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Consiglio di mutua assistenza economica

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Origine e natura dell’organizzazione

L’8 gennaio 1949, nel corso di una conferenza economica che si svolse a Mosca e a cui parteciparono i governi di Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, Unione Sovietica e Cecoslovacchia (v. Repubblica Ceca; Slovacchia), fu decisa la costituzione di un Consiglio di mutua assistenza economica (Sovet ekonomičeskoj vzaimopomošči, SEV/Council for mutual economic assistance, COMECON), «un’organizzazione aperta» – si affermava nel rapporto redatto a conclusione dell’incontro – alla quale potevano aderire anche altri Stati che ne condividessero i principi (v. Sergeev, 2000, p. 90).

Il Trattato di Mosca istitutivo del COMECON fu firmato il 25 gennaio 1949. Ai sei Stati fondatori si aggiunsero, in febbraio, l’Albania – che sarebbe stata espulsa nel 1962 – e, nel settembre 1950, la Repubblica Democratica Tedesca (RDT) (v. anche Germania). Altri quattro membri avrebbero aderito negli anni successivi: la Mongolia il 7 giugno 1962, la Iugoslavia il 17 settembre 1964, Cuba nel luglio 1972 e il Vietnam nel giugno 1978. Afghanistan, Angola, Cina, Corea del Nord, Etiopia, Laos, Mozambico e Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (RDPY) ottennero lo status di osservatori. Nel 1973, la Finlandia fu il primo governo non appartenente al blocco comunista a firmare un accordo di cooperazione con il Consiglio di mutua assistenza economica, seguito nel 1975 da quelli conclusi con Iraq e Messico.

Il COMECON nasceva dalla convinzione sovietica che i governi di Stati Uniti, Regno Unito e di altri paesi dell’Europa occidentale tentassero «di boicottare le relazioni commerciali con le democrazie popolari e con l’URSS», che non intendevano «soggiacere ai dettami del Piano Marshall» e dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), dal momento che violavano «la sovranità statale e gli interessi dell’economia nazionale». La risposta del Cremlino fu quella di tentare di rafforzare «la cooperazione economica tra le democrazie popolari e l’Unione Sovietica» tramite, appunto, la creazione di un Consiglio di mutua assistenza economica in cui confluivano «governi con uguali diritti in tema di scambi commerciali, reciproco aiuto tecnologico, sussidi di materie prime, derrate alimentari, macchinari, impianti, ecc.» (ibid., pp. 89-90).

Descritta all’articolo 5, comma 1, dello Statuto (che sarebbe stato definitivamente approvato soltanto nel dicembre 1959), la struttura istituzionale di questa organizzazione intergovernativa comprendeva un organo decisionale – il Consiglio –, un Comitato esecutivo, varie commissioni che si riunivano regolarmente e un Segretariato con sede a Mosca. L’art. 4, comma 2, stabiliva poi che tutte le raccomandazioni e le decisioni dovevano esser prese in seno al Consiglio «solo con l’accordo dei membri interessati», ognuno dei quali aveva «il diritto di illustrare il suo coinvolgimento in qualsiasi argomento riguardante le tematiche affrontate dal COMECON» (ibid., pp. 96-97). Le raccomandazioni e le decisioni non sarebbero state applicate agli Stati che si fossero dichiarati non coinvolti nella questione, ma avrebbero potuto essere adottate in un secondo momento.

Il Confronto con le istituzioni comunitarie dell’Europa occidentale

Il COMECON non costituì un’esperienza di cooperazione e integrazione analoga a quella occidentale. Nato come reazione all’OECE, non ebbe evoluzioni “europee”, pur trovandosi di fatto a “competere” con l’Europa integrata. A differenza delle Comunità, infatti, non possedeva istituzioni sovranazionali, ma solo strutture intergovernative. Gli Stati membri partecipavano solo virtualmente in termini paritari, perché erano di fatto condizionati dal volere del Cremlino. Il Segretariato del COMECON non aveva inoltre alcuna competenza che gli consentisse di negoziare e stringere accordi internazionali per nome e conto dei propri membri (il cosiddetto treaty making power). Sul versante occidentale, invece, l’art. 113 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) prevedeva che, al termine del periodo transitorio, la Politica commerciale comune sarebbe stata basata su principi uniformi, ponendo particolare attenzione alla stipulazione di accordi tariffari e commerciali con i paesi terzi e affidando agli organi comunitari (Commissione europea e Consiglio dei ministri) la competenza esclusiva a concluderli. Infine, mentre gli aderenti alle Comunità erano tutti europei, tra quelli del COMECON figuravano anche paesi extra continentali.

