diplomatica, in sintonia con il nuovo spirito tecnocratico dell’amministrazione franchista e lavorò per porre fine a quei problemi di immagine che implicavano l’intolleranza religiosa, i cattivi rapporti con i media stranieri o la scarsa neutralità ideologica della sua diplomazia culturale. La sfida iniziale fu quella di normalizzare i rapporti con i paesi dell’Europa occidentale e far fruttare al massimo gli accordi del 1953 con gli USA. Era necessario risolvere i contenziosi pendenti sin dall’epoca della Seconda guerra mondiale ed esibire il massimo pragmatismo per trovare nuovi punti comuni di interesse e di cooperazione. Si trattava di massimizzare le opportunità derivanti dalla posizione strategica spagnola e la sua potenzialità come mercato commerciale e di investimento.

C. conseguì presto un notevole miglioramento dei rapporti politici con Germania, Francia e Regno Unito; in minor misura con Belgio e con Italia, Paesi Bassi e i paesi nordici. In altri ambiti ebbe una reale apertura verso l’Europa: si firmarono accordi di vario tipo (culturali, tecnici, turistici e di sicurezza sociale) e alla fine di quest’epoca, la metà del commercio spagnolo si svolgeva con l’Europa occidentale. Nel caso francese, la politica magrebina fu decisiva: in cambio dell’appoggio spagnolo sulla questione algerina, C. ottenne la collaborazione militare francese nel conflitto ispano-marocchino di Ifni (1957-58) e l’appoggio in organismi internazionali, oltre a sostanziosi accordi commerciali e finanziari. Con la Germania fu risolto il problema del blocco dei beni tedeschi del 1945: la collaborazione militare fu impossibile, ma i flussi economici bilaterali si moltiplicarono. Parigi e Bonn si convertirono così, assieme agli USA, in protettori politici della Spagna di Franco. Con Londra si ottenne che il contenzioso di Gibilterra non bloccasse i rapporti, e lo stesso si verificò con il Belgio, ma questa volta con l’affare Degrelle come elemento di tensione. Il disdegno dei democristiani italiani verso il Franchismo impedì di compiere ulteriori passi in avanti.

Questi successi diplomatici europei, sommati ai progressi economici e all’integrazione nelle organizzazioni economiche internazionali, spinsero C. a tentare una grande scommessa durante il triennio 1962-64: provare a percorrere cioè la strada dell’integrazione europea (lettera del febbraio 1962, contenente la richiesta dell’apertura di negoziati con la Comunità economica europea (CEE), in vista di una futura associazione o integrazione) (v. Integrazione, metodo della), contestualmente a una rinegoziazione degli accordi con gli USA, che a sua volta era legata all’avvio di un certo impulso liberalista da parte del regime. Ma la congiuntura internazionale e l’oscurantismo del regime stesso finirono per far naufragare il progetto. La CEE, che attraversava difficoltà interne (veto francese all’ingresso della Gran Bretagna), decise pertanto di limitarsi ad accusar ricevuta della richiesta spagnola, mentre i socialisti e i democristiani europei ricordarono le condizioni politiche alle quali erano sottoposti i paesi candidati (Rapporto Birkelbach). La Comunità si mostrò disposta a firmare solo un accordo commerciale, ma il negoziato non si aprì sino al 1966. Per quanto riguardava invece le relazioni con gli USA, l’arrivo al potere del democratico John F. Kennedy provocò un leggero allontanamento tra i due governi, aggravato dai tagli effettuati nei programmi di aiuti esteri da parte americana e dall’attrito suscitato sia della questione marocchina sia dal blocco navale a Cuba. Sugli altri fronti C. provò ad aggiornare la linea politica verso l’America latina, conseguì un piccolo miglioramento nei rapporti con il Marocco e ottenne che la presidenza del governo desse il via alla politica di decolonizzazione in Guinea e Sahara occidentale, evitando così nuove condanne internazionali come quelle subite dal Portogallo e consentendo la normalizzazione dei rapporti con i nuovi paesi afro-asiatici.

Ma le linee più ambiziose del suo disegno originale sostanzialmente fallirono, essendo collegate a un’evoluzione politica in senso liberale di un regime, che avveniva con estrema lentezza. Tuttavia C. non si diede per vinto. Così, a partire dal 1964-65, senza abbandonare del tutto la battaglia europea − adesso meramente economica − scelse il recupero di Gibilterra come nuovo leitmotiv della sua politica; questa linea fu seguita almeno fino a quando, nel 1967-68, non si fosse riaperto il negoziato con gli USA. A tal fine avviò un serio lavoro di carattere giuridico, ideò un’ampia campagna di diplomazia multilaterale per ottenere i voti arabi, latino-americani, afro-asiatici, e persino dei paesi socialisti, alle Nazioni Unite, e inoltre lanciò un’offensiva per ostacolare lo sviluppo economico e le funzioni militari della base britannica di Gibilterra con il fine di mettere in evidenza le usurpazioni della sovranità commesse da parte britannica. Per conseguire appoggi così diversi era necessario portare avanti un discorso meno occidentalista e accelerare i processi di decolonizzazione della Guinea e del Sahara; si aprì addirittura un dialogo con Rabat, che avrebbe portato alla cessione di Ifni al Marocco nel 1969. C. individuò infine nuovi impegni internazionali per la Spagna: tra questi, lavorare per la pace e la sicurezza del Mediterraneo occidentale per costruire un sistema collettivo di sicurezza nella regione.

