Movimento europeo

Origini e formazione del ME

Alla metà del 1947 la molteplicità dei gruppi di pressione europei di diverso orientamento, che erano emersi già a partire dal secondo conflitto mondiale, rischiava di creare una certa confusione e, potenzialmente, di danneggiare la campagna per l’unità europea che cominciava ad avviarsi.

Fu Duncan Sandys, genero di Winston Churchill, a prendere l’iniziativa e, servendosi dello United Europe movement (UEM) anglo-francese, di orientamento confederalista, convocò un convegno a Parigi dal 17 al 20 luglio 1947. In quella sede venne decisa la costituzione di un Comitato di coordinamento tra i movimenti internazionali per l’unità europea, a cui aderirono Joseph Retinger e Daniel Serruys per la Lega europea di cooperazione economica (LECE), Hendrik Brugmans, Alexandre Marc e Raymond Silva per l’Unione europea dei federalisti (UEF), Léon Maccas per l’Unione parlamentare europea (UPE), Gordon Lang e Duncan Sandys, per il Comitato britannico dell’UEM, René Courtin e André Noël per il Conseil français pour l’Europe unie, che costituiva la sezione francese dello stesso movimento fondato da Churchill.

Ci vollero però altri quattro mesi perché la bozza dell’accordo si concretizzasse in un patto più stretto fra i gruppi che l’avevano firmata. Il processo fu difficoltoso, provocò strappi all’interno dell’UEF (temporaneamente ricuciti da Brugmans) e portò al ritiro dell’UPE.

Con l’incontro svoltosi a Parigi il 10 e 11 novembre 1947 venne decisa la creazione di un nuovo Comitato di coordinamento e di un Comitato esecutivo congiunto, di cui Sandys si assicurò il controllo, in quanto l’annesso protocollo definiva le sezioni britannica e francese dell’UEM come movimenti distinti, ciascuno dotato della piena quota di voti, e inoltre la LECE era sostanzialmente allineata alle posizioni dell’esponente conservatore. Ne risultò una maggioranza, in seno al Comitato, di tre a uno a svantaggio dell’UEF e Sandys poté ottenere la presidenza dell’esecutivo, mentre l’alleato Retinger assunse la segreteria.

Durante l’incontro parigino venne anche deciso di convocare un importante convegno europeo, con la partecipazione di personalità di spicco che avrebbero pubblicamente proclamato la causa dell’unità europea, cercando di influenzare l’azione dei governi.

Il “Joint international committee of the movements for European unity”, nome che il Comitato di collegamento aveva assunto ufficialmente nel corso di una riunione svoltasi il 13 e 14 dicembre 1947, si attivò quindi per l’organizzazione di questa importante manifestazione europeista.

Il Congresso dell’Aia, tenutosi dal 7 al 10 maggio 1948, fu l’avvenimento che segnò la nascita, anche se non ancora ufficiale, del Movimento europeo (ME) che il 25 ottobre di quell’anno assunse l’attuale denominazione. Sandys ne divenne il presidente esecutivo, Léon Blum, Winston Churchill, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Charles Spaak furono eletti presidenti onorari, mentre Retinger venne confermato alla segreteria. Furono inoltre istituti, nei singoli paesi, Consigli nazionali del Movimento europeo nel cui ambito erano rappresentati i partiti politici, i Movimenti europeistici, i sindacati, le organizzazioni imprenditoriali, le forze sociali, l’associazionismo e il mondo della cultura. Nel caso di paesi sottoposti a regimi dittatoriali (paesi dell’Europa orientale, Spagna e Portogallo), gli uomini politici in esilio formarono organismi denominati “Comitati nazionali”.

Verso la fine del 1948, alle quattro organizzazioni fondatrici si aggiunsero le Nouvelles équipes internationales, di orientamento democratico-cristiano, e il Mouvement socialiste pour les États Unis d’Europe, che rafforzarono la tendenza federalista in seno al Movimento (v. anche Federalismo), cosa che apparve evidente già in occasione Consiglio internazionale di Bruxelles del febbraio 1949.

