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Diritti dell’Uomo

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Introduzione

Il continente europeo è considerato storicamente, insieme agli Stati Uniti, la casa dei diritti dell’uomo. L’Europa è stata infatti il primo contesto a conoscere le tre fasi caratteristiche del loro sviluppo: la loro formulazione in teorie filosofiche moderne, grazie agli intellettuali del giusnaturalismo europeo come John Locke, Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant; la loro codificazione all’interno di costituzioni nazionali, a partire dalla Rivoluzione francese e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789; il processo di internazionalizzazione dei diritti umani, che è stato avviato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 ma che ha trovato in Europa la prima concreta realizzazione in un documento giuridicamente vincolante, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) adottata in seno al Consiglio d’Europa nel 1950, e in una Corte internazionale (la Corte europea dei diritti dell’uomo) deputata a garantirne l’osservanza, sottoponendo lo Stato nazionale, fino ad allora superiorem non recognoscens, a un controllo giurisdizionale sopranazionale.

I diritti dell’uomo e il processo di integrazione europea

La nascita di questo sistema, testimonianza della particolare rilevanza che i diritti dell’uomo avevano assunto nel XX secolo in Europa, è stata provocata da due guerre mondiali che si sono combattute per lo più sul continente, dalle violenze del nazismo e del fascismo, perpetrate dagli Stati tedesco e italiano prima di tutto sui loro stessi cittadini, dalla comparsa dei bombardamenti strategici e dall’invenzione della bomba atomica, tutti episodi che avevano dimostrato l’incapacità o la mancanza di volontà dello Stato di garantire i diritti dei suoi cittadini, in primo luogo il diritto alla vita. Da qui la necessità sia dell’integrazione europea, al fine di garantire la pace, sia di un sistema che ponesse sotto controllo il comportamento dello Stato nei confronti dei suoi cittadini (v. Integrazione, metodo della). Le esigenze alla base dell’integrazione europea e dell’internazionalizzazione dei diritti umani in Europa erano dunque le stesse, tanto che, come suggerito dal preambolo della CEDU, il sistema europeo di tutela dei diritti umani era concepito esso stesso come strumento di unificazione europea nel settore della salvaguardia e dello sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v. Integrazione, teorie della). Tuttavia, poiché il Consiglio d’Europa rimase una semplice organizzazione intergovernativa e l’integrazione europea fu invece avviata su basi funzionaliste grazie all’istituzione delle Comunità europee (v. Funzionalismo), integrazione europea e diritti dell’uomo sembravano avere imboccato strade diverse, come testimoniato dall’assenza nei Trattati di Roma di qualsiasi riferimento alla protezione dei diritti dell’uomo, fatti salvi quei diritti strettamente necessari per la progressiva instaurazione del Mercato unico europeo, cioè le quattro libertà di circolazione: Libera circolazione delle merci, Libera circolazione dei servizi, Libera circolazione delle persone e Libera circolazione dei capitali.

Fu innanzitutto la Corte di giustizia delle Comunità europee (CGE) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) ad affrontare a partire dal 1969 il tema dei diritti dell’uomo, dato che l’affermazione della diretta applicabilità del diritto comunitario nell’ordinamento interno degli Stati membri apriva il problema della tutela dei cittadini degli Stati membri dalla potenziale violazione dei loro diritti da parte delle istituzioni comunitarie. Essa stabilì che i diritti fondamentali facevano parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui essa garantiva l’osservanza (causa Stauder, 1969) e che i principi alla base della loro tutela erano desumibili tanto dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri (causa Internazionale Handelsgesellschaft, 1970), quanto direttamente dall’ordinamento comunitario e dagli strumenti internazionali sottoscritti dagli stati membri (causa Nold, 1974), prima tra tutti la CEDU, in quanto documento ratificato da tutti i paesi della Comunità (causa Rutili, 1975).

