Comitato Dooge

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Con l’obiettivo di rilanciare il processo di integrazione europea, il Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984 nominò due Comitati ad hoc, composti da rappresentanti personali dei capi di Stato e di governo dei paesi membri della Comunità europea. Il primo di questi, presieduto dal senatore ed ex ministro degli Esteri irlandese John Dooge, aveva il compito di presentare delle proposte per il miglioramento del funzionamento sia dell’ambito comunitario che della Cooperazione politica europea (CPE). L’altro comitato, presieduto dall’italiano Pietro Adonnino, doveva avanzare suggerimenti per la realizzazione dell’“Europa dei cittadini”, avvicinando maggiormente questi ultimi alle Istituzioni comunitarie, rafforzando l’identità e l’immagine della Comunità europea al suo interno e nel mondo.

Nel nominare il Comitato Dooge, il Consiglio europeo fece espresso riferimento al Comitato Spaak (v. Spaak, Paul-Henry), che aveva giocato un ruolo fondamentale nell’elaborazione dei Trattati di Roma. Tra i componenti del Comitato Dooge, la metà circa era costituita da membri di governo e diplomatici, nello specifico Jean Dondelinger (Lussemburgo), Otto Møller (Danimarca), Ionis Papantoniou (Grecia), Malcolm Rifkind (Regno Unito), Jürgen Ruhfus (Germania), Willem Van Eekelen (Paesi Bassi). Vi era poi presenza, per la Francia, di Maurice Faure, di Fernand Herman per il Belgio e, per l’Italia, di Mauro Ferri, il quale aveva presieduto la Commissione istituzionale del Parlamento europeo che aveva elaborato il progetto di Trattato di Unione noto come Progetto Spinelli (v. Spinelli, Altiero), approvato dall’Assemblea di Strasburgo il 14 febbraio 1984.

Il Comitato tenne la sua prima seduta a Bruxelles il 28 settembre 1984 e concluse i lavori il 15 marzo 1985.

Il problema che inizialmente si presentò fu quello dell’interpretazione del mandato, formulato in termini piuttosto vaghi e generici. Venne respinta la tesi di coloro che proponevano di redigere una serie di relazioni sui diversi argomenti della tematica comunitaria, riducendo il comitato a un gruppo di esperti. Si optò per una sola relazione di carattere generale basata sull’indicazione di orientamenti e di proposte nettamente politici.

Venne adottato un metodo di lavoro fondato su un confronto aperto non finalizzato alla ricerca, a ogni costo, di un consenso unanime, ma a scelte nette e coerenti, rispetto alle quali i membri che si fossero trovati in minoranza avrebbero potuto esprimere le loro riserve o il loro dissenso, come avvenne frequentemente nel caso dei delegati danese Møller e greco Papantoniou.

La discussione iniziò sulla base di un documento di lavoro redatto da Maurice Faure, il quale svolse sostanzialmente il ruolo di relatore generale. Il Comitato Dooge, inoltre, nel corso dei suoi lavori, si incontrò tre volte con i rappresentanti del Parlamento europeo nelle persone del presidente, Pierre Pflimlin, e del presidente della Commissione istituzionale, Altiero Spinelli.

Già il 23 novembre 1984 il Comitato approvò un rapporto interinale, che venne presentato al Consiglio europeo di Dublino del 3-4 dicembre 1984. Il testo definitivo venne approvato dal Comitato il 15 marzo 1985 e fu consegnato al Consiglio europeo pochi giorni dopo, il 19 marzo 1985, costituendo la base, insieme alle conclusioni del Comitato Adonnino, per i lavori della Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) che avrebbe poi redatto il progetto di Atto unico europeo.

Il documento elaborato dal Comitato Dooge affermava la necessità di fare «un salto di qualità», creando «una vera entità politica tra gli stati membri, vale e a dire una Unione europea». Esso definiva come obiettivi prioritari uno spazio economico omogeneo (v. Spazio economico europeo), mediante la realizzazione di un mercato interno pienamente integrato; la creazione di una comunità tecnologica; il potenziamento del Sistema monetario europeo (SME); risorse finanziare aggiuntive per fare fronte ai nuovi compiti assegnati alle istituzioni comunitarie; la promozione dei valori comuni di civiltà, quali la protezione dell’ambiente, la messa in opera progressiva di uno spazio sociale europeo e di uno spazio giuridico omogeneo.

Un altro punto rilevante era la ricerca di un’identità esterna attraverso il rafforzamento della CPE, in particolare prevedendo la creazione di un segretariato permanente, l’accettazione da parte degli Stati membri della formalizzazione dell’obbligo di consultazione preventiva, l’estensione delle competenze al settore della sicurezza, la ricerca di un consenso rispondente all’opinione della maggioranza al fine di raggiungere prontamente posizioni comuni e di facilitare azioni comuni, soprattutto nelle relazioni multilaterali, interregionali e in sede di Nazioni Unite.