Orientamenti e iniziative del ME durante la prima fase del processo di integrazione europea

Negli anni che precedettero la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), il ME, nonostante la forte eterogeneità interna e i diversi orientamenti in merito ai modelli di unificazione da perseguire, pose al centro del dibattito la dimensione politica, sostenendo un disegno d’integrazione sovranazionale (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Vennero promosse, in quegli anni, numerose conferenze nel corso delle quali furono presi in esame i singoli settori nei quali si auspicava una solida unità tra gli Stati del vecchio continente. Nel febbraio del 1949 si svolse a Bruxelles la conferenza dedicata alle questioni politiche e istituzionali; nell’aprile dello stesso anno, a Westminster, furono discussi i temi economici; nel dicembre fu la volta della conferenza di Losanna, dedicata alla cultura e all’educazione (da cui nacquero il Collegio d’Europa di Bruges e il Centro europeo della cultura di Losanna); nel luglio del 1950, infine, a Roma, vennero affrontate le questioni sociali.

Il primo successo del Movimento fu certamente, a seguito delle richieste avanzate dal Congresso dell’Aia, la costituzione del Consiglio d’Europa che, però, a causa della contrarietà britannica e dei paesi scandinavi a ogni sviluppo in senso sovranazionale, deluse ben presto molte delle aspettative in esso riposte. Ciò mise in crisi l’intera strategia di Sandys, centrata sul forte rilievo assegnato all’iniziativa dei governi nazionali, spingendolo alle dimissioni dalla presidenza dell’esecutivo del Movimento, sostituito nel novembre 1950 da Paul-Henri Spaak.

Il leader politico belga propugnò, in modo deciso, la costruzione di un’Europa sovranazionale, sostenendo i progetti della Comunità europea di difesa (CED) e della Comunità politica europea (CPE). Nel marzo del 1952 venne istituito, all’interno del ME, il Comité d’action pour la Constituante européenne che, presieduto da Spaak, riuniva gli esponenti del Movimento appartenenti ai sei paesi della CECA. In seguito, raggiunto l’obiettivo della convocazione dell’Assemblea ad hoc, esso assunse la denominazione di Comité d’action pour la Constitution europénne e, successivamente, di Comité d’action pour la Communauté politique européenne. Tale organismo condusse una campagna – particolarmente intensa in Francia, dove si incontravano le maggiori difficoltà per la ratifica parlamentare – a sostegno del Trattato CED e della Comunità politica sovranazionale.

A seguito della caduta del progetto della Comunità di difesa, il ME conobbe una fase di disorientamento, in cui emersero profonde spaccature tra i sostenitori del metodo intergovernativo (in particolare britannici e scandinavi) e coloro che, invece, continuavano a proporre il modello di integrazione sovranazionale, dividendosi, però, a loro volta, tra i fautori di un approccio moderato e gradualista, che portasse a consolidare i risultati fin a quel momento conseguiti, magari ampliando le competenze della CECA (unica istituzione sovranazionale esistente), rinviando al futuro progetti più ambiziosi, e i federalisti più radicali che, all’opposto, rifiutavano ogni soluzione di compromesso, manifestando apertamente il loro dissenso e la totale sfiducia nella capacità dei governi e dei partiti nazionali di realizzare l’ambizioso disegno della federazione europea. Tra i primi possiamo annoverare, principalmente, i federalisti tedeschi (Ernst Friedländer), olandesi (Hendrik Brugmans) e parte dei francesi, mentre nell’altro campo, quello più radicale, militavano i federalisti del MFE italiano (v. Movimento federalista europeo) e alcuni esponenti francesi come André Delmas e Alexandre Marc.