L’ingresso dei diritti dell’uomo nel diritto comunitario

L’attività giurisprudenziale della CGE consentì l’ingresso dei diritti umani nel Diritto comunitario, dando luogo in tale settore a una cosiddetta integrazione negativa, che si limitava cioè alla proibizione della loro violazione. L’integrazione positiva invece, costituita da azioni e politiche concrete da parte delle istituzioni comunitarie, mosse passi molto timidi a partire dagli anni Settanta, quando il contesto internazionale della distensione creò un clima favorevole all’internazionalizzazione dei diritti umani, come dimostravano l’entrata in vigore del Patto internazionale sui diritti civili e politici e di quello sui diritti economici, sociali e culturali (1976) e la firma dell’Atto finale di Helsinki (1975). Così, nel 1977 il Parlamento europeo, il Consiglio dei ministri e la Commissione europea affermarono con una Dichiarazione congiunta il loro supporto alla tutela dei diritti umani; due anni più tardi la Commissione avanzò per la prima volta la proposta di adesione della Comunità alla CEDU, che tuttavia dapprima non fu raccolta né dal Consiglio né dagli Stati membri, poi nel 1996 fu oggetto di un parere richiesto dal Consiglio alla CGE, che ritenne l’adesione impossibile a meno di apposite modifiche dei Trattati.

La consapevolezza della necessità di ancorare maggiormente la Comunità ai diritti umani, sia al suo interno che nelle sue relazioni esterne, crebbe con l’aumento delle sue competenze e con il rafforzamento del suo ruolo nel mondo. Non a caso l’Atto unico europeo, che stabiliva l’istituzione entro il 1992 di un mercato interno nel quale fosse garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, per la prima volta nel preambolo prese ufficialmente in considerazione i diritti umani, affermando il proposito degli Stati membri di «promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti fondamentali riconosciuti nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati membri, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella Carta sociale europea» (v. anche Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori) e sottolineando solennemente la responsabilità dell’Europa «di far valere in particolare i principi della democrazia e il rispetto del diritto e i diritti dell’uomo», ai quali gli Stati membri si sentono legati, per contribuire congiuntamente al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale dell’ottica della Carta delle Nazioni Unite.

Analogamente, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, l’attenzione della Comunità/Unione europea per i diritti umani conobbe un vistoso passo in avanti, in conseguenza di diversi fattori: la Costituzione europea e l’istituzione della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), entrambe riflesso delle ambizioni di rilancio del ruolo dell’Europa nel mondo e dell’esigenza di un rafforzamento dell’identità europea in materia di sicurezza e di difesa; l’avvio dell’Unione economica e monetaria, che avrebbe portato a una convergenza tra peso politico internazionale e potenza economica interna, ma che poneva anche l’esigenza di rafforzare il lato “umano” e solidaristico dell’integrazione europea; le nuove competenze in materia di Giustizia e affari interni, che ponevano la forte esigenza di elevare una serie di argini a potenziali abusi da parte degli organi dell’Unione e dei paesi membri; la prospettiva dell’allargamento ai Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO), usciti da regimi poco rispettosi dei principi democratici, dei diritti umani e dei diritti delle minoranze, fatto che avrebbe potuto mettere a dura prova molte delle politiche e dei delicati equilibri della Comunità.

Per tutti questi motivi, dagli anni Novanta l’UE cominciò a perseguire il progetto di una vera e propria politica trasversale dei diritti umani (mainstreaming), la cui promozione e la cui tutela divennero uno dei suoi obiettivi fondamentali e uno dei pilastri dell’identità europea. Così, nonostante i diritti dell’uomo non fossero ancora stati riconosciuti formalmente tra gli obiettivi dell’UE, l’art. 6.2 del Trattato sull’Unione europea (TUE) (v. Trattato di Maastricht) stabiliva ora che l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario, e il trattato di Maastricht poneva la promozione e il consolidamento di democrazia, Stato di diritto e diritti umani quali obiettivi della PESC (art. 11 TUE) e della politica di cooperazione allo sviluppo della Comunità (art. 177 TCE). Su queste basi, nelle relazioni esterne l’UE cominciò a sviluppare la politica della “condizionalità democratica”, che consiste nell’introduzione graduale negli accordi stipulati della Comunità, specialmente quelli commerciali e di Associazione, di un complesso di clausole e di dichiarazioni interpretative tese a subordinare la concessione e il mantenimento dell’aiuto comunitario e degli incentivi previsti dall’accordo al rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi democratici. Tali incentivi possono essere diversi, dalla promessa di adesione all’UE al supporto per l’ingresso in altre organizzazioni internazionali, da aiuti economici ad assistenza tecnica, ad agevolazioni commerciali. Tale politica interessò gradualmente tutti gli accordi di cooperazione e di associazione tra Comunità europea e paesi terzi, dai paesi degli Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico (paesi ACP), a quelli dell’Europa centrale e orientale (PECO), da quelli dell’Europa sudorientale, a quelli dell’America latina, alla Russia, alla Cina, e così via. In base alle clausole della condizionalità democratica, che sono state inserite per la prima volta nella IV Convenzione di Lomé (v. Convenzioni di Lomé) tra CE e paesi ACP (1989), la grave violazione dei diritti umani e dei principi dello Stato di diritto e della democrazia comporta la possibilità di ricorrere, sulla base di procedure specifiche e flessibili, a misure restrittive nell’applicazione dell’accordo, fino alla sua sospensione o estinzione. Gli aiuti previsti dagli accordi internazionali contenenti queste clausole (ormai più di 120) assumono così il significato di strumenti per favorire nei paesi parte lo sviluppo dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, ritenuti inscindibili dai concetti di sviluppo, di sicurezza e stabilità che costituiscono l’obiettivo sia degli accordi di cooperazione allo sviluppo che di quelli di associazione (v. Politica di cooperazione allo sviluppo).

