Portogallo

La politica europea del regime autoritario (1945-1974)

In Portogallo il processo verso l’integrazione europea iniziò dopo la Seconda guerra mondiale. Il Portogallo aveva seguito attentamente i vari processi di integrazione a partire dagli anni Quaranta. Fino al 1974 era stato un regime dittatoriale; non era quindi possibile un’integrazione europea a pieno titolo giacché la Comunità europea riconosceva soltanto i governi democratici. Quella condizione era stata esplicitata nel rapporto Birkelbach del 1962 dall’Assemblea parlamentare, con il quale si sanciva che soltanto i paesi democratici potevano diventare membri della Comunità (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Il Portogallo rimase ai margini della Comunità europea fino al 1974. Durante la dittatura, il Portogallo cercò di trovare un progetto d’integrazione alternativo promuovendo forti legami con le colonie. Malgrado tali tentativi, già nel 1948 Salazar dovette entrare nell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE) creata e promossa dagli Stati Uniti. Per il dittatore Antonio Salazar una eccessiva integrazione nelle strutture europee avrebbe compromesso l’autonomia del paese. Ciò nonostante, la difficile situazione economica dopo il 1948 spinse il Portogallo non soltanto ad aderire all’OECE, ma anche a richiedere aiuti finanziari facendo ricorso al Piano Marshall. Il Portogallo, per ciò che concerneva la sua politica estera, manteneva forti legami con il Regno Unito. Tuttavia, Salazar dovette riconoscere il fatto che gli Stati Uniti erano la nuova potenza egemone mondiale e che di conseguenza il Portogallo doveva rivedere le sue posizioni sulla base della politica americana. Il Portogallo divenne membro fondatore dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e uno tra i paesi più atlantisti. Negli anni Cinquanta, fu escluso dai progetti di integrazione europea realizzati dai Sei, come la Comunità europea per il carbone e per l’acciaio (CECA, 1951), la Comunità economica europea (1957) e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom, 1957). Il regime autoritario era riluttante ad aderire a organizzazioni finalizzate a un’Europa federale (v. Federalismo). Malgrado tale situazione, la maggioranza dei diplomatici portoghesi riconosceva l’importanza di avere legami di qualche sorta con le Istituzioni comunitarie emergenti. In realtà, la politica estera portoghese era assai influenzata dalla posizione britannica. In un promemoria inviato a tutti gli uffici diplomatici, Salazar considerava ogni processo che potesse compromettere l’indipendenza del paese come nemico dell’identità del popolo portoghese, e come tale da rigettare. Tale strategia portò il Portogallo ad aderire all’Associazione europea di libero scambio (EFTA), di natura intergovernativa, guidata dalla Gran Bretagna e costituita nel 1960. L’adesione all’EFTA fu principalmente dovuta alle buone relazioni del Portogallo con il Regno Unito. Tale adesione permise al regime dittatoriale di conservare il proprio vasto impero coloniale. In effetti, il Portogallo stabilì un mercato unico portoghese che fu escluso dall’EFTA per quindici anni. Nel 1963, il governo britannico si candidò come membro della CEE, ma il presidente francese Charles de Gaulle pose il veto. A quel punto, tutti i membri dell’EFTA, incluso il Portogallo, seguirono la medesima linea. Il Portogallo intendeva raggiungere un accordo di Associazione. Tuttavia, il veto francese rafforzò la posizione portoghese nell’EFTA: il paese poté richiedere stanziamenti finanziari agli altri membri dell’EFTA, particolarmente per i settori agricolo e industriale. Tra il 1960 ed il 1973 il PIL pro capite portoghese salì del 14% circa.

Nonostante il successo nell’ambito dell’EFTA, le sfide che si posero al regime dittatoriale aumentarono considerevolmente negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta. Nelle colonie, che erano considerate vere e proprie province del Portogallo fin dall’Atto coloniale del 1951, i movimenti di liberazione organizzarono guerriglie armate contro il regime dittatoriale.

