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Romania

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La Romania che esce dalla Seconda guerra mondiale è un paese provato dalle distruzioni belliche, ma che è riuscito a separare la propria sorte dalla Germania sconfitta, ritornando – almeno per il confine occidentale romeno-ungherese – alla linea favorevole tracciata dal trattato del Trianon alla fine della Grande guerra. Anche per Bucarest, però, vale il condizionamento della liberazione/occupazione dell’Armata rossa: la presa del potere da parte del Partito comunista di Romania (PCR) avviene – come nel resto dell’Europa orientale – con la messa fuori legge dei partiti tradizionali e la contestuale fusione con la sinistra socialdemocratica, con cui si forma il Partito lavoratore romeno (Partidul Muncitoresc Român, PMR). Una volta costretto alla fuga il re Michele (1947), l’instaurazione del regime non incontra più ostacoli e la Romania diventa una Repubblica popolare (1948). La realizzazione del socialismo avviene con metodi staliniani e le “purghe” diventano anche nel paese danubiano l’occasione per un regolamento di conti interno e per il consolidamento della dirigenza al potere. Di fatto, la dirigenza stalinista e “nazionalista” di Gheorghiu-Dej (e con lui di quel gruppo “nazionale” uscito vincente nel 1952 dal confronto con il gruppo “moscovita” di Ana Pauker e Vasile Luca, entrambi esponenti di minoranze nazionali) riesce in Romania a succedere a se stessa anche alla morte di Stalin. Il regime di Gheorghiu-Dej, fino alla cosiddetta “dichiarazione di indipendenza” della primavera del 1964, evidenzia al pubblico scelte e politiche che emergono con fattezze di “comunismo nazionale”. Con l’uscita di scena del vecchio leader, nel 1965 diventa segretario generale del partito Nicolae Ceauşescu, che incarna una nuova e lunga stagione di potere: nello stesso anno c’è il ritorno alla denominazione di Partito comunista romeno e la trasformazione della denominazione in Repubblica Socialista di Romania. Con il passaggio del potere a Ceauşescu si presentano sulla scena nuove caratteristiche di “stalinismo nazionale” o “nazional-comunismo”, a partire dall’esasperazione del culto della personalità e del consolidamento del regime familiare in “socialismo dinastico” (definito per l’“eccezionalismo” nei confronti degli altri regimi del socialismo reale anche “totalitarismo-sultanismo”). Nel 1968, con la condanna della repressione della “primavera di Praga”, il conducător Ceauşescu guadagna una notevole popolarità interna e internazionale. Si approfitta di tale momento particolarmente favorevole anche per dividere in più province la regione autonoma ungherese (costituita nel 1952 con il favore di Mosca per venire incontro alle rivendicazioni autonomistiche dell’oltre un milione di ungheresi della Transilvania e delle regioni limitrofe). Gli anni Settanta segnano un periodo di notevole protagonismo per Bucarest, che propone una svolta “filocinese” del socialismo nazionale per poi porsi come interlocutore privilegiato con gli Stati Uniti e le potenze occidentali. Solo con la metà del decennio seguente e l’inizio a Mosca dell’era di Michail Gorbačëv risulta progressivamente sempre più chiaro il profilo di un regime che controlla con la propria polizia comunista – la Securitate – ogni angolo della società e che pone in atto odiose politiche di “omogeneizzazione” nazionale a scapito delle minoranze nazionali (tedesche, ebraiche e ungheresi). Il regime arriva dunque con un consenso popolare decisamente logorato (soprattutto in seguito alla rivolta di Braşov del 1987) all’autunno 1989, quando l’effetto “domino” della caduta dei regimi comunisti sembra dapprima non avere echi nel paese, per poi esplodere nella violenta rivolta di Timişoara. Nell’ultimo scorcio del dicembre 1989, dunque, con la morte dei coniugi Ceauşescu la rivoluzione romena – unica rivoluzione violenta dell’Europa orientale – apre il controverso e difficile periodo della transizione romena alla democrazia e all’economia di mercato.

