Vertici

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Non prevista dal Trattato di Parigi e dai Trattati di Roma, che hanno dato vita alle Comunità europee (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, CECA e Comunità economica europea, CEE), la pratica di “riunirsi al vertice” nei momenti cruciali della vita comunitaria è il risultato del conflitto da sempre latente fra “integrazionisti” e “confederalisti”. Da un lato, coloro che basavano il loro credo sul graduale evolvere dei settori di integrazione (agricoltura, industria, dogane, ecc.) in aree di collaborazione sempre più vaste e strettamente legate fra loro, destinate alla fine del processo a sfociare in una vera e propria struttura politica a livello sovranazionale (v. anche Integrazione, Teorie della; Integrazione, metodo della); dall’altro, i fautori del più ortodosso metodo diplomatico di concertazione fra governi sovrani senza i vincoli di strutture istituzionali sovraordinate. La storia ha consacrato nella figura del generale Charles de Gaulle il campione di questa seconda filosofia e l’iniziatore di quel metodo confederale concretatosi in primis nelle riunioni al vertice. Esse, infatti, iniziano nel 1961, pochi anni dopo l’elezione di de Gaulle a Presidente della Repubblica francese nel maggio del 1958.

I Vertici, nella storia della Comunità, saranno in tutto sette fino al dicembre del 1974, quando cederanno il posto al Consiglio europeo che ancora oggi è in cima alla piramide del sistema istituzionale dell’Unione europea (UE). Le caratteristiche principali dei Vertici erano quelle di essere incontri non regolari, ma convocati a seconda delle esigenze del momento; di non confondersi con le Istituzioni comunitarie dell’epoca, ma anzi di mantenere un carattere informale e strettamente intergovernativo (v. anche Cooperazione intergovernativa); infine, di essere composti dai capi di Stato (nel caso della sola Francia) e di governo dei sei membri fondatori delle Comunità, all’inizio, e dei nove dopo l’entrata nel 1974 di Regno Unito, Irlanda e Danimarca nella Comunità.

Se la “filosofia” politica del generale de Gaulle è stata all’origine della procedura dei Vertici, nel corso degli anni successivi si sono manifestate esigenze strutturali e politiche d’altro tipo, che di fatto hanno poi obbligato la Comunità a modificare la propria fisionomia istituzionale, a cominciare proprio dall’istituzionalizzazione dei Vertici in Consiglio europeo, come avverrà, appunto, nel 1974.

La prima esigenza è legata alla natura stessa del Trattato di Roma che ha dato vita alla CEE: esso si configurava come un Trattato “quadro” che doveva essere riempito di contenuti e di politiche su impulso degli organi di “governo” della Comunità. Nei primi anni questo compito fu svolto dalla Commissione europea assieme al Consiglio dei ministri degli Esteri della Comunità (v. Consiglio dei ministri). Ma con il graduale passaggio da azioni cosiddette di “integrazione negativa” (ad esempio, la rimozione degli ostacoli tariffari) a proposte di “integrazione positiva”, come la Politica agricola comune (PAC), il potere dei due organismi comunitari si dimostrò insufficiente a superare quello che sarà definito come “interesse nazionale vitale”. Sarà infatti proprio sulla questione del finanziamento della PAC, alla metà degli anni Sessanta, che si assisterà alla prima vera crisi comunitaria con il ritiro della delegazione francese dal Consiglio dei ministri (la cosiddetta politica della “sedia vuota”). Di fronte, quindi, al progressivo indebolimento di Commissione e Consiglio, saranno i capi di Stato e di governo a prendere in mano il compito di dare impulso e di indirizzare le politiche comuni.

Per di più, a rafforzare il ruolo dei primi ministri nella politica comunitaria subentreranno altri due fattori. Il primo riguarda l’organizzazione interna di ciascun paese membro della CEE, dove con il crescere degli affari comunitari entreranno nel gioco diversi dicasteri tecnici (Agricoltura, Tesoro, ecc.) oltre ai ministeri degli Esteri. Si porrà quindi un problema sempre più pressante di coordinamento interno, non sempre affrontabile da parte del solo ministro degli Esteri: soprattutto nelle decisioni “vitali” deve subentrare il Primo ministro. La centralità crescente della figura dei premier sarà poi sottolineata anche dalla nascente interdipendenza internazionale nel campo del commercio e dell’industria, che toccherà contemporaneamente le politiche nazionali e comunitarie: di qui la necessità di una sintesi del duplice interesse intorno alle figure dei primi ministri.

