Mendès France, Pierre

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Sebbene M.F. abbia svolto un ruolo importante in numerosi episodi della costruzione europea, sarebbe eccessivo farne un sostenitore deciso dell’Europa. Tuttavia il suo caso appare particolarmente illuminante per illustrare le incertezze e le esitazioni francesi nei confronti dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), tanto più che si tratta senz’altro di una delle personalità di maggior spicco della vita politica francese nella seconda metà del XX secolo e di uno degli uomini di Stato più aperti alla modernità.

M.F. nasce a Parigi l’11 gennaio 1907 in una famiglia ebrea di origine portoghese stabilitasi in Francia dal XVII secolo. Si diploma a quindici anni, inizia subito gli studi giuridici e a diciannove anni è già avvocato. Ma fin dalla prima giovinezza si sente attratto dalla politica. Durante gli studi universitari è anche uno degli animatori della Ligue d’action universitarie républicaine et socialiste (LAURS), che riunisce gli studenti di sinistra radicali e socialisti. Dopo essere diventato avvocato aderisce subito al Partito radicale, secondo la tradizione di ardente repubblicanesimo della sua famiglia e sotto l’influenza di Édouard Herriot, che lo colpisce per l’eloquenza e la profonda cultura e di cui condivide le convinzioni repubblicane. Ma fin da subito il brillante giovanotto sembra destinato a svolgere un ruolo di primo piano all’interno della sinistra francese. Nel 1927 diventa segretario generale della LAURS, poi presidente nel 1928. A capo della Lega si batte al Quartiere latino contro i Camelots du Roy, le truppe d’assalto dell’Action française, violentemente nazionalista e antisemita, anima le riunioni politiche della sinistra e pubblica i suoi primi articoli. Nel 1928 ottiene consegue il dottorato in diritto con una tesi che rapidamente fa testo sul risanamento delle finanze francesi a opera di Raymond Poincaré nel 1926-1928; subito dopo comincia a scrivere una nuova opera sulla Banca internazionale pubblicata nel 1930. Diviene così un esperto di questioni finanziarie, orientato verso la finanza pubblica e gli affari finanziari internazionali.

Entra come praticante nello studio d’avvocato di Georges Bonnet, uno dei principali dirigenti del Partito radicale, anch’egli esperto di questioni finanziarie. M.F. sembra destinato a una brillante carriera nell’avvocatura a Parigi, ma sceglie un’altra strada. Nel 1929 si stabilisce a Louviers nell’Eure aprendo un ufficio e con il sostegno dei dirigenti radicali parigini avvia subito un’intensa campagna politica nei giornali locali: la scelta della circoscrizione legislativa di Louviers vuol essere il punto di partenza della carriera politica sognata dal giovane avvocato, già preannunciata dalle sue precoci scelte del periodo studentesco. Questa strategia è coronata dal successo: infatti nel maggio 1932, a 25 anni, M.F. diventa deputato di Louviers, il più giovane degli eletti in Francia.

Nell’arco di alcuni anni il nuovo deputato consolida le sue posizioni politiche. A Palais Bourbon tutela gli interessi dei suoi elettori contadini colpiti dalla crisi economica e per raggiungere l’obiettivo fa parte della Commissione delle dogane che difende le tariffe protezionistiche. Con i suoi interventi in seduta plenaria si crea la reputazione di esperto di questioni finanziarie ed economiche in un’epoca in cui queste competenze sono rare fra gli uomini politici. A Louviers rafforza la sua posizione conquistando il municipio nel 1935, poi un seggio al Consiglio generale dell’Eure. Nel Partito radicale fa parte del gruppo dei “Jeunes turcs” a fianco di altri giovani parlamentari schierati a sinistra, fra cui i più noti sono Jean Zay e Jean-Pierre Cot. Ma sarebbe sbagliato confondere (come spesso accade) i “Jeunes turcs” con l’ala sinistra del Partito radicale. I capifila della corrente, di cui è ispiratore Joseph Caillaux e fondatore Emile Roche, si situano piuttosto a destra del Partito radicale, com’è il caso di molti altri quadri ed eletti che partecipano al movimento. Ciò che caratterizza l’identità dei “Jeunes turcs” è la volontà di modernizzare una dottrina radicale che ormai ai loro occhi appare largamente superata dalle conseguenze della Prima guerra mondiale. Questo rinnovamento si articola intorno a tre assi: una riforma dello Stato sulla base del rafforzamento del potere esecutivo, una migliore rappresentanza degli interessi economici – sia con la creazione di un’assemblea economica consultiva, sia con il rafforzamento dei poteri del Consiglio nazionale economico – e infine, sul piano internazionale, il progetto di creazione di una federazione europea (v. Federalismo). Il gruppo a cui appartiene M.F. ha assorbito una parte degli aderenti alle associazioni favorevoli alla Società delle Nazioni e vede nella costruzione di questa federazione la realizzazione di un’organizzazione regionale che assecondi gli ideali della Società delle Nazioni e, soprattutto, una garanzia per scongiurare nuovi conflitti europei. Questo comporta una riconciliazione franco-tedesca e, di conseguenza, un appoggio senza riserve alla politica briandista.

