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Philip, André

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P. (Pont-Saint-Esprit 1902-Saint-Cloud 1970), figlio di un ufficiale di carriera morto nel 1911, riceve dalla madre, di antica famiglia protestante delle Cevenne, un’educazione severa ma aperta alla cultura europea. Fino al 1914 trascorre le vacanze estive in Germania, dove nella prospettiva di una carriera destinata agli affari impara fin da giovane il tedesco. Dopo aver concluso gli studi secondari a Marsiglia, è un brillante studente universitario a Parigi, dove nel 1921 ottiene la laurea in diritto, il diploma dell’École libre des sciences politiques e il diploma di studi superiori di filosofia alla Sorbona.

In occasione di due soggiorni a Londra, nel 1921 e 1922, P. impara l’inglese e gli studi sulle questioni economiche e sociali compiuti oltremanica approdano a una tesi di dottorato in economia politica sul laburismo e il movimento sindacale in Inghilterra (Guild-socialism et Trade Unionism. Quelques aspects nouveaux du mouvement ouvrier anglais, 1923) e a un saggio sul governo laburista del 1924 (L’Angleterre moderne, le problème social, l’expérience travailliste, 1925). Completata la formazione universitaria con una tesi di dottorato in scienze giuridiche dedicata al diritto sindacale e all’azione corporativa (1924), grazie a una borsa della Fondazione Rockefeller trascorre due anni negli Stati Uniti. Frutto delle sue ricerche è un’opera molto critica sulla condizione operaria e il funzionamento dei sindacati americani (Le problème ouvrier aux Etats Unis, 1927). Nominato professore di economia alla Facoltà di diritto di Lione nel 1928, durante questi anni di formazione si interessa anche alle questioni coloniali, in particolare al caso dell’India, dove si reca per due estati consecutive, pubblicando nel 1929 un libro sull’amministrazione inglese e i problemi indigeni.

Pur essendo destinato a un’importante carriera universitaria, P. privilegia l’impegno politico. Le sue convinzioni, in un primo tempo, lo portano a militare nelle fila delle organizzazioni giovanili confessionali, come la Federazione degli studenti protestanti o la Federazione francese degli studenti cristiani. Per tutta la vita continuerà a essere uno degli animatori della stampa cristiana sociale, militando in diversi movimenti, come l’Unione dei socialisti cristiani o la Federazione protestante di Francia, di cui dirige la commissione affari internazionali.

Nel 1920 aderisce anche agli Studenti socialisti e alla Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO), dove prende attivamente parte ai dibattiti interni del partito, senza peraltro che lo si possa classificare in modo preciso all’interno di una tendenza. Attratto inizialmente dalle tesi marxiste, P. si fa conquistare dai lavori di Henri de Man, di cui contribuisce a diffondere le idee in Francia (Henri de Man et la crise doctrinale du socialisme, 1928). Poi partecipa attivamente al gruppo dei “pianisti”, approfondendo la sua riflessione sui temi economici e sociali (La crise et l’économie dirigée, 1935). È attratto anche dal pacifismo (Le Christianisme et la paix) – nel 1930 si iscrive all’avvocatura per difendere gli obiettori di coscienza e milita in diversi organismi, come la Lega dei Diritti dell’uomo (membro del comitato centrale dal 1933 al 1947), il comitato di vigilanza degli intellettuali antifascisti, il comitato di inchiesta sui processi di Mosca.

Nel 1936, dopo tre tentativi alle elezioni legislative e uno alle comunali, è finalmente eletto deputato nella roccaforte radicale di Lione, beneficiando in particolare del sostegno al secondo turno del candidato comunista. In Parlamento si mostra molto attivo (membro della commissione speciale incaricata di esaminare i progetti per le leggi sociali, relatore del progetto di legge sulla settimana di quaranta ore negli stabilimenti industriali e commerciali e del progetto di legge per regolamentare la durata del lavoro nelle miniere), e ben presto si distingue come uno dei rari eletti socialisti esperti di questioni finanziarie (membro della commissione Finanze, presenta il bilancio generale dei Lavori pubblici dal 1936 al 1939 e rivolge un’interpellanza al governo Daladier sulla sua politica finanziaria ed economica nel maggio 1939).