Quasi tutto, dunque, congiurava per un intervento diretto dei capi di Stato e di governo nelle questioni comunitarie, anche se questa esigenza cominciò a divenire palese solo dopo la metà del 1960. Vi è quindi un differente significato tra i primi due Vertici del 1961 – dovuti essenzialmente alle preoccupazioni golliste di un’eccessiva crescita del potere sovranazionale della Comunità – e gli altri cinque che si svolgeranno fra il 1967 e la fine del 1974, maggiormente orientati a dettare le nuove politiche della Comunità. Alla luce di queste considerazioni generali, è possibile inquadrare con maggiore precisione il ruolo svolto dai singoli Vertici nel periodo formativo di quella che oggi è chiamata Unione europea.

Parigi, 10-11 febbraio 1961. In preparazione di questo Vertice, voluto fortemente da de Gaulle, nel luglio dell’anno precedente vi era stato un incontro a Rambouillet con il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Per porre un freno allo sviluppo sovranazionale dell’Europa economica, de Gaulle proponeva di avviare una cooperazione in campo politico (v. anche Cooperazione politica europea). L’idea suggerita a Adenauer era quella di tenere conferenze periodiche trimestrali di capi di governo e di Stato e di creare quattro commissioni (esteri, difesa, cultura ed economia) destinate a preparare le riunioni e a mettere in pratica le decisioni. A Parigi, tuttavia, di fronte alle perplessità dei paesi del Benelux sul nascente bilateralismo franco-tedesco e ai timori di vedere indebolita la Comunità, l’unica decisione fu la costituzione di una commissione di rappresentanti dei sei governi per presentare “proposte concrete riguardanti le riunioni dei capi di Stato e di governo e dei ministri degli Affari Esteri”, senza affrontare altri aspetti delle idee golliste.

Bonn, 18 luglio 1961. Previsto in un primo tempo per il 19 maggio, il secondo round dei primi due Vertici si dimostrò molto più efficace, tanto che “Le Monde” di quell’epoca uscì con il titolo Nascita dell’Europa politica. La commissione di studio (commissione Fouchet) (v. Piano Fouchet), che ancora non aveva concluso i propri lavori, ricevette in effetti un nuovo dettagliato mandato di “dare forma alla volontà di unità politica” e di organizzare un sistema di incontri e una struttura decisionale tali da rendere efficace questa nuova funzione.

La commissione Fouchet si mise subito al lavoro, e già nell’autunno dello stesso anno si ebbe un primo abbozzo delle nuove istituzioni competenti in materia di politica estera, cultura e difesa con un Consiglio di capi di governo, un’Assemblea parlamentare, diversi Comitati di ministri (Difesa, Istruzione) e una Commissione esecutiva o Segretariato da collocare possibilmente a Parigi, cosa che cominciò a sollevare non poche perplessità sulle reali intenzioni francesi.

Il 19 gennaio del 1962 la delegazione francese presentò un testo ancora più rigido, eliminando ogni riferimento ai rapporti con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), al fatto che alle nuove istituzioni non era consentito occuparsi di economia, e così via. Il Piano Fouchet fu quindi respinto il 17 aprile 1962 in una riunione dei ministri degli Esteri e con la forte opposizione dei paesi del Benelux, che temevano un eccesso di leadership francese e non accettavano né le richieste di autonomia dalla NATO, né, soprattutto, l’indebolimento delle istituzioni comunitarie, unico baluardo dei paesi di minori dimensioni contro l’emergente asse franco-tedesco. Con il fallimento del piano Fouchet, de Gaulle decise quindi di abbandonare i propri piani per la Comunità per dedicarsi invece a rafforzare il rapporto con Bonn attraverso la firma, il 22 gennaio 1963, del Trattato dell’Eliseo, un accordo bilaterale franco-tedesco che avrebbe dato negli anni molti frutti.

Roma, 29-30 maggio 1967. Gli anni che seguono il fallimento del piano Fouchet sono fra i più travagliati per le nascenti Comunità europee. Gli attriti fra de Gaulle e la Commissione europea, presieduta dal tedesco Walter Hallstein, si acuiscono sino ad arrivare al punto di rottura con la presentazione di un regolamento finanziario sulla PAC che di fatto dà un potere autonomo alla Commissione. La Francia rifiuta e de Gaulle decide di ritirare la delegazione francese dagli organi del Consiglio dei ministri: è la famosa politica della “sedia vuota” che dura sei mesi, dal giugno al dicembre del 1965. A quel punto serve un segnale di ripresa per non fare fallire il sogno comunitario. L’Italia propone il Vertice, prendendo a pretesto la celebrazione del decimo anniversario del Trattato di Roma (25 marzo 1957). Ma la data slitta fino a che il generale de Gaulle non ha l’assicurazione, ottenuta dal Cancelliere tedesco Kiesinger (v. Kiesinger, Kurt Georg), di allontanare dalla testa della Commissione Walter Hallstein, il che avviene puntualmente il 1° di luglio con la nomina del belga Jean Rey.

