Madariaga, Salvador de

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M. (La Coruña, Galizia, 1886-Locarno 1978), figlio di un militare del Corpo di Intendenza, si trasferì dalla Galizia a Madrid nel 1898. Nel 1900 fu mandato dalla sua famiglia a Parigi, dove studiò al Politecnico laureandosi in ingegneria nel 1911. Tornato in Spagna iniziò la sua carriera politica iscrivendosi alla Liga de educación política fodata da José Ortega y Gasset, nonché la sua attività di scrittore e saggista. In virtù di questo retroterra M. si inquadra in quella generazione di intellettuali spagnoli del 1914, profondamente segnata dall’impatto della Prima guerra mondiale su una Spagna neutrale.

Abbandonata l’attività di ingegnere, M. si dedicò al giornalismo trasferendosi a Londra nel 1916 come corrispondente per le questioni spagnole del “Times” e collaborando, al contempo, all’organizzazione guerra della propaganda bellica britannica in lingua spagnola. In questo periodo prende forma anche l’impegno europeista di M, che consolida altresì il suo prestigio come scrittore e pubblicista.

Tornato in Spagna nel 1921, M. fece parte, in qualità di tecnico, della delegazione spagnola alla Conferenza sul regime internazionale delle strade ferrate organizzata a Barcellona dalla Società delle Nazioni. In questa occasione entrò in contatto con Robert Haas, il quale gli propose di iniziare a lavorare nella Segreteria generale della Società delle Nazioni a Ginevra. Cominciò così la carriera di funzionario internazionale di M., che tra il 1921 e il 1927 fece parte della commissione tecnica, dell’ufficio stampa e infine divenne capo dell’Ufficio della Commissione per il disarmo. Frutto della sua esperienza a Ginevra fu la pubblicazione, nel 1929, del libro Disarmament, in cui si indicava nella carenza di fiducia reciproca il problema principale per la cooperazione internazionale.

Nel 1928 M. abbandonò la Società delle Nazioni, e dopo un viaggio negli Stati Uniti – dove tenne varie conferenze alla Foreign policy association e alla League of Nations Union – divenne professore di letteratura spagnola all’Università di Oxford. Tuttavia, insofferente dei formalismi e delle limitazioni della vita accademica, nel 1931 chiese un anno sabbatico e iniziò un giro di conferenze negli Stati Uniti, Messico e Cuba.

Mentre M. era all’estero nelle elezioni municipali del 12 aprile il trionfo dei partiti repubblicani in Spagna decretò la fine della monarchia, e M. si vide proporre l’incarico di ambasciatore della Repubblica spagnola a Washington. Nonostante i dubbi e le incertezze iniziali (non si era mai dichiarato repubblicano), accettò l’incarico, conservandolo però solo poche settimane. Va ricordato altresì il suo ruolo di deputato nella Costituente della II Repubblica e la militanza in un partito repubblicano galiziano, vicino all’Azione repubblicana di Manuel Azana, allora presidente del governo.

Tuttavia, le cause della breve permanenza di M. a Washington in qualità di ambasciatore non vanno cercate nella politica interna quanto nelle convulsioni della società internazionale e nella priorità data dalla diplomazia repubblicana alla Francia e alla Società delle Nazioni. Ciò spiega la nomina di M. ad ambasciatore a Parigi (10 dicembre 1931) e il suo immediato stanziamento a Ginevra in qualità di capo della delegazione spagnola alla Società delle Nazioni e di rappresentante nella Conferenza per il disarmo (settembre 1932), incarichi che M. cercò di conciliare negli anni seguenti svolgendo una intensa attività sia come presidente della Commissione per il disarmo aereo, sia partecipando tra le altre cose ai dibattiti in seno al Consiglio sui conflitti tra Cina e Giappone, Italia ed Etiopia e Bolivia-Paraguay.

