Parri, Ferruccio

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Dopo aver compiuto gli studi liceali a Casale Monferrato, P. (Pinerolo, Torino 1890-Roma 1981) si iscrisse nel 1908 alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, per avviarsi, al termine degli anni di studio, alla carriera di professore di scuola media. Con l’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale, P. fu richiamato nell’esercito. Stanziato presso l’ottantanovesimo battaglione di fanteria, prestò servizio al fronte come comandante di reparti guastatori. Nell’ultima fase della guerra, fu impiegato al Comando supremo. Lasciò il servizio militare nel giugno 1919, avendo raggiunto il grado di maggiore e guadagnato tre medaglie d’argento al valore.

Nel dopoguerra, P. si interessò della tutela degli ex soldati, prestando servizio presso l’Organizzazione nazionale dei combattenti. Partecipò alla battaglia politica per il rinnovamento nazionale propugnata dal gruppo di giovani riuniti attorno alla rivista “Volontà”, diretta da Vincenzo Torraca. All’inizio del 1922, si trasferì a Milano (insieme a Ester Verrua, divenuta sua moglie), dove entrò nella redazione del “Corriere della Sera” di Luigi Albertini. Nel 1923-24 P. partecipò attivamente alla lotta contro Mussolini a fianco del gruppo fiorentino del “Non mollare” (Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Carlo Rosselli) e dei gruppi di Rivoluzione liberale fondati da Piero Gobetti. Nel giugno 1924 P. dette vita insieme a Riccardo Bauer al foglio antifascista “Il Caffè”. Con la promulgazione delle “leggi fascistissime”, l’attività di P. si orientò verso l’organizzazione degli espatri delle personalità politiche minacciate dal regime. L’espatrio di Filippo Turati in Francia costò a P. e a Carlo Rosselli l’arresto. Nel settembre 1927 i due cercarono di scuotere l’opinione pubblica italiana e internazionale dalle aule del tribunale di Savona, accusando il regime di Mussolini di rappresentare una sorta di “bolscevismo di Stato”. Seguì per entrambi un periodo di carcerazione e di confino tra Ustica e Lipari, conclusosi per P. alla fine del 1932, quando Mussolini concesse un’amnistia in occasione del decennale della marcia su Roma.

Nel corso degli anni Trenta, P. visse a Milano. Si impiegò nell’Ufficio studi della Edison e collaborò al “Giornale degli economisti” diretto dall’amico Giorgio Mortara. P. continuò a tessere le fila di gruppi antifascisti e nel giugno del 1942 fu uno dei fondatori (insieme a Ugo La Malfa, Adolfo Tino e molti altri) del Partito d’azione. All’indomani dell’8 settembre 1943, P. fu incaricato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN) di guidare il nascente comando militare in vista della lotta contro l’occupazione tedesca. Le vicende alterne della Resistenza italiana lo portarono ad assumere l’incarico di vicecomandante del Corpo volontari della libertà, al cui vertice fu collocato il generale Raffaele Cadorna. Le origini dell’europeismo di P., convinto assertore del carattere europeo della Resistenza, debbono essere collocate in questo periodo, quando egli venne a contatto col nascente Movimento federalista europeo (MFE), la cui prima organizzazione, risalente all’agosto del 1943, prese impulso dalle idee di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli.