L’Aia, 1-2 dicembre 1969. Il quadro politico europeo è in questo periodo radicalmente cambiato. De Gaulle si è ormai ritirato dalla vita politica a causa delle gravi difficoltà economiche e di ordine pubblico interne (le rivolte studentesche del 1968) e della sconfitta nel referendum dell’aprile 1969. A succedergli viene chiamato George Pompidou, che trova come controparte tedesca il cancelliere Willy Brandt, anch’egli da poco approdato alla Cancelleria. Entrambi si interrogano sul futuro della Comunità, anche perché nel frattempo si è chiuso il periodo transitorio di applicazione del Trattato di Roma ed è quindi necessario individuare le linee per il futuro.

George Pompidou ha un ulteriore problema: quello di controbilanciare la nascente Ostpolitik di Brandt, che toglie spazio al romantico progetto vagheggiato da de Gaulle di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, rovinosamente crollato dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nella primavera del 1968. Per riuscire nel suo intento, Pompidou deve aprire le porte della Comunità al Regno Unito, dopo che de Gaulle lo aveva sdegnosamente respinto in due occasioni, nel 1962 e nel 1967. Si rovesciano quindi le vecchie priorità della Francia e si punta al rafforzamento della Comunità.

L’Aia rappresenta quindi un punto di svolta che dà anche una nuova dignità al Vertice. I Sei prendono tre decisioni principali, e definiscono altresì una serie di orientamenti significativi. La prima decisione è l’Allargamento a Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia (che respingerà l’offerta con un referendum nel 1973), nel quadro di un impegno politico orientato al raggiungimento di tre obiettivi: completamento, Approfondimento e, appunto, allargamento. L’intento è quello di consolidare le fondamenta della Comunità prima del grande passo dell’allargamento dai Sei a Nove.

La seconda decisione è l’avvio di un ambizioso piano di Unione economica e monetaria (UEM) che si concreterà nel Rapporto Werner sul primo esperimento di disciplina monetaria. Infine, si fa rientrare dalla porta di servizio il vecchio interesse francese alla cooperazione anche nel campo della politica estera: ma visto il fallimento del Piano Fouchet, l’approccio è minimalista e si esaurisce nella richiesta di un Rapporto Davignon (v. anche Davignon, Étienne), sulla Cooperazione politica europea (CPE). In ultimo si aprono le porte all’idea, a suo tempo duramente contrastata da de Gaulle, di un bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) basato su Risorse proprie e alla eventualità di conferire al Parlamento europeo poteri di controllo in materia.

Parigi, 19-20 ottobre 1972. Tanto era stato concreto l’incontro dell’Aia, tanto sarà retorico il Vertice di Parigi. Pompidou rilancia infatti il tema delle finalità politiche della Comunità e indica nell’Unione politica il fine ultimo. Tuttavia, per non prestare il fianco a sospetti, accetta la proposta di incaricare le stesse istituzioni comunitarie di predisporre un piano da sottoporre al Vertice successivo. Un ambizioso obiettivo viene anche indicato per l’UEM, sia decidendo di passare alla seconda fase del Piano Werner, con la nascita del cosiddetto “Serpente monetario”, sia indicando il 1980 come traguardo per il completamento dell’UEM. Come è noto, l’obiettivo verrà ampiamente mancato, ma la necessità di rafforzare la cooperazione europea diventerà sempre più impellente dopo lo shock monetario dell’agosto 1971 provocato dall’abbandono del sistema di Bretton Woods da parte degli Stati Uniti.

Inoltre, per rendere più accettabile l’allargamento si accenna alla necessità di accelerare il varo di politiche sociali (v. anche Politica sociale) e regionali comuni (v. anche Politica di coesione). Infine, si apprezzano i primi passi della CPE e si incarica Davignon di predisporre un secondo rapporto sui progressi da fare nel campo della politica estera.