Il pacifismo di P. si attenua gradualmente di fronte all’evoluzione della situazione internazionale, per approdare alla denuncia degli accordi di Monaco e all’arruolamento volontario nel 1939. Addetto presso il corpo di spedizione britannico ad Arras, è inviato all’inizio del 1940 negli Stati Uniti, per rientrare poco prima dell’armistizio. Dopo aver votato contro i pieni poteri a Pétain il 10 luglio 1940, per qualche mese riprende l’attività di insegnamento, partecipando al tempo stesso al movimento di resistenza Libération-Sud, prima di essere sospeso dal governo di Vichy per fatti legati alla Resistenza.

Costretto ad abbandonare la Francia, si trasferisce a Londra nel maggio 1942, quando il generale Charles de Gaulle, deciso a imprimere una svolta politica in senso democratico e repubblicano al movimento che dirige, fa appello ai rappresentanti delle forze democratiche. Quindi P. è nominato in giugno commissario agli interni nel Comitato nazionale francese, poi nel Comité français de la Libération nationale (CFLN) nel giugno 1943, prima di essere incaricato, nel novembre del 1943, dei rapporti con l’assemblea consultiva e degli studi per il dopoguerra, un compito che mantiene in seguito all’interno governo provvisorio della Repubblica francese fino al settembre 1944.

Membro dell’Assemblea consultiva dal novembre 1944, poi delle due costituenti (presiede la commissione per la Costituzione dal novembre 1945 al gennaio 1946 e dal giugno al novembre 1946), partecipa anche alla prima legislatura. Ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Gouin (gennaio-giugno 1946) e Blum (dicembre 1946), poi dell’Economia nel governo presieduto da Paul Ramadier, sostiene insieme a Pierre Mendès France la linea dell’austerità e del dirigismo. Durante la sua permanenza al ministero dell’Economia crea, in particolare, l’Institu national de la statistique et des etudes économiques (INSEE) e il Consiglio superiore dell’economia. Il 22 ottobre 1947 viene escluso dal governo in occasione dell’ultimo rimpasto di Ramadier, in seguito a un disaccordo espresso nel comitato direttivo della SFIO nel settembre 1947 a proposito della politica del presidente del Consiglio. L’insuccesso nelle elezioni legislative del 1951 lo allontana definitivamente dal potere.

P. viene quindi distaccato come docente all’Istituto di studi europei dell’Università di Saarbrücken, poi insegna al Collège libre des sciences sociales et économiques a Parigi, e dal 1957 al 1967 è chiamato alla Facoltà di diritto di Parigi. Durante questi anni ricopre anche alcuni incarichi istituzionali: è membro del Consiglio economico e sociale dal 1951 al 1958, del Comitato consultivo delle Ferrovie, del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, del Consiglio superiore della Radiodiffusione; inoltre, è capo della delegazione francese in occasione dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) nel 1964 e presidente del Centro di sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nel 1967.

Per quanto riguarda le appartenenze politiche, al ritorno in Francia nel 1944 P. è eletto membro del comitato direttivo della SFIO. Molto diffidente nei confronti dei comunisti, si batte per la formazione di un grande partito laburista alla liberazione, rifiutando la linea dell’unità d’azione con il Partito comunista. Rieletto nel comitato direttivo della SFIO dal 1948 al 1956, presiede la commissione Affari internazionali dal 1949 al 1953, partecipa al lancio del settimanale “Demain”, che rappresenta per lui una tribuna dalla fine del 1955 alla fine del 1957. Nel 1957 diventa uno dei principali avversari del “mollettismo”, criticando la politica algerina del governo. È escluso dal partito il 25 gennaio 1958 in seguito alla pubblicazione di Le socialisme trahi. Nel maggio 1958, contrario al ritorno di de Gaulle, collabora con “L’Express” e aderisce all’unione delle forze democratiche, poi al Partito socialista autonomista (PSA) e infine al Partito socialista unificato (PSU) fino al 1962. In seguito milita nei gollisti di sinistra, riavvicinandosi a de Gaulle al punto da pronunciarsi nel 1969 per il “sì” al referendum.

Dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta P. dedica all’Europa le sue battaglie più importanti: milita in diversi Movimenti europeistici con incarichi di responsabilità, difende la costruzione dell’Europa nelle istanze del partito a livello nazionale ed europeo, pubblica numerose opere e tiene varie conferenze sull’argomento.

Nel 1947 aderisce al Conseil français pour l’Europe unie, creato nel giugno di quell’anno da René Courtin e che sarà assorbito nel 1953 dal Movimento europeo. P. non condivide la decisione del Comitato internazionale di studi e di azioni per gli Stati Uniti socialisti d’Europa di non partecipare alla Congresso dell’Aia nel 1948 e si rammarica che il Labour e poi la SFIO seguano la stessa direzione. La SFIO decide, per solidarietà, di non aderire all’iniziativa come partito, ma autorizza i socialisti privi di funzioni all’interno del partito a partecipare a titolo individuale. Secondo P., l’unità dell’Europa è urgente alla luce delle condizioni economiche del vecchio continente ed è poco realistico pretendere di aspettare che diventi socialista prima di partecipare alla sua costruzione. Questo spiega la sua presenza a titolo personale all’Aia. Nel periodo in cui il Movimento per gli Stati Uniti socialisti d’Europa, ribattezzato nell’autunno 1948 Movimento socialista per gli Stati Uniti d’Europa, resta in mano alla sinistra socialista europea, P. nega la sua adesione, ma dopo le dimissioni di Rasquin nell’agosto 1949 ne assume la presidenza, un incarico che manterrà fino al 1964.

Invece aderisce, fin dalla sua creazione, al Movimento europeo, di cui è delegato generale fino al 1957 e incaricato della propaganda. Sebbene appartenga chiaramente al campo dei federalisti, predica la tolleranza fra le due grandi tendenze: «Io, socialista, preferirei un’Europa liberale piuttosto che nessuna Europa». Le sue convinzioni europee risalgono agli anni precedenti alla guerra, come testimonia la seguente affermazione del 1932: «una costruzione effettiva e duratura dell’Europa non può essere realizzata solo sul terreno economico; dev’essere messa in atto parallelamente anche un’organizzazione della vita politica per stabilire, sempre e per tutti i problemi, l’organizzazione popolare necessaria a fare da contrappeso alle forze economiche; quindi bisogna assolutamente riprendere e portare avanti fino alla realizzazione la proposta di Briand per la creazione di un legame federale europeo». Nel dopoguerra P. riprenderà questi temi, sempre insistendo sul carattere di urgente necessità e non esitando ad affermare, di fronte all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa alla quale appartiene fino al 1951: «L’unione economica dell’Europa oggi non è più un ideale o una speranza; è una necessità pratica, vitale, una condizione di esistenza per il nostro continente»; e con maggiore enfasi: «non abbiamo scelta. Bisogna fare l’Europa o morire». Un’Europa laica, ma fondata sui valori cristiani, a suo giudizio, è l’unica possibilità per realizzare il socialismo.

Tuttavia, al di là delle questioni umane e ideali legate al superamento dei nazionalismi e di una visione d’insieme dei problemi europei, P. considera la costruzione europea del dopoguerra soprattutto da un’angolazione economica: di fronte alle industrie di base francesi – e più in generale europee – ampiamente sorpassate e di dimensioni ridotte, solo la creazione di un grande mercato europeo, sull’esempio americano, consentirebbe loro le economie di scala necessarie a sopravvivere, modernizzarsi e svilupparsi. P. è anche favorevole a un’Unione doganale (per forza di cose graduale, a causa delle disparità strutturali fra i diversi Stati europei) e, più in generale, alla liberalizzazione degli scambi all’interno di un mercato europeo controllata però da un’istituzione sovranazionale e per mezzo di una politica di pianificazione, onde evitare che – come era accaduto nel periodo fra le due guerre – le imprese preferiscano formare alleanze (i cartelli) per dividersi il mercato e mantenere alti i prezzi. Intervenendo all’Assemblea nazionale nel novembre 1948 a proposito della questione della Ruhr, P. propone la creazione di un “servizio intereuropeo per il carbone e l’acciaio”, in altri termini un’amministrazione comune della Ruhr, della Saar e della Lorena, e la creazione di un’autorità competente per stabilire la produzione e il prezzo del carbone e dell’acciaio.