Funzioni e obiettivi dell’organizzazione

Nei primi anni di vita, il COMECON servì come strumento di semplice coordinamento degli scambi commerciali nell’ambito di un sistema di prezzi fissato dai sovietici. Dalla metà degli anni Cinquanta diventò un mezzo per regolare, secondo schemi di pianificazione internazionale, la divisione dei settori produttivi dei propri membri, senza mai riuscire, però, a progredire passando dalla sua natura intergovernativa a più strette forme di collaborazione: le proposte per la realizzazione di un’integrazione economica su vasta scala, appoggiate dall’Unione Sovietica, furono infatti fortemente contrastate da alcuni paesi, soprattutto Ungheria e Romania, che temevano il predominio degli elementi più industrializzati. Verso la metà degli anni Settanta, gli Stati del COMECON finanziarono collegialmente alcuni progetti per l’attività mineraria a Cuba, in Polonia e in Unione Sovietica e la costruzione di impianti nucleari. Nel decennio successivo, il Consiglio si occupò soprattutto della crescita della produzione alimentare, dello sviluppo delle industrie ad alta tecnologia e del miglioramento dell’efficienza gestionale.

Il COMECON, tuttavia, non si dimostrò mai capace di raggiungere gli obiettivi per i quali era stato creato. Oltre all’incapacità di evolvere dalla collaborazione economica verso altri modelli d’integrazione, soffrì di evidenti limiti: la mancanza di una moneta convertibile, la bassa produttività del lavoro, la tecnologia arretrata, il forte indebitamento, i costi sempre maggiori sostenuti dai membri per la loro partecipazione e l’eccessiva rigidità che emergeva dalle economie pianificate e centralizzate degli affiliati. Non riuscì dunque a essere quella risposta efficace al processo di costruzione comunitaria che Josif Stalin e i suoi successori avrebbero voluto.

Durante il periodo comunista, a causa dell’ostilità ideologica e dei bassi livelli di traffico economico, i contatti ufficiali tra l’Europa comunitaria e il blocco sovietico furono minimi: con l’eccezione della Iugoslavia e della Romania – con cui le Comunità europee avevano siglato accordi commerciali – i satelliti dell’URSS erano all’ultimo posto nel sistema di relazioni economiche di Bruxelles. Inoltre, fino agli anni Sessanta, Mosca e i suoi alleati descrivevano la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), la Comunità economica europea e la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) come istituzioni capitaliste e imperialiste, che di fatto costituivano la copertura economica dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

La crisi del sistema sovietico e del suo modello economico di fronte al processo d’integrazione europea

Negli anni Sessanta, l’URSS registrò un accresciuto senso di debolezza politica: fu un periodo caratterizzato, oltre che dalla crisi cecoslovacca, dalla fronda nazionalista romena, dalla contestazione del modello sovietico sempre più implicita nella via titina, dalla frattura tra Mosca e Pechino e dalle crescenti difficoltà per il Cremlino di assicurarsi la fedeltà dell’intero movimento comunista mondiale.

L’Occidente non si limitò ad assistere a tutto ciò, ma intraprese iniziative che tendevano a scavare ulteriormente le crepe apertesi nel blocco sovietico.

I primi a muoversi furono i britannici che, nel 1964, concessero una linea di credito a cinque anni all’Unione Sovietica. L’esempio fu seguito dalla Francia, che firmò un accordo per scambi scientifici e tecnologici con l’URSS nel 1965, e che, l’anno successivo, abbatté molti dei vincoli quantitativi alle importazioni dall’Europa dell’Est. L’Italia firmò un accordo simile sempre con l’URSS nel 1966. Infine, il 12 agosto 1970 fu siglato fra URSS e RFT il Trattato di Mosca: si trattò, per il cancelliere tedesco Willy Brandt, del primo frutto della sua Ostpolitik.

