Progetto di Trattato di Unione europea

Il 14 febbraio 1984 il Parlamento europeo (PE) approvò a larga maggioranza (237 voti a favore, 31 contrari e 43 estensioni su un totale di 434 deputati) il Progetto di Trattato di Unione europea (PTUE), noto come Progetto Spinelli dal nome del suo relatore e maggiore artefice. Qui di seguito vengono illustrati il disegno politico che ha guidato Altiero Spinelli, sfociato nella approvazione del PTUE, il contenuto del PTUE e l’influenza del PTUE sullo sviluppo del processo di unificazione europea.

L’ingresso di Spinelli nel PE si fondò sulla convinzione che questo avrebbe potuto assumere in seguito alla sua elezione diretta la guida del processo costituente della federazione europea. Con la legittimazione democratica diretta, il PE avrebbe acquistato di fatto la forza necessaria per strappare ai governi il riconoscimento del proprio ruolo costituente. In effetti l’esistenza di un Parlamento eletto direttamente, ma fornito di poteri essenzialmente consultivi, era in così palese contrasto con i principi democratici da far nascere una fortissima spinta oggettiva negli europarlamentari a sforzarsi di conquistare poteri reali e, quindi, a esercitare un compito costituente anche senza un esplicito mandato da parte dei governi.

Entrando nel PE Spinelli aveva chiaramente in mente l’idea che questo aveva non solo il diritto, ma anche il dovere di proporre una riforma complessiva della Comunità che la trasformasse in una vera unione politica ed economica dotata di competenze e istituzioni che le permettessero di affrontare in modo efficace e con procedure democratiche i gravi e crescenti problemi comuni dei popoli europei. E in particolare era consapevole che il problema cruciale era imporre una procedura che si ispirasse al modello della Convenzione di Filadelfia che nel 1787 elaborò la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Occorreva cioè assolutamente evitare che la proposta del PE venisse sottoposta al vaglio di una conferenza intergovernativa operante con la regola dell’unanimità, cioè del diritto di veto nazionale, e che si prevedesse una ratifica unanime da parte degli Stati per l’entrata in vigore del progetto costituzionale votato dal PE.

Concretamente l’azione di Spinelli per convincere il PE a lanciare una iniziativa costituzionale ebbe inizio con la costituzione nel luglio del 1980 del Club del Coccodrillo (dal nome del ristorante di Strasburgo in cui si tenne la riunione) formato da nove deputati europei. Essi erano: Spinelli e Silvio Leonardi (comunisti e apparentati), Gaiotti de Biase (PPE-It), Lücker e von Wogau (PPE-RFT), Balfe e Key (Soc.-GB), Johnson (Cons.-GB), Bruno Visentini (Lib.-It). Il gruppo si ampliò poi rapidamente, ottenendo l’adesione alle sue proposte dirette a una riforma globale delle Comunità della grande maggioranza del PE. Nelle successive legislature del PE eletto il collegamento fra i deputati di orientamento federalista (v. Federalismo) proseguì nella forma di un Intergruppo federalista europeo che esiste tuttora e che è trasversale ai gruppi politici.

In questo contesto ebbe grandissima importanza sul piano procedurale la decisione di dar vita a una commissione ad hoc del PE, cioè ad una commissione Affari istituzionali permanente incaricata di elaborare le modifiche ai trattati esistenti. Questa commissione (presieduta da Mauro Ferri (Soc.-It.) e che ebbe come vicepresidenti Jonker (PPE-PB), Nord (Lib.-PB), Pannella (?), iniziò i suoi lavori nel gennaio 1982 (nel momento in cui a metà della legislatura si rinnovavano le commissioni e potevano esserne istituite di nuove) e poté svolgere il proprio compito in modo ben più sistematico e continuativo di quanto sarebbe potuto avvenire se il compito fosse stato affidato a una sottocommissione della Commissione politica.

Volendo ora illustrare sinteticamente il PTUE che fu infine votato dall’assemblea plenaria il 14 febbraio 1984, vanno sottolineati i seguenti punti.