Il risultato fu contraddittorio: si ottennero successi giuridici con le risoluzioni delle Nazioni Unite riguardo a Gibilterra, migliorando così l’immagine spagnola fuori dal blocco occidentale e rendendo più dinamica la macchina diplomatica spagnola. Ma lo scontro con la Gran Bretagna condusse ad un vicolo cieco quando, nel 1969, Londra si impegnò a non cedere la sovranità della colonia senza previo consenso degli abitanti di Gibilterra: la Spagna rispose chiudendo le comunicazioni con l’enclave. Nel frattempo, C. decise di giocare duro nel secondo negoziato con gli USA, i cui precedenti accordi avrebbero dovuto essere rinnovati nel 1968. Gli obiettivi erano simili a quelli del 1963: trattato di sicurezza comune o aiuto militare di base per modernizzare l’esercito spagnolo o appoggio al progetto di integrazione nella NATO. La delegazione spagnola sapeva che le basi militari erano cresciute di valore dopo la crisi in Medio Oriente, l’incremento dell’influenza sovietica nella regione e l’evoluzione della strategia nucleare; ma la debolezza spagnola nei negoziati consisteva nel fatto che il franchismo non aveva di fatto alternative al legame con gli USA. Il ministro, ritenendo di poter contare fino in fondo sull’appoggio di Franco, adottò una linea nazionalista che mise a rischio il rinnovo degli accordi. La sua posizione si indebolì progressivamente a partire dagli inizi del 1969: la Guinea, indipendente solo da pochi mesi, precipitò nel caos; il rapporto con la Santa Sede si allentò per la necessità di rivedere le relazioni tra Stato e Chiesa dopo il Concilio Vaticano II; si acuì inoltre la tensione con la Gran Bretagna e gli USA. C. non si rese conto che ormai stava agendo non più in sintonia con i desideri di Franco: il dittatore infatti, insieme a buona parte delle Forze Armate (incluso Carrero Blanco), era consapevole del fatto che non si potesse prescindere dall’amico americano. Inoltre, il Ministro si era procurato l’avversione dell’ammiraglio Carrero su questioni fondamentali come la decolonizzazione, Gibilterra e la libertà religiosa. Il suo progetto risultò irrealizzabile ed egli fu pertanto costretto alle dimissioni durante la crisi dell’ottobre 1969.

Abbandonò il Palacio de Santa Cruz senza aver potuto raggiungere i suoi obiettivi: la Spagna non era stata ammessa come membro a pieno diritto né del club europeo né di quello atlantico; non era stata recuperata la sovranità di Gibilterra; il problema sahariano non era stato risolto e la Guinea era sprofondata nel terrore; i successi esteri non avevano favorito il cambiamento politico interno, né viceversa. Tuttavia egli aveva fissato le basi per il rinnovo degli accordi con gli USA, che sarebbero stati firmati nel 1970, aveva quasi chiuso l’accordo commerciale con la CEE, che pure venne sottoscritto dal suo successore nel 1970, e senza dubbio aveva elevato in modo notevole il profilo internazionale della Spagna di Franco. Dal 1969 fino alla sua morte, nel 1976, C. tornò alla docenza universitaria e al suo lavoro di consigliere in una delle principali banche spagnole. In quegli anni, il suo pensiero si orientò via via su posizioni liberal-conservatrici ed egli appoggiò la restaurazione monarchica voluta dal franchismo. Nonostante il suo nome fosse circolato in più occasioni nei primi anni Settanta, egli non ritornò più alla politica attiva.

Il passaggio di C. dal ministero degli Esteri lasciò una profonda eco nella diplomazia spagnola. Da una parte, contribuì a modernizzare e professionalizzare il servizio diplomatico spagnolo; dall’altra disegnò quello che sarebbe stata la futura posizione internazionale della Spagna democratica, basata sull’europeismo e sull’atlantismo. Tuttavia, anche l’ultimo C. (con la rivendicazione di Gibilterra e l’intransigenza nel negoziato conclusivo con gli USA) alimentò, forse senza volere, vecchi sentimenti nazionalisti dell’opinione pubblica spagnola che erano stati fomentati in un primo tempo dalla propaganda della dittatura. Questi riflessi, sommati all’antimperialismo ed all’antiamericanismo dei gruppi dell’opposizione antifranchista, caratterizzarono l’opinione pubblica spagnola sui temi internazionali durante i primi anni della monarchia di Juan Carlos I.

Rosa Pardo Sanz (2012)

Bibliografia

Castiella F.M., Areilza J.M., Reivindicaciones de España, Editora Nacional, Madrid 1941.

Castiella F.M., Una batalla diplomática, Planeta, Barcelona 1977.

Pardo Sanz R., La etapa Castiella, in J. Tusell, J. Aviles, R. Pard (a cura di), La política exterior de España en el siglo XX, Biblioteca Nueva, Madrid 2000.

Pardo Sanz R., Fernando Castiella, in “Historia Contemporanea”, n. 15, 1996.