Princio di sussidiarietà

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Introduzione.

In un ordinamento giuridico a struttura decentrata, in cui l’esercizio dei poteri è distribuito verticalmente dall’autorità “superiore” verso quella “inferiore”, il principio di sussidiarietà contribuisce a definire la ripartizione delle competenze tra i diversi centri decisionali. Tale principio appartiene, in particolare, alla tradizione costituzionale di alcuni Stati federali, tra cui la Repubblica federale di Germania. La Legge fondamentale tedesca applica, infatti, il principio di sussidiarietà in materia di competenze legislative concorrenti tra Bund e Länder come garanzia della autonomia locale. L’origine filosofica di tale principio risale, invece, alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, secondo la quale ciò che un’unità minore può fare in maniera sufficiente non deve essere compiuto dall’unità superiore, a meno che quest’ultima non sia in grado di assicurare un risultato migliore.

Al livello dell’Unione europea il principio di sussidiarietà intende, come si vedrà,  regolare la ripartizione delle competenze tra la Comunità economica europea e gli Stati membri. Peraltro, tale ripartizione non è stata prevista in modo espresso dal Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE) (v. Trattati di Roma). Per contro, nell’ordinamento comunitario opera, fin dall’inizio, il cd. “principio delle competenze di attribuzione” (v. Principio di attribuzione), in forza del quale le istituzioni comunitarie agiscono esclusivamente nei limiti delle attribuzioni loro conferite dal Trattato (art. 5, primo comma CE, all’epoca art. 4 Comunità economica europea – CEE). Inoltre, in armonia con tale principio, sono le singole norme del Trattato a indicare di volta in volta se nel settore che esse disciplinano la Comunità dispone di una competenza esclusiva che preclude un intervento degli Stati membri, oppure di una competenza concorrente. L’assetto delle competenze materiali, quale definito in origine sulla base di questo principio, ha però subito nel tempo una profonda evoluzione. Infatti, gli autori del Trattato, prevedendo la necessità di ampliare la sfera delle suddette competenze originarie, hanno predisposto un particolare strumento che consente alle istituzioni di adottare atti obbligatori anche in quelle materie rientranti negli scopi della Comunità, ma non direttamente considerate.

Si tratta dell’applicazione della teoria dei  cd. poteri impliciti, elaborata per la prima volta dalla Corte suprema degli Stati Uniti e sancita a livello comunitario dall’articolo 308 CE (all’epoca art. 235 CEE). Ai sensi di questo articolo, qualora nel funzionamento del mercato comune (v. Comunità economica europea) risulti necessaria un’azione della Comunità per conseguire uno degli obiettivi di questa e ove il Trattato non abbia previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio dei ministri, deliberando con Voto all’unanimità, su proposta della Commissione europea e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni del caso. Accanto a tale principio occorre poi ricordare la relativa giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nonché le modifiche apportate al Trattato dall’Atto unico europeo, entrato in vigore il 1° luglio 1987. Si è così formato un quadro normativo e giurisprudenziale che ha contribuito a estendere considerevolmente l’ambito delle competenze della Comunità. La naturale conseguenza è stata peraltro, da un lato, di causare, di fatto, un ampio ricorso a questo strumento e, dall’altro, di suscitare gravi preoccupazioni in quegli Stati membri che temevano uno straripamento incontrollato dell’azione comunitaria.

In particolare, all’epoca in cui il Consiglio dei ministri prendeva la maggior parte delle sue decisioni all’unanimità, il ricorso a tale regola garantiva a ogni Stato membro la facoltà di ostacolare qualsiasi iniziativa non condivisa. L’Atto unico invece mutava profondamente questo assetto politico poiché, avendo ampliato il ricorso alla regola della maggioranza qualificata, impediva, di fatto, alle minoranze di esercitare un controllo sullo sviluppo delle competenze comunitarie. Occorreva, pertanto, ideare un criterio in grado di regolare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. A tal fine, il Trattato di Maastricht , entrato in vigore  il 1° novembre 1993,  ha codificato il principio di sussidiarietà, inserendo nel trattato CE una nuova disposizione (già art. 3 B, ora art. 5, secondo comma, CE), la quale recita «Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario».

