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Faure, Maurice

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F. (Azera, Dordogne 1922) non eredita la sua vocazione per gli affari internazionali ed europei dalle sue origini familiari. Le sue radici affondano nel Sud ovest, bastione del radicalismo, rendendolo un perfetto prodotto della meritocrazia repubblicana francese. Figlio di un maestro di scuola e di una direttrice di collegio, studia seguendo un doppio corso in lettere e in legge a Bordeaux e a Tolosa. Durante la Seconda guerra mondiale combatte contro i tedeschi nel Corpo franco di André Pommiès. Agrégé di storia e geografia, dottore in legge, dopo la guerra F. insegna a Tolosa, al Liceo Pierre-de-Fermat e all’Institut d’études politiques.

I suoi esordi in politica non sono in provincia con una funzione elettiva locale, bensì nelle vesti di addetto nel gabinetto di Yvon Delbos, ministro di Stato e deputato radicale della Dordogna, nel 1947. In seguito è capo di gabinetto di un altro deputato radicale del Sud-ovest, Maurice Bourgès-Maunoury, segretario di Stato alla presidenza del Consiglio (1950-1951). Nelle elezioni legislative del giugno 1951 guida la lista del Partito radicale nel Lot; è eletto deputato e conserverà il suo mandato fino al 1983. Si costruisce un solido feudo locale: dopo essere stato sindaco di Prayssac (1953-1965), ottiene nel 1957 l’incarico di consigliere generale di Salviac. Il più giovane deputato di Francia (29 anni) diventa veramente europeo sedendo nell’Assemblea nazionale. Membro della commissione Affari esteri, il 7 dicembre 1951 pronuncia un primo discorso che risveglia l’attenzione dell’emiciclo, in occasione del dibattito sulla ratifica del trattato che crea la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). F. difende l’idea che la CECA sia «una rivoluzione diplomatica che consiste nell’attuare a freddo, fuori dell’egemonia di uno solo, un’integrazione, limitata per il momento a due settori dell’economia, dei popoli dell’Occidente che nel corso della storia più si sono combattuti e contrapposti, le cui frontiere sono state più spesso sconvolte dalla forza e che oggi, per la prima volta, traggono una lezione dalle loro inutili e arcaiche rivalità».

L’adesione di F. al progetto comunitario è alimentata dall’incubo di un nuovo scontro franco-tedesco e dal timore del pericolo sovietico. Nel luglio 1952 è eletto dal gruppo radicale all’Assemblea della CECA. Si dimette a favore di René Mayer, prima di essere rieletto fino al febbraio 1956. Sostenitore precoce di un’Europa politica, si impegna con fervore a favore della Comunità europea di difesa (CED), ritenendo che l’esercito comune debba condurre in seguito a un governo comune. «L’ideale europeo sta regredendo», deplora dopo il voto del 30 agosto 1954 che affossa la CED. Nelle settimane precedenti aveva costituito un comitato informale che riuniva, fra gli altri, Guy Mollet e Christian Pineau, per tentare di organizzare la difesa della CED. Questo attivismo nel febbraio 1956 gli procura la nomina, da parte di Mollet, a segretario di Stato agli Esteri, funzione che manterrà nei gabinetti Bourgès-Maunoury e Gaillard (v. Gaillard, Félix) fino al 14 maggio 1958. Uno dei dossier di cui si occupa, oltre alle questioni marocchina e tunisina, è quello della Saar.

Convinto della necessità di riconoscere la sovranità tedesca sulla Saar in cambio della canalizzazione della Mosella e di forniture di carbone, F. conduce immediatamente i negoziati che sfociano nella soluzione definitiva della questione della Saar sulla base degli accordi di Lussemburgo nell’ottobre 1956. In occasione di questi dibattiti stringe un legame di amicizia con il suo interlocutore tedesco Walter Hallstein, ex rettore dell’Università di Lubecca, un’amicizia che si rivelerà preziosa al momento dei negoziati per i Trattati di Roma, avviati nel settembre 1956. Pur essendo fondamentalmente favorevole al Federalismo delle istituzioni europee, F. dà prova di pragmatismo. Si dimostra un abile negoziatore, a un tempo duttile e risoluto. In un primo momento dà il proprio consenso di principio alle proposte del Comitato Spaak, ma esprime alcune riserve, motivate dalla preoccupazione di preservare la legislazione sociale francese. Malgrado lo scetticismo di Paul-Henri Spaak, impone il suo metodo nelle discussioni settimanali che si tengono nel castello di Val Duchesse, nei dintorni di Bruxelles: «Ad ogni riunione arrivavo con un foglio di carta diviso verticalmente in diverse colonne. Nella colonna di sinistra scrivevo la nostra posizione di partenza, in quella di destra la posizione dei nostri partner. Fra le due, separavo sistematicamente i punti sui quali non potevamo cedere da quelli sui quali il dibattito era aperto […]» (v. Faure, Delacampagne, 1999).

