Presidente della Commissione Europea

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La normativa di riferimento fondamentale per quanto riguarda la Commissione europea si rinviene nella Sezione 3 “La Commissione” del capo 1 “Le istituzioni” del titolo I “Disposizioni istituzionali” della parte quinta, “Le istituzioni della Comunità” del Trattato CE (artt. 211-219).

Le disposizioni normative sulla Commissione seguono quelle dedicate, in ordine, al Parlamento europeo (artt. 189-201) e al Consiglio dei ministri (artt. 202-210), mentre precedono quelle relative alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) (artt. 220-245) e alla Corte dei conti (artt. 246-248).

L’ultima modifica alle disposizioni normative riguardanti la Commissione europea è stata effettuata con il Trattato di Nizza del 2001, che ha modificato gli artt. 214, 215, 217 e 219 del Trattato CE.

È poi da ricordare anche il Regolamento interno della Commissione, adottato nel 2000 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2006.

Ai sensi dell’art. 214 del Trattato CE, il Consiglio, riunito a livello di capi di Stato o di governo (v. Consiglio europeo) e deliberando a Maggioranza qualificata, designa la persona che intende nominare presidente della Commissione e tale designazione è approvata dal Parlamento europeo.

Il Consiglio, questa volta nella sua composizione “ordinaria”, deliberando sempre a maggioranza qualificata e di comune accordo con il presidente designato, adotta l’elenco delle altre persone che intende nominare membri della Commissione, elenco redatto conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro.

Il presidente e gli altri membri della Commissione così designati sono soggetti, collettivamente, a un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo: dopo l’approvazione del Parlamento, il presidente e gli altri membri della Commissione sono nominati dal Consiglio, sempre nella sua composizione “ordinaria” e sempre a maggioranza qualificata.

Ai sensi dell’art. 213 del Trattato CE, i membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e offrono ogni garanzia di indipendenza. Esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità e, nell’adempimento dei loro doveri, non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo, astenendosi da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni. Infine, i membri della Commissione non possono, per la durata delle loro funzioni, esercitare alcuna altra attività professionale, remunerata o meno. Queste disposizioni sono previste dal Trattato in riferimento ai membri della Commissione e quindi si devono intendere come riferite anche al suo presidente.

La Commissione comprende un cittadino per ciascuno Stato membro e, di conseguenza, il presidente deve essere un cittadino di uno Stato membro. La durata del mandato della Commissione e, quindi, del suo presidente, è di cinque anni, rinnovabili senza alcun limite esplicito.

A differenza della sostituzione di un membro della Commissione, per dimissioni o per decesso, che è decisa discrezionalmente dal Consiglio con Voto all’unanimità, la sostituzione del presidente per dimissioni volontarie, dimissioni d’ufficio o decesso non è discrezionale ma obbligatoria e si deve applicare la medesima procedura per la nomina (art. 215 Trattato CE). Il Consiglio, in altri termini, può decidere se sostituire o meno un commissario, mentre deve procedere alla sostituzione del presidente della Commissione.

Infine, l’art. 201 Trattato CE prevede la possibilità per il Parlamento europeo di approvare, a maggioranza dei due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei membri, una Mozione di censura sull’operato della Commissione, che obbliga i membri della Commissione ad abbandonare collettivamente le loro funzioni, continuando a curare soltanto gli affari di ordinaria amministrazione fino alla loro sostituzione secondo la procedura già descritta e prevista dall’art. 214 Trattato CE. Il mandato dei nuovi membri non ha durata di cinque anni, ma scade alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei membri della Commissione verso cui è stata approvata la mozione di censura.

Ai sensi dell’art. 217 Trattato CE, la Commissione europea agisce nel quadro degli orientamenti politici del suo presidente, che ne decide l’organizzazione interna per garantire la coerenza, l’efficacia e la collegialità della sua azione.

