Kreisky, Bruno

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K. (Vienna 1911-ivi 1990), cresciuto in una famiglia di produttori tessili di origine ebraica e di orientamento socialista, si avvicinò fin dall’adolescenza a quella corrente politica. Iscrittosi quindicenne alla sezione giovanile della Sozialdemokratische Arbeiterpartei, iniziò a svolgere la sua attività politica negli anni Venti, affermandosi rapidamente come uno dei più promettenti organizzatori viennesi.

La formazione politica del giovane K. avvenne in un momento particolarmente tormentato della storia austriaca: nella repubblica la contrapposizione tra socialisti e cristiano-democratici andava infatti assumendo una conflittualità e una violenza sempre più marcate. Nella seconda metà degli anni Venti avevano fatto la loro comparsa sulla scena anche le forze nazionaliste, tra cui spiccavano le milizie paramilitari delle Heimwehren, che avevano accentuato ulteriormente il clima di violenza politica. Di fronte alla conflittualità montante i governi cristiano-democratici impressero una spinta autoritaria al sistema. Engelbert Dollfuss, cancelliere dal 1932, ingaggiò una lotta senza quartiere contro gli estremismi di destra e di sinistra e venne infine ucciso nel luglio 1934 dai nazisti. Il suo successore, Kurt von Schuschnigg, adottò misure repressive vieppiù rigide che colpirono soprattutto i socialisti.

In quel frangente K. aveva aderito alla Revolutionäre Sozialistische Jugend, riuscendo però solo per breve tempo a svolgere attività politica: arrestato agli inizi del 1935 e accusato di alto tradimento, rimase in carcere per oltre un anno. Rilasciato, visse una situazione difficile, impossibilitato a concludere gli studi e con il divieto di lasciare il paese.

L’annessione dell’Austria al Reich tedesco nel marzo 1938 costrinse K., ebreo e socialista, ad abbandonare in estate il paese e a riparare in Svezia. Nel paese scandinavo visse un periodo estremamente importante per la sua crescita umana e politica. Lì conobbe Vera Fürth, che avrebbe sposato nel 1942 e dalla quale avrebbe avuto due figli. Svolse attività giornalistica e si affermò come uno dei principali esponenti del socialismo austriaco in esilio. Fu un periodo cruciale anche perché in quegli anni K. ebbe modo di confrontarsi con i futuri leader del socialismo europeo: fu infatti in quel frangente che conobbe Willy Brandt, assieme al quale avrebbe imposto all’Europa del dopoguerra una nuova interpretazione dei compiti della socialdemocrazia.

Nonostante la liberazione dell’Austria a partire dalla fine del 1943 e il prestigio personale di cui godeva, K. decise di rimanere in Svezia fino al 1946 e di rientrare definitivamente in Austria solo nel 1951. In quel periodo trovò lavoro presso la rappresentanza diplomatica austriaca a Stoccolma, un incarico la cui marginalità strideva rispetto alla carriera compiuta in gioventù e alle funzioni svolte durante la guerra. Anche l’incarico di funzionario al ministero degli Affari esteri, che ottenne al rientro in Austria, appariva inferiore alle sue capacità.

La situazione iniziò a mutare con la morte di Karl Renner e con l’elezione a presidente della Repubblica di Theodor Körner, già sindaco di Vienna e rappresentante di spicco del socialismo d’anteguerra. Körner apprezzava K. e lo incluse nel suo staff come consigliere politico. Nel 1953 K. venne nominato sottosegretario al dipartimento degli Affari esteri della cancelleria, e in tale veste ebbe modo di partecipare attivamente a uno dei momenti cruciali della storia austriaca del dopoguerra.

Con la morte di Stalin si era infatti aperta una fase di disgelo tra i due blocchi che rese possibile il superamento consensuale di alcune questioni irrisolte circa l’assetto di pace, tra cui quella del ripristino della sovranità austriaca. Al principio del 1955 i sovietici si dichiararono disponibili a intavolare trattative per la stipula di un trattato di pace e per la cessazione del regime di occupazione. La risposta positiva del governo di Vienna favorì la ripresa delle trattative tra Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Regno Unito, che si conclusero il 15 maggio con la firma del Trattato di Stato (Staatsvertrag). Il prezzo che l’Austria dovette pagare per la riconquista della sovranità fu l’assunzione di una condizione di neutralità permanente, che portava con sé l’impossibilità di aderire alle alleanze militari facenti capo ai due blocchi.

