Cittadinanza europea

Il termine cittadinanza esprime il legame giuridico e politico tra l’individuo e lo Stato: lo status di cittadino conferisce all’individuo la titolarità di diritti e doveri che definiscono la sua appartenenza e permettono la sua partecipazione alla comunità politica dello Stato (il popolo), conferendo a quest’ultimo la legittimità necessaria all’esercizio della sua autorità sui suoi membri. Il concetto moderno di cittadinanza è nato con la Rivoluzione francese, si è affermato contemporaneamente alla democrazia e si è fuso con l’idea di nazione, in base alla quale lo Stato definisce i criteri di cessione e di perdita della cittadinanza in funzione di una pretesa uniformità etnica e culturale della sua comunità politica. Il concetto di cittadinanza, legato a quello di nazionalità, è dunque inclusivo, in quanto attribuisce diritti e doveri ai membri della nazione consentendone la partecipazione alla sovranità dello Stato, ma anche esclusivo, in quanto li nega agli stranieri, cioè a coloro che della nazione non fanno parte.

L’applicazione di questa formula all’Unione europea presenta qualche peculiarità, dato che essa non è uno Stato nazionale, ma un’organizzazione internazionale di Stati con crescenti elementi di statualità e composta da diversi popoli. La cittadinanza europea si è sviluppata in corrispondenza dell’acquisizione graduale, da parte della Comunità europea (CE) prima e dell’Unione europea (UE) poi, di caratteristiche di uno Stato federale e multinazionale.

Già i Trattati istitutivi delle Comunità europee (v. Trattato di Parigi; Trattati di Roma) posero le basi di una cittadinanza europea, esprimendo nel preambolo l’obiettivo di «porre le fondamenta per un’unione sempre più stretta tra i popoli europei» e indirizzando dunque il processo di integrazione europea verso l’unificazione politica e la statualità; inoltre, essi prevedevano già un primo nucleo di diritti che, diretti per lo più non all’individuo in quanto membro della polis europea, ma in quanto e solo se attore economico – coerentemente con la strada funzionalista intrapresa dall’integrazione europea (v. Integrazione, metodo della) – davano forma ad una cittadinanza definita “incipiente”: il principio di non discriminazione in base alla nazionalità e la Libera circolazione delle persone per i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi (libertà di stabilimento) (v. Libertà di circolazione e di soggiorno e diritto alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea), i prestatori di servizi (v. anche Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). A questi si aggiunge la possibilità di ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea e di accedere a incarichi politici e burocratici comunitari.

Solo con il Trattato di Maastricht, tuttavia, venne formalmente istituita una cittadinanza europea, dopo che fin dal Vertice di Parigi del 1972 era emerso chiaro l’approccio che i paesi membri avevano scelto di perseguire: non la previsione di un’ampia gamma di diritti fondamentali e di doveri per una nascitura Comunità politica europea, operazione che avrebbe comportato una decisa costituzionalizzazione della costruzione comunitaria, ma il riconoscimento di alcuni limitati “diritti speciali” civili e politici, che potessero rendere il cittadino europeo uno “straniero privilegiato” in un paese della Comunità diverso dal proprio.

I capi di Stato e di governo hanno così inserito formalmente nel Trattato, disciplinandolo nel titolo II, l’istituto della cittadinanza europea, stabilendo in primo luogo che è cittadino dell’UE «chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro» (art. 17); il Trattato di Amsterdam ha poi precisato che la cittadinanza europea è aggiuntiva e complementare rispetto a quella nazionale, che non ne viene perciò sostituita e rimane quella primaria. Ciò implica che le condizioni di riconoscimento e perdita della cittadinanza europea sono stabiliti, al pari della cittadinanza nazionale, dai paesi membri.

Quanto ai suoi contenuti, vi è in primo luogo l’affermazione che i cittadini europei godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal Trattato CE, ribadendo così l’essenza della cittadinanza, declinata a livello sopranazionale, che lega l’individuo (il cittadino) all’autorità politica e lo rende destinatario dei diritti e doveri da essa posti. Successivamente, il Trattato di Maastricht individua, tuttavia, un insieme di diritti specifici, in assenza dei quali il nuovo istituto sarebbe rimasto solo una mera affermazione di principi.

L’art. 18 riconosce la Libertà di circolazione e di soggiorno e dritto alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea nei territori degli Stati membri a tutti i cittadini dell’UE, disancorando finalmente tale possibilità dalla loro capacità economica e lavorativa. Ciò porta con sé l’abolizione di qualsiasi controllo ai confini tra i paesi membri dell’Unione, anche quello della semplice identità personale, il che è stato pienamente raggiunto solo con la comunitarizzazione del Trattato di Schengen, avvenuta con il Trattato di Amsterdam. Tale diritto incontra espressamente alcuni limiti: il cittadino ne è titolare «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottare in applicazione dello stesso». Si tratta, innanzitutto, delle limitazioni derivanti da particolari motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, nonché da limiti discendenti da eventuali accordi intergovernativi, ad esempio in materia di Giustizia e affari interni.

L’art. 19 prevede i diritti di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo (PE) e nelle elezioni comunali per il cittadino europeo residente in uno Stato membro diverso da quello di nazionalità, che li può esercitare nello Stato di residenza alle stesse condizioni previste da quest’ultimo per i propri cittadini. Per quanto riguarda le elezioni del PE, dopo l’istituzione del suffragio universale diretto nel 1979 (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), il riconoscimento di tale diritto, che produce una scissione tra rappresentanza al PE e cittadinanza nazionale, costituisce un passo ulteriore nella formazione di un popolo multinazionale europeo composto dai cittadini dell’UE e rappresentato in un comune Parlamento. Quanto alle elezioni amministrative, grazie a tale diritto tutti i cittadini dell’UE possono votare e candidarsi alla carica di consigliere comunale e a quella di sindaco del proprio comune di residenza.