Il prestigio di P. presso l’opinione pubblica dell’Italia liberata si tradusse nel giugno 1945 nell’incarico di primo presidente del Consiglio nominato dopo la Liberazione. Il mancato consolidamento del governo, la cui esperienza si concluse nel novembre dello stesso anno, fu il preludio dell’uscita dal Partito d’azione nel febbraio del 1946. P. partecipò dunque ai lavori dell’Assemblea costituente nelle fila del Partito repubblicano, al quale aveva aderito dopo le elezioni del 2 giugno 1946. Se nel 1942 era stato ancora dubbioso circa le proposte contenute nel Manifesto di Ventotene, P. si avvicinò progressivamente alle posizioni di Spinelli, dedicandosi a partire dal 1946 alla costruzione dell’unità europea. Nel giugno 1946 firmò il questionario sull’unione europea redatto da Richard Coudenhove-Kalergi, il quale cercava di costituire un gruppo di pressione che operasse all’interno dei parlamenti nazionali a favore della federazione europea (v. anche Federalismo). Oramai molto vicino alle posizioni del MFE, P. aderì all’Unione europea dei federalisti (UEF), condividendo le risoluzioni del congresso di Montreaux (27-31 agosto 1947) che aveva stabilito di «cominciare ad occidente». Si trattava cioè di adottare la premessa secondo cui, nella fase storica della Guerra fredda, la federazione europea potesse nascere soltanto in chiave antisovietica quale frutto di una forte interazione euro-americana. Il crescente impegno europeistico di P. è testimoniato dalla sua partecipazione come oratore all’incontro pubblico sulla federazione europea che Ernesto Rossi organizzò al teatro Eliseo di Roma nell’ottobre 1947 nel corso del quale intervennero anche Piero Calamandrei, Luigi Einaudi, Ignazio Silone e Gaetano Salvemini.

P. entrò a far parte dell’Unione parlamentare europea (UPE), partecipando nel settembre del 1947 al congresso di Gstaad e, nel settembre 1948, in posizione di primo piano, a quello d’Interlaken. Sotto la sua guida, la delegazione italiana mostrò di essere la più compattamente federalista, entrando in conflitto con la maggioranza la quale, invece di battersi per la convocazione di una costituente europea, intendeva rivolgersi ai governi che avevano aderito al Patto di Bruxelles affinché fossero loro a prendere l’iniziativa per l’avanzamento dell’unificazione europea. All’indomani del voto del 18 aprile 1948, P. fu nominato senatore di diritto nel Parlamento della prima legislatura (1948-1953). In questi anni, P. si impegnò in un’attività multiforme, dalla assistenza dei partigiani e delle vittime di guerra all’organizzazione della ricerca storica sulla Resistenza, dalla promozione di studi economici alle iniziative di carattere europeista. Convinto che fosse necessario da un lato arginare il dilagare del comunismo sul modello sovietico, dall’altro impedire la prospettiva della restaurazione di regimi di stampo nazionalista e fascista, approvò tra 1947 e 1949 le scelte internazionali dei governi presieduti da Alcide De Gasperi, considerandole – dall’adesione al Piano Marshall alla partecipazione al Patto atlantico – contributi fondamentali per la costruzione dell’Europa.

All’inizio della nuova legislatura, P. divenne presidente del gruppo parlamentare italiano per l’Unione europea al Senato. Presieduto alla Camera da Enzo Giacchero, questo gruppo agì in consonanza con le tesi del MFE, arrecando alle sedi istituzionali una maggiore sensibilità federalista che fino ad allora era stata prerogativa soltanto dei movimenti. Tra le diverse iniziative, si deve qui ricordare l’ordine del giorno del 27 marzo 1949 in cui P. definì il Patto atlantico un contributo essenziale alla nascita della federazione europea. P. fu anche membro del Consiglio italiano del Movimento europeo (CIME), entrando a far parte anche del suo esecutivo. Probabilmente, in modo analogo a Spinelli, l’intento di P. fu di disturbare dall’interno il radicamento di una esperienza che andava in una direzione assai diversa dalla convocazione della costituente europea, obbiettivo dichiarato del MFE. Il Movimento europeo (ME) diretto da Winston Churchill ebbe un ruolo importante nel mettere in moto il processo che portò nel maggio 1949 alla nascita del Consiglio d’Europa, un’istituzione che difficilmente poteva essere collocata sulla traccia del federalismo. P. fu membro dell’Assemblea consultiva prevista dallo statuto del Consiglio d’Europa. Insieme ad altri delegati, prevalentemente italiani, diede battaglia per la modifica dello statuto nel senso di avviare la trasformazione dell’assemblea consultiva in una costituente vera e propria. Nel 1950 partecipò attivamente alla campagna in favore di un “patto federale europeo” che aveva il fine di portare il numero più largo possibile di parlamentari europei su posizioni favorevoli alla convocazione della costituente. Il 10 ottobre 1951 P. e Giacchero, in qualità di presidenti del gruppo parlamentare italiano per l’Unione europea, presentarono ai due rami del Parlamento italiano un ordine del giorno con cui si invitava il governo a farsi promotore della costruzione di una effettiva autorità politica europea. Questa risoluzione cadde nel momento in cui andava prendendo forma il progetto degasperiano di sviluppare tale autorità a partire dalle implicazioni di carattere politico e finanziario contenute nel progetto di Comunità europea di difesa (CED).