In questa duplice veste diplomatica, bilaterale relativamente al governo francese, multilaterale nell’ambito della Società delle Nazioni, M. partecipò attivamente alla formulazione della politica estera spagnola fino alla guerra civile. Nella fattispecie, nel saggio Nota sobre política exterior de España M. evidenziava la necessità di una interazione fra gli obiettivi della politica estera spagnola, i propositi degli organismi internazionali, la cooperazione bilaterale o multilaterale per il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale, il sostegno delle relazioni di amicizia fra i paesi e la soluzione dei problemi internazionali di carattere politico, economico o culturale: «Il principio supportare fondamentale su cui deve basarsi la politica estera spagnola sarà, in ambito politico, il Patto della Società delle Nazioni; per quanto riguarda la classe operaia, quello che guida l’Ufficio internazionale del lavoro; nell’ambito dei conflitti internazionali, la giurisprudenza e l’attività della Corte di giustizia dell’Aia».

Per M. l’instaurazione della pace europea non avrebbe potuto avere che ripercussioni positive nella posizione internazionale spagnola. Pertanto la delegazione spagnola alla Società delle Nazioni perseguì una politica caratterizzata dalla libertà e dall’indipendenza rispetto alle grandi potenze, tanto che il suo ispiratore divenne presidente del gruppo dei paesi neutrali europei – paesi scandinavi, Olanda (v. Paesi Bassi), Belgio, Cecoslovacchia, Svizzera e Spagna.

Come osserverà in seguito M., «la Spagna continuò a perseguire a Ginevra una politica di collaborazione con le nazioni democratiche di secondo ordine. Neutrale nei confronti della lotta per il potere, endemica in Europa, mantenne uno stretto contatto con la Francia e la Gran Bretagna senza per questo scontrarsi con altre grandi potenze; e astenersi pur astenendosi da qualsiasi pretesa o azione come paese dirigente di un qualche gruppo, seguì con particolare interesse l’attività delle nazioni di lingua e cultura spagnola all’interno del Parlamento delle nazioni».

M. fu certamente uno dei politici e diplomatici spagnoli tra le due guerre che possedeva una visione più ampia, per certi versi utopistica delle relazioni internazionali. Alla base del suo pensiero vi era la convinzione che l’esistenza della Società delle Nazioni avrebbe potuto costruire l’inizio di una nuova fase nelle relazioni interstatali, a patto che le circostanze mondiali fossero favorevoli e che gli Stati membri identificassero i propri interessi particolari con lo schema di sicurezza collettiva elaborato dalla Società delle Nazioni. La missione principale di quest’ultima era a suo avviso quella di diventare un ente permanente, universale e di carattere ufficiale, destinato a mantenere la pace fra le nazioni e, in ultima istanza, a favorire l’istituzione di uno Stato federale di portata mondiale (v. Federalismo).

Nel frattempo, però, la Società si impegnava in missioni concrete, quali la salvaguardia della pace o la costituzione di un ente di polizia per il disarmo. Secondo M., gli Stati avrebbero dovuto consolidare la giurisdizione e le competenze della Società delle Nazioni in tali campi, utilizzando i poteri coercitivi riconosciuti dal suo patto costitutivo e favorendo una coscienza universalistica nonostante i particolarismi nazionali. Tipico prodotto dello spirito ginevrino degli anni Venti, il diplomatico spagnolo operava all’interno della Società delle nazioni con un misto di realismo di fronte ai problemi concreti e di afflato utopistico tipico di un liberale che credeva nel futuro di un sistema internazionale agonizzante, potenzialità che però, a suo parare, erano in procinto di svilupparsi.

Dopo le elezioni legislative del 1933, il nuovo presidente del governo di centrodestra Alejandro Lerroux offriva a M, in settembre, il ministero degli Esteri, che egli rifiutò. In seguito però, nel marzo 1934, dopo una crisi di governo, accettò il ministero dell’Istruzione che gestì contemporaneamente al ministero di Giustizia. In questa circostanza emerse lo scarso opportunismo politico di M., che di in breve tempo riuscì a inimicarsi la sinistra concedendo un’amnistia che beneficiava i cospiratori antirepubblicani. Nel complesso, la sua permanenza al governo durò appena cinque settimane, dato il contesto politico conflittuale e in via di radicalizzazione della Seconda repubblica. Dopo questa breve parentesi, M. riprese il suo incarico di capo della delegazione spagnola alla Società delle Nazioni fino termine alla fine della Conferenza sul disarmo, nel giugno 1934.