L’evento scatenante del problema coloniale fu l’occupazione delle enclaves portoghesi di Goa, Damão e Diu da parte delle truppe indiane nel 1961. L’incapacità delle truppe portoghesi di riconquistare le enclaves portò alla totale annessione di queste all’India. Nello stesso anno scoppiò la guerra coloniale in Angola, seguita presto da analoghe guerriglie in Mozambico, in Guinea Bissau e a Timor Est. Il Portogallo a questo punto dovette impiegare la maggior parte delle proprie risorse per conservare il vasto impero coloniale. L’età avanzata del dittatore Salazar portò a una situazione di paralisi in termini di policy-making. L’intransigenza mostrata nelle guerre coloniali e nella difesa a tutti i costi del vasto impero caratterizzarono l’ultima fase del regime autoritario di Salazar. La posizione portoghese poté continuare a essere sostenuta a causa dell’opposizione di Charles de Gaulle per tutti gli anni Sessanta. Soltanto dopo la morte di Salazar nel 1969 e le dimissioni del presidente francese, le relazioni tra i membri EFTA e la CEE mutarono. Nel 1973, dopo i negoziati, il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca aderirono alla CEE. Sebbene anche la Norvegia intendesse diventare membro della CEE, un referendum dall’esito negativo impedì al paese di proseguire in tale direzione. Il caso portoghese si presentava complesso, considerata la natura del regime. Anche se Marcello Caetano era succeduto ad Antonio Salazar ed era stata promessa la liberalizzazione del sistema politico, promuovendo “un cambiamento nella continuità”, divenne presto evidente che i sostenitori della linea dura all’interno del governo non volevano alcun cambiamento. L’adesione era considerata da Franco Nogueira, ex ministro degli Esteri sotto Salazar e uomo piuttosto influente del regime, come una sorta di colonizzazione da parte dell’Europa. Si temeva principalmente che l’adesione avrebbe portato alla perdita del vasto impero portoghese. Le guerre coloniali danneggiarono gravemente la legittimità del regime all’estero.

I movimenti di liberazione in Angola, Mozambico e Guinea Bissau poterono ricevere sostegno dalle società civili europee. L’apice dell’impopolarità del regime, che contribuì alla sua caduta, fu la notizia del massacro della popolazione di un intero villaggio a Wiriyamu. Fu riferita da un sacerdote che operava nella regione. La notizia si diffuse nel 1973 durante la visita di Marcello Caetano nel Regno Unito per la commemorazione dei 300 anni di alleanza portoghese con l’Inghilterra, il cosiddetto Trattato di Windsor. I laburisti colsero l’occasione per spostare l’attenzione su una delle ultime dittature dell’Europa occidentale. Il regime politico era una delle cause principali che impedivano al Portogallo di divenire membro della CEE. Il citato Rapporto Birkelbach del 1962 aveva definito la dottrina CEE in merito ai requisiti di ammissione: solo i paesi democratici potevano divenire membri della Comunità. Malgrado ciò, la diplomazia portoghese fu abile nel trattare un Accordo sul libero scambio, tra il 1970 e il 1972. Ciò segnò anche il limite di quanto si potesse ottenere in quella fase. Nell’ultimo periodo del regime autoritario, le guerre coloniali assorbivano la maggior parte del bilancio. L’atteggiamento delle forze armate stava rapidamente cambiando giacché si riconosceva il fatto che una soluzione militare stesse divenendo meno possibile e che il regime avrebbe dovuto trovare una soluzione politica. Tra i militari, un gruppo chiamato Movimento delle forze armate (Movimento das forças armadas, MFA) cominciò a preparare un colpo di Stato contro il regime autoritario. Il 25 aprile 1974, la dittatura venne rovesciata dall’MFA. La maggioranza dei militari apparteneva ai ranghi medi, che pensavano di aver sostenuto il peso maggiore nel corso della guerra.

