Euroscetticismo

Nel corso del processo di unificazione europea le ragioni dell’Unione europea (UE) si sono costantemente scontrate con quelle della conservazione delle sovranità nazionali. All’entusiasmo dei costruttori dell’Europa ha sin dall’inizio fatto da contraltare lo scetticismo dei detrattori, e se da un lato il “mito” europeista ha per lungo tempo coperto i limiti dell’Europa in costruzione, la retorica nazionalista ha a sua volta spesso imputato all’Europa comunitaria le carenze delle politiche nazionali. La polarizzazione delle origini, che esauriva il dibattito politico nell’essere “pro” o “contro” l’integrazione europea, ha nel tempo lasciato spazio a una pluralità di posizioni che entrano sempre più nel cuore di questioni specifiche, rendendo ardua qualsiasi classificazione schematica.

La fine della Guerra fredda e il crollo dell’impero sovietico, in particolare, con il venir meno del collante esogeno che a lungo aveva operato a favore dell’unione, coniugandosi con i cambiamenti apportati nell’Unione europea dal Trattato di Maastricht, hanno posto le premesse per una riflessione più articolata. Cosicché se lo spettro dell’euroscetticismo – secondo l’ormai classica distinzione fatta da Paul Taggart e Aleks Szczerbiak – continua a poter essere compreso tra un antieuropeismo hard, che in taluni casi sfocia nella richiesta di secessione dall’UE, e un eurosectticismo soft, di carattere riformatore, che critica modalità e orientamenti del processo d’integrazione europea ma non è pregiudizialmente contrario a qualsiasi tipo d’integrazione sovranazionale, esso risulta sempre più inadeguato a indicare una realtà complessa e in continua evoluzione (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Altrettanto è possibile affermare della classificazione di Petrs Kopecky e Cas Mudde, i quali propongono di definire “euroentusiasti” coloro che sono a favore sia del processo in se stesso che del suo avanzamento e delle politiche prodotte, “europragmatici” coloro che dissentono dagli ideali di integrazione ma concordano sulle pratiche e le politiche europee, euroscettici coloro che criticano le pratiche ma approvano gli ideali europei e, infine, eurorejects coloro che rifiutano tanto le politiche quanto gli ideali dell’integrazione europea.

I partiti decisamente anti UE, che si attestano su una vera e propria contrapposizione di sistema, sono facilmente individuabili. I più agguerriti sono il Movimento popolare contro l’Unione europea, danese, presente nel Parlamento europeo dal 1979, che chiede il disimpegno della Danimarca dall’UE con la stipulazione di un semplice Trattato di commercio; il Movimento di giugno, anch’esso danese, guidato da Jens-Peter Bonde a partire dal 1992, trasversale ai partiti e attivo solo in occasione delle elezioni europee (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo); lo United Kingdom independence party (UKIP), fondato nel 1993 con lo scopo di favorire il ritiro britannico dall’UE; il Rassemblement pour l’indépendence et la souveraineté de la France, sorto dalla scissione di un precedente Rassemblement pour la France et l’indépendence de l’Europe, attivo solo in sede europea.

Più arduo risulta enucleare l’opposizione soft all’UE, che accomuna partiti di destra e di sinistra, investendo anche trasversalmente alcuni settori economici e culturali (si pensi in particolare al mondo agricolo, da cui sono scaturiti partiti euroscettici quali il polacco Autodifesa della Repubblica polacca, l’Unione popolare estone, il Partito del centro svedese, il francese Caccia, pesca, natura, tradizioni, fondato da Jean Saint-Josse, il Partito ungherese dei piccoli proprietari indipendenti, dei lavoratori agricoli e dei cittadini, o alle organizzazioni ambientaliste, che a loro volta hanno conosciuto un consistente euroscetticismo soprattutto all’avvio dell’unificazione europea). Le critiche non sono omogenee e spesso risultano contraddittorie (caso emblematico quello del Deficit democratico dell’Unione. Il disagio colpisce soprattutto il settore economico-sociale – con la lotta all’Euro, cui si attribuisce la mancata crescita economica, e alla Politiche dell’immigrazione e dell’asilo, per i suoi risvolti sull’occupazione – e quello politico-istituzionale, concentrandosi sulla resistenza all’affermazione di un processo costituente europeo e sulla lotta contro qualsiasi politica rea di mettere in discussione le sovranità nazionali.

Tra i partiti euroscettici di destra si possono ricordare il Partito nazionale britannico, il Fronte nazionale di Le Pen, il Partito liberale dell’Austria di Jörg Haider, il Partito del Popolo danese (Dansk Folkeparti) di Pia Kjaersgaard, la Lega Nord in Italia, il Blocco fiammingo Vlaams Blok, le nuove destre antieuropee guidate da Pim Fortuyn in Olanda (v. Paesi Bassi). Nei Paesi c.d. “nuovi entrati” si distinguono per il loro euroscetticismo il Partito democratico civile ceco guidato dal Presidente della Repubblica Václav Klaus; il partito di centro-destra polacco Legge e giustizia, fondato nel 2001 dai fratelli Lech e Jaroslaw Kaczynski; il Partito ungherese della giustizia e della vita, fondato nel 1993 dallo scrittore Istvam Csurka. La sinistra euroscettica, a sua volta, presenta diverse anime, alcune delle quali riunite nella Sinistra europea. Tra i partiti della sinistra euroscettica all’interno dei paesi c.d. nuovi entrati nell’UE, si possono ricordare il Partito comunista di Boemia e Moravia; il Partito progressista dei lavoratori, erede del Partito comunista di Cipro, costituito nel 1941 su principi marxisti-leninisti; il Malta labour party, attualmente l’unico soggetto all’interno del Partito socialista europeo che può dirsi fortemente euroscettico.

In complesso, sembra corretto affermare che, con l’affermazione dell’UE, l’euroscetticismo tende a entrare sempre più nelle logiche del rapporto dialettico tra governo e opposizione.

Daniela Preda (2008)