I Movimenti a favore del ”no”

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I Movimenti a favore del “no” in Danimarca si costituirono dopo la prima candidatura danese per l’adesione alla Comunità economica europea (CEE) nel 1961. Tra i partiti rappresentati in Parlamento soltanto il Partito socialista popolare (Socialistisk Folkeparti), frangia politica di minoranza, si oppose all’adesione. Malgrado tutti gli altri partiti fossero favorevoli all’adesione, a condizione che anche il Regno Unito ne divenisse membro, manifestavano un certo scetticismo nei confronti della CEE. Inoltre, l’adesione era osteggiata da numerosi piccoli partiti di sinistra e di destra, come pure da rappresentanti sindacali, dal Movimento pacifista di allora e dal Movimento della Resistenza della Seconda guerra mondiale. Comune a tutti i gruppi era il timore che la nazione danese corresse il rischio di trovarsi intrappolata in una comunità sovranazionale, il che da un lato avrebbe nuovamente potuto esporre il paese (come nella era accaduta nel caso della Seconda guerra mondiale) al controllo e al dominio tedesco, e dall’altro avrebbe potuto separare la Danimarca dalle nazioni sorelle del Nord.

La prima vera e propria organizzazione per il “no” venne costituita nel gennaio 1962 da persone affiliate al partito di estrema destra Unificazione danese (Dansk Samling) insieme ad alcuni noti socialdemocratici e liberali, in questo caso schieratisi a titolo personale. Un mese più tardi alcuni membri del partito social-liberale costituirono un’organizzazione concorrente che nell’estate del 1962 fu seguita da un’altra organizzazione, sostenuta dal più importante uomo d’affari danese, il magnate del commercio marittimo A.P. Møller (nato nel 1876). Nel contempo il Partito comunista danese fondava a Copenaghen vari comitati locali per il “no”. Malgrado convergessero verso identici obiettivi, le organizzazioni a favore del “no” si osteggiavano tra loro, tanto quanto osteggiavano l’adesione della Danimarca alla CEE, un aspetto da allora caratteristico della storia dei movimenti per il “no”.

In seguito al veto più volte posto all’allargamento da parte del presidente Charles De Gaulle durante gli anni ’60, l’interesse pubblico alla questione dell’adesione era piuttosto limitato e adombrato da altri temi dell’agenda nazionale e internazionale. Malgrado ciò e nonostante le fragili strutture dei movimenti per il “no”, questi furono comunque in grado di elaborare un minimo di argomentazioni a sostegno delle loro tesi e a creare una vaga rete organizzativa comprendente la maggior parte dei sostenitori del “no”. L’importanza di tale fatto divenne chiara quando, nell’autunno del 1970, la Danimarca, in seguito alla conferenza dell’Aja che apriva la strada per un nuovo ciclo di negoziati sull’Allargamento, entrò in quello che sarebbe stato il round decisivo dei negoziati per l’adesione.

La sensazione che fosse giunta l’ora decisiva portò la questione CEE al centro del dibattito politico in Danimarca e ciò coinvolse immediatamente l’elettorato. Tra il 1960 e il gennaio 1970 i sondaggi d’opinione avevano evidenziato un campione stabile con approssimativamente il 50% dell’elettorato favorevole all’ingresso della Danimarca nella CEE insieme con la Gran Bretagna, e con una percentuale di voti contrari mai superiore al 10%. Ma da quel momento la percentuale dei votanti per il Sì cominciò a ridursi mentre i sostenitori del No aumentarono. Così nella primavera del 1971 il partito del Sì si trovò con un vantaggio di soli 7 punti percentuali. Parallelamente il numero delle organizzazioni per il “no” era aumentato in modo drastico. Quando divenne chiaro che la questione della partecipazione sarebbe stata decisa da un referendum, fissato successivamente per il 2 ottobre 1972, venticinque organizzazioni nazionali e 150 comitati locali fondarono, nei primi mesi del 1972, l’organizzazione “Movimento Popolare contro la CEE” (Folkebevægelsen mod EF).