Il processo rivoluzionario e la CEE (1974-1975)

Il colpo di Stato prese una piega rivoluzionaria quando la popolazione manifestò e si unì agli sforzi dei militari. La cosiddetta “Rivoluzione dei garofani” fu un turbine di movimenti e di emozioni per un anno e mezzo. Durante quel periodo, i militari dominarono il processo politico, mentre le élites politiche e civili assunsero posizioni marginali. Il crollo del regime dittatoriale era visto dalle élites politiche come un’opportunità per entrare nella CEE in una prospettiva di medio termine. Invero, le istituzioni europee seguivano attentamente gli sviluppi del paese. Durante il 1974 e 1975, il processo rivoluzionario si radicalizzò. La ragione di fondo era che, dopo il luglio 1974, i governi provvisori erano guidati da militari, in particolare dal colonnello Vasco Gonçalves che fu primo ministro tra il luglio 1974 e la fine dell’agosto 1975 in quattro differenti governi provvisori. La radicalizzazione fu altresì dovuta alla rivalità tra le fazioni dell’MFA. Vi erano almeno tre correnti: i socialdemocratici, i fautori della democrazia popolare in stretto contatto con il partito comunista e i sostenitori della democrazia del potere popolare, appoggiati dai partiti di estrema sinistra. Durante il periodo rivoluzionario, la lotta fra queste tre fazioni condizionò lo sviluppo politico ed economico del paese. Inoltre, i movimenti sociali influenzati dai partiti della sinistra radicale, destabilizzarono ulteriormente la situazione politica. L’intero processo rivoluzionario terminò il 25 novembre 1975, quando il colonnello António Ramalo Eanes impedì un colpo di Stato organizzato da gruppi militari dell’estrema sinistra.

Le istituzioni europee accolsero positivamente il crollo del regime dittatoriale e l’aspirazione del Portogallo a procedere verso la democrazia. Nel primo governo provvisorio, il ministro degli Esteri Mario Soares fu risoluto nell’assicurare che il Portogallo si sarebbe avviato verso la democrazia e avrebbe aderito alla CEE. I comitati congiunti Portogallo-CEE e Portogallo-CECA rappresentarono riunioni importanti in cui rassicurare le istituzioni europee. La situazione divenne più problematica allorché il primo ministro Vasco Gonçalves salì al potere nel luglio 1974. Gonçalves era in stretto rapporto con il Partito comunista cui s’ispirava la sua pratica politica. La radicalizzazione del processo politico fu seguita con crescente preoccupazione da Bruxelles. Vi era il timore generale che il Portogallo si sarebbe avviato verso una dittatura comunista. I membri civili del governo provvisorio tendevano a rassicurare le istituzioni della CEE, in particolare la Commissione europea, sul fatto che il Portogallo fosse impegnato nella costruzione di una libera democrazia. Tuttavia, l’esistenza di differenti centri di potere durante il processo rivoluzionario non ispirava fiducia alle istituzioni europee. Il Parlamento europeo indirizzò numerose interrogazioni a Christopher Soames, commissario europeo per le Relazioni esterne, sul fatto che i governi di sinistra del Portogallo stavano ostacolando i partiti di centrodestra nel condurre una libera attività politica. Vi era anche una forte pressione sulle gerarchie militari perché si votasse il 25 aprile 1975 per eleggere la Costituente, come programmato. Le elezioni videro la vittoria dei partiti moderati, i socialisti (Partido socialista, PS) e il Partito democratico popolare (Partido popular democratico, PPD). I comunisti (Partido comunista portugues, PCP) ottennero soltanto il 12% dei voti. Da quel momento i negoziati tra Portogallo e CEE continuarono nell’ambito delle decisioni del Comitato misto. L’aiuto era correlato alla realizzazione in Portogallo di una democrazia pluralista di stampo liberale. Un miglioramento significativo delle relazioni ebbe luogo allorché il sesto governo provvisorio, con i membri più moderati del MFA salì al potere dopo il settembre 1975.

Nell’ottobre vennero iniziate le trattative per determinare l’ammontare degli aiuti necessari ad affrontare i principali problemi a breve termine.