Copenaghen, 14-15 dicembre 1973. È di nuovo un vertice fallimentare, poiché la coesione fra i Sei va scemando di fronte a tre diverse avversità. La prima è la crescente crisi economica che colpisce l’Europa, facendo saltare di fatto l’UEM sotto i colpi di una crescente inflazione. In secondo luogo interviene la crisi energetica derivata dalla guerra dello Yom Kippur in Medio Oriente e dal conseguente boicottaggio arabo sulla vendita del petrolio. A complicare le cose, infine, si innesta la proposta di Henry Alfred Kissinger di una “Nuova carta atlantica”, che viene letta come la riaffermazione della supremazia americana e della richiesta di un maggiore contributo finanziario europeo (burden sharing) alla difesa comune.

Per di più, l’atteggiamento morbido degli europei nei confronti degli arabi non fa che sottolineare le difficoltà nel dialogo transatlantico. A tale proposito il Vertice approva una dichiarazione sull’identità europea che contribuisce solo a rinfocolare i sospetti di Kissinger su una deriva autonomistica della Comunità. La riunione si svolge in stato di semi assedio, con i ministri arabi alle porte del Vertice per ottenere una chiara risposta europea di condanna nei confronti di Israele (che non parteciperà). Unica nota positiva è l’accordo sul fondo Fondo di coesione, che spalanca le porte all’entrata dei nuovi tre paesi nella CEE.

Parigi, 10-11 dicembre 1974. È l’ultimo Vertice. Esso rappresenta innanzitutto la piattaforma di lancio per tre nuovi leader, tutti eletti nell’anno e di carattere molto pragmatico: Valéry Giscard d’Estaing al posto di Pompidou; Helmut Schmidt che sostituisce il dimissionario Brandt; Harold Wilson, laburista, succede al conservatore Edward Heath.

Ma è soprattutto il rinnovato asse franco-tedesco a dare l’abbrivio a un nuovo vertice di successo. Per preparare bene le decisioni la riunione di Parigi viene preceduta da un incontro informale svoltosi il 14 settembre nella capitale francese tra capi di Stato e governo (noto come “summit picnic”). Si fissa quindi una larga e ambiziosa agenda che prevede sul piano delle politiche il rinegoziato inglese al bilancio comunitario, la ripresa dell’UEM, la politica energetica (v. anche Politica dell’energia), e sul piano istituzionale la regolarizzazione dei Vertici, le Elezioni dirette del Parlamento europeo e il rafforzamento del ruolo della presidenza (v. Presidenza dell’Unione europea).

Sul tema chiave, quello della trasformazione dei Vertici, l’idea francese è quella di mantenere un carattere estremamente informale alle riunioni, sulla base della filosofia all’epoca di moda del library group, ovverosia degli incontri al massimo livello, ma “accanto al caminetto”. In realtà, la regolarizzazione imporrà anche un certo grado di istituzionalizzazione dei Vertici.

A dicembre, quindi, il pacchetto di decisioni è già maturo. Per quanto riguarda le politiche si avvia un negoziato per trovare meccanismi correttivi al contributo inglese al bilancio comunitario, si completa il varo della politica regionale comune e non si abbandona l’idea di un maggiore coordinamento delle politiche economiche nazionali: un buon viatico per il futuro Sistema monetario europeo (SME) del 1979. Sulle questioni istituzionali si arriva rapidamente all’accordo per la sostituzione dei Vertici con i Consigli europei, indetti tre volte l’anno, e certamente meno informali di quanto desiderato da Giscard d’Estaing. Come contrappeso a una decisione che colloca di fatto i capi di Stato e di governo in testa alla piramide del sistema decisionale comunitario (v. anche Processo decisionale), sbilanciandolo sul versante intergovernativo, ci si accorda contemporaneamente per adempiere a un articolo del Trattato che prevede l’elezione diretta del Parlamento europeo, e si esorta ad usare il meno possibile il diritto di veto nel Consiglio. Infine, viene affidato al primo ministro belga Léo Tindemans il compito di predisporre un rapporto sull’Unione europea (v. Rapporto Tindemans).

In definitiva, la nascita e l’esistenza dei Vertici, nei chiaroscuri delle sue alterne vicende, è stata essenziale per creare le basi della attuale Unione europea, anche se al momento della loro trasformazione in Consiglio europeo la loro funzione appariva ormai esaurita, tanto da fare pronunciare a Valéry Giscard d’Estaing la famosa frase: «le Sommet européen est mort. Vive le Conseil européen».

Gianni Bonvicini (2010)

Bibliografia

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