  • Il PTUE non parlava esplicitamente né di costituzione né di federazione e ciò sulla base della scelta tattica di evitare di provocare discussioni dottrinarie che avrebbero ostacolato il recepimento del progetto. Era però chiaramente un progetto di costituzione contenente un forte nucleo federale e la possibilità solida e concreta di avviare una evoluzione in tempi abbastanza ristretti verso una piena federalizzazione del sistema comunitario. La continuità giuridica e politica fra le vecchie Comunità e la nuova Unione europea destinata a sostituirle veniva assicurata, ponendo però tutta intera la costruzione europea sotto il segno dell’Unione e stabilendo che qualsiasi atto di unificazione sarebbe stato compiuto d’allora in avanti nelle forme e nelle procedure previste dal PTUE.
  • Sul piano istituzionale il PTUE prevedeva in sostanza il superamento dell’accumulo del potere legislativo e di gran parte di quello esecutivo nel Consiglio dei ministri deliberante in segreto e all’unanimità (salvo poche eccezioni), cioè del meccanismo istituzionale che ostacolava lo sviluppo dell’integrazione, subordinandola ai veti nazionali. Il potere legislativo veniva attribuito al Parlamento in codecisione con un Consiglio dei ministri trasformato in Camera degli Stati deliberante a maggioranza – pur con la previsione di un periodo di transizione di dieci anni in cui poteva ancora essere fatto ricorso sotto il controllo restrittivo della Commissione al Compromesso di Lussemburgo, comportante la possibilità di evitare il voto a maggioranza richiamandosi a interessi vitali nazionali. La Commissione diventava un vero e proprio governo democratico sopranazionale in quanto le si attribuiva effettivamente il potere esecutivo ed era sottoposta al controllo dell’organo legislativo aggiungendo al potere di sfiducia quella di fiducia preventiva.
  • Per quanto riguarda le competenze, era previsto un loro immediato sostanziale aumento. Al legislativo e all’esecutivo dell’Unione venivano infatti attribuiti i poteri di carattere economico e finanziario necessari per attuare l’Unione economica e monetaria e per completare, quindi, l’integrazione economica portando a termine quella negativa e sviluppando pienamente quella positiva. Va sottolineato al riguardo che l’Unione acquisiva il potere di aumentare le risorse proprie attraverso le sue procedure democratiche (senza dover quindi passare attraverso nuovi trattati deliberati e ratificati all’unanimità) e che per le competenze concorrenti veniva introdotto il Principio di sussidiarietà. In sostanza il passaggio di certi compiti dall’azione nazionale all’azione comune dell’Unione doveva avvenire a condizione che tali compiti potessero essere svolti più efficacemente dall’Unione che non dai singoli Stati presi separatamente, specie quelli le cui dimensioni ed effetti oltrepassassero i confini nazionali.
  • Per quanto riguarda le competenze nei settori della politica estera, della sicurezza e della difesa, il PTUE conteneva, a differenza di quelle relative all’integrazione economica, una scelta gradualistica. Esse venivano considerate competenze potenziali dell’Unione. All’inizio rimanevano sotto il pieno controllo degli Stati membri che avrebbero realizzato in tali campi una cooperazione intergovernativa, fondata cioè su decisioni unanimi e sottratta al controllo degli organi sopranazionali, cioè Parlamento, Camera degli Stati, Commissione e Corte di giustizia. L’organo decisionale responsabile della cooperazione era il Consiglio dei capi di Stato e di governo, detto Consiglio europeo, che entrava a far parte degli organi dell’Unione con questo compito appunto e con un ruolo di presidenza collegiale. Era previsto d’altra parte un meccanismo per il passaggio delle competenze potenziali al campo delle competenze esclusive o concorrenti dell’Unione senza dover ricorrere a nuovi trattati (con delibera e ratifica unanimi), ma semplicemente sulla base di decisioni unanimi da parte del Consiglio europeo. L’ipotesi molto realistica su cui si fondava questa opzione era che il rapido avanzamento verso il completamento dell’integrazione economica, che il nuovo quadro istituzionale avrebbe reso possibile, incrociandosi con le sempre più pressanti sfide emergenti dal contesto internazionale, avrebbe impresso una fortissima spinta alla federalizzazione della politica estera, della sicurezza e della difesa, che non si sarebbe impantanata nella procedura macchinosa, lenta e piena di trabocchetti di Revisione dei Trattati.
  • Il PTUE recepiva infine il principio più innovativo introdotto dalla Convenzione di Filadelfia: la ratifica a maggioranza. Si prevedeva infatti che, se il progetto fosse stato ratificato da una maggioranza degli Stati membri la cui popolazione costituisse i 2/3 della popolazione complessiva della Comunità, i governi ratificanti si sarebbero riuniti immediatamente per decidere di comune accordo le procedure e la data di entrata in vigore del trattato nonché le relazioni con gli Stati membri non aventi ancora ratificato. Sempre nello spirito della Convenzione di Filadelfia il PE invitò il suo presidente a presentare il PTUE ai Parlamenti e ai governi degli Stati membri con l’auspicio che esso raccogliesse l’adesione di tutti gli Stati membri – ma non si parla di una conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), bensì dell’esigenza di tener conto delle posizioni e delle osservazioni riscontrate presso i Parlamenti nazionali – secondo le loro rispettive procedure costituzionali.

