Forlani, Arnaldo

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F. (Pesaro 1925) è stato dal 1955 al 1992 uno degli esponenti di vertice della classe dirigente politica italiana. Nella Democrazia cristiana (DC) ricoprì, infatti, gli incarichi di segretario politico (dal 1969 al 1973 e dal 1989 al 1992) e di presidente del partito. Nelle istituzioni fu ministro delle Partecipazioni statali, della Difesa e degli Esteri; Presidente del Consiglio (1980-1981) e vicepresidente dei governi presieduti da Bettino Craxi (1983-1987).

Divisa spesso su temi economici e sociali e sulla politica delle alleanze, la DC fu sempre sostanzialmente unita nelle grandi scelte di politica estera, e in particolare su quella dell’unità dell’Europa, della quale F. fu rigoroso interprete ponendo in particolare l’accento sul ruolo che dovevano svolgere su questo punto i partiti di ispirazione cristiana, e sulla necessità di Istituzioni comunitarie democratiche.

Tra le tante manifestazioni del pensiero di F. sull’unità dell’Europa è significativo che già nella relazione di apertura dell’Assemblea nazionale della DC, tenuta a Sorrento il 30 ottobre 1965, egli ricordasse che «le istituzioni comunitarie europee sono, di per se stesse, il risultato di una maturazione storica, la cui componente democratica cristiana ha dato l’apporto risolutivo dei suoi uomini e della sua forza dottrinaria e operativa. In difesa delle prospettive che esse aprono è impegnata l’azione del partito. In questa direzione – sottolineava F. – la nostra linea si contrappone al gollismo per la propria visione popolare, comunitaria e sovranazionale, e al comunismo per la concezione democratica che abbiamo delle strutture cui vogliamo legare l’avvenire dell’Europa».

Nella relazione redatta in qualità di segretario del partito al Congresso nazionale della DC del 1973, F. ribadiva la convinzione della necessità e urgenza «di una forte e decisa unità dell’Europa» per la causa della pace nel mondo, da realizzarsi in particolare con la valorizzazione del Parlamento europeo». Quanto all’Italia, per F. «o si è con l’Europa, e allora si è attivamente nel mondo e si è parte del suo sviluppo, o si è fuori dall’Europa e allora si è fuori della storia del nostro tempo […] Le stesse strategie delle forze politiche, il ruolo delle forze sindacali e imprenditoriali, la funzione della cultura e della tecnica, devono trovare la loro verifica autentica e vera su questo terreno».

Il tema del ruolo dei partiti democristiani nel rafforzamento dell’unità dell’Europa venne riproposto da F., all’epoca ministro della Difesa, al Congresso nazionale della DC nel 1976. «Essi – osservò – non pretendono certo una esclusiva su questo terreno, ma debbono avere consapevolezza piena che la loro natura, le ragioni storiche della loro presenza, la cultura e l’esperienza su cui si fondano, il carattere popolare della loro rappresentanza, li rendono più compiutamente forze europee, libere da condizionamenti nazionalistici, da mitologie classiste, da interessi corporativi, da legami ideologici con sistemi totalitari».

L’attività di F. in qualità di ministro degli Esteri (luglio 1976-agosto 1979) si distinse per l’impegno in tutte le sedi a qualificare politicamente il processo in atto di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), in particolare con la elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo) e l’adozione del Sistema monetario europeo (SME). Attività che in Italia fu determinante nella svolta, non è eccessivo definirla storica, che fu l’approvazione in Senato, il 19 ottobre 1977, al termine di un ampio dibattito sulla politica estera dell’Italia, di una risoluzione sottoscritta, per la prima volta dopo 30 anni, da un rappresentante del gruppo comunista, oltre che da quelli dei gruppi delle tradizionali maggioranze democratiche. La risoluzione confermava infatti il valore delle scelte della politica estera italiana – Alleanza atlantica e unità europea – che erano sempre state avversate dal Partito comunista italiano (PCI); e auspicava «che l’impegno italiano per i progressi dell’integrazione europea» potesse continuare «a svilupparsi, operando per il previsto allargamento della Comunità, in un contesto di aggiornamento strutturale e funzionale delle istituzioni della CEE [Comunità economica europea]».