Prevalsero, comunque, le posizioni dei federalisti moderati e dei funzionalismi (v. Funzionalismo), con una linea politica decisamente prudente (anche a causa delle pressioni dei Consigli nazionali britannico e scandinavi), che poneva l’accento soprattutto sull’integrazione economica – quale, sulla base della teoria dello spill over, avrebbe dovuto aprire la strada all’unificazione politica – e sul pieno sostegno alle iniziative settoriali dei governi, in particolare ai progetti del Mercato comune (v. Comunità economica europea) e dell’Euratom (v. Comunità europea dell’energia atomica), spingendo per rafforzare il più possibile il carattere sovranazionale dei due Trattati, anche con l’elezione a suffragio universale diretto dell’Assemblea parlamentare.

Il Congresso d’Europa, svoltosi a Roma nel giugno 1957, confermò la linea funzionalista e filogovernativa della maggioranza del ME.

Sul piano organizzativo e dell’iniziativa politica, va segnalato il forte sostegno del Movimento alla “Campagne européenne de la jeunesse”, ma anche, a partire dal 1955, la difficoltà nel conciliare l’azione del ME al livello più generale dei quindici Stati membri del Consiglio d’Europa e quella, che aveva finito per prevalere, condotta dal Comité d’action nei sei Stati fondatori della CECA.

Per affrontare questa e altre questioni, il Bureau exécutif del ME istituì, nel dicembre 1960, una Commission des réformes, presieduta dal barone René Boël, secondo il quale le origini delle difficoltà del Movimento risiedevano nel fatto che, invece che essere organismo di coordinamento dei Consigli nazionali, il ME aveva finito per dipendere da essi, anche perché la sua azione era condizionata dal versamento, non sempre regolare, dei contributi nazionali (e, fino al 1959, dell’American committee on United Europe – Comitato americano per un’Europa unita).

La Commission des réformes presentò un rapporto al Congresso di Bruxelles del 16 e 17 giugno 1961, nel corso del quale venne deciso un ridimensionamento del ruolo del Comité d’action a favore del Bureau exécutif e del Consiglio internazionale. Il Congresso approvò, inoltre, una raccomandazione ai Consigli nazionali affinché consentissero un’Adesione diretta dei militanti e dei simpatizzanti al ME e non solo attraverso l’iscrizione alle organizzazioni federate.

Proprio in merito a questa decisione il Movimento federalista europeo sovranazionale, fondato nel 1959, manifestò tutte le sue perplessità, in quanto, in questo modo, si rischiava di mettere il ME in concorrenza con gli organismi che avrebbe voluto coordinare e unire. Anche il ridimensionamento del ruolo del Comité d’action non era gradito ai federalisti, in quanto portava le iniziative da esso promosse nell’ambito dei Sei sotto il controllo di organi del Movimento di cui facevano parte anche esponenti di paesi che non erano membri delle Comunità.

Per il MFE, in realtà, due erano i peccati capitali del ME: l’oscillazione continua tra l’opzione federativa e quella confederativa, che portava a prese di posizione spesso ambigue e poco comprensibili all’opinione pubblica; la mancanza di una struttura democratica, in quanto la base delle organizzazioni aderenti non aveva la possibilità di incidere, realmente, sulla linea politica del Movimento.

L’azione politica del ME negli anni Sessanta e Settanta

Negli anni Sessanta, dal punto di vista politico, l’azione del ME riacquistò vigore nello scontro con il modello di Europe des États sostenuto dal generale Charles de Gaulle.

Va precisato che l’ascesa al potere del generale aveva provocato all’interno del Movimento reazioni contrastanti, dal momento che le sue prime iniziative – accettazione dei Trattati comunitari, abbattimento delle barriere doganali (v. Unione doganale), varo della Politica agricola comune – parevano presagire un orientamento non ostile anche in tema di unione politica. Del resto, alcune componenti del ME, come La fédération di André Voisin, erano vicine alle idee golliste.