Sia con riferimento alle elezioni europee che con riferimento alle elezioni municipali, la direttiva di attuazione del 6 dicembre del 1993 n. 93/109 stabilisce che il beneficiario del diritto può scegliere se esercitare il diritto di voto nel paese d’origine o in quello di residenza, e il diritto deve essere fatto valere dall’interessato attraverso un’esplicita manifestazione di volontà. Disposizioni derogatorie sono state previste per l’esercizio del diritto di voto in quei paesi, come il Lussemburgo, dove risiede un numero di cittadini comunitari superiore al 20% degli aventi diritto.

L’art. 20 assicura al cittadino dell’UE la protezione diplomatica, stabilendo che nel territorio di un paese terzo in cui lo Stato di cittadinanza non è rappresentato, esso gode della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni da questo riservate ai propri cittadini. Il Trattato non prevede dunque, come pure era stato proposto dalla Commissione europea e dal governo spagnolo, la possibilità di una protezione diplomatica diretta e unitaria da parte dell’UE, che avrebbe visto rafforzata la propria identità; piuttosto, esso istituisce una tutela diplomatica mediata e sussidiaria, cioè non esercitata dall’UE, ma dai suoi Stati membri e solo in caso di mancanza di strutture diplomatiche dello Stato di cittadinanza.

L’art. 21 del Trattato prevede il diritto di proporre petizioni al PE (v. Diritto di petizione) e quello di ricorrere al Mediatore europeo. Entrambi gli istituti mirano ad allargare il sistema di tutela non giurisdizionale per i cittadini dell’Unione e sono legati al PE qual quale principale organo di rappresentanza e controllo democratico dell’UE. La petizione è uno strumento attraverso il quale il PE viene investito di una domanda politica da parte di uno o più cittadini, con obiettivi diversi: la cosiddetta petizione-reclamo sollecita l’intervento del PE a tutela degli interessi di qualcuno, in genere il firmatario dell’atto, mentre la petizione-auspicio richiede la sua presa di posizione circa un tema o un problema di carattere generale. I seguiti più importanti di una petizione sono l’istituzione di una commissione di inchiesta da parte del PE o una sua risoluzione che può influire sulle attività e orientamenti delle altre istituzioni o degli altri organi dell’UE. Oltre che uno strumento di tutela degli interessi e dei diritti del cittadino europeo, l’istituto rappresenta dunque anche una via di partecipazione democratica alla vita dell’UE attraverso il Parlamento. Il diritto di ricorrere al Mediatore europeo, che rappresenta una novità assoluta per l’UE, consente al singolo cittadino di presentare un ricorso circa episodi di cattiva amministrazione da parte delle Istituzioni comunitarie o degli organi comunitari, ad eccezione della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado, quando non esistano rimedi giurisdizionali o quando semplicemente il cittadino ad essi preferisca il ricorso al Mediatore. Questo è nominato dal PE e ad esso deve presentare una relazione per ogni caso trattato e annualmente sulla sua attività; se a ciò si aggiunge che il Mediatore può essere adito dai cittadini anche tramite membri del Parlamento, e che esso può agire anche di propria iniziativa, si evince che l’istituto costituisce, al pari della petizione, uno strumento che rafforza il controllo del PE sulle altre istituzioni comunitarie, il suo legame con i cittadini europei e dunque l’intero istituto della cittadinanza dell’UE.

L’elenco dei diritti che formalmente identificano lo status di cittadino europeo è aperto: l’art. 22 stabilisce infatti che il Consiglio dei ministri, deliberando all’unanimità (v. Voto all’unanimità,) su proposta della Commissione e previa consultazione del PE (v. Procedura di consultazione), possa adottare disposizioni intese a prevedere nuovi diritti, di cui raccomanderà l’adozione da parte degli Stati membri. Questa previsione riconosce il carattere necessariamente dinamico della cittadinanza europea, suscettibile di espandersi con il progredire del processo di integrazione europea e con l’acquisto graduale da parte dell’UE di nuovi elementi di statualità.

Con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, approvata dal Consiglio europeo XX di Nizza del dicembre 2000 e tuttora non vincolante per i paesi membri (v. anche Trattato di Nizza), l’UE rafforza il concetto di cittadinanza europea e abbandona il prudente approccio, seguito fin dal 1972, del mero riconoscimento al cittadino europeo di alcuni “diritti speciali”: ora il contenuto della cittadinanza europea viene dilatato e ancorato, come in qualsiasi Stato democratico, ai Diritti dell’uomo (civili, politici, economici, sociali, culturali, di nuova generazione), che diventano uno strumento fondamentale di legittimazione dell’autorità politica europea. Così, nel più ampio contesto della Carta, i tradizionali diritti speciali riconosciuti dal Trattato di Maastricht vengono richiamati dal capo V dedicato espressamente alla cittadinanza (artt. 39-46), intesa quindi nel suo usuale (per l’UE) e più ristretto significato di status politico; ad essi la Carta ne aggiunge di nuovi: il diritto ad una buona amministrazione e il diritto d’accesso ai documenti del PE, del Consiglio e della Commissione.

Giovanni Finizio (2007)