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Ellemann-Jensen, Uffe

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E.-J. nasce il 1° novembre 1941 a Haarby, Funen, in Danimarca. Il padre, il giornalista e redattore Jens Peter Jensen, era stato anche membro del parlamento per il partito liberale-agrario (Venstre). E.-J. studia economia politica all’Università di Copenaghen. Durante gli anni dell’università presta servizio nell’esercito, nello stato maggiore della Difesa, diventando 1° tenente di riserva. L’esperienza di E.-J. nell’esercito e nei servizi segreti sarà in futuro un fattore importate nello sviluppo delle sue concezioni di politica estera. Dopo una breve esperienza lavorativa nel commercio, il retroterra familiare nei media e nella politica di E.-J. ha il sopravvento, ed egli diventa giornalista e commentatore economico del quotidiano conservatore “Berlingske Aftenavis”. Nel 1970 E.-J. passa alla DR, l’emittenza pubblica danese, dove le sue capacità e il suo indubbio talento di comunicatore lo rendono una figura nota a livello nazionale.

Nel 1977 E.-J. viene eletto in parlamento per il partito liberale-agrario, Venstre, e fa rapidamente carriera in politica. Nel 1978 diventa il portavoce politico del suo partito in parlamento e nel 1978-79 presidente della Commissione parlamentare per gli affari europei. Ministro degli Esteri nel nuovo governo di minoranza conservatore- liberale sotto il primo ministro Poul Schlüter, E.-J. conserverà questa carica sino al 1993. Come ministro degli Affari esteri E.-J. segna il passaggio a un profilo più forte della Danimarca nelle questioni europee e nell’alleanza atlantica. Nonostante l’ampio margine di manovra concessogli dal primo ministro, scarsamente interessato agli affari internazionali, E.-J. è tenuto sotto stretta osservazione da parte dell’opposizione e dei social-liberali in parlamento. Le dichiarate simpatie atlantico-europee, il temperamento collerico e lo spirito mordace pongono l’accanito fumatore di sigaro, amante della pesca alla trota ed europeista E.-J. al centro delle controversie sulla politica estera danese.

Sebbene estraneo alla Guerra fredda., E.-J. porta nel dibattito un nuovo accento di realismo pragmatico e simpatie atlantiche, talvolta alienandosi il consenso dei socialdemocratici in materia di sicurezza. Veemente sostenitore dell’alleanza atlantica, cerca tuttavia di bilanciare pragmaticamente la linea dura nella politica per la sicurezza con una serie di concessioni al Partito social-liberale pacifista e al Partito socialdemocratico.

Negli anni Ottanta diventa chiaro che la linea di E.-J. sulla sicurezza e sull’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO) è avviata a provocare un conflitto frontale con i socialdemocratici, che sino al 1982 erano stati un solido pilastro nella maggioranza proatlantica del paese. I socialdemocratici, fortemente critici nei confronti dell’amministrazione di Ronald Reagan, accolgono con molte riserve la decisione di introdurre nuovi missili nucleari a medio raggio nell’Europa occidentale in risposta agli “SS 20” dell’Unione Sovietica. Dipendente dai socialdemocratici per la maggioranza nelle questioni di sicurezza e difesa, E.-J. si trova in parlamento di fronte a una “maggioranza alternativa”, e in varie circostanze è costretto ad avanzare una serie di riserve danesi sui comunicati NATO. In patria e all’estero E.-J. non fa mistero del proprio atteggiamento critico nei confronti di queste “postille” danesi, ma egli e il suo governo ne danno esecuzione anziché rassegnare le dimissioni.

Il conflitto ha termine con le elezioni parlamentari del 1988 – le cosiddette “elezioni nucleari” – indette per decidere la compatibilità della posizione della Danimarca, contraria all’installazione di armi nucleari sul suo territorio in tempo di pace e la presenza nei porti danesi di navi da guerra statunitensi – potenzialmente dotate di armi nucleari. Il risultato delle elezioni, che non porta a una maggioranza, determina una nuova coalizione tra conservatori, liberali e social-liberali, assicurando una base più forte alla linea di politica estera di E.-J. Assieme alla fine della Guerra fredda, ciò dà occasione all’internazionalista E.-J. di perseguire una politica estera più attivista. Rafforza quindi l’impegno della Danimarca nelle operazioni di pace dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nella ex Iugoslavia, e dà un impulso deciso al riconoscimento dell’indipendenza degli Stati baltici e alla instaurazione di forti legami tra questi, la Danimarca e l’Occidente.