L’obiettivo consiste nel giungere rapidamente a un accordo rispettando le esigenze fondamentali delle parti coinvolte. L’amministrazione francese, in particolare il Quai d’Orsay, è piuttosto ostile al progetto europeo, ma F. si appoggia a un gruppo di collaboratori fedeli ed efficienti costituito da Robert Marjolin, rappresentante del ministero degli Esteri, Jacques Donnedieu de Vabres, capo della delegazione interministeriale per i problemi economici, Georges Vedel, Jean François-Poncet e Pierre Moussa, rispettivamente incaricati della Comunità europea dell’energia atomica, del Mercato comune e dei territori d’oltremare. Alla fine delle discussioni – che durano sette mesi – Christian Pineau e F. firmano a Roma, in Campidoglio, il trattato che instaura l’Euratom. Di fronte ai deputati francesi F. difende il progetto di Comunità europea per l’energia atomica, non molto popolare tra i responsabili dell’esercito, insistendo sul fatto che essa avrebbe preservato la libertà della Francia nella decisione dei suoi programmi nazionali e della sua produzione militare, permettendo al tempo stesso una prospezione e uno sfruttamento razionale delle risorse minerarie. Pur consapevole della rivoluzione che il Mercato comune avrebbe rappresentato per la Francia, protezionista per tradizione, dove rimane forte l’impronta di Colbert, F. vede in esso una opportunità per risanare l’economia del paese. Eletto in un dipartimento rurale, sa apprezzare l’opportunità rappresentata da un mercato unificato di 160 milioni di abitanti, in grado di pesare nell’economia mondiale e di permettere agli agricoltori francesi di abbassare i costi di produzione e di conquistarsi sbocchi più ampi. F. insiste nel difendere con successo, oltre ai due principi della responsabilità finanziaria comune e della preferenza comunitaria, l’adozione progressiva della regola della Maggioranza qualificata, al termine di tre periodi consecutivi di quattro anni.

Come incaricato degli Affari tunisini e marocchini, vigila attentamente sull’organizzazione di relazioni costruttive e pacifiche tra la Francia e i paesi dell’Africa del Nord di recente indipendenza. Ministro dell’Interno (14-17 maggio 1958), poi delle Istituzioni europee (17 maggio-1° giugno 1958) nell’effimero governo di Pierre Pflimlin, vota nel giugno 1958 l’investitura del generale Charles de Gaulle e la revisione costituzionale che mette fine alla IV Repubblica. F. è rieletto deputato di Cahors, nel novembre 1958, e conserva questo mandato fino al settembre 1983, data della sua elezione al Senato. Rappresenta di nuovo la Francia nell’Assemblea europea dal gennaio 1959 al maggio 1967, poi dal giugno 1973 al luglio 1979, quindi partecipa al gruppo di lavoro per le elezioni europee, costituito all’interno della Commissione per gli Affari politici, ed è cofirmatario, nell’ottobre 1960, con Emilio Battista, Fernand Dehousse, Willem Schuijt e Ludwig Metzger, di un rapporto intitolato Vers l’élection directe de l’Assemblée parlementaire européenne, che difende l’elezione diretta dei parlamentari europei a suffragio universale diretto (v. anche Elezioni dirette del Parlamento europeo).

