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Pinay, Antoine

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P. (Saint-Symphorien sur Coise, Rhône 1891-Sain Chamond 1994) è sconosciuto al grande pubblico fino alla sua investitura come presidente del Consiglio nel marzo 1952. Piccolo industriale di Saint-Chamond (Loire), ne diventa sindaco nel 1936, come radicale indipendente, poi è senatore della Loire dal 1938. Benché abbia votato i pieni poteri al maresciallo Pétain nel luglio 1940 e abbia fatto parte del Conseil national di Vichy, nel giugno 1946 ritrova il suo seggio di deputato, poi la carica di sindaco di Saint-Chamond nell’ottobre 1947 dopo qualche mese di ineleggibilità. Dopo essere diventato uno dei capofila del gruppo degli Indipendenti, la sua reputazione di buon amministratore gli consente di partecipare a numerosi governi della Troisième force, come segretario di Stato agli Affari economici nel governo Queuille (settembre 1948-ottobre 1949), poi come ministro dei Lavori pubblici, dei trasporti e del turismo nel gabinetto presieduto da René Pleven, Queuille III, Pleven II e da Edgar Faure, dall’agosto 1951 al marzo 1952.

Il 6 marzo 1952, contro ogni previsione, P. ottiene il portafoglio delle Finanze e degli affari economici, grazie al sostegno di ventisette deputati gollisti dissidenti. Come priorità si prefigge il riordino delle finanze pubbliche, la lotta contro l’inflazione e la difesa del franco. Pur non facendo dell’integrazione europea uno dei suoi obiettivi principali, si può affermare che P. si comporta come un “europeista della ragione”, essendo persuaso che la riconciliazione franco-tedesca sia una necessità insieme economica e politica nel quadro della Guerra fredda.

Una volta al potere, difende con convinzione l’attuazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), negoziata dal ministro degli Esteri Robert Schuman. Quando il progetto del pool carbone-acciaio, ratificato dall’Assemblea nazionale nel dicembre 1951, è sottoposto al Consiglio della Repubblica, il 25 marzo 1952, P. si impegna risolutamente per convincere i consiglieri. Supera le reticenze del Rassemblement du peuple français (RPF) e le esitazioni all’interno del suo partito, avvertendo che il governo non ha intenzione di accettare né rinvii né la riapertura dei negoziati. Quindi il trattato è ratificato da 182 consiglieri contro 32, nessun consigliere indipendente ha espresso voto contrario. P. favorisce la nomina del suo amico Jacques Rueff alla carica di giudice della Corte di giustizia dell’Aia.

Più difficile si rivela il progetto Comunità europea di difesa (CED), che suscita vivaci dibattiti nell’Assemblea nazionale nel febbraio 1952, poco prima che P. diventi presidente del Consiglio. La Francia, rappresentata da Schuman, discute con i suoi alleati dal marzo al maggio 1952, mentre l’URSS avanza delle controproposte. Forte delle garanzie anglosassoni, la Francia firma gli accordi di Bonn il 26 maggio e quelli di Parigi il 27 maggio 1952. Ma il progetto di ratifica viene sottoposto all’Assemblea nazionale solo il 9 gennaio 1953, quando P. non è più al potere. Una delle ragioni delle sue dimissioni, il 23 dicembre 1952, è l’insoddisfazione del Mouvement républicain populaire (MRP), che gli rimprovera di aver tergiversato nella ratifica del Trattato di Parigi. Ma secondo P. questi rinvii sono imputabili alle esitazioni dei partner anglosassoni della Francia che non hanno voluto dargli le assicurazioni necessarie per condurre la guerra di Indocina. Ora, per convincere la maggioranza parlamentare a votare la CED, cioè a costituire un esercito franco-tedesco, P. aveva bisogno di presentare come contropartita la garanzia di un sostegno americano. D’altronde il suo ministro della Difesa Pleven, promotore del progetto CED, voleva attendere che gli altri partner europei ratificassero gli accordi di Parigi per dare l’esempio ai deputati francesi. Inoltre, al congresso del Partito radicale, nell’ottobre 1952, Edouard Daladier ed Edouard Herriot, membri della maggioranza governativa, hanno criticato molto vivamente il Trattato di Parigi. Rispondendo a questi attacchi il 22 ottobre, P. dichiara alla commissione Affari esteri: «Abbiamo firmato un trattato, al quale restiamo fedeli». Il dibattito sulla CED è quasi perso in anticipo, perché solo il MRP è apertamente favorevole al Trattato di Parigi. P. è stato semplicemente vittima delle profonde divisioni della Troisième force su tale questione, come accadrà anche a Pierre Mendès France nel 1954.

Dopo la fine del suo governo, P. si comporta come un fautore convinto della CED: nel 1953 visita le capitali europee e aderisce alle posizioni degli “europeisti” del Centre nationale des independents et des paysains (CNIP), come Rueff ed Edmond Giscard d’Estaing. I discorsi che pronuncia in occasione delle giornate di studio del CNIP, nel marzo 1953, o presso il circolo degli indipendenti della Loire nel settembre 1953, respingono fermamente le tesi nazionaliste del RPF e chiedono l’integrazione delle truppe tedesche in un sistema di difesa europeo. Rispetto al governo Mendès France, e non senza calcolo politico, P. diventa il principale portavoce dei fautori della CED in Parlamento. Lo testimonia il suo discorso del 30 agosto 1954, che attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità del fallimento della Conferenza di Bruxelles riunitasi dieci giorni prima allo scopo di far accettare dai partner della Francia le modifiche al Trattato di Parigi, in particolare i paragrafi sulla sovranazionalità. Quindi propone di negoziare con gli alleati un periodo probatorio che permetta di testare il trattato e apportare così le necessarie modifiche. L’indomani accusa Mendès France di avere “silurato il trattato”.