Per quanto riguarda la Comunità economica europea, E.-J. cerca un approccio costruttivo che coniughi una posizione cooperativa con la consapevolezza e la considerazione del tradizionale atteggiamento euroscettico (v. Euroscetticismo) della Danimarca. In quest’ambito l’azione del governo è condizionata non solo dalla potente Commissione parlamentare per gli affari europei, ma anche dalla richiesta di sottoporre a referendum ogni passo in avanti in direzione di una cooperazione europea implicante un trasferimento di sovranità alla Comunità europea.

Alle soglie dell’Atto unico europeo (AUE), E.-J. cerca di placare i timori dei sindacati e dei socialdemocratici, ottenendo dai partner europei la garanzia che gli Stati membri potranno conservare le misure nazionali per le questioni ambientali e per la tutela dei lavoratori. Quando nel 1986 E.-J. non riesce a ottenere una maggioranza parlamentare che sostenga l’appoggio danese all’AUE, il governo indice un referendum che viene vinto a netta maggioranza.

Questo intermezzo sfocia in un ricambio generazionale nel partito socialdemocratico, e un nuovo approccio alle questioni europee viene adottato dal nuovo presidente del partito Svend Auken e dal capo del gruppo parlamentare del partito, Ritt Bjerregaard. Nel corso degli anni successivi E.-J. in collaborazione con Bjerregaard riesce a costruire una stabile maggioranza per la politica europea della Danimarca. È questa cooperazione tra E.-J. e Bjerregaard che definirà l’approccio danese agli incontri di Maastricht e al Trattato sull’Unione europea (TUE) (v. Trattato di Maastricht).

Nonostante il no danese al TUE nel referendum del 2 giugno 1992 sia un duro colpo per la politica di E.-J., egli affronta senza perdersi d’animo le nuove sfide. Al summit di Lisbona del 2 giungo 1992, dopo la disfatta del 2 giungo e la successiva vittoria della Danimarca ai campionati europei di calcio, E.-J. conia il motto «se non puoi unirti a loro, sconfiggili». Nel corso del 1992, sino al summit di Edimburgo del dicembre di quell’anno, E.-J. dispiega una frenetica attività diplomatica europea, lavorando contemporaneamente con l’opposizione alla creazione di un “compromesso nazionale” sul modo in cui affrontare la questione dell’Unione. Si dovrà non da ultimo agli strenui sforzi di E.-J. se al summit di Edimburgo alla Danimarca sarà offerto di aderire al TUE con quattro deroghe e una dichiarazione sul principio di sussidiarietà e sulla trasparenza nell’UE. Appena un mese dopo il governo cade, e E.-J- diventa capo dell’opposizione.

Dal 1984 E.-J. è presidente del Partito liberale. Dal 1985 ricopre la carica di vicepresidente della Federazione europea dei partiti liberali e democratici per l’Internazionale liberale (v. anche Liberaldemocratici europei). Dal 1995 è presidente del Partito liberale europeo. Quando, nel 1993, passa all’opposizione, E.-J. diventa il leader indiscusso del blocco di opposizione liberale-conservatore. Egli adotta una linea di opposizione dura nei confronti della nuova coalizione socialdemocratica guidata da Poul Nypur Rasmussen, sebbene, paradossalmente, il nuovo governo avvicini maggiormente la posizione socialdemocratica a quella di E.-J. in materia di politica europea e atlantica. Sebbene l’attivismo di E.-J. in politica estera e la sua mobilitazione pro-atlantica sembrino vincenti, la sua linea di opposizione in politica interna gli impedisce di rientrare al governo in qualità di primo ministro. In una campagna elettorale che, come egli stesso aveva profetizzato, sarebbe diventata «come il vestito di un bambino, corto e sporco», E.-J. perde per un ristretto margine di voti e poco dopo si dimette da presidente del partito.

In questo periodo E.-.J. è attivamente coinvolto in una serie di iniziative internazionali. Resta strettamente associato ai paesi baltici, ricopre diversi incarichi d’affari ed è un prolifico autore dalla penna tagliente. Nel 1995 viene candidato alla carica di segretario generale della NATO, e nel 2002 diventa presidente dell’Istituto danese per gli studi internazionali. Dal 1988 è membro della Commissione internazionale per le persone scomparse, e dallo stesso anno presidente del Consiglio direttivo del Forum per lo sviluppo baltico.

Johnny Laursen (2009)

Bibliografia

Ellemann-Jensen U., Din egen dag er kort, Aschehoug, Copenhagen 1996.

Rdiger M., På kant. Et portræt af politkeren Uffe Ellemann-Jensenü, Gyldendal, Copenhagen 1994.