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Partito verde europeo

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I Verdi europei emersero sulla scena politica continentale come coordinamento transnazionale di partiti ecologisti e alternativi sorti in alcuni paesi dell’Europa occidentale sull’onda del più vasto ed eterogeneo sommovimento politico-culturale portatore di nuove istanze sociali, ecologiche, pacifiste, di partecipazione democratica e di giustizia sociale. Sin dagli anni Sessanta e Settanta movimenti ambientalisti e pacifisti e comitati civici attivi a livello nazionale e locale avevano condotto lotte sociali specifiche, che avevano trovato soprattutto una convergenza nella battaglia contro la costruzione di centrali nucleari e contro l’installazione degli euromissili nei primi anni Ottanta, e avevano costituito reti di collaborazione europee e internazionali. Liste e partiti verdi, collegati a queste esperienze, iniziarono a presentarsi nella competizione politica locale e nazionale come espressione dell’ecologia politica verso la fine degli anni Settanta. Il primo partito verde in Europa, rimasto per molto tempo marginale e ininfluente, nacque in Inghilterra (v. Regno Unito) nel 1973, mentre l’ingresso di un deputato verde in un parlamento nazionale avvenne per la prima volta in Svizzera nel 1979.

Le Elezioni dirette del Parlamento europeo (PE), nel giugno 1979 rappresentarono l’occasione per lo sviluppo di alcune liste o partiti verdi, provenienti da Repubblica Federale Tedesca (RFT) (v. Germania), Francia, Gran Bretagna (v. Regno Unito), Belgio e Lussemburgo, che parteciparono alla competizione europea adottando come generico programma comune il manifesto di Ecoropa, un coordinamento europeo di attivisti ambientalisti e antinucleari, senza ottenere alcuna rappresentanza ma raccogliendo percentuali di voto comprese tra lo 0,1% e il 4%. Queste liste, insieme ad alcuni partiti radicali, approvarono, nel luglio 1979, una Piattaforma di azione ecopolitica per un cambiamento pacifico in Europa (PEACE) e costituirono il Coordinamento europeo dei partiti verdi e radicali (CEPVR) per favorire lo scambio di idee e informazioni, il sostegno reciproco nelle campagne politiche, il coordinamento di azioni congiunte e di posizioni comuni su questioni europee, la preparazione di incontri e seminari sugli argomenti di interesse internazionale e di un programma elettorale europeo condiviso. Al CEPVR parteciparono, oltre ai Verdi della RFT (Die Grünen), costituitisi in partito nel 1980 e che nel giro di pochi anni divennero punto di riferimento e forza trainante di tutti i partiti verdi a livello internazionale dopo aver varcato le porte del Parlamento tedesco (Bundestag) nel marzo 1983, i partiti verdi belga (il fiammingo Agalev e quello vallone Ecolo), il Mouvement d’ecologie politique per la Francia, il partito verde inglese (Ecology party) e i partiti radicali olandese (Politieke partij radikalen) e italiano (Partito radicale), l’unico ad avere ottenuto seggi al Parlamento europeo (PE).

Dopo poco tempo, a seguito di dissidi fra verdi e radicali, il CEPVR si sciolse e, nel 1983, i partiti verdi, compresi quelli svedese, irlandese e austriaco e il nuovo raggruppamento francese, concordarono la formazione del Coordinamento dei partiti verdi europei (CPVE), presentando, nel gennaio 1984 una Dichiarazione congiunta di intenti per le successive elezioni europee che aveva come punti qualificanti la critica agli Stati nazionali, la creazione di un’Europa delle regioni, una difesa civile nonviolenta e lo sviluppo di politiche di disarmo e di conversione ecologica dell’economia. A causa delle differenze ideologiche tra il partito verde tedesco e la coalizione rosso-verde olandese (costituita da ambientalisti e dai piccoli partiti radicale, pacifista e comunista), insoddisfatti del documento poiché privo di rivendicazioni sociali e libertarie, e le altre formazioni ecologiste, tra l’altro contrarie all’ingresso nel Coordinamento dei rosso-verdi olandesi, i Verdi tedeschi rimasero per un certo tempo soltanto come osservatori nel CPVE che si costituì comunque durante il suo primo congresso svoltosi a Liegi il 31 marzo e il 1° aprile 1984. In quell’occasione il CPVE, composto dai partiti verdi dei paesi del Benelux e di Francia, Gran Bretagna, Germania, Svezia e Svizzera, concordò una dichiarazione congiunta, la Dichiarazione di Parigi, che recepiva alcuni punti programmatici volti alla difesa dello stato sociale.