La partecipazione a quei negoziati diede a K. un indubbio prestigio e lo rilanciò all’interno della Sozialdemokratische Partei Österreichs (SPÖ), nelle cui fila venne eletto deputato nel 1956. In quegli anni si concentrò sempre più sulle questioni di politica internazionale, per le quali aveva una innegabile sensibilità. Il suo principale obiettivo divenne la valorizzazione del ruolo internazionale dell’Austria nei limiti imposti dal trattato di Stato: si andò delineando il concetto di “neutralità attiva”, in base al quale l’Austria avrebbe dovuto sfruttare la sua condizione di paese neutrale e sostanzialmente privo di rivendicazioni per accreditarsi come attore di riferimento delle grandi mediazioni internazionali.

Fu questo lo spirito con cui K. assunse nel 1959 la guida del ministero degli Affari esteri nel governo di coalizione con la Österreichische Volkspartei (ÖVP) guidata da Julius Raab. Durante l’esperienza alla guida della diplomazia austriaca, durata fino al 1966, K. portò avanti il processo di avvicinamento ai paesi dell’Europa occidentale: nell’impossibilità di inserirsi direttamente nel processo di integrazione comunitaria, inaccettabile vista l’identificazione che in quegli anni si faceva tra integrazione europea e orientamento atlantico, K. fu tra i promotori di un’associazione di libero scambio che riunisse i paesi esclusi a vario titolo dal processo comunitario (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Tale iniziativa si tradusse, come noto, nell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), istituita nel 1960.

Di questa stagione della politica estera austriaca va sicuramente ricordata la controversia dell’Alto Adige, che proprio durante la permanenza di K. al ministero degli Esteri raggiunse il suo culmine. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta il governo di Vienna aveva promosso una campagna per la retrocessione del Tirolo meridionale all’Austria, la quale aveva ottenuto il pieno sostegno della popolazione. Sotto la spinta delle correnti irredentiste tirolesi, le autorità nazionali avevano finito per assumere una posizione intransigente e di aperto contrasto con l’Italia. Nella visione di K. la questione dell’Alto Adige non assumeva il valore sentimentale che invece aveva per altri politici austriaci, e questo lo favorì nell’affrontare la vertenza con realismo. Ciò nondimeno, come ministro non poté astenersi dall’assecondare gli umori del paese, orientato sempre più in senso oltranzista: portò la vertenza all’attenzione della comunità internazionale con un ricorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che però frustrò le pretese austriache. L’invito, contenuto nella risoluzione 1947/XV dell’Assemblea, ad avviare trattative dirette tra Italia e Austria, vide K. attivo nel promuovere i negoziati con l’Italia, dove trovò valide controparti in Antonio Segni e Giuseppe Saragat, nonché in Aldo Moro. Per parte sua, K. portò avanti la trattativa rescindendo progressivamente i legami con le frange estremiste dell’irredentismo tirolese. Non riuscì però a portare a termine personalmente il negoziato, perché nel 1966 i popolari ottennero la maggioranza assoluta al Nationalrat e posero fine al governo di coalizione. La composizione della controversia sarebbe stata formalizzata nell’intesa che il suo successore, Kurt Waldheim, avrebbe firmato con Moro nel 1969.

Il modo in cui K. gestì la vicenda altoatesina è indicativo del modo in cui concepiva la politica europea: al pari di altri statisti del tempo, come Brandt o Moro, K. vedeva le questioni ereditate dalla guerra per certi versi come un fardello del passato, di cui i paesi europei avrebbero dovuto sbarazzarsi per poter meglio affrontare le sfide dei tempi moderni. In questa ottica va inquadrata la sua aspirazione a chiudere con un accordo negoziale la vicenda altoatesina, come anche l’attuazione di politiche a sostegno delle minoranze, tra cui spicca quella per la tutela della minoranza slovena in Carinzia.

Abbandonata la guida degli Esteri, nel 1967 K. divenne presidente dell’SPÖ, avviando un ampio processo di modernizzazione che permise al partito di trasformarsi in una formazione interclassista aperta ai ceti borghesi e al mondo cattolico, all’interno del quale K. trovò un autorevole interlocutore nell’arcivescovo di Vienna, cardinale Franz König. L’azione del partito si concentrò sui temi dell’economia e della riforma del sistema giudiziario ed amministrativo e della pubblica istruzione, incontrando un consenso crescente dell’opinione pubblica.