Dopo aver operato con decisione per l’adesione dell’Italia allo SME (marzo 1979) F. rinunciò nell’agosto a far parte del governo Cossiga, ma continuò l’impegno europeista nel partito, come risulta dal suo intervento al congresso nazionale della DC nel febbraio del 1980. F. infatti sottolineò il peso crescente esercitato dalla Comunità nella grande politica mondiale, ma avvertì anche il rischio del riemergere nel continente di suggestioni terzaforziste in antagonismo con gli USA. A tale riguardo osservava come, nonostante i progressi della Comunità, «tutti sappiamo come essa sia ancora fragile per capacità unitaria di presenza e di proposta politica, e non certo per colpa dell’Italia». Perciò – continuava F. – «dobbiamo lavorare e impegnarci di più per arrivare a una cooperazione politica maggiore, per raggiungere l’obiettivo di una politica estera comune; ma – aggiungeva – mettersi ora ad assecondare tendenze ed atteggiamenti per una Europa critica o riservata nei confronti degli USA, sarebbe veramente un non senso» (v. Cooperazione politica europea).

Il 23 ottobre 1980, presentando in Parlamento il programma del suo governo, F. ribadì le posizioni di sempre sull’unità europea. «All’interno della Comunità e di fronte ai nostri alleati – disse – dobbiamo incoraggiare iniziative che permettano il consolidamento della cooperazione politica ed una maggiore coesione. È nostra convinzione che l’Europa può portare un proprio originale contributo per l’affermazione di impegni coordinati di sicurezza, di sviluppo, di pace. Riteniamo necessario che sia potenziato il ruolo del Parlamento europeo, affinché esso possa essere in grado di esercitare compiutamente le prerogative che i Trattati gli assegnano, con l’autorevolezza di chi esprime la volontà politica dei cittadini europei» (v. anche Trattati).

Nel febbraio del 1989, a venti anni di distanza, la DC, a grandissima maggioranza, elesse per la seconda volta F. segretario politico. Nel discorso ai delegati egli usò sull’Europa toni insolitamente “caldi” per un dirigente sempre misurato e portato a razionalizzare gli argomenti, pur muovendo da spunti anticipatori di fatti ideali, culturali e politici che si sarebbero manifestati negli anni successivi. «A settanta anni dall’appello sturziano ai “liberi e forti”– esordì F. – in sintonia con gli altri partiti di ispirazione cristiana, dobbiamo promuovere un nuovo messaggio, una direttrice di marcia che porti i popoli d’Europa a rinsaldare i legami con le comuni radici, e dall’altro ad affrontare i compiti nuovi che la necessità storica impone all’Europa. Di fronte alla crisi che dalla Polonia all’Ungheria, dalla Cecoslovacchia alla Iugoslavia, alla stessa Unione Sovietica incrina le basi dell’internazionalismo comunista e classista, ed in presenza del rischio che con le nuove ondate migratori i popoli della nostra Europa vengano attraversati da pericolose tendenze di chiusura nazionalistica, l’ideale federalistico rappresenta, oggi più che mai, la prospettiva vera e la speranza dell’impegno creativo soprattutto per i giovani […]. Ogni passo compiuto verso gli Stati Uniti d’Europa – concludeva F. – apre orizzonti nuovi per il nostro continente».

Parole che erano la sintesi del pensiero e dell’azione di F. per l’unità europea, ma anche dei fattori che hanno distinto su questo punto l’azione di un grande partito che per volontà popolare ha ininterrottamente guidato l’Italia dal dicembre 1945 al giugno 1992; e delle cui vicende F. è stato protagonista.

Saranno gli storici a giudicare ciò che, nel bene e nel male, ha rappresentato per l’Italia la lunga stagione democristiana. Ma è facile anticipare che il giudizio sarà positivo per l’apporto che la DC, e per essa uomini come F., hanno dato alla causa dell’unità ideale, politica ed economica dell’Europa.

Nicola Guiso (2009)