Tuttavia, nel gruppo dei “Jeunes turcs” M.F. appare più come un esperto di questioni finanziarie che uno specialista in affari europei. Nel 1936 è rieletto come candidato del Front populaire e fa parte della nuova maggioranza di sinistra che sostiene il governo di Léon Blum, anche se da esperto di problemi finanziari solleva ampie riserve, al pari di molti radicali, sulla politica monetaria promossa da Vincent Auriol. Ma a differenza della gran parte dei radicali resta fedele al Front populaire. Quest’attaccamento, durante l’effimero secondo governo Blum (marzo-aprile 1938), gli procura il suo primo incarico ministeriale come sottosegretario al Tesoro, con il compito di preparare con la massima cura un programma economico destinato a combattere la disoccupazione, a risanare l’economia e ad assicurare il finanziamento del riarmo.

Alla caduta del governo dopo tre settimane, M.F. pagherà le conseguenze della sua scelta politica. Considerato con sospetto nel Partito radicale, coinvolto da Édouard Daladier nel rinnegamento del Front populaire, viene richiamato come tenente dell’aviazione in Libano e rientra in Francia nella primavera del 1940, nel pieno della disfatta. A Bordeaux, dove si trovano i pubblici poteri, si imbarca a bordo del Massilia alla volta del Marocco per continuare da lì la lotta contro la Germania. Ma in Marocco il governo di Vichy lo fa arrestare il 30 agosto con l’accusa di diserzione. Essendo ebreo M.F. è radiato dal Parlamento. Nel maggio 1941 è giudicato da un tribunale militare a Clermont Ferrand e viene condannato a sei anni di prigione, degradato e privato dei diritti civili. Ma un mese più tardi evade, raggiunge Londra ed entra a far parte del gruppo di aviazione “Lorraine” come ufficiale navigatore. Nel novembre 1943 il generale Charles de Gaulle lo richiama ad Algeri e lo coinvolge nel Comité français de libération national (CFLN) come commissario alle finanze incaricato di preparare gli aspetti economici e finanziari della Liberazione. Nel settembre 1944 porta avanti questo compito come ministro dell’Economia nazionale del governo provvisorio della Repubblica. Tuttavia, il rigore delle misure che propone per combattere l’inflazione galoppante (cambio dei biglietti bancari che consenta il controllo della moneta in circolazione e blocco generale delle fortune che sarebbero state sbloccate progressivamente con la ripresa della produzione) è respinto da de Gaulle, che giudica una politica così restrittiva intollerabile per una popolazione provata da quattro anni di privazioni sotto l’occupazione. M.F. si dimette il 5 aprile 1945 denunciando «la mancanza di coraggio e d’immaginazione della finanza pubblica» e acquistandosi la reputazione di uomo rigoroso e di carattere.