Il processo verso l’adesione alla CE (1976-1986)

La nuova Costituzione portoghese venne approvata il 2 aprile 1976. In seguito, il 25 aprile 1976, ebbero luogo nuove elezioni, in cui il Partito socialista riuscì a raggiungere una maggioranza relativa e il PPD risultò secondo. Il Partito socialista formò un governo di minoranza guidato dal primo ministro Mario Soares. Una delle prime decisioni del governo fu quella di proporre la candidatura alla CEE, che avvenne il 28 marzo 1977. Già prima dell’invio della richiesta, fu firmato un protocollo finanziario che prevedeva un pacchetto d’aiuti di 200 milioni di Unità di conto europee (v. Unità di conto europea, ECU) per un periodo di 5 anni. Il Consiglio europeo risultava diviso sul tema dell’adesione del Portogallo. Alcuni paesi, come i Paesi Bassi e il Belgio, volevano prima consolidare il precedente Allargamento. La richiesta portoghese era sostenuta dai membri dell’EFTA, i quali consideravano l’adesione come un modo per rafforzare le fragili istituzioni democratiche del Portogallo. Il Parere della Commissione europea fu positivo e venne presentato al Consiglio dei ministri il 19 maggio 1978. Tale parere mise in luce i problemi economici che il Portogallo doveva fronteggiare in vista di una futura adesione e i modi in cui la CEE poteva aiutarlo nella soluzione di tali problemi. Le trattative tra il Portogallo e la CEE vennero ufficialmente aperte a Lussemburgo il 17 ottobre 1978, ma iniziarono concretamente soltanto dopo il 1980. Malgrado questo ritardo, furono firmati, nel dicembre 1979, dei protocolli in aggiunta agli accordi per il libero scambio, in cui venivano concordati ulteriori periodi di transizione per l’industria portoghese. Inoltre, il 3 dicembre 1980, fu firmato un accordo sull’aiuto di preadesione, nel quale si stabilì che il Portogallo avrebbe ricevuto 275 milioni di ECU per la modernizzazione delle infrastrutture economiche del paese. La situazione economica portoghese rimase piuttosto disastrosa fino al 1985. Il Portogallo trattò una linea di credito standby del Fondo monetario internazionale (FMI) nel 1978-1979 e un altro nel 1983-84, che ebbe conseguenze socio-economiche alquanto negative per la popolazione in generale.

Tra il 1983 e il 1985, il Portogallo ricevette ulteriori aiuti per prepararsi all’adesione. Questi fondi erano volti alla modernizzazione dell’agricoltura e di altri settori economici. Al Portogallo era inoltre stato richiesto di elaborare un primo piano di sviluppo regionale triennale, che avrebbe permesso il sostegno CEE tramite il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE). Dopo otto anni di trattative, prolungatesi soprattutto a causa dell’opposizione francese all’adesione spagnola, dovuta all’impatto che avrebbe avuto sul settore agricolo, il Portogallo firmò il Trattato di adesione il 12 giugno 1985. Il Portogallo, insieme alla Spagna, entrò nella CEE il 1° gennaio 1986.

Il Portogallo quale membro della Comunità europea/Unione europea

La politica europea portoghese (1986-2000). Il Portogallo entrò nell’Unione europea in un periodo di accelerazione ed espansione politica. Fu grazie allo slancio dinamico della Commissione di Jacques Delors che il processo d’integrazione europea fece passi avanti.

Dopo una decade d’instabilità politica, il Portogallo sperimentò governi più stabili grazie alla maggioranza assoluta. Dopo il 1985, il primo ministro Anibal Cavaco Silva si impegnò a migliorare lo sviluppo macroeconomico del paese. Per oltre un decennio vennero gestite politiche di lungo termine che a grandi linee proseguirono con il successivo governo socialista tra il 1995 e il 2001. La politica europea portoghese divenne, in tale contesto, più sicura di sé. L’organizzazione della presidenza semestrale (v. Presidenza dell’Unione europea), nella prima metà del 1992 e del 2000, può essere ricordata come un’importante pietra angolare per quanto concerne l’integrazione della diplomazia portoghese nelle strutture della CEE/UE. Era previsto che il Portogallo organizzasse la prima presidenza nel 1987, ma il governo portoghese decise di rinunciare a causa del fatto che sia la diplomazia nazionale, sia la pubblica amministrazione non erano pronte a sostenere un impegno di coordinamento tanto importante.

La prima presidenza portoghese si ebbe nella prima metà del 1992. Il periodo intercorrente tra il 1986 e il 1992 venne impiegato per conoscere le istituzioni europee, per investire nello staff-development e nell’aggiornamento dei meccanismi di coordinamento.