È bene, peraltro precisare che, anche prima di tale disposizione, il concetto di sussidiarietà non era del tutto sconosciuto nell’esperienza comunitaria. Esso si trova già accennato in alcune disposizioni specifiche prima di essere sancito come criterio generale dal Trattato sull’Unione europea (v. Trattato di Maastricht). In primo luogo, l’articolo 5 del Trattato istitutivo della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA) (v. Trattato di Parigi), entrato in vigore il 24 luglio 1952 e ora estinto, stabiliva che la Comunità poteva esercitare un’azione diretta sulla produzione carbo-siderurgica soltanto quando le circostanze lo richiedevano. Inoltre, l’Atto Unico europeo ha introdotto nel testo del Trattato CEE l’articolo 130 R (oggi art. 174 CE) che prevede un principio simile nel settore della protezione dell’ambiente. Infine, un principio analogo a quello di sussidiarietà figura, in particolare, sia nella motivazione della decisione del Consiglio 12 marzo 1990, n. 90/141, relativa alla realizzazione di una convergenza progressiva delle politiche e dei risultati economici durante la prima fase dell’unione economica e monetaria (“Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” – GUCE – 1990, L 78, p. 23) sia nel punto 15 del preambolo della Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori adottata a Strasburgo il 19 dicembre 1989 dai capi di Stato o di governo degli Stati membri (salvo il Regno Unito ).

Tuttavia, come ha anche riconosciuto una sentenza del Tribunale di primo grado del 21 febbraio 199 (in  ”Raccolta della giurisprudenza”, pag. II-289, punto 331), prima dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht questo principio di sussidiarietà in embrione non costituiva una base giuridica di valore assoluto, un criterio generale, cioè, tale da consentire di verificare la legittimità di tutti gli atti comunitari (v. Strumenti giuridici comunitari).

Portata e ambito di applicazione.

Il principio di sussidiarietà è uno dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (v. anche Diritto comunitario). Esso, per un verso, concorre a delimitare l’ambito in cui tale ordinamento ha vigore e, per altro verso, contribuisce al rispetto delle identità nazionali degli Stati membri e alla tutela dei loro poteri. Inoltre, tale principio concorre a far sì che le decisioni assunte a livello comunitario siano prese nel massimo rispetto dei principi democratici cari ai cittadini dell’Unione europea. Il preambolo del Trattato di Maastricht afferma, infatti, che gli Stati membri sono «decisi  a portare avanti il  processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà».

Il principio di sussidiarietà si pone dunque come un fattore di rafforzamento dello spirito democratico insito nel sistema comunitario. In particolare, esso è una chiara dimostrazione della volontà  di soddisfare l’esigenza che le decisioni siano prese dalle autorità più vicine alle collettività destinatarie delle decisioni stesse. La stessa volontà è poi confermata dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (già art. B) là dove stabilisce che gli obiettivi dell’Unione devono essere perseguiti, tra l’altro,  nel rispetto del principio di sussidiarietà. Da questo punto di vista tale principio presenta, pertanto, una valenza trasversale, in quanto è applicabile sia alla Comunità europea (CE), sia ai settori della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Naturalmente, il problema di individuare quale istanza debba esercitare una determinata competenza attribuita dai Trattati non si pone nell’ambito delle competenze esclusive dell’Unione. Questo perché in tale ambito la pertinenza dell’azione comunitaria in capo alle i-stituzioni comunitarie è implicita. D’altro canto, nei settori in cui il Trattato non attribuisce alla Comunità alcuna competenza il principio di sussidiarietà non consente alcuna competenza aggiuntiva. In altre parole, il principio di sussidiarietà non mette in questione le competenze conferite alla Comunità dal Trattato CE, ma fornisce un orientamento sul modo in cui le competenze concorrenti possono essere esercitate a livello comunitario. Dalla lettura del citato articolo 5, secondo comma, del Trattato CE emerge, invece, che il principio in esame intende regolare l’esercizio dei poteri in quelle materie nelle quali sussistono competenze concorrenti tra l’Unione e gli Stati membri, subordinando l’azione della Comunità al riscontro di precise condizioni.