A livello comunitario, la Commissione europea, ancorché limitata dal mancato riconoscimento della CEE da parte dei paesi dell’Est e dalla politica attuata da Charles De Gaulle in Francia per contenere le competenze dell’organo, si adoperò per stipulare un certo numero di intese di modesto respiro con le autorità comuniste. Furono così conclusi accordi con Bulgaria, Polonia, Romania e Ungheria allo scopo di facilitare l’ingresso dei loro prodotti agricoli nel mercato comunitario (v. Pinder, 1992, pp. 35-36) (v. Comunità economica europea).

Più importante fu l’accordo commerciale tra la CEE e Belgrado del 19 marzo 1970. Questo confermava alla Iugoslavia lo status di nazione più favorita, già concesso unilateralmente, e prevedeva concessioni sulle esportazioni di bovini iugoslavi, nonché la costituzione di una commissione mista CEE-Iugoslavia con il compito di valutare le questioni che potevano sorgere tra i due partner. Dal punto di vista simbolico, l’accordo segnava un punto a favore della Comunità, in quanto rendeva chiaro che gli Stati che le rifiutavano il riconoscimento ufficiale erano esclusi dall’ottenere certi privilegi; nella sostanza, invece, esso era talmente modesto da attirare la «soddisfatta irrisione dei sovietici» (v. Olivi, 1973, p. 221).

La “distensione” e l’apertura dei rapporti con la CEE

Con l’avvio della “distensione” all’inizio degli anni Settanta, l’Unione Sovietica ammorbidì la sua posizione. All’inaugurazione a Mosca del XV Congresso dei sindacati sovietici il 20 marzo 1972, Leonid Il’ič Brežnev pronunciò un discorso nel quale riconobbe la realtà del Mercato comune (v. Comunità economica europea) e avanzò l’ipotesi di stabilire rapporti economici tra COMECON e CEE, qualora la Comunità fosse stata pronta a riconoscere le realtà dell’Europa dell’Est e, in particolare, gli interessi dei paesi membri del Consiglio di mutua assistenza economica.

Quest’iniziativa era stata stimolata dall’imminente scadenza del 1° gennaio 1973: in base a quanto deciso all’Aia, in quella data la regolamentazione e la gestione dei rapporti commerciali con i paesi comunisti sarebbero divenute – com’era già avvenuto per gli scambi con altre aree del mondo – di esclusiva competenza comunitaria. E in effetti questa decisione venne confermata dal vertice che si svolse a Parigi dal 19 al 21 ottobre 1972: a partire dal 1975, sarebbero stati gli organi comunitari dell’Europa allargata a negoziare e stipulare gli accordi commerciali a lungo termine, che si stavano moltiplicando a livello bilaterale a cavallo della “cortina di ferro”.

Il bilateralismo delle intese economiche era visto negativamente anche da Mosca, tanto che il Cremlino tentò di porvi rimedio rafforzando il COMECON attraverso il Programma complesso di approfondimento e perfezionamento della cooperazione e di sviluppo dell’integrazione economica socialista dei paesi membri del COMECON, varato a Bucarest nel luglio 1971. Il documento poneva l’accento su forme più empiriche e flessibili di cooperazione produttiva, sulla multilateralizzazione degli scambi commerciali e sulla convertibilità monetaria, sia pure come obiettivo a lungo termine. Sostanzialmente, quindi, il COMECON puntava su quegli elementi che caratterizzavano la CEE, la quale diventava ora un modello da imitare. Spingevano in questa direzione soprattutto Ungheria e Polonia, che, con la Romania, erano i membri del COMECON più intenzionati ad avvicinarsi all’Europa comunitaria.

A questo fecero seguito i primi tentativi di dialogo fra COMECON e CEE. Nell’agosto 1973, Nikolaj Vasil’evič Faddeev, segretario del COMECON dal giugno 1958, incontrò il presidente in carica del Consiglio delle Comunità europee e ministro danese per l’Economia estera, il Mercato europeo e gli Affari nordici, Ivar Nørgaard, proponendogli di stabilire delle relazioni tra le due organizzazioni. La Commissione europea aderì all’iniziativa inviando una delegazione a Mosca dal 4 al 6 febbraio 1975. Si trattò di un incontro tra esperti per esaminare la natura, le competenze di ciascuna organizzazione e le eventuali possibilità di un avvicinamento tra le due.