Da questa rapida illustrazione degli aspetti fondamentali del PTUE dovrebbe essere chiaro che la ratifica di questo progetto avrebbe rappresentato un passo decisivo verso la costruzione di uno Stato federale europeo pienamente funzionale. Si tenga d’altro canto presente, per cogliere la potenzialità del PTUE, cosa avrebbe comportato per l’integrazione europea il fatto di trovarsi all’appuntamento con la fine del sistema bipolare e la Riunificazione tedesca essendo dotata del nuovo quadro istituzionale proposto da Spinelli e dal PE. Con l’esistenza di un governo democratico europeo fornito dei poteri per completare l’unificazione economica e con il meccanismo delle competenze potenziali la risposta europea alle sfide poste dagli avvenimenti epocali degli anni 1989-1991 sarebbe stata con ogni probabilità il salto qualitativo a un’Europa pienamente democratica e federale e realmente capace di agire sul piano internazionale. Il progetto di Spinelli non è però passato. Vediamo ora come ciò è avvenuto e l’influenza che comunque ne è derivata sullo sviluppo dell’integrazione europea.

Nonostante l’impegno strenuo di Spinelli, degli europarlamentari e dei parlamentari nazionali più europeisti, delle organizzazioni federaliste la proposta costituzionale del PE non ebbe la forza politica sufficiente per imporsi ai governi. All’orientamento sostanzialmente favorevole al PTUE espresso dai governi dei sei paesi fondatori e da quello irlandese – un orientamento che il presidente di turno delle Comunità François Mitterrand manifestò in un intervento al Pe il 24 maggio 1984 che suscitò molte speranze –, si contrappose un’irriducibile contrarietà dei governi britannico (guidato da Margareth Thatcher), danese e greco (Spagna e Portogallo entrarono nella Comunità all’inizio del 1986), e non emerse la volontà di realizzare un salto qualitativo in direzione federale anche soltanto fra una parte degli Stati membri delle Comunità. Si scelse pertanto la via della Conferenza intergovernativa e ci si accordò alla fine su una riforma dei Trattati comunitari che lasciò cadere le proposte più avanzate contenute nel progetto del PE.

L’Atto unico europeo (AUE), oltre a codificare le norme, già in applicazione da una quindicina d’anni, della cooperazione in materia di politica estera, stabilì l’obiettivo di realizzare entro il 1992 il completamento del mercato comune, eliminando tutte le barriere fisiche, fiscali e tecniche alla Libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi (v. Libera circolazione dei capitali; Libera circolazione delle persone; Libera circolazione dei servizi), e di associare a questo obiettivo un forte avanzamento verso l’integrazione economica positiva. Sul piano dei meccanismi istituzionali furono introdotte alcune innovazioni. Fu ampliata la sfera delle decisioni a maggioranza da parte del Consiglio dei ministri, inserendo fra queste circa i 2/3 delle misure indispensabili per attuare il mercato unico, e superando quindi un ostacolo istituzionale fondamentale che in questo settore aveva contribuito, assieme alla crisi economica degli anni Settanta, a bloccare qualsiasi progresso. L’estensione del voto a maggioranza è stata accompagnata da un rafforzamento dei poteri del PE tramite la Procedura di cooperazione legislativa con il Consiglio, nei settori per cui era previsto il voto a maggioranza, e il parere conforme richiesto al PE per l’entrata in vigore dei trattati di associazione e di adesione alle Comunità e di alcuni accordi commerciali.