La presidenza portoghese del 1992 può essere considerata come un successo, malgrado le crisi che emersero in quel periodo. In realtà, il primo ministro Anibal Cavaco Silva fu aiutato dal ministro degli Esteri, João de Deus Pinheiro, e dal segretario di Stato per gli Affari europei, Vitor Martins. La presidenza portoghese dovette gestire il “no” al Trattato di Maastricht nel referendum danese. Vi erano richieste per un referendum in Portogallo, che il governo rifiutava, perché il Trattato era troppo complesso per essere messo ai voti. La presidenza portoghese operò come mediatrice anche nel conflitto in Bosnia-Erzegovina, sperando di ottenere un accordo tra i differenti gruppi etnici. Inoltre, il Portogallo rappresentò la CEE nel summit sull’Ambiente delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro, nel giugno 1992. In ultimo, ma non meno importante, il ministro dell’Agricoltura, Arlindo Cunha, completò le trattative relative alla riforma McSharry della Politica agricola comune (PAC) nell’ambito dell’Uruguay Round, malgrado gli effetti negativi sugli agricoltori portoghesi.

Nella seconda presidenza del 2000, la diplomazia portoghese cercò di essere più ambiziosa. Come era accaduto per la prima, essa era considerata soltanto una presidenza di transizione verso la più importante presidenza francese, che si concluse con il Trattato di Nizza nel dicembre 2000. Durante la presidenza europea, il primo ministro era il socialista António Guterres, aiutato dal ministro degli Esteri Jaime Gama e dal segretario di Stato per gli Affari europei, Francisco Seixas da Costa. La presidenza ebbe il suo acme nella presentazione della Strategia di Lisbona in materia di crescita e occupazione. Fu concordato nel corso del Consiglio straordinario di Lisbona del 23-24 marzo 2000, nel quale Maria João Rodrigues, illustre docente di relazioni industriali, riuscì a raggiungere un compromesso tra i quindici Stati membri. Contemporaneamente, fu messo a punto un metodo di convergenza delle politiche nazionali volto all’aumento dell’occupazione e alla competitività nell’ambito dell’Unione europea, conosciuto come metodo aperto di coordinamento. Il Portogallo era anche incaricato della prima parte della Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) che avrebbe portato all’assai controverso Trattato di Nizza. Altre aree in cui la presidenza portoghese giocò un ruolo importante furono la conclusione di 78 dossier parziali e l’apertura di 52 nuovi dossier dei paesi candidati dell’Europa centrale e orientale e delle isole mediterranee, la gestione di decisioni legate alla Politica estera e di sicurezza comune prese durante la presidenza della Finlandia nella seconda metà del 1999, e il summit euro-africano al Cairo del 3 e 4 aprile 2000.

In riferimento alle conferenze intergovernative del 1991, 1996 e 2000, si può notare un importante cambiamento nel comportamento della diplomazia portoghese. Durante i negoziati sul Trattato dell’Unione europea, il Portogallo ebbe un ruolo secondario e più o meno favorevole al trattato. Inizialmente Anibal Cavaco Silva nutriva qualche dubbio, ma il collegamento del Trattato con il pacchetto Delors II, ebbe come esito un più rilevante sostegno all’Unione economica e monetaria. In realtà, il Portogallo apparteneva a un’alleanza dell’Europa meridionale insieme a Spagna, Grecia e “Irlanda” che mostrava grande entusiasmo circa l’introduzione dell’unione economico e monetaria e non voleva essere lasciata indietro. Alla conferenza intergovernativa del 1996 il Portogallo si dimostrò assai più preparato. Preparò un documento politico denominato “il Portogallo e la Conferenza intergovernativa per la revisione del Trattato dell’Unione europea” in cui vennero stabilite una serie di red lines, come la perdita di un Commissario o la perdita del diritto di voto nel Consiglio dei ministri. Alla conferenza intergovernativa di Nizza del 2000, il ministro degli Esteri, Jaime Gama, divenne una delle figure eminenti del summit, sostenendo, insieme a Belgio e Olanda, che i paesi maggiori stavano indebolendo il diritto di voto di quelli minori. Infatti, il Portogallo fu uno dei paesi più attivi nell’organizzare il G16 dei paesi medio-piccoli che tendevano a riunirsi regolarmente nella nuova rappresentanza permanente del Portogallo, in via Corthenberg a Bruxelles (v. Rappresentanze permanenti presso l’Unione europea). Il Portogallo acquisì maggiore fiducia nel perseguimento dei propri interessi e nell’abilità di creare reti per sostenere le proprie politiche.