Ne consegue che il principio di sussidiarietà presenta due diversi aspetti. Per un verso, limita l’intervento comunitario quando un’azione può essere meglio realizzata dagli Stati membri. Per altro verso, richiede un’azione delle istituzioni comunitarie quando una loro iniziativa appare necessaria in funzione della dimensione del problema o dell’incapacità degli Stati membri di perseguire gli obiettivi del Trattato in modo adeguato. Questa duplice portata del principio di sussidiarietà si traduce, in un “concetto dinamico”, il quale «consente che l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue competenze,  sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata» (come si esprime il terzo paragrafo del protocollo sull’applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità, il cui contenuto sarà esaminato in seguito). Peraltro, l’esercizio di un’azione nell’ambito di una competenza concorrente può riguardare anche soltanto taluni aspetti e limitarsi a quelli per cui l’azione comunitaria garantisce maggiore efficienza, mentre gli Stati conservano la piena titolarità dei poteri residui.

Come ha precisato l’”Impostazione generale dell’applicazione, da parte del Consiglio, del principio di sussidiarietà e dell’articolo 3 B del trattato sull’Unione europea”, elaborata nel corso del Consiglio europeo di Edimburgo, dell’11 e 12 dicembre 1992 (“Boll. CE“ n. 12-1992), l’applicazione del principio di sussidiarietà deve comunque avvenire nel rispetto delle disposizioni generali del Trattato di Maastricht e, pertanto, non può incidere sull’acquis comunitario né alterare l’equilibrio istituzionale. Non deve, altresì, incidere sul primato del diritto comunitario, né deve impedire all’Unione europea di dotarsi dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche.

Per quanto riguarda, invece, l’individuazione dei destinatari del principio in esame, si osserva che il rispetto dei parametri della sussidiarietà riguarda, da una parte, tutte le istituzioni della Comunità e, in particolare, le istituzioni direttamente coinvolte nel suo processo decisionale, ovvero il Consiglio, il Parlamento e la Commissione. Da un’altra parte, come hanno osservato i governi tedesco, austriaco e belga, con una apposita dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam, il principio di sussidiarietà riguarda non solo gli Stati membri ma anche le loro entità, nella misura in cui queste dispongono di un proprio potere legislativo, conferito dal ri-spettivo diritto costituzionale nazionale.

L’applicazione e il controllo del principio di sussidiarietà.

Come detto, ai sensi dell’articolo 5, secondo comma, del Trattato CE, l’azione della Comunità, nei settori di competenza concorrente con gli Stati membri, è subordinata al verificarsi di una duplice condizione: che l’azione della Comunità risulti più efficace, in relazione alla sua dimensione o ai suoi effetti, di quella svolta a livello statale, e che i suoi obiettivi non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. Le condizioni richieste per l’applicazione del principio di sussidiarietà sono state, in seguito, precisate in alcuni atti delle istituzioni comunitarie e, infine, consacrate da una norma di rango primario, quale il Protocollo sull’applicazione del principio di sussidiarietà e del Principio di proporzionalità.

Nel quadro dei suddetti atti è bene ricordare, innanzitutto, la comunicazione della Commissione al Consiglio del 27 ottobre 1992 (doc. sec/92, def.). Secondo tale comunicazione, per determinare se una  specifica azione possa essere adottata a livello comunitario, occorre che questa rientri nei due parametri della c.d. efficacia comparativa e del valore aggiunto. Il primo criterio impone di valutare se gli Stati membri dispongono di mezzi – inclusi quelli finanziari – adeguati per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il secondo criterio attiene al valore aggiunto dell’intervento comunitario. Un siffatto intervento può essere ritenuto opportuno, e dunque legittimo, nella misura in cui esso assicuri una maggiore efficacia rispetto all’azione intrapresa a livello nazionale.