Spinelli denunciò senza mezzi termini i limiti dell’AUE e riconobbe apertamente la propria sconfitta, ma non ebbe il minimo dubbio che la lotta per la costituzione federale europea doveva essere proseguita. A questo riguardo fornì delle indicazioni concrete circa il rilancio dell’impegno per la Costituente e questo fu l’ultimo suo contributo alla lotta federalista prima della morte. Il fondatore del MFE affermò che l’obiettivo da perseguire era l’attribuzione da parte dei governi (o di una maggioranza di essi) di un mandato costituente al PE (che doveva essere rieletto nel 1989), affinché esso potesse redigere un progetto di costituzione da trasmettere direttamente agli Stati per la procedura di ratifica, senza nessuna mediazione da parte di una conferenza diplomatica che avrebbe, come era appena avvenuto, espunto le parti più innovatrici delle proposte del PE. Per conseguire questo mandato, il PE avrebbe dovuto chiedere ai governi e ai Parlamenti nazionali di indire referendum consultivi nei loro paesi per chiedere ai loro cittadini se approvassero, o meno, l’idea dell’attribuzione di un tale mandato al PE. L’ultima proposta di Spinelli – va qui ricordato – trovò una parziale attuazione in Italia con il referendum consultivo – promosso dal MFE e tenutosi in coincidenza con le elezioni europee del 18 giugno 1989 – in cui l’88% dei votanti si espresse a favore di un mandato costituente al PE.

Vediamo in conclusione l’influenza che la proposta costituzionale del PE ha esercitato, nonostante il suo mancato accoglimento, sull’avanzamento dell’integrazione europea.

Anzitutto va sottolineato che fu uno dei fattori fondamentali che contribuirono al varo dell’AUE. Il presidente della Commissione europea, Jacques Delors – egli fu l’artefice principale, con il sostegno dei governi dei sei Stati fondatori, del nuovo trattato – poté infatti valersi di due leve fondamentali per ottenere l’approvazione di un trattato decisamente più limitato rispetto a quanto proposto dal PE, ma che comunque rese possibile il perseguimento del grande obiettivo del mercato unico, anche perché introdusse una parte delle riforme istituzionali previste dal PTUE circa il voto a maggioranza e il rafforzamento del PE. Se una di queste leve fu rappresentata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di protezionismo non tariffario, l’altra fu, come più volte ebbe a riconoscere lo stesso Delors, l’iniziativa costituzionale del PE. Da parte dei governi (soprattutto di quello della signora Thatcher, ma con una posizione poco battagliera anche degli altri) si era in effetti inizialmente orientati a concepire il progetto del mercato unico come una semplice dichiarazione di intenti. Ma proprio l’esigenza di venire incontro almeno in parte alla richiesta di una riforma radicale contenuta nel PTUE contribuì in modo decisivo al passaggio da una dichiarazione di intenti a un vero e proprio trattato, fornito quindi di effettive possibilità di successo. In effetti l’AUE – elaborato da una Conferenza intergovernativa convocata a maggioranza dal Consiglio europeo di Milano del 28-29 giugno 1985 e in presenza di una manifestazione federalista con 100.000 partecipanti – indicò una precisa scadenza e mise gli Stati di fronte a obblighi ben definiti e con alcuni miglioramenti dei meccanismi istituzionali, in modo da suscitare nelle forze economico-sociali, nei cittadini e nella stessa classe politica delle aspettative in grado di suscitare ulteriori processi evolutivi.