Le prime proposte avanzate dal governo francese, nel quadro delle trattative sul Piano Fouchet I, trovarono un’accoglienza sostanzialmente favorevole da parte del ME, anche perché contemplavano l’intangibilità dei Trattati di Roma e il rispetto degli impegni derivanti dall’appartenenza degli Stati membri all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

Il gruppo dirigente del ME, infatti, era in gran parte convintamente atlantista e, come risultò chiaro dagli esiti della conferenza L’Europe partenaire égale des Etats-Unis (8-10 novembre 1963), era a favore del grande progetto kennediano di partnership transatlantica e di costituzione di una Forza multilaterale (v. anche Kennedy, Jhon Fitzgerald), il tutto fondato su una più stretta integrazione politica dell’Europa e su una rappresentanza comune degli Stati membri presso la NATO.

Il disaccordo emerse platealmente, pertanto, non appena l’Eliseo, attraverso il Piano Fouchet II, mise in discussione questi assunti, estendendo la competenza dell’unione di Stati prevista dal progetto anche al settore economico, sopprimendo ogni riferimento all’Alleanza atlantica e confermando i sospetti circa il disegno gollista di ricondurre l’integrazione comunitaria nel quadro confederale, con Voto all’unanimità, del Piano Fouchet.

Questa posizione si manifestò in occasione del Congresso per la Comunità politica europea, svoltosi a Monaco il 7 e 8 giugno 1962, e nell’esplicito sostegno al Piano di Hallstein (v. anche Hallstein, Walter) e Mansholt (v. anche Mansholt, Sicco) espresso al Congresso straordinario di Cannes dell’ottobre 1965.

Su un altro importante tema di dibattito in quegli anni, l’adesione britannica al Mercato comune, il ME, partito da posizioni piuttosto caute, temendo che la domanda presentata nel 1961 dal governo conservatore di Harold Macmillan nascondesse l’obiettivo di condizionare dall’interno il processo di integrazione, minandone le basi sovranazionali al fine di ricondurlo nel quadro di una semplice zona di libero scambio, mutò decisamente linea dopo il primo veto francese del 1963. L’ingresso del Regno Unito, infatti, avrebbe rafforzato le Comunità, consentendo il progressivo formarsi di una politica estera coerente, un maggiore peso commerciale nel quadro dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) e del Kennedy round, una partnership equilibrata con gli USA e una politica monetaria comune, grazie al peso della sterlina sui mercati valutari internazionali.

Walter Hallstein, eletto presidente del ME al Congresso di Roma del gennaio 1968, espresse soddisfazione per i risultati del Vertice dell’Aia del 1° e 2 dicembre 1969, auspicando, tuttavia, che l’Allargamento previsto ai nuovi Stati membri (Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca) – che avrebbe visto un notevole impegno profuso da parte dei Consigli nazionali del ME in questi paesi – si accompagnasse a un rafforzamento dell’integrazione e, in particolare, alle Elezioni dirette del Parlamento europeo (PE), all’accrescimento dei suoi poteri, all’avvio di una politica estera comune e alla cooperazione nel campo della difesa.

Queste posizioni furono ribadite in occasione del Congresso europeo di Bonn del 12 e 13 maggio 1972, nel corso del quale venne espresso sostegno al Rapporto Werner di Unione economica e monetaria e si invitarono gli Stati membri della Comunità a definire una politica comune in occasione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE).

Una certa delusione accolse, invece, gli esiti del Vertice di Parigi dell’ottobre 1972, a causa delle molte promesse, ma dei pochi impegni concreti assunti dai capi di Stato e di governo. Il pessimismo dominò anche la relazione del segretario generale Robert Van Schendel, presentata in occasione della conferenza delle organizzazioni aderenti svoltasi a Roma il 18-19 ottobre 1973: il ME non trovava più ascolto né presso l’opinione pubblica né presso i governi nazionali, i quali si dimostravano ormai poco disponibili alla creazione di una vera Comunità sovranazionale. Van Schendel, ritenendo non più utile mantenere un ruolo suppletivo del Movimento nei confronti dei governi, invitava a radicalizzare la sua azione, riformando anche l’organizzazione, con un migliore equilibrio tra l’elemento internazionale e quello nazionale e una più stretta collaborazione con la nuova Unione europea dei federalisti (UEF), nata al Congresso di Bruxelles dell’aprile 1973 dalla riunificazione del Movimento federalista europeo sovranazionale e dell’Azione europea federalista (AEF).