Le competenze che spettano alla Commissione sono strutturate e ripartite fra i membri dal presidente, che può modificare la ripartizione delle competenze nel corso del mandato. In ogni caso, i membri della Commissione esercitano le funzioni loro attribuite dal presidente sotto la sua autorità.

Il presidente, inoltre, previa approvazione del collegio, nomina dei vicepresidenti tra i membri della Commissione.

Infine, un membro della Commissione rassegna le dimissioni se il presidente, previa approvazione del collegio, glielo chiede.

Ai sensi dell’art. 1 del Regolamento interno della Commissione, questa agisce come organo collegiale, nel rispetto degli indirizzi politici definiti dal presidente, mentre, ai sensi dell’art. 3, il presidente può assegnare ai membri della Commissione particolari settori di attività, per i quali essi sono specificatamente responsabili della preparazione dei lavori della Commissione, nonché dell’attuazione delle decisioni prese. Sempre l’art. 3, oltre a confermare la possibilità del Presidente di modificare le attribuzioni in qualsiasi momento, prevede che il presidente può costituire fra i membri della Commissione gruppi permanenti o ad hoc, dei quali designa il presidente, ne stabilisce la composizione, ne fissa il mandato e approva le relative modalità di funzionamento. Infine, l’art. 3 prevede espressamente che il presidente rappresenta la Commissione e designa i membri incaricati di assisterlo in questa funzione di rappresentanza.

Altre attribuzioni del presidente previste dal Regolamento interno della Commissione sono la convocazione delle riunioni e la valutazione delle circostanze che possono impedire l’obbligo dei membri della Commissione di assistere a tutte le riunioni (art. 5), la fissazione dell’ordine del giorno delle riunioni, il consenso alla richiesta di un commissario di ritirare dall’ordine del giorno un determinato argomento, da rinviare alla seduta successiva e la proposta di deliberare su di un argomento non iscritto all’ordine del giorno, proposta che deve essere comunque presa dal collegio (art. 6). E, ancora, il presidente constata l’esito delle deliberazioni e autentica i verbali delle sedute (art. 11).

Dall’insieme delle disposizioni sulla nomina, sulla cessazione dalla carica e sulle attribuzioni del presidente della Commissione europea emerge una figura di guida di un organo comunque caratterizzato da una marcata collegialità.

Questo è chiaro sin dalla nomina: se è vero che la designazione del presidente da parte del Consiglio deve in ogni caso essere singolarmente approvata dal Parlamento, è però anche vero che questo surplus di legittimità, che in questo modo acquista il presidente, si attenua nel momento in cui l’intero collegio deve ricevere il voto sempre del Parlamento. In sostanza, il Parlamento potrebbe approvare la designazione del presidente ma rifiutare quella della Commissione nel suo complesso, il che renderebbe vana la conferma iniziale allo stesso presidente.

Allo stesso modo, è indubbio che la scelta dei commissari deve essere condivisa tra Consiglio e presidente e che, quindi, debba avvenire di comune accordo, in questo senso rafforzando la figura del presidente, ma resta il fatto che Consiglio e presidente devono redigere l’elenco delle persone, che si vorrebbero come membri della Commissione, in modo conforme alle proposte presentate da ciascuno Stato membro. In sostanza, se il presidente riesce a imporre al Consiglio determinate persone, ciò non modifica il fatto che sono poi i singoli Stati ad avere la parola definitiva.

Un ruolo, pertanto, quello del presidente, certamente non marginale nella scelta del collegio che sarà poi chiamato a presiedere, ma, altrettanto certamente, un ruolo non definitivo, le cui scelte non possono ritenersi in nessun caso vincolanti. Potrebbe non essere d’accordo né con il Consiglio né con la lista dei membri proposti dagli Stati, ma non avrebbe nessuno strumento giuridico a sua disposizione per imporre le sue scelte: potrebbe soltanto declinare la designazione. Si potrebbe anche immaginare che, al momento della designazione, ponga come condizione per accettarla determinate figure e personalità da avere nel collegio che sarà chiamato a presiedere, ma si tratterebbe solo e soltanto di moral suasion, niente di giuridicamente vincolante.