P. è ministro degli Esteri nel governo Faure (febbraio 1955-febbraio 1956), che succede a quello di Mendès France. Si comporta di nuovo da filoeuropeo pragmatico. Nel mese di marzo deve regolare la questione della Saar prima di fare ratificare i nuovi accordi di Parigi sottoscritti da Mendès France, con cui si definisce l’adesione della Repubblica Federale Tedesca all’Unione dell’Europa Occidentale (UEO). P. si adopera per risolvere tutti i malintesi franco-tedeschi sul futuro statuto della Saar prima dei dibattiti al Consiglio della Repubblica. Il 21 marzo 1955 firma con Johannes Hoffmann, capo del governo della Saar, un protocollo d’accordo che fissa le disposizioni principali relative alla cooperazione economica. Il 24 marzo afferma che il riarmo è una necessità imposta dalla congiuntura internazionale e in particolare dalla minaccia sovietica: «Se questo riarmo non si fa con noi – aggiunge – si farà senza di noi». D’altronde ritiene che gli Accordi di Parigi costituiscano il punto di partenza della costruzione europea e la consacrazione della riconciliazione franco-tedesca. Quindi P. fa adottare dal Consiglio della Repubblica un testo negoziato dal suo avversario politico Mendès France sul quale lui stesso si era astenuto tre mesi prima.

Peraltro si impegna a regolare il contenzioso franco-tedesco sulla sorte dei beni sequestrati a Voelklingen appartenenti alla famiglia Roechling. Prende l’iniziativa di organizzare un incontro con il cancelliere Adenauer (v. Adenauer, Konrad) a Bonn, il 29 e 30 aprile 1955, e l’immediata cordialità dei loro rapporti è messa in risalto da tutta la stampa. P. viene quindi accusato dai gollisti, il 12 maggio davanti alla Commissione Affari esteri dell’Assemblea nazionale, di aver fatto eccessive concessioni ai tedeschi. In compenso, quando la popolazione della Saar rifiuterà lo statuto europeo con il 67,7% dei voti, in seguito a un referendum organizzato il 23 ottobre 1955, i mendesisti lo accuseranno di aver svenduto l’Europa.

La sua concezione di un’Europa atlantista si afferma nell’importante discorso pronunciato a Strasburgo al Consiglio d’Europa il 17 luglio 1955, nel quale parla a favore dell’UEO. Dopo la vittoria del Front républicain, il 1° febbraio 1956, P. è allontanato dal potere, ma milita ugualmente a favore del mercato comune, come testimonia il discorso entusiastico pronunciato alla Conferenza economica europea, il 18 marzo 1957, una settimana prima della firma dei Trattati di Roma. Nel novembre 1957 declina l’offerta di Félix Gaillard di rappresentare la Francia nella Commissione europea della Comunità economica europea, l’esecutivo del mercato comune, perché vuole restare presente nella vita politica francese.

Nel giugno 1958 è nominato ministro delle Finanze dal generale Charles de Gaulle; ormai pone l’accento sulla costruzione economica dell’Europa, come illustra nel suo messaggio pragmatico al congresso federalista di Wiesbaden, il 10 gennaio 1959, in cui chiede come priorità l’attuazione graduale dei Trattati di Roma “prima dell’unità europea” (v. anche Federalismo). Tuttavia nel 1960 si dimette dal governo guidato da Michel Debré, esprimendo il suo disaccordo con le concezioni europee del generale de Gaulle. In una dichiarazione pubblicata nel giugno 1963 nel “Vingtième Siècle fédéraliste”, esprime la sua preoccupazione per l’inerzia del regime gollista in materia di costruzione europea, chiedendo la fusione degli esecutivi del Mercato comune e del pool carbone-acciaio, come pure l’integrazione della forza di dissuasione atomica francese in una «forza europea collettiva posta al servizio della dissuasione atlantica». Nel “Journal des Indépendants” del 25 novembre 1964 propone di «rilanciare la nuova Europa» creando una nuova istituzione politica. Nel luglio 1969 è ricevuto all’Eliseo da Georges Pompidou e in quest’occasione chiede «che la Francia proponga, che dia un esempio di determinazione». Alle elezioni presidenziali del 1974 sostiene il candidato più europeo, Valéry Giscard d’Estaing, ma deluso da quest’ultimo si lascia convincere da Jacques Chirac a non sostenere la lista di Simone Veil alle Elezioni dirette del Parlamento europeo del 1979. Sempre più distante dalla vita politica, “il saggio di Saint-Chamond” non interviene più ufficialmente nelle elezioni europee, né in occasione del dibattito sul Trattato di Maastricht.

Jean Garrigues (2012)

Bibliografia

Giansily J.-A., Pinay l’indépendant, Denoël, Paris 1995.

Guillaume S., Antoine Pinay ou la confiance en politique, Presses de la FNSP, Paris 1984.

Rimbaud C., Pinay, Perrin, Paris 1989.

Veil A., Un Français comme les autres. Entretiens d’Antoine Pinay avec Antoine Veil, Belfond, Paris 1984.