Il segretario generale e alcuni membri influenti del Consiglio direttivo preconizzavano per la nuova UEF, infatti, un ruolo di struttura di accoglienza dei membri individuali, indispensabili per consolidare l’elemento transnazionale del ME e per controbilanciare l’influenza dei Consigli nazionali.

Con il Vertice di Parigi del 9-10 dicembre 1974 e l’incarico al primo ministro belga Léo Tindemans di redigere un rapporto di sintesi sull’Unione europea, si registrò un rilancio delle iniziative del ME, anche grazie al dinamismo del nuovo presidente Jean Rey. Proprio in merito al Rapporto Tindemans, l’elaborazione del parere del ME segnalò una netta cesura tra le posizioni federaliste più radicali dell’UEF, del Consiglio dei Comuni d’Europa (CCE) e del Consiglio italiano del Movimento europeo (CIME) e quelle più moderate della maggioranza degli altri Consigli nazionali (in particolare quelli francese e belga). Alla fine prevalse quest’ultima posizione e nel parere predisposto dal Consiglio federale del ME si affermava certamente l’obiettivo di un’Europa federale da raggiungere per tappe, attraverso, dapprima, l’elezione diretta del Parlamento europeo, il passaggio, in seguito, a un sistema bicamerale (con la trasformazione del Consiglio dei ministri in una Camera degli Stati) e l’assegnazione alla Commissione europea di una vera funzione di governo, rafforzandone i poteri e la responsabilità davanti al Parlamento europeo, ma senza per questo procedere, almeno in quella fase, a una revisione dei Trattati.

Il Congresso d’Europa del 5-7 febbraio 1976, svoltosi a Bruxelles e convocato su iniziativa del ME, accolse pertanto favorevolmente il rapporto Tindemans, anche se la proposta di un’Europa a due velocità, in esso contenuto, trovò forti opposizioni in seno al Movimento (v. anche Europa “a più velocità”).

Nell’avvicinarsi della prima scadenza elettorale europea del 1978 (poi slittata al 1979) il ME si attivò al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma, a causa anche delle difficoltà finanziarie, l’azione venne condotta soprattutto dai Consigli nazionali.

Il ME negli anni Ottanta e la svolta federalista

Nei primi anni Ottanta, con l’elezione di Giuseppe Petrilli (alla guida del Consiglio italiano del Movimento europeo – il CIME – dal 1964) alla presidenza internazionale, in sostituzione di Georges Berthoin, il ME conobbe un cambiamento piuttosto radicale della propria linea politica, virando in modo netto, senza ambiguità, verso un’impostazione di tipo federale.

La volontà del CIME e di Petrilli di dare una svolta al ME venne ufficializzata nel corso di un convegno svoltosi a Milano, il 30 e 31 ottobre 1980, su iniziativa di alcuni dirigenti federalisti italiani. L’obiettivo era di riportare il ME fuori dalle secche dell’ordinaria amministrazione, restituendogli quel ruolo politico che già aveva avuto all’inizio della costruzione comunitaria, all’epoca del Congresso dell’Aia.

In occasione del convegno milanese venne approvato il documento Proposte per una rifondazione morale e politica del Movimento europeo, nel quale si affermava che il ME avrebbe potuto ritrovare «il suo ruolo di avanguardia morale dell’opinione pubblica europea e di interlocutore efficace dei governi, delle forze politiche e sociali, delle ancor fragili istituzioni europee» solo se fosse tornato alle grandi ispirazioni ideali che ne avevano accompagnato la nascita e le prime battaglie.

Il Movimento, in particolare, sulla base del voto europeo che aveva costituito «il primo passo sulla strada della costruzione dell’Europa», avrebbe dovuto perseguire l’obiettivo del completamento costituzionale. Dall’Europa intergovernativa, attraverso una concreta fase prefederale, si sarebbe dovuto procedere verso l’unione federale.