Tuttavia, i rappresentanti delle parti non poterono che constatare le divergenze nei rispettivi approcci e nel 1982 i colloqui COMECON-CEE furono sospesi: il COMECON chiedeva un mutuo riconoscimento e la realizzazione di un accordo quadro tramite una commissione mista. La Comunità, da parte sua, accettava la proposta di un riconoscimento reciproco solo se fosse stato concluso un accordo di cooperazione dal contenuto limitato comprendente lo scambio di informazioni e di statistiche relative ai settori dell’ambiente e dei trasporti. Inoltre, rifiutava di negoziare in materia di politica commerciale, avendo constatato il difetto di competenza del COMECON al riguardo, e richiedeva sia l’instaurazione di relazioni con ciascuno dei paesi membri, sia la possibilità di concludere accordi con essi.

Gli ultimi anni: da Gorbačëv allo scioglimento

Il lento riavvicinamento tra le due organizzazioni avrebbe raggiunto il suo culmine con l’arrivo al Cremlino di Michail Sergeevič Gorbačëv, l’11 marzo 1985.

Già l’anno successivo alla sua elezione a segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS, Kommunističeskaja Partija Sovetskogo Sojuza, KPSS) il nuovo leader espresse gli auspici per il rilancio del COMECON, avanzò la candidatura dell’URSS all’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) (v. Organizzazione mondiale del commercio) e avviò i negoziati per la conclusione di un accordo con la Comunità europea.

Sotto l’egida di Gorbačëv, il COMECON accettò il cosiddetto “approccio parallelo”, in base al quale la CEE poteva stipulare accordi commerciali bilaterali con i membri del Consiglio di mutua assistenza economica, ma non con l’organizzazione stessa.

Il nuovo atteggiamento del governo sovietico verso la Comunità europea (CE) fu confermato da un accordo di riconoscimento firmato il 25 giugno 1988 dalla Commissione di Bruxelles e dal COMECOM, cui seguì l’apertura di trattative per un accordo economico fra l’URSS e la CEE.

Tra il 1988 e il 1990, la Comunità europea riuscì così a stabilire rapporti diplomatici con i paesi dell’Europa centrale e orientale, eliminò i contingentamenti all’importazione a lungo applicati su diverse merci, estese il Sistema di preferenze generalizzato (SPG) verso est e concluse in breve tempo accordi commerciali e di cooperazione di “prima generazione” con Polonia e Ungheria rispettivamente nel 1988 e nel 1989, e con gli altri paesi satelliti dell’URSS tra il 1990 e il 1992. Per fornire un sostegno finanziario alla ricostruzione centro-orientale, inoltre, la CEE diede vita al programma Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (Poland-Hungary aid for the reconstruction of the economy – PHARE), creato dal regolamento CEE n. 3906 del 18 dicembre 1989 e operativo dall’anno successivo.

Nonostante le pressioni delle lobby comunitarie agricole e industriali, secondo le quali senza un’adeguata tutela protezionistica i più bassi costi del lavoro e i più limitati standard ambientali dei paesi dell’Europa centro-orientale avrebbero svantaggiato gli Stati della CE, queste misure permisero il rapido sviluppo del commercio fra la Comunità e l’Est del continente. I membri del COMECON abbandonarono il sistema di scambi interni, permettendo alla CE prima e all’Unione europea (UE) poi di diventarne il partner economico più importante.

Il 28 giugno 1991, a Budapest, la quarantaseiesima (e ultima) sessione plenaria del COMECON ne siglò il protocollo di scioglimento. La decisione si era resa ormai inevitabile, poiché nel settembre 1990 l’Unione Sovietica, già provata da un lungo processo che avrebbe portato al suo crollo e al collasso del blocco orientale, aveva comunicato che, a partire dal 1° gennaio 1991, non avrebbe più aderito al sistema di cambi del Consiglio di mutua assistenza economica.

Lara Piccardo (2008)

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