La genesi del sistema democratico multipartitico è così fortemente condizionata dalle caratteristiche proprie del regime ceausista e dal mancato completamento del circuito rivoluzionario, gestito immediatamente dalle seconde file comuniste e “securiste” e apparso a molti osservatori in realtà un colpo di Stato. Si forma un Fronte di salvezza nazionale (Frontul salvării naţionale, FSN) guidato dal giovane Petre Roman e dall’importante figura di Ion Iliescu, esponente della nomenclatura, ma critico nei confronti della dirigenza Ceauşescu. Il Consiglio del FSN fa le veci di governo provvisorio, con Iliescu al vertice dello Stato. Relativamente ai rapporti con l’estero e soprattutto con l’Europa, il filoeuropeismo della leadership di questo periodo è reso pubblico con la dichiarazione ufficiale di Bucarest del 7 gennaio 1990, che esprime il palese desiderio della “nuova” Romania a collaborare con la CEE. Il coinvolgimento di personalità della dissidenza e dei partiti politici del periodo precomunista, nel frattempo ricostituitisi – come il Partito nazional-contadino cristiano-democratico (Partidul naţional ţărănesc creştin democrat, PNŢCD), il Partito nazional-liberale (Partidul naţional liberal, PNL), il Partito social-democratico di Romania (Partidul social democrat, PSDR) – risulta essere di breve durata: il Consiglio del FSN decide la propria trasformazione in partito politico e ciò provoca la rottura con gli altri esponenti anticomunisti. Dunque, in seguito al drammatico epilogo del regime ceausista nel dicembre 1989 e alla dura transizione del biennio 1990-1992 (condotta con grandi equilibrismi da Ion Iliescu tra conflitti etnici, come il grave scontro tra romeni e ungheresi a Târgu Mureş del marzo 1990, e politico-sociali, come nelle varie “mineriadi” che si susseguono dal 1990 fino al 199), solo nel 1996 anche in Romania un blocco alternativo al “regime” – includente un partito etnico di minoranza nazionale – sarebbe potuto andare al potere. Nelle prime elezioni libere dalla caduta del regime Iliescu, infatti, viene confermato presidente a stragrande maggioranza, mentre per entrambe le camere il FSN ottiene circa i due terzi delle preferenze. Nonostante le tensioni, il governo Roman, tuttavia, incassa un importante risultato a livello internazionale, con la firma dell’Accordo di cooperazione commerciale con Bruxelles, che costituisce il primo importante passo verso l’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Se a livello internazionale risulta chiaro che la posizione di Roman sia più socialdemocratica rispetto a quella di Iliescu, chiaramente conservatrice, a livello interno intervengono ancora una volta i minatori, che nel settembre 1991 costringono Roman alle dimissioni e una maggioranza allargata ai liberali appoggia come nuovo premier Theodor Stolojan. Un appoggio trasversale, invece, sostiene la nuova carta costituzionale poi approvata da referendum popolare l’8 dicembre da oltre il 77% dei romeni: la Romania diviene una repubblica presidenziale multipartitica. In novembre i partiti della Convenzione nazionale democratica (e tra questi i principali partiti non frontisti, PNŢCD, PNL, PSDR, con gli ungheresi dell’Unione democratica magiara di Romania, Uniunea democrată maghiară din România, UDMR) giungono ad un’intesa per la formazione di una Convenzione democratica di Romania (Convenţia democrată română, CDR) per la presentazione di liste uniche alle elezioni. Nel febbraio 1992 si svolgono dunque le elezioni locali, con decine di partiti e candidati indipendenti: si afferma il FSN, che raccoglie circa un terzo dei voti e conquista quasi la metà dei comuni. Contro il leader Roman, però, e in appoggio a una nuova candidatura presidenziale di Iliescu si coagula il gruppo di ministri, deputati e prefetti che costituisce il nuovo Fronte