Inoltre, la comunicazione sottolinea che il principio di sussidiarietà serve anche a determinare l’intensità dell’azione comunitaria ed è, pertanto, strettamente connesso al principio di proporzionalità, sancito dal terzo comma dell’articolo 5 del Trattato CE. In base a questa disposizione, «L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento de-gli obiettivi del presente trattato». L’applicazione di questo principio comporta che la Comunità deve scegliere lo strumento di azione che lascia maggior spazio di azione agli Stati membri. Pertanto, ove sia possibile, devono essere preferiti gli atti non vincolanti a quelli vincolanti. Il che significa, in particolare, che lo strumento della direttiva deve essere preferito a quello del regolamento.

In seguito le linee guida indicate dalla comunicazione della Commissione sono state approfondite nella menzionata “Impostazione generale”, che ha definito un approccio generale per quanto riguarda l’applicazione del principio di sussidiarietà. Tra l’altro, questo documento definisce una serie di criteri particolareggiati cui le istituzioni comunitarie devono attenersi per garantire una corretta attuazione di tale principio. Queste disposizioni sono poi state, in parte, codificate nel Protocollo sull’applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità che il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha annesso al Trattato CE, del quale, a norma dell’articolo 311 CE, è dunque parte integrante.

I criteri guida così consolidati stabiliscono che la Commissione, prima di decidere di emanare una proposta di normativa, deve considerare se il problema portato al suo esame presenta aspetti transnazionali tali da non consentire una soluzione soddisfacente tramite l’azione degli Stati membri interessati da tale problema. Inoltre, l’intervento normativo della Comunità è giustificato solo se «le azioni dei soli Stati membri o la mancanza di un’azione comunitaria sarebbero in conflitto con le prescrizioni del Trattato (come la necessità di correggere distorsioni di concorrenza o evitare restrizioni commerciali dissimulate o rafforzare la coesione economica e sociale) o comunque pregiudicherebbero in modo rilevante gli interessi degli Stati membri». Infine, le istituzioni devono valutare se «l’azione a livello comunitario produrrebbe evidenti vantaggi per la sua dimensione o i suoi effetti rispetto all’azione a livello di Stati membri».

Il Protocollo non menziona se queste condizioni sono cumulative o alternative. Nondimeno, si può ragionevolmente supporre che, come precisavano le conclusione del Consiglio di Edimburgo, esse siano alternative. Questo vuol dire che la presenza anche di una sola delle suddette condizioni legittima l’azione comunitaria. Inoltre, è bene precisare che le istituzioni in causa hanno un ampio margine di discrezionalità nel valutare l’opportunità di un intervento normativo della Comunità. Questa ha tuttavia l’obbligo, previsto dallo stesso Protocollo, di accertare che «le ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio dalla Comunità devono essere confortate da indicatori qualitativi o, ove possibile, quantitativi».

Il Protocollo prevede poi che le istituzioni coinvolte nel processo decisionale sono tenute a garantire l’osservanza del principio di sussidiarietà nell’arco di tutta la procedura legislativa. Si tratta, in altre parole, di un obbligo simile a quello già contenuto nell’accordo interistituzionale (v. Accordi interistituzionali) del Parlamento, Consiglio e Commissione, relativo alle procedure per l’attuazione del principio di sussidiarietà, del 25 ottobre 1993 (GUCE C 239, 1). In tale accordo le suddette istituzioni si erano impegnate a tener conto del principio in questione nel corso della loro attività normativa. Ne consegue che, nella fase di elaborazione di una proposta di atto legislativo, la responsabilità del rispetto della sussidiarietà spetta alla Commissione, la quale deve, salvo i casi di particolare urgenza o riservatezza, effettuare ampie consultazioni e, se necessario, pubblicare i relativi documenti. Altresì, essa deve motivare le sue proposte legislative alla luce delle esigenze che giustificano l’applicazione del principio di sussidiarietà al caso concreto.