Alle elezioni europee del giugno 1984 i Verdi tedeschi e belgi raccolsero l’8% dei voti, mentre risultati oscillanti tra il 3% e il 6% furono ottenuti in Olanda (v. Paesi Bassi), Francia e Lussemburgo. Al PE erano eletti 11 europarlamentari verdi (sette tedeschi, due belga e due olandesi) che costituirono una componente autonoma denominata Green alternative European link (GRAEL), all’interno del Gruppo arcobaleno, formato anche da regionalisti ed antieuropeisti danesi. Il GRAEL, scarsamente coeso e dominato dallo scontro interno tra i Verdi tedeschi, divisi tra alternativi di sinistra e fondamentalisti (fundis) e riformisti (realos), fu incapace di elaborare una comune visione dell’Europa ed espresse un atteggiamento di rifiuto della costruzione comunitaria, ritenuta espressione di un liberismo sfrenato nocivo per l’ambiente e la società. Le difficoltà del GRAEL si ripercuotevano sul CPVE, che pur non essendo collegato al GRAEL, era attraversato dalla divisione dei Grünen, le quali impedirono per qualche anno la nascita di una “Internazionale verde”. Il CPVE giunse a elaborare, nel marzo 1989, a Bruxelles, un manifesto elettorale comune, piuttosto generico, per le successive elezioni europee il quale, criticando la Comunità economica europea e proponendo riforme per democratizzarla, era frutto di una mediazione tra l’euroscetticismo rosso-verde, prevalentemente tedesco e scandinavo, e il tendenziale europeismo de verdi belgi, francesi e italiani.

Alle elezioni europee del giugno 1989 i partiti verdi ottennero un ampio successo, affermandosi a sorpresa anche in Gran Bretagna, dove sfiorarono il 15% dei voti (insufficiente però per conquistare seggi a causa del sistema elettorale maggioritario), e raggiungendo, in Francia, il 10,6% e nove europarlamentari. Con ventisei eletti provenienti da quasi tutti i paesi della Comunità europea (otto francesi, sette tedeschi, quattro italiani, tre belgi, due olandesi e uno spagnolo) venne costituito per la prima volta il Gruppo verdi al Parlamento europeo (GVPE), caratterizzato da un atteggiamento più riformista soprattutto grazie all’apporto europeista degli europarlamentari verdi francesi, belgi e italiani. Il GVPE, a differenza degli altri gruppi parlamentari del PE, venne rappresentato da due portavoce, un uomo e una donna, in omaggio all’eguaglianza tra i sessi, eletti dal Gruppo per quindici mesi e poi rinnovati. Tra i primi a ricoprire questo incarico vi furono gli italiani Alexander Langer e Adelaide Aglietta, fautori di un rinnovamento democratico e federalista della Comunità europea (v. anche Federalismo). Oltre a essere più unito ed europeista, il GVPE acquisì un ruolo sempre più incisivo nell’orientare l’agenda politica del PE sui temi dell’ambiente, della pace e dei Diritti dell’uomo. Tra le sue priorità vi furono quella di favorire le relazioni con l’Europa orientale, appena uscita dal comunismo. A seguito di contatti con ecologisti e movimenti democratici di quell’area, il GVPE organizzò nel luglio 1990 una riunione del “Parlamento verde d’Europa” presso il PE, assemblea paneuropea che votò una risoluzione su pace e disarmo e diverse altre dichiarazioni, mentre nel maggio 1992, insieme ai Verdi brasiliani e dopo l’inizio di una collaborazione internazionale con i partiti verdi di altri continenti al quale prese parte anche il Coordinamento dei Verdi europei avviata sin dal 1990, promosse il primo incontro planetario dei partiti verdi a Rio de Janeiro, in occasione della preparazione della partecipazione dei partiti e movimenti ecologisti al Global Forum alternativo tenutosi nella città brasiliana in concomitanza con la Conferenza mondiale sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (Vertice della Terra) svoltosi nel giugno seguente. Per continuare e rafforzare la cooperazione a livello mondiale venne costituito un Comitato direttivo composto di un numero eguale di rappresentanti per ognuna delle quattro federazioni continentali (Africa, Americhe, Asia-Pacifico, Europa).