In senso lato, si può affermare che l’intera politica estera dell’Unione europea, composta dalla PESC ma anche dalle relazioni esterne della Comunità, costituisce un tributo, pur spesso incoerente, alla creazione delle condizioni strutturali per la promozione e la diffusione del paradigma dei diritti umani nel mondo: l’appoggio al multilateralismo, alla riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e del sistema delle sue agenzie, il sostegno al diritto internazionale, al ruolo della Corte penale internazionale, al Protocollo di Kyoto, alla diffusione dell’integrazione regionale nel mondo, costituiscono altrettanti tasselli della cosiddetta “politica estera strutturale” dell’UE, tesa al mutamento di lungo periodo del sistema internazionale nella direzione prescritta dall’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani: «Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale ed internazionale nel quale tutti i diritti e libertà enunciate nella presente Dichiarazione possano essere pienamente realizzati» (v. Nazioni Unite, rapporti con).

Conclusioni

Se da un lato il Trattato di Maastricht aveva avviato un processo che poneva i diritti dell’uomo al centro della proiezione esterna dell’UE e della sua azione positiva nel mondo, si era raggiunto il paradosso che, nonostante la prescrizione dell’art. 6.2 TUE, essi non fossero ancora formalmente considerati come principi imprescindibili da promuovere all’interno dell’Unione. Un rimedio a ciò è stato posto dal Trattato di Amsterdam, grazie al quale i diritti umani sono divenuti formalmente un nucleo costituzionale primario, base ideologica dell’intero sistema. L’introduzione del nuovo art. 6.1 TUE fonda per la prima volta in modo esplicito l’UE sui principi di libertà, democrazia, diritti dell’uomo e Stato di diritto, il cui rispetto diviene condizione necessaria per l’appartenenza all’Unione sia da parte dei paesi membri, sia da parte del paese che richiede l’adesione (v. Criteri di adesione). Così, in base all’art. 7 TUE come modificato dal Trattato di Nizza, su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, il Consiglio può constatare il rischio o l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi dell’art. 6 TUE e, nei casi più gravi, sospenderne alcuni diritti, compreso il diritto di voto nelle istituzioni e negli organi dell’Unione. Quanto ai paesi richiedenti l’ingresso nell’UE, il Trattato di Amsterdam, sulla base delle decisioni del Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 di subordinare l’adesione all’UE da parte di paesi terzi ad alcuni criteri politici ben precisi, stabilì che l’adesione fosse subordinata al rispetto da parte del paese dei principi contenuti nell’art. 6 TUE (art. 49 TUE).

L’ultimo passo nel percorso di definizione di una precisa identità dell’UE basata sui diritti dell’uomo è stato avviato dal Consiglio europeo di Colonia del 1999, che ha portato alla proclamazione nel 2000 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Benché si tratti di un documento ancora privo di natura giuridica, essa sancisce in modo visibile l’importanza capitale e la portata dei diritti dell’uomo per i cittadini dell’Unione e incardina su di essi il potere pubblico europeo e la sua legittimità. Le strade separate che l’integrazione europea e i diritti dell’uomo in Europa avevano imboccato negli anni Cinquanta si vanno ora ricongiungendo.

Giovanni Finizio (2007)

Bibliografia

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