De Michelis, Gianni

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D.M. nacque a Venezia il 26 novembre 1940. Laureato in chimica industriale all’Università di Padova, intraprese la carriera accademica, divenendo prima libero docente di chimica generale, poi assistente di ruolo di chimica generale presso l’Università di Venezia e nel 1980 professore incaricato della stessa materia all’Università di Venezia. Parallelamente si dedicò all’attività politica nelle file del Partito socialista italiano, al quale s’iscrisse nel 1960.

Dal 1962 al 1964 fu presidente nazionale dell’Unione goliardica italiana. Nel 1964 venne eletto consigliere comunale a Venezia e nel 1969, dopo essere stato capogruppo del PSI in Consiglio comunale, divenne assessore all’urbanistica del Comune di Venezia. A partire dallo stesso anno entrò a far parte del Comitato centrale del PSI come esponente della sinistra lombardiana e venne chiamato a svolgere la funzione di responsabile nazionale dell’organizzazione del partito. Nel 1976 divenne membro della direzionale nazionale, e nello stesso anno entrò alla Camera dei deputati. Rieletto il 3 giugno 1979, l’anno seguente, nel confronto politico all’interno del partito, si schierò accanto al segretario Bettino Craxi, di cui sarebbe divenuto uno dei collaboratori più vicini, svincolandosi dalle posizioni dei lombardiani. Entrò per la prima volta al governo, come ministro delle Partecipazioni statali, nell’aprile 1980, nel secondo ministero Cossiga. Per i tre anni successivi, fino al maggio 1983, ricoprì la stessa carica nei vari governi che si succedettero in quel periodo (governo Forlani (v. Forlani, Arnaldo), primo e secondo governo guidato da Giovanni Spadolini, quinto governo di Amintore Fanfani). Rieletto deputato il 26 giugno 1983, fu per quattro anni alla guida del ministero del Lavoro e della previdenza sociale nel primo e nel secondo governo Craxi (v. Craxi, Bettino).

In seguito alla rielezione alla Camera il 15 giugno 1987 entrò a far parte della Commissione affari esteri e comunitari, e nel luglio dello stesso anno fu nominato presidente del gruppo parlamentare del PSI alla Camera. Nell’aprile 1988 divenne vicepresidente del Consiglio dei ministri nel governo De Mita. Dal 22 luglio 1989 al 28 giugno 1992 ricoprì la carica di ministro degli Affari esteri nel sesto e nel settimo governo di Giulio Andreotti.

D.M. si trovò quindi a essere il massimo responsabile della politica estera italiana in un periodo di grandi rivolgimenti. Per quanto relativamente sprovvisto di esperienza nel campo delle relazioni internazionali, il nuovo ministro portò sicuramente un contributo originale alla definizione della politica estera del paese, grazie a una vivace inventiva politica, all’interesse per i disegni di vasto respiro e, non ultimo, a un certo gusto per l’esposizione mediatica. Come ha osservato Sergio Romano (v., 1993, p. 204), «dopo Sforza De Michelis fu certamente il più esuberante e dinamico dei ministri degli Esteri italiani». Il cambio di stile era innegabile, ma diversi commentatori hanno sottolineato come non sempre la dinamicità sia stata accompagnata da una costanza tale da consentire il concretizzarsi di risultati tangibili.

Di fronte a importanti modifiche dell’assetto geopolitico europeo, D.M. sottolineò a più riprese la necessità di un ruolo da protagonista della Comunità economica europea, che non avrebbe dovuto limitarsi alle questioni puramente economiche e commerciali, ma affermarsi come attore di primo piano anche per le questioni di grande politica, in modo da offrire una sponda solida su cui poggiare il processo di emancipazione della parte orientale del continente. In accordo con questa visione, il ministro degli Esteri italiano fu tra i fautori della convocazione, accanto alla Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) sull’Unione economica e monetaria (UEM), di una seconda CIG sull’Unione politica (v. anche Cooperazione politica europea). Nel secondo semestre del 1990, in un momento di grande fermento, l’Italia ebbe la presidenza di turno della Comunità (v. anche Presidenza dell’unione europea) e D.M. s’impegnò nel tentativo di definire le priorità italiane in merito agli sviluppi che si andavano profilando. L’obiettivo di fondo restava quello tradizionale di evitare il realizzarsi di rapporti preferenziali e assi di intesa, come quello che si sta instaurando tra Helmut Josef Michael Kohl e François Mitterrand, che portassero ad un’emarginazione delle posizioni italiane. A questo fine D.M. puntò a riconfermare l’immagine dell’Italia come paese “federatore”, ribadendo la priorità accordata al rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e all’Approfondimento dell’unione politica, ma al contempo sviluppò un approccio pragmatico e realista, che metteva l’accento sull’aspetto intergovernativo dei negoziati in corso e proponeva una politica dei piccoli passi, puntando a ricercare, durante il semestre di presidenza dell’Italia, un compromesso accettabile tra modello federale e modello confederale (v. anche Federalismo). In questa ottica D.M. puntò a un avvicinamento alle posizioni inglesi, soprattutto in materia di politica di sicurezza, facilitato dall’uscita di scena di Margaret Thatcher.