La gestione dei fondi strutturali a partire dal 1988. L’importanza crescente dei fondi strutturali (v. anche Fondi di coesione), fin dall’approvazione del pacchetto Delors I del 1988, contribuì al miglioramento della situazione socio-economica del Portogallo. Nel 1989 molti cronisti parlavano già di un crescente boom economico per il Portogallo. L’impatto dei fondi strutturali in tale contesto non si può sottovalutare. Essi rappresentarono un importante strumento strategico per lo sviluppo del paese. I quadri comunitari di sostegno (QCS), basati su Programmi comunitari di sviluppo regionali, costituirono un importante strumento per introdurre il programma di modernizzazione della CEE/UE. Nel frattempo il Portogallo dovette gestire tre QCS nei periodi 1989-1993, 1994-1999 e poi nel 2000-2006. Il Portogallo avrebbe avuto diritto a ricevere fondi almeno fino al 2013 (v. anche Politica di coesione). Fino al 2004, l’intero Portogallo aveva i requisiti necessari per i finanziamenti relativi all’obiettivo I, che riguardava le regioni in ritardo di sviluppo, ma l’allargamento all’Europa centrale e orientale mutò la situazione. Ciò è da attribuirsi principalmente al fatto che molte regioni portoghesi sono più ricche di quelle dell’Europa centrale e orientale e quindi hanno un PIL pro capite più alto del 75% della media UE. Come formula intermedia, la Commissione europea sviluppò la nozione di effetto statistico, che permette ad alcune regioni, come quella autonoma di Madeira, di ottenere ancora i finanziamenti, pur superando la soglia del 75% del PIL medio dell’UE.

L’amministrazione pubblica portoghese decise di investire soprattutto in progetti infrastrutturali come la costruzione di strade, l’ammodernamento della rete ferroviaria e delle infrastrutture di base. La realizzazione dei QCS permise, fin dal 1989, un miglioramento delle infrastrutture del paese, ma fu caratterizzata dalla mancanza di investimenti nella ricerca e sviluppo e nelle risorse umane. Infatti, il sistema d’istruzione portoghese è tuttora uno dei più deboli dell’Unione europea. Il tasso di abbandono nella scuola secondaria è il più alto nell’UE. Inoltre, il Portogallo non è riuscito a utilizzare il Fondo sociale europeo per creare programmi di formazione professionale. Ciò ha avuto ovviamente implicazioni negative rispetto alla forza lavoro portoghese che continua ad avere un livello di scarsa specializzazione. Il QCS 3 (2000-2006) comprendeva 42,1 miliardi di euro, di cui il 48,6% era costituito da fondi UE, il 29,1% da fondi nazionali e il 22,3% da fondi di imprese private. Questo finanziamento tripartito mostra la predominanza del finanziamento pubblico nell’ambito dei QCS. Uno dei motivi è che il settore imprenditoriale privato è molto debole e sovente non in grado di coprire la sua quota di finanziamento. In molti casi, la pubblica amministrazione nazionale deve concedere prestiti non rimborsabili per aiutare le imprese private a partecipare ai programmi. Il QCS 3 consiste in quattro assi prioritari finalizzati alla valorizzazione delle risorse umane (asse uno), la promozione del profilo produttivo orientato alle attività del futuro (asse due), la valorizzazione del territorio nazionale e della posizione geoeconomica del paese (asse tre) e la promozione dello sviluppo sostenibile delle regioni e della coesione nazionale (asse quattro).