Il motivo di questa ambivalenza della figura del presidente è da ricercare nella marcata collegialità che ancora caratterizza la Commissione europea, collegialità che appare quasi ineliminabile date le delicate e fondamentali attribuzioni della Commissione all’interno dell’architettura istituzionale comunitaria (v. Istituzioni comunitarie). È vero che, da un certo punto di vista, la garanzia dell’indipendenza della Commissione potrebbe giovarsi di un rafforzamento delle attribuzioni del presidente o, meglio, di un suo ruolo più determinante nella procedura di formazione del collegio, ma resta il fatto che anche per quanto riguarda l’istituzione Commissione resta vero che sono pur sempre i singoli Stati i “signori” delle decisioni: come lo sono dei Trattati, non possono non esserlo quindi anche della caratterizzazione complessiva della Commissione.

Che poi, una volta in carica, la Commissione riesca a sganciarsi dalla “signoria” degli Stati e tutelare la Comunità è un altro discorso, perché dipende dalle singole Commissioni, dagli eventi che si susseguono durante il mandato, insomma, dipende dalle singole circostanze che occorrono: se l’indipendenza originaria della Commissione e del suo presidente fosse maggiormente marcata, di certo anche il corso del mandato avrebbe maggiori possibilità per caratterizzarsi dall’indipendenza rispetto ai governi nazionali.

A ogni modo, che il requisito della collegialità caratterizzi tuttora la Commissione non pare dubbio, anche soltanto soffermandosi sulla possibilità del Parlamento di approvare una mozione di censura sull’operato della Commissione, mozione che se approvata obbligherebbe l’abbandono collettivo delle funzioni dei membri della Commissione. Il Parlamento, in sostanza, una volta in carica la Commissione, non può che esprimersi sull’operato dell’istituzione nel suo complesso, nella sua collegialità.

Eppure, non mancano gli indici che potrebbero indurre a ritenere il ruolo del presidente sempre più significativo e uno dei più importanti è la possibilità per il presidente di chiedere a un membro della Commissione di rassegnare le dimissioni, ma anche in questo caso è comunque la regola della collegialità a essere determinante, poiché la richiesta del presidente deve essere approvata dal collegio.

Da un certo punto di vista, il ruolo del presidente diviene significativo, questa volta in modo determinante, per quello che riguarda l’organizzazione del collegio. Un ruolo importante, pertanto, non tanto per quanto riguarda la nascita e la fine del collegio, ma per quanto riguarda, invece, il suo concreto operare e il suo funzionamento nell’arco del mandato. È il presidente, infatti, che struttura e ripartisce tra i membri della Commissione la ripartizione delle competenze e questo è specificatamente previsto che possa avvenire anche durante il corso del mandato. In altre parole, se il presidente si ritenesse insoddisfatto dell’operato di un commissario, non potrebbe revocarlo, perché servirebbe il consenso del collegio, ma potrebbe, al massimo, modificarne l’incarico e le competenze, questo sì in modo sostanzialmente autonomo e indipendente rispetto al volere degli Stati. Certo, da un punto di vista politico, non sarebbe semplice, ma da un punto di vista giuridico non ci sarebbero ostacoli, anche perché il Trattato, come già riportato, prevede che, nell’adempimento dei loro doveri, i commissari e il presidente non solo non sollecitano istruzioni da alcun governo, ma anche che ciascuno Stato si impegna a non influenzare i membri della Commissione nell’esecuzione dei loro compiti.

Il ruolo del presidente della Commissione è, come si è tentato di spiegare, ambivalente e questa ambivalenza, indubbiamente, dipende dal difficile nodo da sciogliere circa la configurazione complessiva dell’istituzione.