Questa impostazione attirò sul ministro le critiche dei settori federalisti, ampiamente rappresentati in seno al Parlamento italiano e a quello europeo (con quest’ultimo D.M. aprì un’aspra polemica nell’autunno 1990, accusandolo di essere «malato di irrealismo e letteratura»; v. IAI, 1993, p. 168). Il semestre italiano si concluse in modo sostanzialmente positivo, il governo italiano riuscì ad assicurare l’avvio delle due CIG precisandone il mandato e a fissare al 1° gennaio 1994 l’inizio della seconda fase dell’UEM, spingendo per l’attuazione graduale di una politica estera comune (memorandum del 16 novembre 1990), confermando così il tradizionale appoggio al disegno federalista coniugato all’approccio realista e pragmatico propugnato dal ministro degli Esteri, più consono all’affermazione di una politica europea concreta. Su questa linea D.M. si mantenne anche nei mesi seguenti, esprimendo il suo appoggio alla proposta presentata dal governo del Lussemburgo, che prefigurava la struttura del Trattato di Maastricht, e respingendo la proposta avanzata successivamente dagli olandesi, sebbene questa contenesse maggiori elementi di sovranazionalità, per evitare di rimettere in discussione il compromesso faticosamente raggiunto col Regno Unito. Come disse lo stesso D.M. di fronte al Senato, sebbene il trattato di Maastricht fosse ben al di sotto delle speranze espresse dal Parlamento italiano, il disegno che ne usciva era «l’unica architettura possibile» (v. IAI, 1994, p. 125) e non ve ne erano altre per avviare l’unione politica dell’Europa.

In sostanza, quindi, l’azione di D.M. come ministro degli Esteri si distinse, in ambito europeo, come attenta alle compatibilità e allo stato reale delle cose, nel tentativo di imporre un ruolo attivo dell’Italia come mediatore tra i diversi fronti. L’obiettivo però fu raggiunto solo parzialmente; come è stato osservato da Neri Gualdesi, le scelte compiute sull’unione politica – il tema cui D.M. dedicò maggiore attenzione, preferendo delegare al ministro del Tesoro Carli e alla Banca d’Italia i negoziati sull’UEM – sembrarono «più subite che suggerite dall’Italia» (v. IAI, 1994, p. 126). Proprio la ricerca costante di un equilibrio tra posizioni spesso opposte, sia all’interno dell’Italia che all’estero, produceva un’ambivalenza che minava alla base l’efficacia della politica del governo italiano, che agli occhi degli osservatori esterni, appariva spesso indecifrabile riguardo ai suoi obiettivi ultimi. Inoltre, come abbiamo accennato, la tendenza a presentare proposte sugli argomenti più disparati senza poi sostenerle fino in fondo, rappresentava un ulteriore elemento di debolezza della politica estera italiana.

Rieletto deputato nel 1992, D.M. venne coinvolto nelle inchieste sugli scandali della cosiddetta “tangentopoli” e il 7 luglio 1995 fu condannato per aver incassato tangenti per appalti pubblici nel Veneto. Abbandonata temporaneamente l’attività politica, dal 1994 prese a lavorare come consulente estero per conto di aziende italiane. Ripreso l’impegno politico, nel 1997 fu eletto segretario nazionale del Partito socialista e il 14 luglio fu tra i fondatori del Nuovo PSI di cui ha assunto la guida insieme a Claudio Martelli e Bobo Craxi e sin dalla nascita del partito, D.M. ne è stato segretario.

Alle elezioni europee del 2004, D.M. è stato eletto, nella circoscrizione sud, deputato all’Europarlamento per la lista Socialisti uniti per l’Europa. Ha scelto di non aderire ad alcun gruppo parlamentare nell’attesa di essere accolto, insieme al Nuovo PSI nel gruppo del Partito socialista europeo. Al Parlamento, è membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, della Commissione temporanea sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di persone e della Delegazione per le relazioni con la Repubblica Popolare Cinese. È membro sostituto della Commissione giuridica, della Sottocommissione per la sicurezza e la difesa e della Delegazione all’Assemblea parlamentare Euromediterranea. Nonostante l’elezione alle politiche italiane del 2006, D.M. ha preferito mantenere il proprio seggio all’Europarlamento.

Francesco Petrini (2007)

Bibliografia

De Michelis G., La lunga ombra di Yalta. Specificità della politica italiana. Conversazione con Francesco Kostner, Marsilio, Venezia 2003.

Dyson K.H.F., The Road to Maastricht. Negotiating Economic and Monetary Union, Oxford University Press, Oxford 1999.

Ferrarsi L.V. (a cura di), Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Laterza, Roma-Bari 1996.

Istituto Affari Internazionali (IAI), L’Italia nella politica internazionale, Franco Angeli, Milano (varie annate).

Romano S., Guida alla politica estera italiana, Rizzoli, Milano 1993.