L’utilizzazione dei finanziamenti strutturali doveva affrontare molti ostacoli relativi al fatto che l’impostazione del progetto introdotto dalla CEE/UE doveva essere adeguatamente condivisa. La maggior parte delle imprese portoghesi sono piccole e medie. Hanno pochi capitali e un livello di ricerca e di sviluppo scarsi. Ciò rende molto difficile motivare queste imprese a investire in una prospettiva a lungo termine. Inoltre, nel QCS 1 (1989-1993) molte imprese mancavano di informazioni sui programmi. La situazione migliorò negli anni Novanta con la creazione di Centri per gli Affari europei presso banche e pubbliche istituzioni. Un altro impedimento era dato dal fatto che i regolamenti dei fondi strutturali erano piuttosto complessi e difficili da comprendere. La semplificazione delle procedure e dei regolamenti fu solo parzialmente realizzata. Talvolta i programmi UE erano troppo rigidi e mancavano i margini di flessibilità. Vennero intrapresi cambiamenti nel QCS 2 e nel QCS 3 per migliorare l’utilizzazione dei finanziamenti e il loro tasso di implementazione. Un ulteriore ostacolo era dovuto al fatto che le autorità responsabili per i vari programmi non avevano un database integrato che fornisse informazioni sullo sviluppo degli stessi dall’inizio alla fine. Ciò portò alla sovrapposizione dei progetti e in taluni casi persino alla loro duplicazione. Tale database è stato predisposto solo a partire dal 2001.

Box 1 → Instituto nacional de administração (INA)

L’economia portoghese e l’Unione economica e monetaria. Malgrado l’economia portoghese sia considerevolmente migliorata in seguito all’adesione all’Unione europea, il Portogallo è andato recentemente incontro a vari problemi in merito all’adempimento dei criteri dell’Unione economica e monetaria. I due maggiori partiti, quello socialista e quello socialdemocratico, concordano sul fatto che sia nell’interesse nazionale mantenere la disciplina macroeconomica imposta dalle logiche dell’unione economico-monetaria. Il Portogallo ha compiuto grandi sforzi per divenire membro dell’UEM. L’economia portoghese godeva relativamente di buona salute fino alla prima metà del 2001, ma successivamente entrò in crisi. Il governo socialista non raggiunse le entrate fiscali previste e la spesa continuò ad aumentare, creando gravi problemi per il deficit di bilancio. La crisi economica fu ulteriormente aggravata dall’attacco dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle di New York che condussero alla recessione mondiale. Alla fine dell’anno, il Portogallo aveva oltrepassato il limite del deficit di bilancio del 3% del PIL fissato dalla UEM. Il dato finale del PIL fu del 4,2%, molto al di sopra dell’obiettivo prefissato. Il primo ministro Antonio Guterres si dimise nel dicembre 2001, dopo la sconfitta alle elezioni locali. Nelle elezioni del marzo 2002 vinse il PSD, ma senza una maggioranza. Esso formò una coalizione con l’euroscettico e conservatore Centro democratico sociale-Partito popolare (Centro Democratico e Social-Partido Popular, CDS-PP) che gestì un programma di misure di austerità per prevenire il verificarsi di ulteriori deficit di bilancio. Le misure di austerità ebbero un impatto piuttosto negativo sul paese. Innanzitutto, una delle priorità del nuovo governo fu la riforma della pubblica amministrazione e i tagli di personale nel settore pubblico, che era stimato in 700.000 unità. In secondo luogo, il governo cercava di risparmiare in tutti i settori per ridurre il deficit. Infine, vennero riviste le indennità sociali, anche in questo caso per ridurre il deficit di bilancio. La conseguenza fu un aumento della disoccupazione e anche della povertà. Molte imprese ebbero difficoltà a stare a galla nel periodo di recessione. Insomma, alla fine del 2003 l’economia portoghese, per la prima volta dall’inizio del processo rivoluzionario, ebbe una crescita negativa. La situazione economica migliorò nella seconda metà del 2004; ciò nonostante, il presidente sciolse il governo alla fine dell’anno. Vennero indette nuove elezioni per il febbraio 2005 che portarono alla vittoria del partito socialista, con una maggioranza assoluta. Secondo un rapporto indipendente preparato dalla Banca del Portogallo, nell’anno 2004 il deficit di bilancio toccò il 6,2% del PIL, dato questo che eccedeva i parametri fissati dall’UEM. Secondo i progetti del governo, un deficit maggiore rispetto ai criteri UEM sarebbe rimasto fino al termine del 2007. Soltanto nel 2008 il deficit di bilancio scese al di sotto del 3% del PIL. Il debito pubblico superò il 60% prescritto. Il governo portoghese stimò che fino al 2008 vi sarebbe stato un aumento del debito pubblico, poi esso avrebbe iniziato a decrescere. Questa situazione è abbastanza preoccupante, poiché la competitività del Portogallo è molto debole. Il Portogallo importa più di quanto esporta e ciò naturalmente danneggia una crescita sostenibile. Il quadro esposto, unitamente alle deboli strutture dei settori industriale, agricolo e dei servizi del Portogallo, dimostra che la debole economia del paese è particolarmente vulnerabile agli shock asimmetrici dell’Eurozona. Tuttavia, si deve riconoscere che, a confronto con il periodo precedente il 1986, la gestione della politica macroeconomica portoghese è qualitativamente migliorata. Il ruolo dell’Unione europea, nel favorire tale comportamento, non può essere sottovalutato.