Durante un viaggio ufficiale in Sudamerica M. venne a conoscenza del tentativo di rivoluzione dell’ottobre 1934 in Spagna e della durissima repressione messa in atto dal governo. M. si mostrò particolarmente critico nei confronti di questa reazione, soprattutto dopo l’arresto dell’ex presidente del governo, Manuel Azana. Ciò gli procurò la sfiducia della destra al potere, che non lo nominò rappresentante permanente nella Società delle Nazioni, e tuttavia, in mancanza di personale qualificato, non mancò di servirsi di lui in caso di necessità.

Nel gennaio 1935 M. tornò quindi a Ginevra e in aprile fu incaricato di presiedere la commissione arbitrale incaricata di risolvere le controversie tra Germania e Francia in seno alla Società delle Nazioni. In questo ruolo assistette nel settembre 1935 alla sessione del Consiglio in cui emersero tutte le difficoltà che attraversava non solo l’organizzazione ginevrina, ma anche l’intero meccanismo di sicurezza collettiva in Europa così faticosamente costruito durante anni Venti. Nello stesso periodo M. partecipò anche in veste di presidente al Comitato dei Cinque – Spagna, Francia, Gran Bretagna (v. Regno Unito), Polonia e Turchia, che cercò invano di impedire l’aggressione italiana in Abissinia.

Il pessimismo indotto sia dalla situazione interna della Spagna, sia dalla situazione internazionale, indusse M. a scrivere un altro saggio di tono polemico, Anarquía o Jerarquía, Ideario para la creación de la Tercera República Española, in cui illustrava il pericolo che correva la democrazia liberale tanto per la sinistra quanto per la destra, proponendo un modello alternativo allo Stato totalitario.

Nei primi mesi del 1936 M. si recò in visita a Budapest per conto della Società delle Nazioni, e e poi a Vienna e a Praga per conto del governo spagnolo. L’obiettivo del viaggio era quello di valutare problemi internazionali esistenti fra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia da un lato e Germania dall’altro. Allo stesso tempo, assistette alla disfatta della Società delle Nazioni in occasione della aggressione dell’Italia contro l’Etiopia.

Dopo la vittoria del Fronte popolare in Spagna (febbraio 1936), M. fu oggetto di duri attacchi da parte della stampa repubblicana e socialista, dovuti principalmente ai risentimenti suscitati durante la sua breve permanenza al ministero di Giustizia, ma anche alla posizione da lui assunta rispetto al progetto di riforma del Patto della Società delle Nazioni, nella fattispecie dell’articolo 16 relativo alle sanzioni nell’ambito della crisi in Abissinia. M. si trovò così in una situazione insostenibile, sia Ginevra che in Spagna; alla metà del 1936 si considerava già, per citare le sue parole, «un parlamentare europeo liberale in un momento in cui nessuno era interessato all’Europa, né al sistema parlamentare o al liberalismo. Questa fu la vera ragione che mi spinse a emigrare».

Lo scoppio della guerra civile spagnola, il 18 giugno 1936, a seguito di un fallito colpo di Stato militare, sorprese M. a Toledo, sul punto di essere fucilato perché scambiato da miliziani repubblicani per un deputato di destra. In agosto riuscì a fuggire dalla Spagna rifugiandosi temporaneamente a Ginevra. A partire da questo momento M. criticò attivamente le due fazioni in lotta, una equidistanza che gli procurò l’ostilità di ambo le parti. Paradossalmente, in questo stesso anno fu proposta la sua candidatura per il premio Nobel per la pace.