Il Folkebevægelsen abbracciava all’incirca l’intero spettro delle opposizioni alla CEE con la significativa eccezione dei “Socialdemocratici contro la CEE”, un gruppo d’opposizione all’interno del Partito socialdemocratico. Quest’ultimo si batteva per organizzare le attività per il “no” in una campagna coordinata nella fase precedente il referendum. La campagna risultò così efficace che il risultato del referendum non era prevedibile con certezza. Ciò nonostante, alla fine il partito dei Sì trionfò con un netto margine in quanto il 63,3% dei votanti scelse di ascoltare le raccomandazioni per il Sì diffuse dal governo, dai grandi partiti e da particolari gruppi d’interesse.

Il Folkebevægelsen continuò l’attività dopo il referendum, operando in favore del ritiro danese dalla CEE, e durante gli anni ’70 costituì una forte organizzazione centralizzata con una rete di gruppi locali operante su scala nazionale di circa 10.000 membri, una casa editrice, una tipografia e il periodico Notat. I leader erano reclutati prevalentemente nei piccoli partiti dell’estrema sinistra e dell’estrema destra; molti provenivano dal Partito comunista. Ciò, comunque, non impedì la diffusione del sostegno al movimento del “no”.

Alle elezioni del primo Parlamento europeo nel 1979, il Folkebevægelsen ottenne quattro dei sedici seggi danesi e allorché si aggiunse il seggio ottenuto dal Partito socialista popolare, che aveva scelto di presentarsi da indipendente sebbene fosse anch’esso membro del Folkebevægelsen, il partito dei “no” controllò circa un terzo dei seggi danesi. Questa proporzione, nella rappresentanza danese al Parlamento europeo, si rivelò stabile poiché non cambiò fino alle elezioni del 2004, quando i Movimenti a favore del “no” subirono un’amara sconfitta, perdendo due rappresentanti.

Durante il periodo del referendum, in concomitanza con la ratifica dell’Atto unico europeo nel 1986, furono appositamente costituiti nuovi movimenti del “no” in competizione con il Folkebevægelsen. Questi operavano a partire da una differente piattaforma poiché la loro opposizione era diretta contro ulteriori e più vincolanti forme di integrazione, ma non si opponeva all’adesione danese alla CEE in quanto tale. Comunque, il referendum si concluse nuovamente con la vittoria del Sì e la nuova spaccatura politica fra i movimenti del “no” aumentò negli anni successivi e divenne ancor più profonda durante la campagna per il referendum sul Trattato di Maastricht nel 1992.

Nuovi movimenti per il “no” furono creati ad hoc sulla base della formula “«no» a una maggiore integrazione e Sì allo status quo”. Tra questi nuovi gruppi, “Danimarca 92” era il più importante. Dopo lo scarso 50,7% ottenuto dal fronte del “no” nel referendum del 2 giugno 1992 che determinò la mancata ratifica del Trattato di Maastricht da parte della Danimarca, “Danimarca 92” nell’agosto 1992 mutò il proprio nome divenendo il “Movimento di giugno” (Junibevægelsen). Molte delle personalità di spicco del Folkebevægelsen lasciarono l’organizzazione per unirsi al “Movimento di giugno”. Da allora i due movimenti, pressappoco di eguale forza, sono stati in competizione fra di loro; tuttavia, il periodico Notat ha agito fin dal 1992 da anello di congiunzione tra i movimenti a favore del “no”.

Durante gli anni ’90 si verificò un cambiamento nella composizione dell’elettorato dei movimenti per il “no”. Tali movimenti non si erano mai candidati alle elezioni parlamentari nazionali, ma fino al 1990 i loro sostenitori ai referendum provenivano dalle file della sinistra, e principalmente dall’elettorato socialdemocratico. Ciò mutò quando la Comunità europea divenne Unione europea (UE) e un numero crescente di elettori di destra iniziò a sostenere i movimenti per il “no”, un evento recentemente controbilanciato da un crescente numero di elettori di sinistra, ora sostenitori del partito del Sì.