Deluso dalle lacune e dal Deficit democratico che permaneva con la debolezza del PE, il GVPE si espresse contro il Trattato di Maastricht che istituì l’Unione europea (UE). Il GVPE, a differenza del GRAEL, collaborò stabilmente con il CPVE che, dalla fine del 1989, vide l’adesione di diversi movimenti e partiti verdi dell’Europa orientale.

In previsione delle elezioni europee del 1994, ventitré partiti verdi riuniti a Masala, nei pressi di Helsinki, in Finlandia, il 20 giugno 1993, decisero la costituzione di una federazione transnazionale, la Federazione europea dei partiti verdi (FEPV), votando uno Statuto e un documento contenente i principi guida dell’organizzazione. La FEPV, che sostituiva il debole CPVE, aveva come finalità principali il cambiamento ecologico, democratico, sociale e pacifista dell’Europa e il suo Allargamento per costruire una “casa europea”. La sua struttura era costituita da tre organi principali: il Consiglio, dotato di compiti direttivi e convocato con cadenza almeno annuale, formato da delegati dei partiti membri (unici ad avere diritto di voto), dai membri del Comitato, dai delegati dei partiti ammessi come osservatori e dall’Ufficio del GVPE; il Comitato, composto da nove membri (due portavoce – un uomo e una donna –, un segretario, un tesoriere e altre cinque persone) e incaricato della rappresentanza politica permanente della FEPV, dell’esecuzione delle decisioni del Consiglio e del controllo del Segretariato generale; il Congresso, organo di decisione supremo convocato ogni tre anni e composto da 400 rappresentanti. Il voto all’unanimità previsto per l’assunzione delle decisioni nel CPVE era sostituito da quello a maggioranza qualificata. Tuttavia, l’esito delle votazioni a maggioranza non vincolava i partiti membri della FEPV, che potevano scegliere di non uniformarsi alle scelte effettuate (opting out). L’assegnazione dei posti nel Consiglio della FEPV (almeno un rappresentante per partito) e dei delegati di tutti i partiti nazionali aderenti che componevano il Congresso avveniva secondo il criterio proporzionale. Due importanti differenze distinguevano la FEPV dalle altre federazioni di partiti europei (v. Partiti politici europei): da un lato la sua composizione paneuropea, dovuta all’inclusione di partiti di paesi europei non appartenenti all’UE con la scelta di Vienna quale sede (anziché Bruxelles dove si trovavano i quartieri generali delle altre federazioni di partiti politici europei) in quanto più vicina rispetto all’Europa centro orientale; dall’altro, la mancanza della previsione di vertici tra i segretari dei partiti nazionali.