Al fine di conseguire tali obiettivi, nel rapporto si poneva l’accento sulla necessità di istituzioni «efficienti e democratiche». La maggioranza dei componenti del Comitato si pronunciò a favore del voto a Maggioranza qualificata o semplice in Consiglio, la regola dell’unanimità dovendo restare in vigore solo per taluni casi eccezionali, definiti secondo criteri limitativi. La presidenza sarebbe ricorsa al voto qualora la Commissione o tre Stati membri ne facessero richiesta. Il rappresentante danese difese con forza, però, il diritto di veto in seno al Consiglio. Una posizione simile venne espressa dal delegato britannico, pur riconoscendo la necessità di un più largo uso del voto a maggioranza.

Altro punto era il rafforzamento della Commissione, con una più ampia delega di competenza esecutiva, la possibilità di agire con maggiore autonomia, la designazione del presidente da parte del Consiglio europeo, un voto di investitura da parte del Parlamento europeo sulla base del programma presentato.

Veniva inoltre richiesto un Parlamento con effettive competenze legislative, sotto forma di codecisione con il Consiglio, un’estensione del suo controllo sulla Commissione, sulla CPE e sulle varie politiche comunitarie. Gli accordi di Associazione e di adesione di nuovi Stati, inoltre, avrebbero dovuto ottenere l’approvazione del Parlamento.

Per dare seguito a queste riforme il Comitato proponeva la convocazione di una conferenza dei rappresentanti dei governi – con la partecipazione anche della Commissione e associando il Parlamento europeo, il quale si sarebbe pronunciato sul rapporto finale – che avrebbe negoziato un progetto di Trattato di Unione europea, sulla base, oltre che dello stesso rapporto del Comitato Dooge, dell’acquis communautaire (v. Acquis comunitario) della Dichiarazione solenne sull’Unione europea di Stoccarda e ispirandosi allo spirito e al metodo del Progetto Spinelli.

I rappresentanti di Danimarca, Grecia e Regno Unito, però, che frequentemente, durante i lavori, aveva espresso posizioni in dissenso rispetto a quelle maggioritarie, affermarono che le raccomandazioni del Comitato dovessero, prima di tutto, essere oggetto di consultazioni preventive tra gli Stati membri.

In vista del Consiglio europeo che si sarebbe tenuto a fine giugno del 1985 a Milano, il segretario generale della Farnesina, Renato Ruggiero, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti e il presidente del Consiglio Bettino Craxi esaminarono in più occasioni, con i loro omologhi, l’agenda e i temi che sarebbero stati oggetto di discussione nel capoluogo lombardo. Lo stesso fece il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, specialmente su questioni di espressa competenza comunitaria, come quella del completamento del mercato interno.

Al Consiglio informale dei ministri degli Esteri, tenutosi a Stresa l’8 e il 9 giugno, Andreotti presentò un progetto di mandato per la Conferenza intergovernativa da convocare al Consiglio europeo di Milano. Tale documento riprendeva le conclusioni del Comitato Dooge ed esprimeva la posizione della presidenza di turno italiana.

Alla vigilia del Consiglio europeo del 28-29 giugno 1985, Belgio, Bassi Bassi, Lussemburgo e Irlanda (quest’ultima con riserve sulle questioni relative alla sicurezza e difesa) espressero sostegno al progetto della presidenza italiana. Favorevoli, ma con una posizione di maggiore cautela, erano anche la Francia e la Repubblica federale di Germania. Erano invece contrarie Danimarca, Grecia e Gran Bretagna. Quest’ultima, in realtà, non si opponeva a uno sviluppo della cooperazione politica e al completamento del mercato interno, ma all’idea di un nuovo trattato e anche all’ipotesi di modifica dei trattati esistenti.

La scelta non fu, alla fine, quella di un nuovo trattato che istituisse l’Unione europea, bensì la riforma dei trattati esistenti e i due rapporti dei comitati Dooge e Adonnino costituirono, come si è detto, i documenti di lavoro della Conferenza intergovernativa che avrebbe redatto l’Atto unico europeo. Determinante fu il ruolo giocato dalla presidenza di turno italiana che, malgrado la forte opposizione del premier britannico Margaret Thatcher e dei governi danese e greco, in maniera inusuale fino a quel momento, impose al Consiglio europeo un voto sulla convocazione di una Conferenza intergovernativa per la riforma dei Trattati istitutivi, conformemente a quanto prescritto dall’art. 236 del Trattato CEE. Se la convocazione della Conferenza venne decisa a maggioranza, la riforma dei Trattati, per entrare in vigore, avrebbe comunque richiesto la ratifica all’unanimità da parte degli Stati membri.

Paolo Caraffini (2017)