Le elezioni politiche, celebrate nell’aprile 1970, portarono per la prima volta dal dopoguerra i socialisti ad ottenere la maggioranza al Nationalrat. Il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta obbligò tuttavia K. a tentare la formazione di un governo di coalizione con l’ÖVP. Dopo il fallimento delle trattative con i popolari ottenne il sostegno della Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), che gli permise di varare l’esecutivo. Il tentativo dei popolari, che fecero cadere il governo determinando il ricorso alle elezioni anticipate, di riportare i socialisti all’opposizione si rivelò fallimentare: la consultazione elettorale dell’ottobre 1971 consegnò all’Spö la maggioranza assoluta in parlamento.

Si apriva quella che è stata ribattezzata l’“era K.”, durata oltre un decennio e durante la quale fu avviata una vasta opera di ammodernamento dell’apparato statale e furono varate importanti riforme. Pur costretto ad operare in una congiuntura economica avversa, K. rafforzò lo Stato sociale e i diritti dei lavoratori, favorì il diritto allo studio, portando altresì a termine il processo di normalizzazione dei rapporti con la Chiesa cattolica.

Il lungo cancellierato K., terminato nel maggio 1983, si caratterizzò anche per una accentuazione del protagonismo austriaco in politica estera. Coerentemente con le premesse formulate durante la permanenza al ministero degli Esteri, K. seguì in prima persona le vicende di politica internazionale, mettendo sovente in ombra i suoi ministri degli Esteri.

La sua azione si orientò a favorire la distensione tra Est e Ovest, trasformando Vienna in uno dei luoghi più rappresentativi di quella stagione politica: la capitale austriaca ospitò i vari negoziati per la limitazione delle armi strategiche (SALT) tra Stati Uniti e Unione Sovietica e l’incontro del 1979 tra Jimmy Carter e Leonid Brežnev. Il riconoscimento di questo impegno avvenne con la costruzione del palazzo delle Nazioni Unite di Vienna, che divenne la terza sede dell’ONU dopo New York e Ginevra.

Parallelamente alla politica in favore della distensione tra le due superpotenze K. promosse anche l’integrazione tra i paesi dell’Europa: in questa prospettiva vanno letti i suoi sforzi per favorire la convergenza tra la Comunità economica europea (CEE) e l’EFTA, sancita formalmente dagli accordi siglati nel 1972. Ma su questo terreno K. poté percepire anche i limiti della politica estera dell’Austria, capace di operare grandi mediazioni, ma incapace di optare liberamente per la CEE, cosa che avrebbe potuto fare solo al termine del confronto bipolare.

Alla dialettica Est-Ovest K. affiancò infine quella Nord-Sud, trovando autorevoli sostenitori tra i leader socialdemocratici dell’Europa occidentale, dal già citato Brandt al primo ministro svedese Olof Palme. All’interno di questa strategia il cancelliere austriaco dedicò molta attenzione alle vicende del Medio Oriente e del mondo arabo. Si adoperò per mediare tra Israele ed Egitto e contribuì in modo fattivo alla conclusione degli accordi di pace di Camp David. Successivamente continuò ad impegnarsi per la risoluzione del conflitto tra Israele e i palestinesi, promuovendo l’inserimento dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nei colloqui di pace. Questa politica filoaraba non lo favorì nei rapporti con Israele e anche in patria fu oggetto di severe critiche.

Sul fronte interno la leadership di K. rimase indiscussa per l’intero corso degli anni Settanta, anche se una serie di vicende appannarono progressivamente l’immagine dell’esecutivo: sin dal 1975 K. si trovò in polemica con Simon Wiesenthal sull’opportunità di continuare a perseguire gli ex nazisti, alcuni dei quali si trovavano in posizioni di primo piano nella politica austriaca. L’atteggiamento del cancelliere, contrario a quella che giudicava una caccia alle streghe, risultò ad avviso di molti suoi concittadini inspiegabile e inaccettabile, soprattutto tenuto conto del fatto che K. proveniva da una famiglia di religione ebraica. Quando poi, nel 1977, scoppiò lo scandalo di presunte forniture di armi alla Siria, l’appiattimento austriaco sulle posizioni arabe risultò sempre meno giustificabile.

Quando, nel 1983, l’SPÖ perse la maggioranza assoluta e diede vita a una maggioranza con l’FPÖ K. si ritirò. Dopo l’uscita dalla politica attiva K. continuò a partecipare alla vita del paese, concentrandosi su alcune grandi tematiche della politica internazionale, soprattutto sulla mediazione tra Israele e OLP e sui problemi dello sviluppo. Continuò a seguire il processo di integrazione europea, che nel 1986 trasse nuova linfa dall’approvazione dell’Atto unico europeo.

Federico Niglia (2012)