Nel marzo 1994 a Bruxelles, sedici partiti verdi membri della FEPV sottoscrissero l’impegno a ricostituire il GVPE al PE e ciò fu reso possibile dal voto europeo che riconfermò, con qualche perdita (l’assenza di eurodeputati francesi e il rafforzamento dei verdi dell’Europa del Nord, ai quali si aggiunsero con l’ingresso nell’UE di Austria, Finlandia e Svezia anche i rappresentanti di quei paesi) la presenza di una rappresentanza verde che comprendeva una ventina di eletti.

Nel giugno 1996 il primo Congresso della FEPV si riunì a Vienna. Al secondo Congresso, tenutosi a Parigi nel febbraio 1999, venne proposto un manifesto comune che faceva riemergere, come già alla vigilia delle elezioni europee precedenti (anche se le posizioni euroscettiche e confederative espresse soprattutto da inglesi, irlandesi e svedesi risultavano sempre più minoritarie), l’impossibilità di approvare un programma dettagliato. Dopo le elezioni del PE del giugno 1999, che videro aumentare il numero complessivo degli eletti a 38, tra i quali poco meno della metà riconfermati, pur persistendo un evidente squilibrio tra i buoni risultati conseguiti dai verdi nei paesi dell’Europa centrosettentrionale e gli scarsi consensi ottenuti nell’area mediterranea (aumentavano gli eurodeputati olandesi e belgi, rientravano i francesi guidati dall’ex leader del “maggio francese” del ’68 Daniel Cohn-Bendit, mentre perdevano quota tedeschi, italiani e svedesi), gli ecologisti siglarono un accordo tecnico-politico con il Alleanza libera europea-Partito democratico dei popoli europei (ALE-PDPE), espressione dei partiti regionalisti europeisti e di tendenza progressista e costituirono un nuovo gruppo parlamentare del PE, il Gruppo verdi-Alleanza libera europea (GV-ALE) che si attestò, con 48 membri, come il quarto gruppo dell’Assemblea di Strasburgo.

Con la costituzione dell’associazione internazionale dei partiti verdi a livello mondiale il Global Greens Network, avvenuta a Canberra nell’aprile 2001, la FEPV divenne una delle quattro federazioni continentali all’interno di un Coordinamento e di un Comitato direttivo di 12 membri (3 per ogni federazione). Durante il meeting di Canberra venne adotta anche la Global Green Charter, documento politico che enuncia i principi e le linee guida comuni ai partiti verdi a livello mondiale. Il secondo Congresso dei Global Greens, che si è svolto a San Paolo del Brasile nel maggio 2008, ha deciso di sviluppare entro il 2009 un piano di lavoro per dotare l’internazionale verde di risorse maggiori e strutture più stabili ed efficaci al fine di promuovere gli obiettivi comuni.