Il nodo è la tensione tra la caratteristica dell’indipendenza dell’istituzione e la responsabilità di fronte ai governi nazionali. La Commissione europea, in altre parole, è l’istituzione comunitaria che per definizione necessiterebbe della massima indipendenza dagli Stati, ma proprio questo spinge gli Stati stessi a non cedere il passo rispetto agli attuali poteri che detengono, in particolare, con riferimento alla procedura di nomina dei commissari e del presidente.

Spingendo al massimo il principio dell’indipendenza della Commissione, ci si dovrebbe aspettare l’irrilevanza del fattore della nazionalità nella nomina dei commissari, ma è indubbio che questo comporterebbe la definitiva responsabilità della Commissione solo e soltanto nei confronti del Parlamento europeo, tanto in fase di nomina, quanto in fase di cessazione della carica e, ovviamente, per quanto riguarda il concreto operare del collegio. Altrimenti, si potrebbe pensare a una diversa modalità di elezione del presidente, come l’elezione diretta a suffragio universale, ma si tratta di un’ipotesi che, pur se argomentata e valutata da alcuni con favore, difficilmente riuscirebbe a imporsi nei progetti di riforma dei Trattati.

La Commissione e il suo presidente, in effetti, sono stati al centro dei numerosi progetti di riforma dei Trattati che si sono avuti negli ultimi anni, in particolare, in riferimento alla c.d. “Costituzione europea” e al c.d. “Trattato di Lisbona” del 13 dicembre 2007.

Il Trattato di Lisbona modifica radicalmente la procedura di nomina della Commissione.

La Commissione nominata dalla data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona stesso al 31 ottobre 2014 è previsto che sia composta sempre da un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il presidente e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ne è uno dei vicepresidenti.

A decorrere dal 1° novembre 2014, invece, è previsto che: a) il numero dei membri, compreso il presidente e l’Alto rappresentante, sia 2/3 del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, all’unanimità, non decida altrimenti. I membri della Commissione sono scelti in base a un sistema di rotazione stabilito dal Consiglio europeo, che deve rispettare alcuni principi stabiliti nello stesso Trattato. In primo luogo, gli Stati membri deono essere trattati su un piano di assoluta parità per quanto riguarda l’avvicendamento dei loro cittadini come membri della Commissione (il che significa che uno Stato, una volta designato un commissario per l’ulteriore designazione, deve obbligatoriamente attendere che tutti gli altri Stati abbiano avuto anche loro un commissario). In secondo luogo, le Commissioni devono essere costituite in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità democratica e geografica degli Stati membri.

Quanto al presidente, sempre il Trattato di Lisbona prevede che sia eletto dal Parlamento europeo e che sia componente a pieno titolo del Consiglio europeo.

L’elezione avviene secondo la seguente procedura: tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la medesima procedura. Per quanto riguarda i commissari, invece, il Consiglio, di comune accordo con il presidente eletto, adotta l’elenco delle altre personalità che intende nominare membri della Commissione, personalità che sono selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri. A questo punto, il presidente, l’Alto rappresentante e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, a un voto di approvazione del Parlamento europeo e, in seguito a tale approvazione, la Commissione è nominata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata.

Inoltre, il Trattato prevede un rafforzamento dei poteri del presidente rispetto ai commissari, in quanto elimina la necessaria approvazione, da parte del collegio, della scelta del presidente di revocare un commissario. Con il Trattato di Lisbona, infatti, è previsto che un membro della Commissione rassegna le dimissioni se il presidente glielo chiede, senza alcuna ulteriore pronuncia del collegio nel suo complesso.

Il Trattato di Lisbona, infine, conferma la possibilità del Parlamento europeo di approvare una mozione di censura nei confronti della Commissione e specifica che la Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento stesso. Di conseguenza, se la mozione è adottata, i membri della Commissione si devono dimettere collettivamente (e l’Alto Rappresentante di dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione).

Davide Galliani (2012)

Bibliografia

Gozi S., La Commissione europea. Processi decisionali e poteri esecutivi, il Mulino, Bologna 2005.

Pocar F., Diritto dell’unione e delle comunità europee, Giuffrè, Milano 2006.