L’idea forza, cui doveva essere subordinata ogni indicazione tattica, era quella del governo europeo, un problema costituzionale che poteva essere risolto solamente da chi deteneva il potere costituente, il popolo, il quale si esprimeva attraverso i suoi rappresentanti al Parlamento europeo.

Sotto questo profilo il Movimento europeo avrebbe dovuto sostenere, innanzi tutto, l’iniziativa intesa a promuovere la costituzione in seno al PE di un gruppo interpartitico che rivendicasse la funzione costituente all’Assemblea di Strasburgo e, inoltre, una legge elettorale comune, ispirata a rigorosi criteri di proporzionalità, in quanto strumento primario di sostanziale legittimazione democratica del Parlamento.

Tale documento, di chiara impronta federalista e che riprendeva, nelle sue grandi linee, le parole d’ordine adottate nel giugno 1980 dal Comitato federale dell’UEF, costituì, de facto, la piattaforma elettorale di Petrilli, il quale non nascondeva di ambire alla presidenza del ME.

Vi è però da osservare che, in contrapposizione a tale linea politica, il Consiglio francese del ME, l’Organisation française du Mouvement européen (OFME), già alcuni mesi prima, esattamente il 15 luglio 1980, aveva adottato un “Manifesto per l’organizzazione politica dell’Europa” che proponeva soluzioni estremamente moderate e di stampo intergovernativo. Nel campo della Cooperazione politica europea, in particolare, si affermava che una struttura a carattere confederale fosse il massimo che si potesse ragionevolmente sperare, almeno a breve e medio termine, ritenendo tale impostazione non incompatibile con la ribadita fedeltà a una prospettiva federalista di più lungo periodo. Non veniva giudicata realistica, inoltre, l’ipotesi di trasformare il PE in un’assemblea costituente e si invitata a ripiegare su una soluzione meno ambiziosa ma più concreta: la formazione di un’Unione europea, dotata di un Consiglio dell’Unione, di un Segretariato permanente e di un presidente eletto per un mandato di due anni.

L’OFME e i gruppi che con varie sfumature ne condividevano le posizioni rimproveravano, quindi, alla piattaforma di Milano una mancanza di realismo.

Al Consiglio federale del ME, riunitosi a Parigi il 5-6 dicembre 1980, vennero approvate le proposte avanzate nel corso della riunione di Milano e il documento sulla rifondazione morale e politica del Movimento, ma il rifiuto espresso da Petrilli a un’impostazione compromissoria con le posizioni dell’OFME non consentì di raggiungere il quorum dei due terzi dei votanti necessario per la sua elezione, a scrutinio segreto, alla carica di presidente internazionale. Venne pertanto deciso di riconvocare il Consiglio per metà gennaio per procedere a un nuovo scrutinio.

Prima della successiva riunione, il dissidio franco-italiano venne composto nel corso di un incontro bilaterale tra le due presidenze con una formula che, facendo salve le rispettive posizioni, riconosceva la necessità che la linea politica del Movimento fosse adattata ai diversi contesti nazionali, lasciando a tal fine la necessaria discrezionalità operativa ai singoli Consigli.

L’elezione di Petrilli avvenne, quindi, nel corso della riunione del Consiglio federale del 24 gennaio 1981. Il nuovo presidente si circondò di una direzione collegiale, che comprendeva, come da lui auspicato, i rappresentanti dei gruppi politici del PE, dei sindacati e dei paesi candidati all’adesione. Dopo circa trent’anni di mandato di Robert Van Schendel, alla segreteria generale venne eletto Thomas Jansen, al quale sarebbe presto subentrato l’olandese Sjouke Jonker, ex collaboratore di Sicco Mansholt alla Commissione europea.

I primi anni Ottanta videro il ME schierato a sostegno dell’iniziativa del Club del Coccodrillo, lanciata da Altiero Spinelli e approvata a Kiel, nel giugno 1982, dal Consiglio federale del ME. Venne anche decisa l’istituzione di una commissione per le istituzioni, presieduta dal liberale tedesco Martin Bangemann, che iniziò i suoi lavori nell’aprile del 1981 e che presentò un rapporto al Consiglio federale di Strasburgo del 30-31 ottobre 1981.

