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Major, John

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Proveniente da una famiglia di umili origini, M. (Sutton 1943) crebbe a Brixton dove la famiglia si trasferì dopo il fallimento dell’azienda paterna. Aderì alla sezione giovanile del partito conservatore fin dal 1959 e sviluppò le sue abilità oratorie al mercato di Brixton (v. Major, p. 28). Studente non molto brillante, iniziò a lavorare a 16 anni contribuendo a risollevare la difficile situazione finanziaria della famiglia. A 18 anni, venne assunto al London electricity board a Elephant and Castle (v. Major, 1999, p. 30). Nel 1965, dopo aver seguito corsi per corrispondenza di tecnica bancaria, lavorò per la District Bank e in seguito per la Standard Bank of West Africa, per la quale trascorse un periodo in Nigeria. Tornato a Londra, divenne portavoce della direzione del Partito conservatore. Nell’aprile 1968 venne eletto nella circoscrizione di Lambeth.

L’esperienza come consigliere locale fu molto utile a M. per la sua carriera. Dopo la fusione della Standard Bank con la Chartered Bank, divenne responsabile del marketing per l’Africa e l’Asia, incarico che lo portò a viaggiare molto. Conseguì la laurea nel 1972 e nel 1976 divenne il primo direttore del dipartimento di pubbliche relazioni della nuova banca nata dalla fusione, la Standard Chartered Bank. Perseguì contemporaneamente la carriera politica candidandosi nel 1974 per un seggio parlamentare nella circoscrizione di St. Pancreas. Perse con il 28,3% dei voti e il seggio rimase ai laburisti (v. Seldon, 1998, p. 44).

Il primo impegno politico di M. sulle questioni europee si ebbe con il referendum di giugno del 1975 sulla permanenza del Regno Unito nella Comunità economica europea (CEE), sebbene non sia chiaro quale fosse la sua posizione all’epoca (v. Seldon, 1998, p. 46). Scelto come candidato dei conservatori nel distretto di Huntingdonshire, conquistò un seggio parlamentare alle elezioni politiche del 1979. Fu allora che M. sviluppò le sue abilità politiche nel collegio gestito da Sir David Renton sin dal 1945. Il più giovane deputato alla Camera dei Comuni, M. continuò a battersi per le questioni a lui più note: l’edilizia e il governo locale. Ciò contribuì a creargli la fama di “conservatore di sinistra”, in seguito attenuata dalle posizioni assunte sulle questioni economiche (v. Seldon, 1998, p. 54).

Nel 1982 M. aderì al Blue chip group, un gruppo progressista di deputati nato nel 1979, favorevole all’integrazione europea. Gli anni Ottanta furono un periodo caratterizzato da intensi conflitti e dibattiti sulle questioni europee tra i conservatori. Sebbene ci fossero notevoli divisioni all’epoca dell’adesione sotto la leadership di Edward Heath e persino durante il dibattito riguardo all’Accordo di Fontainebleau sulla compensazione britannica, fu alla fine degli anni Ottanta che l’Europa, con il progetto dell’Unione economica e monetaria (UEM), divenne un elemento rilevante di divisione (v. Cowley, Garry, 1998, p. 480). Il progetto causò una serie di dimissioni nel governo Margaret Thatcher e preannunciò l’importanza delle questioni europee per le elezioni del 1990.

In quegli stessi anni M. quale riuscì a guadagnare gradualmente i favori della Thatcher, che nel 1986 lo nominò ministro della Sicurezza sociale. Durante quell’incarico M. subì vari attacchi dai laburisti e dal suo stesso partito in merito ai sussidi di disoccupazione e dalla stampa sulla riduzione dei sussidi per l’emergenza invernale del 1987.

Nel 1987 M. fu viceministro al Tesoro e nel 1989 rivestì la carica di ministro degli Affari esteri per tre mesi, da luglio a ottobre. A causa del conflitto interno tra i conservatori sulla questione europea, durante il suo mandato non prese posizione. Poco dopo, divenne cancelliere dello Scacchiere, a seguito delle dimissioni di Nigel Lawson. In queste vesti dovette affrontare la questione dell’adesione britannica al meccanismo di cambio (Exchange rate mechanism, ERM). Nel tentativo di trovare un compromesso con la posizione della Thatcher, M. non escluse l’adesione all’ERM, ma presentò il problema come una questione di tempi. Per M., l’ingresso nell’ERM era «un mezzo per raggiungere uno scopo, cioè una migliore gestione dell’economia nazionale e relazioni più armoniose con i partner della Gran Bretagna» (v. Seldon, 1998, p. 111). Ciò gli permise anche di familiarizzare con gli altri ministri europei delle finanze in seno al Consiglio dei ministri dell’economia (ECOFIN). In questo periodo, sostenne la creazione della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) proposta dal presidente François Mitterrand e ne difese la causa di fronte a una Thatcher scettica. M., che intendeva trovare un compromesso sul progetto dell’UEM rifiutato dalla Thatcher, rilanciò l’idea di una “ECU forte” (v. Unità di conto europea), una moneta europea in circolazione accanto alle valute nazionali da utilizzare per transazioni commerciali e personali, senza arrivare a una moneta unica europea, che a suo avviso presentava enormi difficoltà e pericoli. Il dibattito sull’ERM non si era ancora esaurito, ed era ferma convinzione di M. che l’ERM avrebbe fornito alla Gran Bretagna uno strumento per combattere l’inflazione. L’ingresso britannico nell’ERM avvenne il 5 ottobre 1990, mettendo fine ai tassi d’interesse del 15% di cui l’economia britannica aveva beneficiato fino a quel momento.