Box 2 → Banca del Portogallo

Atteggiamenti verso l’integrazione europea. Per quanto concerne gli atteggiamenti verso l’Unione europea, il Portogallo rientra nel modello di comportamento dell’Europa meridionale. Stando ai risultati dell’indagine dell’Eurobarometro del febbraio-marzo 2004, il 55% dei portoghesi, insieme a greci, spagnoli e italiani, sostiene l’adesione all’UE, quindi una percentuale più alta della media UE del 40%, mentre il 66% afferma di aver beneficiato di essa (a paragone del 47% della media UE). Il Portogallo è altresì uno dei paesi che vogliono una integrazione europea più veloce. Prima dei referendum in Francia e in Olanda, la maggioranza dei portoghesi sosteneva il Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Si progettò un referendum, ma, a causa dei voti contrari in Francia e Olanda, fu sospeso. Il popolo portoghese è divenuto più critico verso la democrazia nell’Unione europea. In passato, l’Unione europea era vista come un modello di democrazia cui ispirarsi, ma negli anni Novanta emerse una forma di Euroscetticismo, in particolare tra quelli che non avevano tratto vantaggi dall’integrazione europea. Il partito conservatore CDS-PP utilizzò tale euroscetticismo e la retorica anti Maastricht per rafforzare il proprio sostegno tra coloro che nelle aree rurali non avevano beneficiato dell’integrazione europea e tra i pescatori. Il partito comunista era contrario all’Europa dei monopoli e favorevole all’Europa sociale. Malgrado tale euroscetticismo, la grande maggioranza della popolazione vota per i due maggiori partiti che sono incondizionatamente filoeuropei.

Il Portogallo e la politica estera europea. Da ultimo, ma non meno importante, la politica estera portoghese è stata valorizzata grazie all’integrazione nell’Unione europea. Il Portogallo partecipa attivamente alla PESC (Politica estera di sicurezza comune) ed è uno dei membri fondatori della NATO. Inoltre, il Portogallo considera la propria politica estera come complementare rispetto all’emergente politica estera europea. Un esempio particolare in cui la politica estera portoghese ha avuto il sostegno delle istituzioni europee è stato Timor Est. Per decenni, la diplomazia portoghese ha utilizzato i canali dell’Unione europea per ottenere l’indipendenza di Timor Est. Ciò è stato compiuto nel nuovo millennio ed è probabilmente considerato dalla diplomazia portoghese come uno dei propri maggiori successi.

In conclusione, l’integrazione europea del Portogallo è il frutto di una ferma convinzione. Dopo quasi 50 anni di autoritarismo, è un privilegio per il Portogallo fare parte di una comunità di nazioni democratiche e condividerne i valori. Le conseguenze negative delle guerre coloniali hanno trasformato il Portogallo in una nazione amante della pace, interessata a promuovere la solidarietà e la dignità umana. A tale riguardo, l’Unione europea è vista come l’arena ideale per portare avanti tali idee.

Box 3 → Ministero degli Affari esteri

Box 4 → Parlamento portoghese

Box 5 → Istituto di studi strategici e internazionali (IIEI)

Box 6 → Istituto di difesa nazionale (IDN)

Box 7→ Centro di Informazione Europea Jacques Delors

 José M. Magone (2006)