Dal 1961 al 1965 è presidente del Partito radicale, sempre più marginalizzato: F. è contrario alla pratica gollista del potere e favorevole a un’apertura a sinistra. La costituzione del gruppo Rassemblement démocratique, dopo le elezioni del 1962, dà corpo ai suoi auspici concretizzando nell’Assemblea l’alleanza fra la ventina di deputati radicali e gli eletti mitterrandiani dell’Union democratique et socialiste de la Resistence (UDGR). F. sostiene la candidatura del socialista Gaston Defferre alle presidenziali del 1965 e il raggruppamento di centrosinistra all’interno del progetto di “Grande federazione”, che spazia dalla Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO) al Mouvement républicain populaire (MRP). La sconfitta della soluzione Defferre lo incoraggia a optare per una soluzione di centrodestra attorno al presidente del MRP, Jean Lecanuet. Ma deve rinunciare alla partecipazione al Centro democratico creato da Lecanuet, perché il Partito radicale ha deciso, su iniziativa del suo nuovo presidente René Billières, di aderire alla Fédération de la gauches démocrate et socialiste (FGDS) di François Mitterrand.

Alle elezioni legislative del 1967, in un primo tempo sostenuto dal Centro democratico, F. sollecita fra i due turni l’investitura della FGDS. Accettando il suo programma, diventa membro del suo comitato esecutivo nel 1968. Ritornato nel 1969 alla presidenza del Partito radicale, si oppone a Jean-Jacques Servan-Schreiber sulla strategia di alleanza a sinistra e sulla questione dell’intervento dello Stato. Nell’ottobre 1971 deve cedergli la guida del Partito. Nel luglio 1972 firma con Robert Fabre e René Billières un accordo elettorale con il Partito socialista che dà vita all’Union de la gauche socialiste et démocrate. La sua approvazione al programma comune di governo fra Partito socialista e Partito comunista francese determina la sospensione dal Partito radicale. La rottura diventa definitiva nell’autunno 1972, quando F. aderisce al Mouvement de la gauche radicale-socialiste, presieduto da René Billières, che riunisce più della metà delle federazioni dipartimentali del partito. Eletto al Parlamento europeo dal 1979 al 1981 nella lista socialista, F. è incaricato di reggere il ministero della Giustizia nel primo governo Mauroy (22 maggio-22 giugno 1981). Ministro di Stato e ministro delle Infrastrutture e degli alloggi nel 1988-1989, in seguito è nominato membro del Consiglio costituzionale (1989-1998).

La breve attività ministeriale di F. sotto la V Repubblica è ampiamente compensata dalla sua presenza su un doppio fronte: quello europeo e locale. Sindaco di Cahors (1965-1990) dopo esserlo stato di Prayssac, consigliere generale di Montcuq dal 1963 al 1994, a partire dal 1970 presiede l’assemblea dipartimentale. Vicepresidente del Consiglio regionale del Midi-Pyrénées, F. è una delle grandi figure del radicalismo francese del dopoguerra. Nato ed eletto in una regione roccaforte della sinistra repubblicana e radicale, questo brillante oratore incarna in modo perfetto la tradizione dei notabili radicali della III Repubblica. Tuttavia le sue scelte, alla fine degli anni Sessanta, manifestano la volontà di rinnovare un movimento politico oramai allo stremo. L’alleanza con il Partito socialista persegue quest’unico obiettivo, ma compromette l’identità di un radicalismo di sinistra la cui originalità stenta sempre di più ad affermarsi. A proposito del Trattato di Roma, F. scrive: «Questo negoziato è stato la grande opera della mia vita […], il mio contributo alla storia» (v. Faure, Delacampagne, 1999). Anche se svolgerà più un ruolo diretto nella costruzione europea dopo il 1957, rifiutando ogni responsabilità negli organismi di Bruxelles, F. resta un fervente sostenitore dell’unità europea.

Sabine Jansen (2012)

Bibliografia

Battista E., Dehousse F., Faure M., Schuijt W., Metzger L., Vers l’élection directe de l’Assemblée parlementaire européenne, Assemblée parlementaire européenne, Bruxelles 1960.

Faure M., Delacampagne C., D’une République à l’autre: entretiens sur l’histoire et sur la politique, Plon, Paris 1999.

Riondel B., Maurice Faure, un artisan de la construction européenne, tesi di dottorato, Université Lille III, 1999.