Nell’autunno del 1990 si aprì la corsa per la leadership del partito conservatore. Dopo lo scontro con Michael Heseltine e il ritiro della Thatcher, M. alla fine riuscì ad affermarsi grazie al sostegno di Douglas Hurd. Sebbene M. non avesse la maggioranza necessaria, entrambi i suoi avversari annunciarono che non avrebbero concorso al terzo ballottaggio. M., quindi, divenne leader del partito e primo ministro (v. Cowley, Garry, 1998, p. 474).

Quando M. divenne primo ministro, i conservatori erano seriamente divisi sulle questioni europee, partito una spaccatura che si approfondì in vista degli imminenti negoziati sul Trattato di Maastricht. In tale contesto, M. era ritenuto un «candidato di compromesso, un pragmatico che rifuggiva ogni ideologia» (v, Turner, 2000, p. 142). Per evitare scontri all’interno del suo partito, M. decise di tenere l’Europa in secondo piano nell’agenda politica, dando a molti l’impressione di essere un gollista e un euroscettico (v. Turner, 1998, p. 143) (v. Euroscetticismo). Durante i negoziati sul Trattato di Maastricht M. riuscì a far eliminare in parte la terminologia federalista utilizzata nel progetto di trattato (v. Federalismo), battendosi per l’inclusione del concetto di “sussidiarietà” (v. Principio di sussidiarietà) e fece in modo che il capitolo sociale rimanesse al di fuori dalla cornice del Trattato. A giugno, il Regno Unito assunse la presidenza del Consiglio (v. anche Presidenza dell’Unione europea) e dovette far fronte a una serie di eventi difficili: la situazione in Bosnia, il rifiuto danese del Trattato di Maastricht e diversi attacchi speculativi sulle valute europee che costrinsero la sterlina a uscire dall’ERM il 16 settembre 1992, noto come il “mercoledì nero”. In altre parole, «la presidenza semestrale UE si era trasformata da trionfo della diplomazia britannica a un esercizio di riduzione del danno» (v. Wallace, 1994, p. 295).

Il “mercoledì nero” svolse un ruolo importante nella sconfitta del 1997dei conservatori, che da quel momento in poi continuarono a accumulare sconfitte elettorali. «L’uscita forzata della Gran Bretagna dall’ERM assestò un duro colpo a due delle più importanti e correlate politiche di Major: l’Europa e l’economia» (v. Turner, 1998, p. 161). La difficile ratifica in Parlamento del Trattato di Maastricht con alcuni ribelli tra le file dei conservatori che votarono contro, coincise con una serie di sconfitte alle elezioni locali. Gli ultimi due anni della leadership di M. furono contrassegnati dal suo ostruzionismo verso un’ulteriore integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La vicenda della mucca pazza lo portò a seguire una campagna di non cooperazione con il veto posto a 72 misure che richiedevano l’unanimità (v. Turner, 1998, p. 171).

Con la perdita della maggioranza in Parlamento, M. indisse le elezioni politiche per il marzo 1997. I conservatori si ritrovarono ostaggio del dibattito sull’Europa. La vittoria schiacciante del new labour e l’amara sconfitta dei conservatori, rimasti con soli 165 seggi, mise fine al premierato di M. Dopo le sue dimissioni, avvenute il 2 maggio 1997, M. rimase deputato nella circoscrizione di Huntingdon e cedette la leadership a William Hague un mese dopo. Da allora, è stato deputato al parlamento senza incarichi e membro dell’Advisory Board europeo del Carlyle Group, un fondo di investimento di private equity.

Sarah Wolff (2005)

Bibliografia

Major J., The autobiography, Harper Collins, London 1999.

Riley B., The long view John Major meets little and large. Entry to the ERM offers the prospect that the distorsions caused by high interest rates could be unwound in “Financial Times,” 6 ottobre 1990.

Seldon A., Major, a Political Life, Phoenix, London 1997.

Turner J., The Tories and Europe, Manchester University Press, Manchester 2000.

Wallace W., Foreign policy in D. Kavanagh, A. Seldon (a cura di), The Major effect, MacMillan, London 1994.