Il terzo congresso della FEPV tenutosi a Berlino nel maggio 2002 approvò la decisione di costituire un partito verde europeo (PVE), attuata al quarto congresso della FEPV (e primo del neonato PVE), svoltosi a Roma dal 20 al 22 febbraio 2004, alla presenza di oltre un migliaio di delegati, sulla spinta della recente approvazione dello Statuto dei partiti europei dell’UE. Il Partito verde europeo diventava così la prima famiglia politica europea ad unirsi a livello sovranazionale al di là dei confini dell’UE. Le variazioni statutarie introdotte rispetto alla FEPV sono state molto limitate: i Verdi europei, che costituiscono un’organizzazione internazionale senza finalità di lucro con sede a Bruxelles, hanno visto riconfermati i seguenti organi: il Consiglio, quale Assemblea generale composta di 400 delegati dei partiti membri e di europarlamentari, responsabile per la gestione tra un Congresso e l’altro e per le decisioni riguardanti le questioni amministrative, l’elezione del Comitato, l’accettazione di nuovi membri o di osservatori e l’approvazione degli statuti; il Congresso, considerato un’Assemblea generale allargata rappresentativa degli europarlamentari e dei partiti verdi in proporzione ai risultati ottenuti nelle ultime elezioni europee o nazionali (garantendo ad ognuno essi almeno quattro membri), chiamato ad esprimersi con il voto a maggioranza e investito delle decisioni relative alla linea politica generale e ai comuni principi guida); il Comitato, che si occupa dell’amministrazione ordinaria e dell’esecuzione delle decisioni del Consiglio, composto di nove membri (due portavoce – un uomo e una donna –, un segretario generale – responsabile di un ufficio e di un piccolo staff a Bruxelles –, un tesoriere e cinque membri, ai quali si affiancano due rappresentanti – sempre a garanzia della parità di genere – della Federazione dei giovani verdi europei – Federation of young European greens, FYEG –, nata come organizzazione indipendente fondata in Belgio nel 1988 e di cui fanno parte anche associazioni ambientaliste ed ecologiste e ora divenuta ufficialmente la componente giovanile del PVE); il Comitato di mediazione; il Gruppo di monitoraggio finanziario. Il PVE ha organizzato una campagna europea comune alle elezioni europee del giugno 2004, che hanno registrato una lieve flessione generale del numero degli eletti (34 eurodeputati, nessuno dei quali però nei dieci paesi dell’Europa orientale entrati nell’UE, ma con una netta crescita di voti in Germania e in Austria e con l’elezione, per la prima volta, di due rappresentanti spagnoli) che ha permesso la ricostituzione del GVPE/ALE, con l’aggiunta di cinque eurodeputati regionalisti e di due indipendenti.

Il PVE comprende 36 partiti provenienti da 32 Stati europei: i paesi dell’UE, a eccezione della Lituania e, dal 2008, della Danimarca dopo l’espulsione del piccolo partito ecologista De Grønne a causa della scelta di collaborare per le prossime elezioni del PE con il Movimento per il popolo danese contro l’UE – Folkebevægelsen mod EU –, attualmente schierato con la Sinistra Unita europea-Sinistra verde nordica al PE (v. Gruppo della sinistra europea e della sinistra verde nordica) più Albania, Georgia, Moldova, Norvegia, Russia, Svizzera e Ucraina. In quattro paesi dell’UE sono presenti due diversi partiti verdi in ragione di una peculiare autonomia e identità territoriale (in Belgio con il partito fiammingo Groen! e quello vallone Ecolo e in Gran Bretagna con il Green Party of England and Wales e lo Scottish Green Party) oppure di un differente orientamento ideologico (è il caso dei Paesi Bassi con il piccolo, ambientalista e su base federativa De Groenen e il più recente partito rosso-verde GroenLinks) o ancora di entrambi i fattori (in Spagna con la confederazioni di partiti regionali Los Verdes e il partito rosso-verde catalano Iniciativa per Catalunya Verds). Al PVE aderiscono anche nove partiti od organizzazioni in qualità di osservatori (i partiti verdi di Andorra, Azerbaijan, Bielorussia, Croazia, Serbia, Turchia, il partito di sinistra alternativa danese Partito socialista del popolo – Socialistisk folkeparti –, il movimento Green Russia – che collabora con il partito democratico russo Yabloko – e lo European Network of Green Seniors – una rete di persone e gruppi sorta a partire dal 2005 per promuovere e organizzare l’azione e la cooperazione sociale e politica delle persone anziane attive nei movimenti ecologisti e nei partiti verdi). Oltre ai partiti, dal 2004, e come confermato anche nell’ultima revisione degli statuti avvenuta nel giugno 2008, il PVE ha consentito anche l’adesione di singoli individui in qualità di sostenitori, donatori e membri onorari (quest’ultimo riconoscimento conferito, su proposta unanime del Comitato ratificata dal Consiglio, per coloro che si siano distinti per meriti speciali nello sviluppo della politica verde ed ecologista). Poiché il PVE si definisce una federazione di partiti, il diritto al voto è unicamente riservato ai loro delegati e agli europarlamentari ed è invece escluso per i singoli iscritti per i quali è garantito l’accesso all’informazione e il diritto a partecipare agli incontri e alle riunioni del PVE, con possibilità limitate di intervenire direttamente nei dibattiti.