La commissione del ME mantenne stretti contatti con la commissione istituzionale del PE (presieduta da Mauro Ferri), la quale avrebbe elaborato il Trattato di Unione europea, approvato dall’Assemblea di Strasburgo il 14 febbraio 1984, ma non ratificato dai parlamenti nazionali. A sostegno del Trattato, Petrilli organizzò a Roma un importante convegno il 7 febbraio 1984, con la partecipazione di Ferri e Spinelli.

Le risposte dei governi nazionali all’iniziativa del PE furono i Comitati Dooge e Adonnino, che prevedevano la convocazione di una Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) per la riforma dei Trattati. Il ME, pur approvando le conclusioni del rapporto Dooge, affermava che, in sede di CIG, il documento base avrebbe dovuto essere il Progetto Spinelli, senza snaturarlo. Si aggiunse, nel frattempo, il Libro bianco (v. Libri bianchi) sul completamento del Mercato interno, proposto dal Presidente della Commissione europea, Jacques Delors.

Il ME, guidato dal nuovo presidente Gaston Thorn, desiderando sfruttare il clima positivo determinato dalle iniziative governative, della Commissione e del PE, promosse, assieme all’UEF, al Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa (CCRE) e alle Jeunesses fédéralistes européennes, la grande manifestazione popolare svoltasi a Milano in occasione del Consiglio europeo (29 giugno 1985), rivolgendo un solenne appello ai capi di Stato e di governo per la ratifica del Trattato d’Unione.

Dopo la decisione, assunta proprio al Vertice di Milano, di convocare la CIG, si giunse, quindi, all’Atto unico europeo (AUE) che produsse una certa delusione negli ambienti del ME, non essendo in esso contenuto alcun impegno in merito alla costituzione di un governo europeo e all’unione economica e monetaria.

Le battaglie degli anni Novanta a favore di una più stretta integrazione europea

In ogni caso il ME sostenne l’AUE e l’importante obiettivo del completamento del Mercato interno, così come il successivo Trattato di Maastricht, che consentì il raggiungimento dello storico obiettivo della moneta unica (v. Euro), rilevanti riforme istituzionali (tra cui un rafforzamento del ruolo del PE grazie anche alla Procedura di codecisione), l’avvio di una Politica estera e di sicurezza comune e del terzo pilastro (v. Pilastri dell’Unione europea) relativo alla Giustizia e affari interni.

Sotto le successive presidenze di Enrique Barón Crespo, Valéry Giscard d’Estaing, Mario Soares, José María Gil-Robles y Gil-Delgado e di Pat Cox, il ME diede, inoltre, il proprio avallo alle riforme introdotte con il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza e con il Trattato costituzionale (v. Costituzione europea), in vista anche dell’allargamento ai paesi dell’Est, avvenuto nel maggio del 2004. Ciò non impediva al Movimento di sottolineare anche il carattere limitato e parziale di tali riforme.

Nel 1995, su iniziativa del segretario generale del ME, Pier Virgilio Dastoli, al fine di costruire un ponte tra i cittadini e le Istituzioni comunitarie, nello spirito della democrazia partecipativa, venne creato il permanente Forum della società civile, composto da organizzazioni non governative e associazioni operanti in diversi campi (sociale, culturale, sindacale, ambientale, dei consumatori, ecc.).

Dopo i primi Stati generali della società civile, svoltisi a Bruxelles il 26 novembre 1996, il Forum si impegnò nell’elaborazione della Carta delle cittadine e dei cittadini europei, adottata nel corso dei secondi Stati generali, tenutisi a Roma il 22 e 23 marzo 1997. Tale documento richiamava gli ideali alla base della costruzione europea e i valori che essa doveva esprimere.