P. aveva apprezzato la nascita della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA), considerando il Piano Schuman un punto di svolta nel processo di costruzione europea. Anche il progetto di un esercito comune gli apparve in un primo momento un passo concreto in direzione della costituzione di uno Stato sovranazionale. Tuttavia, egli non seguì Spinelli per questa via, finendo anzi per diventare un avversario della CED e quindi per allontanarsi dal MFE. Ciò avvenne in corrispondenza della rottura che P. maturò in politica interna in occasione del dibattito sulla nuova legge elettorale maggioritaria del 1953. Egli giudicò che questo progetto, avanzato dal governo De Gasperi, e passato alla storia come “legge truffa”, rappresentasse la premessa di una svolta autoritaria nella vita politica italiana. Abbandonò pertanto il PRI, dando vita ad una formazione di disturbo, Unità popolare, con l’obbiettivo di impedire che il meccanismo previsto dalla legge scattasse. A partire da questo quadro nazionale, la CED gli apparve sempre più alla stregua di uno strumento nelle mani dei conservatori americani e europei occidentali, i quali puntavano le loro carte sull’aumento della tensione internazionale non già per promuovere la costruzione di una federazione europea, ma piuttosto per consolidare la stabilizzazione in senso conservatore dei regimi interni. Ormai in contrasto con la strategia di Spinelli, P. lasciò il MFE, configurando sempre di più il suo europeismo come progetto di rottura dell’egemonia statunitense. Nel 1959, a dieci anni dalla firma del Patto atlantico, P. giudicò l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) uno strumento di potenza nelle mani degli USA.

In seguito alle vicende internazionali del 1956 – le rivelazioni del XX congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) e la repressione della rivoluzione ungherese –, P. si avvicinò ai socialisti che stavano intraprendendo un processo di autonomia dal Partito comunista italiano (PCI). Nel 1963 fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica, Antonio Segni. Nello stesso anno, fondò insieme a Ernesto Rossi la rivista “L’Astrolabio” e il Movimento Gaetano Salvemini. Queste esperienze caratterizzarono l’ultima fase della sua vita, assieme alla Sinistra indipendente, il gruppo parlamentare che P. fondò nel 1967. A partire dall’inizio degli anni Settanta, i problemi di salute imposero l’abbandono di una parte delle sue attività, tra cui anche quella di membro del Parlamento europeo, del quale faceva parte dal 1963.

Luca Polese Remaggi (2010)

Bibliografia

Parri F., Scritti 1915-1975, Feltrinelli, Milano 1976.

Parri F., Discorsi parlamentari, Senato della Repubblica-Segretariato generale-servizio studi, Roma 1990.

Polese Remaggi L., La nazione perduta. Ferruccio Parri e l’Italia del Novecento, il Mulino, Bologna 2004

Preda D., La scelta europea di Ferruccio Parri, in L’europeismo in Lombardia F. Zucca (a cura di), il Mulino, Bologna 2007.