Il PVE, in continuità con la FEPV e confermando la sua originalità rispetto ad altri partiti europei, prevede al suo interno, oltre ad alcuni gruppi di lavoro specifici su determinate politiche e attività europee e internazionali (politica estera e di sicurezza comune, cooperazione internazionale nei Global Greens Network, politica sociale, pari opportunità e questioni di genere, diritti delle persone omosessuali e transgender, politica sociale, sviluppo della partecipazione individuale al partito europeo, gruppo di lavoro dei consiglieri locali, gruppo per lo studio e revisione degli statuti) ha continuato a sviluppare alcuni network costituiti per stimolare la cooperazione transnazionale e interregionale e affrontare i comuni problemi socio-ambientali ed economici di alcune importanti bioregioni europee con particolare attenzione alla dimensione dei rapporti tra l’Europa occidentale e l’Europa centro orientale nella prospettiva dell’allargamento dell’UE e alle problematiche comuni relative ai principali mari interni (Green East-West Dialogue, Green Islands Network – comprendente le isole britanniche –, Baltic Sea Greens, North Sea Greens, Green Mediterranean Network, Green Adriatic Network).

In un Consiglio straordinario, tenutosi a Bruxelles il 17 febbraio 2005, il Partito verde europeo, in linea con il prevalente atteggiamento eurofederalista del GVPE-ALE, e in particolare dei due portavoce Daniel Cohn-Bendit e Monica Frassoni, ha votato a netta maggioranza una risoluzione favorevole alla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea). Tale orientamento è stato ulteriormente confermato al secondo Congresso del PVE, svoltosi a Ginevra il 13 e 14 ottobre 2006, con l’adozione del documento comune A Green Future for Europe nel quale sono condensate le proposte dei Verdi per rendere l’UE più ecologica, promotrice di pace e giustizia nel mondo e di un nuovo modello economico e sociale, finalizzate anche ad avviare un processo costituente capace di rilanciare le riforme delle Istituzioni comunitarie. In quell’occasione è stata anche approvata la Carta dei Verdi europei che enuncia e chiarifica i principi guida del PVE (responsabilità ambientale, libertà e autonomia individuale, democrazia inclusiva, giustizia sociale, parità di genere, giustizia intergenerazionale, tutela delle diversità, nonviolenza, ecosviluppo).

Nel dicembre 2007 il Comitato del PVE ha espresso la sua posizione ufficiale favorevole al Trattato di Lisbona, pur con alcune critiche tese a ribadire la necessità di avanzamenti successivi, e in vista delle elezioni europee del giugno 2009 ha adottato un programma volto a promuovere una politica di stimolo economico a sostegno delle energie rinnovabili e di intervento sociale per lo sviluppo dell’occupazione allo scopo di risollevare l’Europa dalla crisi economica e finanziaria globale manifestatasi dal 2008, di affrontare il cambiamento climatico e di affermare la capacità dell’UE di agire come attore globale con una propria efficace e coesa politica estera. Il manifesto per le elezioni europee dal titolo A Green New Deal for Europe, adottato ufficialmente in occasione del terzo Congresso del PVE tenutosi a Bruxelles il 27 e 28 marzo 2009 è stato lanciato congiuntamente a una petizione europea aperta alla sottoscrizione di tutti i cittadini europei per chiedere all’UE l’impegno a reperire nei prossimi cinque anni di mandato della Commissione europea e di legislatura del PE 500 miliardi di euro da destinarsi alla creazione di cinque milioni di posti di lavoro “verdi”, allo scopo di affrontare le emergenze della crisi economica e del cambiamento climatico promuovendo una nuova economia fondata sull’innovazione, sul rispetto dell’ambiente e sulla riconversione energetica.

Giorgio Grimaldi (2009)

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