Al di là dell’influenza nel breve periodo sulla genesi dell’AUE, il PTUE ha aperto una fase di avanzamento dell’integrazione europea e di riforma delle istituzioni comuni europee che è tutt’ora in corso. Le tappe fondamentali fino a questo momento sono state una serie successiva di trattati – da quello di Maastricht (v. Trattato di Maastricht) fino a quello di Lisbona (v. Trattato di Lisbona) firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 – e la realizzazione dell’unione monetaria, l’estensione dell’integrazione ai settori della difesa, della sicurezza esterna e interna e della cooperazione giudiziaria. In questi sviluppi si è vista all’opera una convergenza fra la spinta a nuovi passi avanti nell’integrazione, necessari per non compromettere i risultati ottenuti, le sfide provenienti dal quadro internazionale (in particolare le problematiche della globalizzazione e della situazione post bipolare), il fattore rappresentato dal costante impegno – nel solco della linea tracciata da Spinelli e che ha visto nell’iniziativa costituzionale del PE una grandiosa manifestazione – delle organizzazioni federaliste a favore della democratizzazione e della connessa federalizzazione delle istituzioni europee e per una procedura costituente democratica.

Se analizziamo con attenzione gli sviluppi successivi al PTUE, emerge chiaramente come il loro filo conduttore sia costituito dalla graduale, anche se ancora parziale, realizzazione di rivendicazioni contenute nel progetto approvato dal PE il 14 febbraio 1984. A questo riguardo si deve sottolineare che, al di là delle specifiche riforme istituzionali, sono passati alcuni aspetti della cruciale rivendicazione federalista – fondata sul modello della Convenzione di Filadelfia – relativa alla procedura costituente democratica e ciò ha favorito il progresso dell’integrazione perché ha limitato l’impatto negativo della logica puramente diplomatica. Vanno qui ricordate in particolare: le convocazioni a maggioranza delle Conferenze intergovernative che hanno portato all’AUE e al Trattato di Maastricht; la decisione a maggioranza da parte del Consiglio europeo di Roma dell’ottobre 1990 di recepire il rapporto del Comitato Delors sull’Unione economica e monetaria (si tratta di un organo analogo al Comitato Spaak) come agenda della CIG che portò al Trattato di Maastricht; la Convenzione costituzionale del 2002-2003, la quale ha avuto una composizione prevalentemente parlamentare, un metodo di lavoro trasparente e implicante una consultazione sistematica della società civile, sicché è stato impossibile per i governi rimangiarsi le proposte più avanzate da essa presentate.

Va infine sottolineato che la rivendicazione, contenuta nell’ultimo messaggio di Spinelli, dell’attribuzione di un mandato costituente al PE è stata parzialmente recepita dal Trattato di Lisbona. Se questo trattato ha eliminato ogni riferimento all’idea di una Costituzione europea, attribuisce d’altro canto al PE il diritto di presentare delle proposte di emendamento dei trattati (il che significa che esso può, se lo vuole, presentare un progetto di costituzione europea), e stabilisce che il Consiglio europeo debba decidere a maggioranza semplice sulla convocazione di una Convenzione – formata da rappresentanti del PE, dei Parlamenti nazionali, della Commissione europea e dei governi – incaricata di esaminare tali proposte e di trasmetterle a una Conferenza intergovernativa per la decisione finale da sottoporre alle ratifiche nazionali. Questa procedura lascia l’ultima parola alla decisione unanime dei governi, ma offre al PE una possibilità reale di lottare, se ne avrà la volontà, per un cambiamento di metodo. Esso dovrebbe consistere anzitutto nell’ottenere che la Convenzione sia autorizzata ad avviare i propri lavori anche se non tutti gli Stati membri hanno deciso di unirsi al disegno di una costituzione federale. In secondo luogo, nella Convenzione si dovrebbe realizzare una codecisione costituzionale fra la componente parlamentare e quella governativa della Convenzione stessa, in cui cioè entrambe decidano a maggioranza (secondo il modello della codecisione legislativa). Infine si deve far passare il principio della ratifica a maggioranza fondato su un referendum europeo.

Sergio Pistone (2017)