Inoltre, il Parlamento europeo e il Consiglio devono esaminare la conformità delle motivazioni della Commissione con le disposizioni dell’articolo 5 CE. Ciò concerne sia la proposta iniziale della Commissione, sia le modifiche che il Parlamento e il Consiglio apportano alla proposta. È anche previsto che la Commissione presenti ogni anno al Consiglio europeo,  al Parlamento e al Consiglio una relazione sull’applicazione dell’articolo 5 del Trattato CE. Tale relazione è anche inviata al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale. Infine, la Commissione deve tenere nel debito conto la necessità che i conseguenti oneri, siano essi finanziari o amministrativi, che ricadono sulla Comunità, sui governi nazionali, sugli enti locali, sugli operatori economici e sui cittadini siano minimi e commisurati all’obiettivo da conseguire.

In conclusione, le istituzioni che partecipano alla procedura legislativa sono tenute ad operare un controllo politico preventivo, ex ante, sulla corretta attuazione del principio di sussidiarietà lungo tutto il relativo iter decisionale. Tale principio è inoltre soggetto al controllo giu-risdizionale ex post da parte della Corte di giustizia della Comunità europea e dei tribunali nazionali. In caso di presunta violazione del detto principio l’atto comunitario che ne è all’origine può essere oggetto di un ricorso per annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, o di un rinvio pregiudiziale sulla validità del medesimo, ai sensi dell’articolo 234 CE. In particolare, in caso di acclarata inosservanza del principio di sussidiarietà, l’atto in questione è viziato per incompetenza dell’istituzione agente, ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 230 CE. Si ricorda che la legittimazione attiva per adire la Corte di giustizia nel quadro di un ricorso di questo genere è attualmente limitata agli Stati membri, al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alle persone fisiche o giuridiche direttamente e individualmente interessate.

Le prospettive di riforma del principio di sussidiarietà.

La questione di una più chiara ripartizione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri è stata al centro delle dichiarazioni di Nizza e di Laeken sul futuro dell’Europa. Secondo molti, infatti, l’assenza nel testo del Trattato CE di una precisa distinzione tra le competenze assegnate alla Comunità in modo esclusivo e quelle concorrenti con gli Stati membri non ha permesso al principio di sussidiarietà di esplicare compiutamente gli effetti voluti. Inoltre, il testo del menzionato Protocollo sull’applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità, nel suo attuale contenuto, in realtà non consente agli Stati membri di operare un controllo effettivo sul rispetto del principio di sussidiarietà.

Per questi motivi la Dichiarazione numero 23 relativa al futuro dell’Unione, allegata al Trattato di Nizza, ha evidenziato l’esigenza di precisare meglio, tra l’altro, «le modalità per stabilire, e mantenere, una più precisa delimitazione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri, che rispecchi il principio di sussidiarietà».  Il tema è stato poi ripreso dalla Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Europa, adottata dal Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2001. In particolare, la Dichiarazione ha ribadito di voler «chiarire la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, semplificarla e adeguarla alla luce delle nuove sfide che si presentano all’Unione» e ha, a tale proposito, individuato alcuni punti di riflessione. Questi concernono, in primo luogo, le modalità con cui rendere più trasparente la ripartizione delle competenze.

La Dichiarazione pone cioè il problema  se occorra introdurre una distinzione più chiara tra i tre tipi di competenze: quelle esclusive dell’Unione, quelle degli Stati membri, quelle condivise tra l’Unione e gli Stati membri. Il secondo tema di riflessione riguarda invece l’opportunità di un’indagine diretta ad accertare se non sia necessario procedere a un riordino delle competenze. Infine, è stato sollevato il problema di «come assicurare che un riassetto della ripartizione delle competenze non si traduca in un ampliamento strisciante delle competenze dell’Unione, oppure in un’interferenza in settori di competenza esclusiva degli Stati membri e, là dove previsto, delle regioni. Come vigilare, al contempo, affinché la dinamica europea non subisca una battuta d’arresto».