La guerra spagnola e la situazione internazionale improntarono l’attività di M. nei due anni seguenti. Da una parte avviò una serie di contatti con diverse cancellerie con l’obiettivo ultimo di porre fine alla guerra, sia attraverso un accordo fra i due contendenti, sia attraverso un intervento delle potenze straniere. In questa circostanza emerse il “donchisciottismo” di M., il quale era convinto di avere i mezzi sufficienti per porre definitivamente fine al conflitto, e si impegnò personalmente nella creazione di una “Fondazione mondiale” per la promozione della pace e l’integrazione mondiale.

Nello stesso tempo M. svolse una intensa attività pubblicistica e scrisse varie opere sulla teoria delle relazioni internazionali chiaramente influenzate dalla sua esperienza nella Società delle Nazioni negli anni Trenta e dall’atteggiamento internazionale nei confronti della guerra civile spagnola (Theory and practice in international relations, 1937; Le grande dessein, 1939).

In realtà, in quel momento ci sarebbe voluto ben altro che non il prestigio politico, l’autorità morale e la capacità di azione di M. per porre fine alla guerra. Le sue proposte erano considerate dalle principali ambasciate “fantastiche e pericolose”, mentre la sua equidistanza dalle due fazioni spagnole in guerra gli attirava le ire sia della destra che della sinistra. Dopo il fallimento delle sue missioni – soprattutto dopo la caduta del gabinetto di Anthony Eden, suo principale sostenitore – M. si ritirò a Oxford, riprendendo la propria attività letteraria e universitaria e collaborando con la BBC.

Durante la Seconda guerra mondiale M dedicò tutte le sue energie al sostegno della causa degli Alleati e al ristabilimento della democrazia in Spagna, interpretando la crisi spagnola e la guerra mondiale come una conseguenza della perdita di libertà spirituale causata dai totalitarismi. Proseguirono nel frattempo i suoi tentativi di creare un governo alternativo a quello Franco in grado di ottenere il sostegno degli Alleati, scontrandosi ancora una volta con le fratture esistenti in seno all’opposizione antifranchista, assai frammentata.

Il secondo dopoguerra segnò l’inizio di una seconda tappa nell’attività internazionale di M., imperniata attorno all’obiettivo dell’unità europea. Nell’ambito della sua attività europeista M. fu eletto presidente dell’Internazionale liberale nel 1947 (Congresso dei partiti liberali europei di Bruxelles), presidente del Comitato culturale del Congresso dell’Aia nel 1948 e della Sessione culturale del Movimento europeo internazionale, infine, nel 1949, presidente del Collegio d’Europa a Bruges.

Parallelamente, i suoi attacchi a Franco tramite la radio e la stampa internazionali lo trasformarono in uno dei peggiori nemici del regime franchista. Infatti, M. finì per incarnare l’immagine di una Spagna civile, umanitaria, laica e democratica, a fronte della dittatura nazionale cattolica di fasciste matrice fascista rappresentata dal regime di Franco. La posizione indipendente assunta durante la guerra civile gli assicurava un grande prestigio politico.

Come europeista, M. cominciò ad acquistare notorietà a partire dall’invito da parte del Comitato internazionale di coordinament dei Movimenti per l’unità europea a partecipare a un Congresso sull’Europa svoltosi tra il 7 e il 10 maggio 1948 all’Aia. In questa occasione fu nominato presidente della Commissione culturale, incaricata di individuare i principi essenziali di una identità e di una coscienza europee. La Commissione costruita era costituita, oltre che da M., da altri illustri personaggi quali R. Aron (v. Aron, Raymond), L. Curtis, R. Dautry, T.S. Elliot, E. Gilson, K. Lindsay, A. Moravia, P. Montel, C. Morgan, J. Rathinger, B. Russell, C. Schmid (v. Schmid, Carlo), e D. Rougemont (v. Rougemont, Denis de).