Continua a essere membro del Partito radicale, deputato dell’Eure e sindaco di Louviers, ma ormai si tiene in disparte dalla vita politica, sentendosi a disagio in un partito che ha rotto con la sinistra, e si orienta verso il centrodestra. Dunque dedica essenzialmente la sua attività a missioni di carattere economico alle Nazioni Unite e al Fondo monetario internazionale. Saranno i problemi coloniali a riportarlo alla ribalta. Infatti dopo la disfatta del corpo di spedizione francese in Indocina a Cao-Bang, nel 1950, M.F. critica la politica del governo in Estremo Oriente, accusandolo di non saper scegliere fra la prosecuzione della guerra investendo i mezzi necessari a sostenerla e l’accettazione di un negoziato con gli avversari per riportare la pace. Nel 1953 è designato come presidente del Consiglio dal Presidente della Repubblica Auriol: gli manca solo un pugno di voti, ma il suo discorso d’investitura colpisce l’opinione pubblica per la novità dei toni e il coraggio delle proposte. Allo stesso tempo M.F. trova nel settimanale “L’Express” una tribuna per divulgare le sue idee.

La disfatta francese in Vietnam a Dien Bien Phu, il 7 maggio 1954, segna l’ora dell’ascesa al potere di M.F. Il 18 giugno 1954 è nominato presidente del Consiglio e mantiene l’incarico per sette mesi e diciassette giorni, fino al febbraio 1955. In questo periodo riesce a concludere la guerra francese in Indocina firmando gli accordi di Ginevra in luglio, dopo un mese di negoziati; ad avviare il processo di decolonizzazione promettendo alla Tunisia l’autonomia interna; a rilanciare la ricerca nucleare e sviluppare la ricerca scientifica; a stabilire in accordo con il ministro delle Finanze Edgar Faure le misure destinate a preparare l’economia francese a un’apertura europea ponendo l’accento sui criteri di redditività e sulla produttività; a gettare le basi della politica di riassetto del territorio. L’opinione pubblica è sedotta da questo presidente del Consiglio attivo, che tiene saldamente in mano il suo gruppo di governo, spiega la sua politica ai francesi attraverso conversazioni trasmesse dalla radio e soverchia con la sua forte personalità il grigiore dei predecessori.

Tuttavia il bilancio della sua attività è offuscato da due avvenimenti. Il primo è lo scoppio dell’insurrezione algerina sotto il suo governo, nel novembre 1954. M.F. risponde con una duplice azione: repressione e rifiuto di qualsiasi negoziato con il Fronte di liberazione nazionale nell’immediato e, in un secondo tempo, volontà di realizzare delle riforme in Algeria affidandone l’incarico al governatore generale Jacques Soustelle, etnologo e gollista.

Il secondo avvenimento rappresenta una delle sconfitte più cocenti della costruzione europea: il rifiuto da parte del Parlamento francese del progetto di Comunità europea di difesa (CED). Il progetto era stato lanciato nel 1950 in risposta alla richiesta degli Stati Uniti di un riarmo della Germania. Per evitarlo la Francia propone, su iniziativa del presidente del Consiglio René Pleven e dietro suggerimento di Jean Monnet, di inserire il futuro esercito tedesco in un quadro europeo mediante la costituzione di un esercito integrato che comprenda contingenti dei sei Stati, ricalcando il modello della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), e posto, come quest’ultima, sotto il controllo di un’Alta autorità sovranazionale. Il Trattato sulla CED è firmato a Parigi fra i Sei nel maggio 1952, ma dev’essere ratificato dai parlamenti nazionali. Ora la CED, decidendo l’integrazione di uno strumento essenziale della sovranità statale come l’esercito, comporta la costituzione a termine di un potere politico sovranazionale per definire le sue missioni e, di conseguenza, rappresenta un punto di non-ritorno verso un’integrazione politica dell’Europa. In Francia l’argomento solleva un vivace dibattito fra i suoi sostenitori, in cima ai quali si collocano i democratico-cristiani del Mouvement républicain populaire (MRP), e i suoi avversari guidati dai gollisti, che denunciano l’abbandono della sovranità nazionale, e dai comunisti che vedono nella CED uno strumento di aggressione contro l’URSS. Anche tutti gli altri partiti sono divisi tra favorevoli e contrari alla CED. La disputa sulla CED rende impossibile la costituzione di maggioranze durature e i governi sono rovesciati dagli anti CED quando propongono la ratifica del trattato, dai pro CED quando cercano di guadagnare tempo rinviando la ratifica.

