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Kaiser, Jakob

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Con Konrad Adenauer e Kurt Schumacher, K. (Hammelburg, Baviera 1888-Berlino 1961) è considerato una delle figure politiche più importanti dell’immediato secondo dopoguerra in Germania. Affermatosi negli anni della Repubblica di Weimar (1919-1933) come leader sindacalista di area cristiana e come politico del partito del Centro (Zentrum), nel marzo 1933 K. si vede costretto, per disciplina di partito, a votare la legge dei pieni poteri (Ermächtigungsgesetz), che riconoscerà al governo guidato dal neodesignato cancelliere Adolf Hitler il potere di legiferare e di modificare la costituzione. K. rimpiangerà in seguito questa decisione, riconoscendo nel discorso di rifiuto del socialdemocratico Otto Wehls «l’unica posizione politicamente e moralmente ammissibile» (v. Kosthorst, 1972, p. 172). Così, sin dal 1934, K. entra in contatto con alcuni dei principali esponenti della Resistenza interna, tra cui il socialdemocratico Wilhelm Leuschner. Accusato di alto tradimento nel 1938, K. finisce nelle mani della Gestapo per alcuni mesi. Una volta uscito di prigione, K. prosegue la sua attività di resistenza e, nel 1941, si unisce al gruppo di cospiratori guidato da Carl Friedrich Goerdeler. Fallito l’attentato del 20 luglio 1944, tuttavia, l’ex sindacalista è costretto a nascondersi e a scomparire dalla circolazione fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Sarà uno dei pochi, nella cerchia ristretta dei suoi compagni di battaglia, a sfuggire alla cattura da parte dei nazisti e alla conseguente condanna a morte. Nel 1945 K. riemerge sulla scena politica come uno dei fondatori del Partito cristiano-democratico (Christlich-demokratische Union, CDU) nella zona di occupazione sovietica: nel dicembre dello stesso anno K. ne assume, insieme al suo vice Ernst Lemmer, la presidenza, dopo la destituzione, da parte dell’amministrazione militare sovietica, dei due predecessori che si erano opposti alla politica del Fronte democratico antifascista in materia di riforma agricola. Solo due anni dopo, nel dicembre 1947, la stessa sorte toccherà anche a K. e a Lemmer, i quali saranno allontanati, questa volta per aver rifiutato l’adesione della CDU orientale al “Movimento del congresso popolare”, il cui scopo era fornire alla politica sovietica in Germania l’apparenza di un consenso diffuso tra la popolazione. Più in generale, alla base di questa seconda epurazione, c’era l’indisponibilità dei sovietici a tollerare nella propria zona di occupazione la presenza di un leader politico come K. che, sia pure più disponibile di molti suoi colleghi di partito a ricercare un dialogo con Mosca, aveva sostenuto il Piano Marshall e, soprattutto, dichiarava con determinazione l’intento di realizzare una Germania unita, democratica e neutrale.

Portavoce di un “socialismo cristiano” e di una politica estera neutralista, K. propugnò tra il 1945 e il 1947 una visione sostanzialmente alternativa all’orientamento filo occidentale e integrazionista di Konrad Adenauer. Sul piano politico-sociale, l’impostazione di K. non era, tuttavia, né marxista, né classista, ma piuttosto di tipo solidaristico. In una riunione di partito, il 13 febbraio 1946, K. affermò in proposito: «Per noi la scelta democratica nel campo politico, e quella socialista in campo sociale ed economico, sono dominate dalla suprema legge della persona umana libera e cosciente della propria dignità; della persona umana che si inserisce nel più grande contesto, subordinandosi ad esso in base ad una libera decisione morale. Questo è per noi la natura del socialismo democratico fondato sulla responsabilità cristiana» (v. Mayer, 1988, p. 212). Tale concezione si sarebbe dovuta coniugare, nella visione di K., con una politica del non allineamento nelle relazioni internazionali: una prospettiva che, d’altra parte, non si limitava a rinnovare la tradizionale propensione della classe dirigente tedesca, da Bismarck a Stresemann, a escludere un’opzione tra Est e Ovest, dal momento che assegnava alla Germania postbellica la missione specifica di gettare un “ponte” tra i due poli. Sempre nello stesso discorso, K. proseguiva: «A me sembra che la Germania, nel quadro delle nazioni europee, abbia il compito di trovare la sintesi fra le idee orientali e quelle occidentali. Dobbiamo fare da ponte fra Est e Ovest» (ivi, p. 212).