In questa occasione M. pronunciò uno dei suoi discorsi più brillanti e senza dubbio il più conosciuto e il più citato: «Bisogna fare l’Europa. Siamo qui per questo, spinti da due sentimenti, uno negativo, la paura, e l’altro positivo, l’ispirazione creatrice dall’altra. L’Europa deve nascere affinché le nostre nazioni non muoiano. L’Europa deve nascere perché l’abbiamo concepita. Le tradizioni si completano. Il pericolo stimola l’essere e l’essere allontana il pericolo. Ma quel che uno e l’altro esigono è differente […]. Quest’Europa vivrà quando lo spirito che governa la Storia pronuncerà le parole: Fiat Europa».

La risoluzione approvata dal Congresso de L’Aia secondo la Commissione Culturale si proponeva di creare un organismo permanente con il compito di studiare la natura e la composizione di un Centro europeo della cultura. Questo organismo, senza essere posto sotto il controllo di alcun governo, avrebbe dovuto trasmettere ai cittadini l’idea di Europa, stimolando la presa di coscienza di una comunità europea per mezzo di informazioni e iniziative nel campo della stampa, della pubblicità, della radio e del cinema, così come nell’insegnamento dalle scuole secondarie e superiori.

Il primo passo in questa direzione fu la creazione nel febbraio 1949 nella Sezione culturale del Movimento europeo, presieduta da M., di un gruppo di studio per la creazione di un Centro europeo della cultura, che avrebbe convocato una Conferenza sulla cultura tenuta a Losanna nel dicembre dello stesso anno approvando nel contempo la creazione di tre organismi indipendenti: il Centro europeo della cultura a Ginevra, il Collegio europeo a Bruges e il Laboratorio europeo di fisica nucleare.

M. partecipò attivamente alle due prime iniziative. Presidente del Consiglio di direzione del Centro europeo della cultura tra il 1951 e il 1954 (incaricò che però lasciò di sua iniziativa), ebbe un ruolo da protagonista soprattutto nella creazione del Collegio europeo di Bruges.

L’idea di creare un’istituzione europea nell’ambito dell’istruzione superiore era un’aspirazione dei gruppi europeisti manifestata tanto all’Aia quanto a Losanna. Date le difficoltà del progetto, tuttavia, in un primo momento si cercò di promuovere un insegnamento europeo nelle università già esistenti mezzo attraverso una federazione europea del tutto autonoma rispetto agli Stati nazionali e alle pressioni politiche di qualunque tipo.

Questo approccio prudente derivava dalla posizione di M. e di Dennis de Rougemont, personalità tra le più influenti della Sezione culturale del Movimento europeo, i quali non ritenevano opportuno conferire a un’unica istituzione lo status di università europea, né credevano possibile creare una nuova città europea a questo scopo, tra le altre cose per la situazione economica e per la convinzione che ciò fosse consono all’obiettivo della costruzione di un’Europa unita.

Ciononostante, nel gennaio 1949 iniziò una serie di consultazioni tra Julius Hoste, M. e le autorità municipali di Bruges, fortemente europeiste, per valutare la possibilità di fare di questa città la sede di una università europea. La proposta finale fu la creazione di un istituto europeo di formazione postuniversitaria, un’idea alla quale M., negli anni Trenta, aveva fatto spesso riferimento. Poco dopo fu scelto il nome di Collegio d’Europa per tale istituto, finalizzato a sviluppare una coscienza europea, a rivitalizzare la sua base spirituale comune e a preparare i giovani ad una carriera europea. Dopo una sessione preparatoria nell’estate del 1949, nel biennio successivo ebbe inizio il primo corso accademico con Hendrik Brugmans come rettore.

Per quel che riguarda l’europeismo spagnolo, una settimana dopo il Congresso dell’Aia M. cercò di creare un Consiglio nazionale spagnolo del Movimento europeo tra gli esiliati. In prima istanza, cercò di ottenere l’appoggio del vecchio leader socialista Indalecio Prieto, il quale però si mostrò riluttante, influenzato dall’atteggiamento dei laburisti britannici nei confronti dell’unità europea e del Movimento europeo in generale, nonché dalla collaborazione di catalani e baschi. Difatti, durante la Seconda guerra mondiale, M. si era e scontrato a Londra con i nazionalisti baschi e catalani, sottolineando come fosse un errore politico per gli esiliati repubblicani non presentare un fronte compatto nelle varie manifestazioni politiche o culturali. Questa situazione, associata ad attriti personali e a problemi di protagonismo, avevano fatto naufragare i primi contatti.