Lo spostamento verso destra comportò degli sforzi per costituire movimenti del “no” con uno spiccato profilo conservatore. Ma questi tentativi si rivelarono piuttosto insoddisfacenti. D’altro canto il partito populista di destra, “Partito popolare danese” (Dansk Folkeparti), fondato nel 1995, ha avuto successo nell’opporsi all’UE, un tema cardine della propria piattaforma politica. Nella campagna del referendum per l’Unione economica e monetaria (UEM) del 2000, il Partito popolare danese giocò un ruolo analogo a quello del Folkebevægelsen e a quello del Movimento di giugno dalla parte del “no”. Il referendum si concluse con il 53,2% contrario all’ingresso della Danimarca nella terza fase dell’UEM, sebbene la Corona fosse strettamente ancorata all’Euro. Durante la campagna, il leader del Partito popolare danese, Pia Kjærsgaard (nata nel 1947) riuscì a far sì che l’indipendenza nazionale e la perdita della sovranità nazionale divenissero le due questioni fondamentali da dibattere, cosa che ovviamente trovò larga eco in gran parte dell’elettorato.

Tra le personalità più influenti dei movimenti danesi del “no” vi sono Jens-Peter Bonde (nato nel 1948) e Drude Dahlerup (nata nel 1945). Poiché Jens-Peter Bonde era stato, negli anni 1970-72, membro dell’organizzazione giovanile del Partito social-liberale danese, si trovò coinvolto nella fondazione del Folkebevægelsen. L’incontro con i più attivi comunisti nell’ambito del Movimento, portò Bonde ad aderire al Partito comunista di cui egli rapidamente ne divenne una delle figure leader. Tale posizione durò fino alla disgregazione del partito nel 1990. Successivamente Bonde non si affiliò ad alcun partito politico. Dopo la bancarotta del periodico Notat nel 1974, Bonde lo riorganizzò e si rivelò l’elemento trainante di quasi tutte le più importanti attività del Folkebevægelsen e della sua leadership. Nel 1979 egli ottenne un seggio nel Parlamento europeo, che ha mantenuto fino al 2008. Nel Parlamento europeo ha promosso vari gruppi politici trasversali. Inoltre è autore di più di 55 libri sull’Unione europea. Sebbene nel 1992 fosse ancora un esponente di spicco del Folkebevægelsen, egli fu al contempo un cofondatore di Danimarca 92 e del Movimento di giugno. Per questa ragione egli lasciò il Folkebevægelsen. Jens-Peter Bonde è il politico danese che si occupa dell’UE con la più lunga carriera. Durante la sua attività ha raggiunto una vasta conoscenza dell’UE, per cui è rispettato perfino dal partito del Sì, sia in Danimarca sia nel Parlamento europeo. D’altro canto, il suo sapersi destreggiare sul piano tattico e retorico, lo ha spesso reso bersaglio di severe critiche.

La carriera di Drude Dahlerup, come figura politica contraria all’UE, iniziò con il suo coinvolgimento nella campagna per il referendum di Maastricht e il ruolo svolto all’interno di “Danimarca 92”, di cui fu leader di primo piano. A quel tempo era nota al pubblico come importante attivista del movimento di liberazione della donna, mentre professionalmente svolgeva attività di ricercatrice in scienze politiche presso l’Università di Aarhus. Nel 1998 si trasferì a Stoccolma dove divenne docente presso l’Università di Stoccolma. Continuò, anche dopo il suo trasferimento, a essere una figura leader del Movimento di giugno e fu un esponente di primo piano nei dibattiti durante la campagna per il referendum sull’UEM. Malgrado non fosse mai stata candidata alle elezioni, dal 1992 al 2002 fu la portavoce principale del Movimento di giugno.

Søren Hein Rasmussen (2010)

Bibliografia

Martens H., Danmarks ja, Norges nej, Odense, Munksgaard, 1979.

Rasmussen S.H., Sære alliancer politiske bevægelser i efterkrigstidens Danmark, Odense University Press, Odense 1997.