P. proporrà quest’idea a varie riprese, in particolare alla conferenza di Westminster del Movimento europeo nell’aprile 1949 e nell’agosto 1949 in occasione della prima sessione dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, di cui dirige il Sottocomitato per la produzione industriale. Nel novembre 1951, P. è incaricato di presentare al consiglio economico un rapporto sulla ratifica del Trattato di Parigi che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) ottenendo un’approvazione a larga maggioranza. Fa ricorso anche a tutta la sua autorità per fare approvare il trattato dai socialisti francesi.

Nell’agosto 1950, all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, mentre Winston Churchill propone una rimilitarizzazione della Germania, P. presenta un emendamento per la creazione di un esercito europeo posto sotto la direzione di un ministro europeo della Difesa e finanziato da imposte europee. Tuttavia, come per la CECA, il suo contributo non ha seguito e P. non è neppure coinvolto nell’elaborazione del Piano Pleven (v. Pleven, René). Invece non cessa di battersi all’interno della SFIO, dal 1952 al 1954, per far accettare la Comunità europea di difesa (CED) ai socialisti reticenti, ritenendo che permettesse di accelerare il processo di integrazione europea in senso federale e di legare definitivamente la Germania all’Occidente (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Infine, P. approva la messa in opera del Mercato comune, rammaricandosi al tempo stesso per la deriva liberale e la mancanza di pianificazione europea. Ma anche in questo caso non aveva partecipato ai dibattiti preliminari: non era più parlamentare e le sue relazioni all’interno del partito si stavano deteriorando. Prende nettamente le distanze da Guy Mollet a causa dell’uso della tortura in Algeria. Allontanato dal comitato direttivo nel febbraio 1957, preludio alla sua esclusione dal partito (1958), e distante dai centri del potere, P. conduce la sua battaglia europea nel PSA e poi nel PSU, che lascia nel 1962 perché troppo antieuropeo. Da questo momento si dedica sempre più ai paesi in via di sviluppo.

L’antiliberismo di P. lo spinge a rifiutare il principio di una zona di libero scambio e a prevedere, accanto alla diminuzione e poi all’eliminazione dei diritti doganali all’interno della Comunità economica europea (CEE), il mantenimento della tariffa esterna comune contro il «grande disegno» di John F. Kennedy e la diminuzione dei diritti doganali a livello internazionale del 50%, che a suo parere avrebbe indebolito l’Europa. Ai suoi occhi ciò equivaleva ad «abbandonare il nostro continente alla colonizzazione americana», ad assoggettarlo a «decisioni prese all’estero e rendere impossibile ogni evoluzione dei nostri popoli in senso socialista e anche, semplicemente, nel senso di una pianificazione concertata». Negli anni Cinquanta, al culmine della Guerra fredda, P. è comunque un atlantista convinto, pur esortando gli europei a unirsi, fra l’altro per potersi emancipare dalla tutela americana.

Concorda con de Gaulle sul fatto che è venuto il tempo di costruire l’Europa politica, ma fino al 1965 rifiuta l’Europa degli Stati, che considera un ripiegamento nazionalista della Francia, e fustiga il “poujadismo economico” del governo francese durante la crisi della sedia vuota. Ma gradualmente si avvicina alle posizioni golliste e nel 1966 proclama che l’integrazione politica dell’Europa non è più attuale: la maggior parte degli Stati europei obbedisce infatti ciecamente a Washington nella guerra del Vietnam; se l’Europa politica esistesse, sarebbe capace di inviare laggiù le sue truppe. Approva anche i desideri di indipendenza del generale de Gaulle e la sua idea di “Europa europea”. Lo sostiene in maggio, in occasione del ritiro dall’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), firmando il manifesto dei gollisti di sinistra, ed esprime la sua ammirazione per il discorso di Pnom Penh nel settembre 1966.

Christine Vodovar (2012)

Bibliografia

Kipping M., André Philip et les origines de l’Union européenne, in André Philip. Socialiste, patriote, chrétien, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, Paris 2005.

Frank R., Lafféach F.-X., André Philip et l’Europe, in André Philip. Socialiste, patriote, chrétien, cit.

Lafon F., André Philip, in Dictionnaire du mouvement ouvrier français, Editions ouvrières, Paris 1979.