I nazionalisti baschi, al pari di quelli catalani, tendevano alla costituzione differenziata di un consiglio basco ed uno catalano, tale obiettivo non era realizzabile all’interno del Movimento europeo per una serie di fattori: in primo luogo per l’immagine di disunione e di fallimento di fronte alla permanenza del franchismo offerta dall’opposizione democratica in esilio e il progressivo disinteresse occidentale per la “questione spagnola”; in secondo luogo per il fatto che l’opinione pubblica europea favorevole a formule di unione sopranazionale, e infine a seguito dei progressi compiuti dal processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), che avrebbero portato alla creazione dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa.

Di fatto, le illusioni alimentate da quella che si riteneva fosse un’imminente unione europea risvegliò convinsero gli esiliati spagnoli della necessità di reagire, di non perdere un’occasione che in futuro avrebbe potuto offrire prospettive concrete per la caduta del franchismo e il ritorno alla democrazia in Spagna. Tutto ciò rese possibile la creazione del Consiglio federale spagnolo del Movimento europeo (CFME) nel febbraio 1949, il quale, secondo il giudizio dello stesso M., era «la prova vivente del fatto che esisteva ed esiste tra gli spagnoli un’unione sufficiente per fondare proprio su quest’ultima un regime libero».

Per M. entrambe le linee di azione, quella europeista e quella spagnola, erano in realtà parte di una stessa concezione politica che emerse con la massima chiarezza nell’attività svolta negli anni Cinquanta dal CFEME, del quale egli fu presidente fino al 1966. Tra queste, per le ripercussioni e gli ulteriori sviluppi che ebbe, spicca il contributo di M. al IV Congresso del Movimento europeo internazionale, svoltosi tra il 5 e l’8 giugno del 1962 a Monaco, in cui 118 delegati spagnoli (80 provenienti dalla Spagna e 38 esiliati) di entrambe le fazioni belligeranti si riunirono per la prima volta dopo la guerra civile, conclusa 23 anni prima, al fine di cercare una soluzione per il futuro all’insegna del motto “Spagna-Europa”.

In occasione del Congresso, M. dichiarò: «La guerra civile, iniziata l’8 luglio 1936 e alimentata artificialmente dal regime franchista con la censura, il monopolio della stampa, della radio e le parate, è terminata l’altro ieri, il 6 giugno 1962», e aggiungeva: «quanti allora scelsero la patria perdendo la libertà, e quanti scelsero la libertà perdendo la patria si sono riuniti per percorrere il cammino che porterà insieme alla patria e alla libertà».

Senza dubbi, il Congresso di Monaco segnò una nuova tappa per l’opposizione democratica alla dittatura, allorché come condizione per l’ingresso della Spagna nella Comunità economica europea fu posto il rispetto di requisiti minimali di democrazia, condizione che avrebbe avuto un’influenza decisiva sul processo di transizione democratica avviatosi in Spagna alla morte del dittatore nel 1975.

Il Congresso si concluse con un ispirato discorso di M., il quale manifestò la sua fede nella idea europea e nelle sue ripercussioni sulla Spagna: «L’Europa non è solo un mercato comune né il prezzo del carbone o dell’acciaio; è anche, e soprattutto, una fede comune, il premio dell’uomo e la libertà. Non è forse essenziale per l’Europa che la vita pubblica sia condivisa da tutti i suoi membri?».