La Convenzione sul futuro dell’Europa (v. Convenzione europea), incaricata dalla Dichiarazione di Laeken di avanzare una serie di proposte da sottoporre al vaglio della Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) del 2004, ha, pertanto, dedicato ampio spazio alla materia istituendo un Gruppo di lavoro (v. Comitati e gruppi di lavoro) dedicato al tema della sussidiarietà,  presieduto dal parlamentare europeo Méndez de Vigo. Al termine dei suoi lavori, il Gruppo ha concordato una serie di proposte intese a migliorare l’applicazione e il controllo del principio di sussidiarietà. A tal fine, in primo luogo, ha proposto di consolidare la valutazione e l’applicazione del principio di sussidiarietà da parte delle istituzioni che partecipano al processo legislativo durante la fase di elaborazione e di esame delle proposte di atti legislativi. Inoltre, ha suggerito di istituire un meccanismo di allarme preventivo (early warn-ing system) di natura politica volto a rafforzare il controllo del rispetto del principio di sussidiarietà da parte dei parlamenti nazionali e, infine, di estendere l’ambito degli aventi diritto a ricorrere alla Corte di giustizia per inosservanza del principio di sussidarietà.

Queste proposte sono state sostanzialmente accolte sia dalla Convenzione, sia dalla Conferenza intergovernativa. Innanzitutto, la nuova  formulazione del principio di sussidiarietà, contenuta nell’articolo I-11, terzo paragrafo, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea) coinvolge espressamente anche le autorità regionali e quelle locali. Infatti questo articolo stabilsce che «in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione».

Inoltre, l’articolo I-11, primo paragrafo, precisa che «la delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione», mentre «l’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità». Una delle principali novità previste dal Trattato costituzionale consiste, altresì, nell’aver distinto, elencandoli, i settori di competenza esclusiva (articolo I-13), i settori di competenza concorrente (articolo I-14) e i settori delle azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento (articolo I-17), sulla base dell’assunto che, poiché l’esercizio delle competenze si fonda sul principio di sussidiarietà, una migliore suddivisione delle competenze costituisce un elemento determinante ai fini di una migliore applicazione del principio in questione.

L’articolo I-11 rinvia poi a un nuovo Protocollo (n. 2) sull’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità allegato al Trattato costituzionale, concernente sia l’obbligo delle istituzioni comunitarie di rispettare i detti principi, sia il ruolo di controllo assegnato ai parlamenti nazionali. Per quanto riguarda il primo aspetto, il Protocollo n. 2 impone alle istituzioni europee di motivare i progetti di atti legislativi con riguardo al principio di sussidiarietà e di proporzionalità. A tale fine, ogni progetto di atto legislativo deve essere accompagnato da una scheda contenete elementi circostanziati che consentano di valutare il rispetto dei principi in questione. Per quanto riguarda i parlamenti nazionali, invece, essi sono associati, attraverso il meccanismo di allarme preventivo, al controllo del rispetto di questi principi.

A tal fine, le istituzioni europee devono trasmettere tutti i progetti di atti legislativi europei ai parlamenti nazionali. Questi ultimi dispongono di un termine di sei settimane per prendere posizione. Il Protocollo precisa che le istituzioni “tengono conto” di questi pareri motivati. Tuttavia, è stato previsto di rafforzare il controllo giurisdizionale effettuato ex post dalla Corte di giustizia, estendendo ai parlamenti nazionali ed al Comitato delle regioni il diritto di ricorso avverso un atto legislativo europeo per violazione del principio di sussidiarietà. Nel primo caso sono gli Stati membri che a nome dei propri parlamenti nazionali propongono il ricorso, mentre per il secondo caso il ricorso è direttamente proposto dal Comitato delle regioni avverso quegli atti legislativi per i quali è richiesta la sua consultazione.

L’esito incerto del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa non consente, al momento, di prevedere quale sia, in concreto, l’impatto delle nuove norme che riguardano il principio di sussidiarietà sulla definizione del principio stesso. Resta comunque il fatto che il miglioramento del principio di sussidiarietà, sotto il profilo sia della sua applicazione sia del controllo, continua a costituire un punto rilevante nell’agenda delle istituzioni comunitarie.

Luigi Marchegiani   (2005)

 

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