Arrivato al potere, M.F. promette di liberare la Francia da quest’ingombrante problema. L’ex “giovane turco” è favorevole all’intesa fra i popoli europei sul modello briandista, ma il patriota radicale diffida dell’idea di sovranazionalità. Per di più, il vecchio combattente della Francia libera nutre forti riserve nei confronti del riarmo tedesco. Ma M.F. si rende anche conto che i francesi sono profondamente divisi sulla questione e quindi desidera voltare pagina a qualsiasi costo. Tenta un ultimo sforzo incontrando a Bruxelles i partner europei della Francia, nell’agosto 1954, allo scopo di proporre alcuni emendamenti al Trattato che offrano ai francesi nuove garanzie per renderlo accettabile. Ma si scontra con il rifiuto dei partner europei, convinti dai sostenitori francesi della CED che si potrà trovare una maggioranza parlamentare che ratifichi il Trattato. In questo contesto M.F. decide di far discutere all’Assemblea nazionale la ratifica, in quanto il governo rifiuta di impegnarsi a favore della ratifica ponendo la questione della fiducia. Il 30 agosto 1954, adottando una questione preliminare sostenuta dal presidente a vita del Partito radicale Édouard Herriot, l’Assemblea nazionale respinge la ratifica senza dibattito. Gli europeisti convinti (soprattutto il MPR) non perdoneranno mai a M.F. quello che definiscono «il crimine del 30 agosto». Tuttavia nei mesi seguenti M.F. riesce a far votare, il 30 dicembre 1954, gli Accordi di Parigi che accontentano gli Stati Uniti, permettendo la creazione di un esercito tedesco, l’ingresso della Germania nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e il ripristino della sovranità tedesca. Il riarmo tedesco che i francesi avevano voluto evitare alla fine è stato attuato, ma senza il quadro previsto dalla CED di un esercito europeo integrato sotto un’autorità sovranazionale.

Dopo la caduta del suo governo, nel febbraio 1955, M.F. esce definitivamente dalle sfere del potere. Il suo tentativo di “impadronirsi” del Partito radicale nel 1955 si conclude due anni dopo con un fallimento, perché il partito diviso in “clan” contrapposti si mostra recalcitrante all’imposizione di qualsiasi disciplina. L’avvento al potere del generale de Gaulle nel 1958 emargina M.F., che ne è un deciso oppositore e non accetterà mai le istituzioni create dalla V Repubblica. Ma il suo ruolo continua a essere importante. Intorno a lui, difatti, si organizza una corrente politica che cerca confusamente le vie di una sinistra moderna distinta sia dal comunismo stalinista sia dalla sclerosi del Partito socialista guidato da Guy Alcide Mollet. Questa corrente si esaurisce rapidamente, tuttavia le sue idee alimentano una serie di club, di convegni come quello di Grenoble nel 1967, il pensiero di alcuni sindacalisti e di intellettuali che tentano di definire cosa possa rappresentare la sinistra all’interno di una democrazia liberale come la Francia. M.F. partecipa a questa ricerca pubblicando nel 1962 La République moderne, che costituisce la sola alternativa seria al sistema politico gollista; aderisce al Partito socialista unificato (PSU) in cui si ritrovano molti gruppi che propongono nuove versioni del socialismo rinnovato, poi al nuovo Partito socialista fondato a Epinay nel 1971 e guidato da François Mitterrand.

Serge Berstein (2010)

Bibliografia

Mendès France P., Œuvres complètes, 6 voll., Gallimard, Paris 1984-1990.

Bédarida F., Rioux J.-P. (a cura di), Pierre Mendès France et le mendésisme, L’expérience gouvernementale (1954-1955), Fayard, Paris 1985.

Lacouture J., Pierre Mendès France, Le Seuil, Paris 1981.

Rizzo J.-L., Mendès France ou la rénovation en politique, Presses de la FNSP, Paris 1993.