Coerentemente con questa posizione neutralista, K. assunse nell’immediato dopoguerra un atteggiamento di netto rifiuto nei confronti di quelle proposte che contemplavano una rapida e incondizionata integrazione di una parte della Germania all’interno di una delle due zone di influenza, ritenendo che tali soluzioni avrebbero finito per aumentare la divisione del paese. In particolare, K. si oppose vigorosamente alla prospettiva di unificare l’Europa occidentale. In occasione della riunione di Pentecoste della CDU, che si tenne a Berlino nel giugno del 1946, K. attaccò duramente Adenauer, accusandolo di sostenere la linea europeista in un momento in cui il problema principale era, invece, a suo giudizio, quello dell’unità dello Stato nazionale: «Provo pertanto sempre una profonda ripugnanza quando sento invocare oggi da uomini politici tedeschi gli Stati Uniti d’Europa. […] Mi sembra che, con la Germania nello stato attuale, non sia il momento adatto per invocare gli Stati Uniti d’Europa. Occorre invece affrontare la vocazione Germania» (ivi, p. 261). Queste considerazioni si collocano, d’altra parte, in un periodo in cui il contrasto tra Est e Ovest non aveva ancora assunto la forma della Guerra fredda e l’ex sindacalista cristiano ancora credeva possibile impedire la divisione del paese. Nel novembre 1948, all’indomani dello scoppio della prima crisi di Berlino, anche K. dovette riconoscere, infatti, l’impraticabilità, anche se non l’illusorietà, della sua politica neutralista; una politica che, fino a quel momento, aveva predicato l’assoluta necessità di ricercare un dialogo con l’Unione Sovietica (v. Schwarz, 1980, p. 343).

Costretto a lasciare Berlino Est, K. continuò la sua azione politica nella neonata Repubblica Federale Tedesca (RFT). Nonostante i forti contrasti del periodo precedente o, forse, proprio per neutralizzare quello che, all’interno della democrazia cristiana, era stato fino ad allora il suo più temibile rivale, il cancelliere Adenauer gli affidò, nel 1949, il ministero agli Affari pantedeschi; incarico che K. ricoprirà fino al 1957. In questi anni K. si allineò, senza tuttavia piegarsi, alla politica di piena integrazione con l’Occidente. La sua partecipazione alla Bundesregierung non gli impedì, infatti, di assumere posizioni che lo videro, spesso e volentieri, in contraddizione con la maggior parte della coalizione di governo. In particolare, nel 1950, K. si oppose, così come il suo amico nonché ministro degli Interni, Gustav Heinemann (che poco dopo uscirà dal governo), all’ingresso della RFT nel Consiglio d’Europa, ritenendo inaccettabile aderire a un’istituzione che riconosceva la Saar come un territorio autonomo e, nei fatti, separato dalla Germania. K. temeva soprattutto che un cedimento sulla Saar avrebbe potuto indebolire anche le ambizioni tedesche sui territori orientali al di là dell’Oder e della Neisse. All’indomani della nota di Stalin del marzo 1952, poi, K. cercò, invano, di convincere il governo di cui faceva parte a sondare le effettive possibilità di trovare un’intesa con Mosca sulla questione della riunificazione tedesca. Rimase, pertanto, fortemente deluso, dopo un duro scontro con Adenauer, dall’atteggiamento di netta chiusura assunto dal cancelliere sulla questione. Nel giugno 1954, K. fondò, insieme a Herbert Wehner (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD), l’allora presidente federale, Theodor Heuss (Freie demokratische Partei, FDP), e ad alcuni esponenti del mondo della cultura – tra i più veementi critici di Adenauer, come Paul Sethe, Karl Silex e Wilhelm Wolfgang Schütz –, il Curatorio Germania indivisibile; un organismo preposto, secondo la celebre definizione dello storico Wolfrum, a «curare il culto dello Stato nazionale tedesco». Infine, il 19 novembre dello stesso anno, K. s’isolò ulteriormente dai suoi colleghi di partito, votando come unico esponente della CDU, insieme a quattro deputati della FDP, contro l’approvazione dello statuto della Saar. La successiva bocciatura, nell’ottobre 1955, da parte della popolazione della Saar del suddetto statuto, così come il ricongiungimento del territorio alla Germania verranno, pertanto, vissuti da K. anche come una piccola vittoria personale. Nel 1957 K. si ammalò gravemente. Prima della sua scomparsa, il 7 maggio 1961, riceverà la cittadinanza onoraria di Berlino. Non farà quindi in tempo ad assistere alla costruzione di quel muro che, soprattutto da un punto di vista simbolico, cementerà la divisione tra le due Germanie.

Gabriele D’Ottavio (2010)

Bibliografia

Conze W., Jakob Kaiser, Politiker zwischen Ost und West 1945-1949, Kohlhammer, Stuttgart 1969.

Hacke C. Jakob Kaiser: Wir haben Brücke zu sein. Reden, Äusserungen und Aufsätze zur Deutschlandpolitik, Wissenschaft und Politik, Köln 1988.

Kosthorst E., Jakob Kaiser der Arbeitsführer, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz 1967.

Mayer T., (a cura di), Jakob Kaiser. Gewerkschafter und Patriot. Eine Werkauswahl, Bund-Verlag, Köln 1988.

Schwarz H.P., Vom Reich zur Bundesrepublik. Deutschland im Widerstreit der außenpolitischen Konzeptionen in den Jahren der Besatzungsherrschaft 1945-1949, Klett-Cotta, Berlin-Stuttgart 1980.