In aggiunta alla Carta, va segnalato il “Manifesto Europa 2002”, nel quale, oltre a sostenere la necessità dell’adesione dei paesi dell’Est, si auspicava un patto costituzionale da sottoporre a referendum negli Stati membri e in quelli candidati, l’integrazione nei Trattati della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, un aumento significativo dei mezzi finanziari a disposizione dell’Unione in vista dell’allargamento.

Nel maggio del 1998 venne convocato all’Aia un Congresso del ME, in occasione del cinquantesimo anniversario dello storico incontro del maggio 1948, con la partecipazione di 3500 militanti provenienti da tutta Europa. Questo appuntamento fece seguito al Congresso, riunito dieci anni prima, sempre nella città olandese, per ricordare il quarantesimo anniversario di quell’importante evento.

Nel messaggio lanciato dal Congresso si sottolineava l’inadeguatezza del Trattato di Amsterdam e lo squilibrio del processo di integrazione europea, nel quale erano registrabili progressi significativi nel settore economico-monetario, ma del tutto insoddisfacenti nei campi politico, sociale e culturale.

Dopo il Congresso dell’Aia, il ME non ha cessato di chiedere l’avvio di un vasto dibattito sul futuro dell’Europa.

Nel marzo 1999, venne dato il via a una serie di iniziative sotto il titolo “Costruiamo assieme l’Europa del 21° secolo – Obiettivo 2002”, in vista del cinquantesimo anniversario della nascita della CECA e a seguito delle elezioni europee tenutesi nel giugno di quell’anno. Venne elaborato un documento in dodici punti (Il futuro dell’Europa) con il quale si invitavano i governi a rafforzare le istituzioni dell’Unione prima di un rapido allargamento a Est, favorendo la solidarietà sociale e rinvigorendo la Politica estera e di sicurezza comune.

Nel settembre 1999, il ME promosse la convocazione della prima Assemblea parlamentare dei giovani dell’Unione europea, con la mobilitazione di mezzo milione di giovani elettori e settecento eletti, i quali parteciparono a quattro sessioni di dibattito a Strasburgo. I risultati di tali giornate portarono alla pubblicazione del Manifesto di Strasburgo.

Dopo il Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, il ME chiese di dare efficacia vincolante alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, manifestando la propria insoddisfazione per i risultati prodotti dalla Conferenza intergovernativa, non all’altezza delle sfide a cui l’Europa era confrontata, domandò di superare la logica intergovernativa e i negoziati diplomatici, ricorrendo al metodo della Convenzione (v. Convenzioni) (già adottato per l’elaborazione della succitata Carta), così da associare, su un piano di parità, i governi e i parlamenti nazionali, la Commissione e il Parlamento europeo, coinvolgendo anche la società civile, i poteri regionali e locali. Richiesta che trovò una positiva risposta con la convocazione della Convenzione sul futuro dell’Europa (v. Convenzione europea), presieduta da Valéry Giscard d’Estaing.

Oggi il ME è, da un lato, un gruppo di studio e d’informazione e, dall’altro, un gruppo di pressione che agisce nei confronti delle istituzioni europee, dei governi, dei parlamenti e delle forze politiche nazionali, dei sindacati, delle associazioni professionali, della società civile. La sua caratteristica è di operare a livello veramente continentale, in tutti gli Stati membri, in quelli candidati e anche in quelli che non hanno presentato richiesta di adesione all’Unione europea (v. anche Criteri di adesione).

Il ME è attualmente composto da quarantuno Consigli nazionali di paesi membri del Consiglio d’Europa e da ventidue organizzazioni internazionali. I suoi organi sono: il Consiglio federale, che costituisce l’assemblea plenaria che nomina il presidente, il segretario generale, il tesoriere e i membri degli altri organi elettivi; il Comitato direttivo, che assume le decisioni politiche nel quadro degli orientamenti fissati dal Consiglio federale; il Comitato esecutivo, che detiene i poteri di gestione e di amministrazione e assicura l’esecuzione del programma politico definito dal Comitato direttivo; il Segretario generale che coordina le attività con i Consigli nazionali, attraverso la conferenza dei segretari generali.

Paolo Caraffini (2007)