La repressione attuata dal regime contro quanti avevano partecipato al Congresso di Monaco (definito “congiura” dalla stampa di regime) si spiega col fatto che il governo di Franco si sentì minacciato da una possibile convergenza tra le diverse forze democratico in esilio e in patria dell’esilio che non avevano avuto, fino ad allora, l’opportunità di dialogare. Nella campagna diffamatoria messa in atto dal franchismo M. fu come definito un «decrepito osceno».

Gli ultimi anni della vita di M. furono contrassegnati da una serie lusinghiera di onorificenze e riconoscimenti. Nel 1964 gli fu conferito il Premio “Europa” della Fondazione Hans Deutsche della Svizzera; nel 1967 ricevette il Premio Goethe dalla città di Amburgo, con il quale la Germania riconosceva il ruolo da lui svolto nella costruzione dell’idea e della realtà europea. Infine nel 1973 ricevette il premio Carlomagno per «il suo fecondo lavoro critico e il suo contributo all’unità europea».

Tornato in Spagna nell’aprile del 1976, M. morì nel 1978, una settimana dopo l’approvazione referendaria della Costituzione della Spagna democratica.

Si può affermare che le idee di M. sull’Europa sono sintetizzate dal concetto di integrazione della diversità nell’unità sviluppato nel suo libro Bosquejo d’Europa, pubblicato nel 1951.

Seguendo il pensiero espresso da Ortega nel suo Meditación sobre Europa (1949), M. vedeva l’Europa esposta a una doppia minaccia nel secondo dopoguerra: quella dell’Unione Sovietica da una parte, e, dall’altra, quella delle «proprie tendenze suicide». Nonostante l’entusiasmo europeista manifestato da M. nell’immediato dopoguerra e il suo protagonismo al Congresso dell’Aia, egli riteneva che la crisi europea fosse tanto profonda da risultare quasi mortale per il continente. Ai suoi occhi l’ideale europeo doveva essere quello di «una unità cosciente di vita spirituale che avanza lungo i sentieri del sapere con piedi di piombo e dubbio socratico e lungo i sentieri dell’azione con audacia e spirito d’amor cristiano».

Questa prospettiva esigeva per M. una revisione della storia d’Europa al fine di costituire un’autentica identità europea che prescindesse dai pregiudizi storici e favorisse la mutua comprensione. Questo processo di comprensione dell’altro si nutre dei caratteri e dei tipi nazionali, dimodoché la coscienza comune si formi a partire dall’integrazione delle diversità imposta dall’esistenza delle identità nazionali. L’Europa avrebbe dovuto sviluppare una propria autocoscienza attraverso l’integrazione dei contrari.

Pur con queste concessioni al linguaggio esistenzialista del periodo postbellico, M. insisteva sull’importanza dei fattori psicologici. L’Europa è per sua costituzione una simbiosi armonica d’intelletto e volontà, di ragione e passione. Per questo, lo spirito europeo si manifesta nelle sue molteplici forme culturali e artistiche. Inoltre, il confronto dei miti letterari collettivi come incarnazioni dei tipi nazionali dava a M. la possibilità di sviluppare le sue tesi sulla lingua come espressione dei caratteri nazionali, a loro volta manifestazioni delle filosofie e psicologie collettive. L’Europa emerge così come un mosaico di diversità, pieno di sfumature e di termini differenti che si esprimono nelle idiosincrasie delle Lingue europee.

In questo processo di incontro e di scontro delle psicologie nazionali l’Europa emerge come una comunità dinamica e spirituale d’integrazione dei caratteri nazionali, in cui le rispettive lingue sono, a loro volta, origine e frutto del carattere nazionale.

Ricollegandosi a Ortega, M. considerava l’Europa non solo come risultato storico e culturale delle differenze nazionali, linguistiche, letterarie o psicologiche, bensì, di tutti quegli elementi che compongono l’identità di ciascuno dei paesi europei. L’unità d’Europa è inoltre, e innanzitutto, la conseguenza specificatamente europea di questo dialogo e questa apertura verso l’altro che si manifesta attraverso la convivenza e la concorrenza fra i paesi europei.

Juste Antonio Moreno (2010)