democratico di salvezza nazionale (Frontul democrat al salvării naţionale, FDSN). La CDR si prepara alla candidatura unitaria di Emil Constantinescu, a capo dell’Alleanza civica e rettore dell’Università di Bucarest: Iliescu e Constantinescu si affermano al primo turno presidenziale del 27 settembre 1992, mentre alla Camera e al Senato si afferma – con il presidente uscente Iliescu – il nuovo FDSN (con circa il 28% dei voti) seguito dalla CDR (20%). Al ballottaggio presidenziale, l’appoggio nazionalista a Iliescu ne sancisce una netta vittoria (oltre il 60%). Nel nuovo anno, il 1° febbraio 1993, il governo Văcăroiu incassa la firma del Trattato d’Associazione con Bruxelles (che entrerà in vigore nel 1995). In estate il FDSN, in una Convenzione straordinaria, decide di prendere il nome di Partito della democrazia sociale di Romania (Partidul democraţiei sociale in România, PDSR), mentre sul campo dell’opposizione il FSN, fusosi con il piccolo Partito democratico (Partidul democrat, PD), ne rileva il nome e converge verso un’intesa con la CDR. Nel giugno 1995 la dichiarazione di Snagov – sottoscritta da quasi tutti i partiti romeni – indica l’obiettivo fondamentale dell’adesione alle istituzioni comunitarie. In ottobre Bucarest viene accettata in seno all’Iniziativa centroeuropea: la contemporanea apertura per un trattato di amicizia con l’Ungheria trova, però, la prevedibile netta opposizione dei deputati nazionalisti che sostengono il governo (opposizione ignorata solo a fine legislatura, con la firma dell’accordo di Timişoara il 16 settembre 1996). Con le elezioni del 3 novembre, caratterizzate da un’alta affluenza alle urne, c’è la storica svolta e le opposizioni vanno al potere: Constantinescu, forte di un 28% rispetto al 31% di Iliescu, coagula intorno a sé il voto degli altri oppositori – come Roman, che raccoglie un 20%, e degli ungheresi, con il solito 6% – e ribalta il risultato al ballottaggio, risultando eletto presidente con il 54% dei voti. Al parlamento la CDR raccoglie il 30% dei voti circa, seguita dal PDSR (21-23% nelle due camere), l’Unione social-democratica (USD, formata dal FSN-PD e dal PSDR), l’UDMR (6%) e le due formazioni nazionaliste (il Partito dell’unione nazionale dei romeni, Partidul unităţii naţiunii Române, PUNR, e il Partito della “grande Romania” – Partidul România Mare, PRM – entrambe oltre il 3%): l’accordo tra CDR, USD e UDMR apre la strada all’esecutivo di Victor Ciorbea e alla prima maggioranza di governo delle opposizioni dalla caduta del regime comunista con la partecipazione della minoranza ungherese.

Per quanto riguarda l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) al summit di Madrid la Romania non risulta nella lista dei paesi accettati per diventare i nuovi membri. All’inizio del 1998 l’esecutivo Ciorbea viene sostituito da quello di Radu Vasile, che rilancia le privatizzazioni insieme con il contenimento dell’inflazione. La nuova compagine ministeriale, però, senza dimostrare molta più capacità di governo della precedente, si trova ad affrontare l’ultima “mineriade” del postcomunismo nel gennaio 1999 (più che altro orchestrata per un eventuale colpo “di stato” in cui i minatori del leader del PRM Miron Cozma sono più che altro uno strumento politico). A fine anno, poi, nonostante la severità del rapporto della Commissione europea, la Romania guadagna l’inclusione nel gruppo di paesi invitati all’adesione dal Consiglio europeo di Helsinki: in forza di tale decisione il successivo 15 febbraio 2000 si sarebbero aperti ufficialmente i negoziati sui 31 capitoli dell’Acquis comunitario. Il premier Vasile, però, è sostituito dal presidente Constantinescu per lasciar posto a una personalità al di sopra delle parti, quale Mugur Isărescu, governatore della Banca centrale romena. Il rilancio economico proposto da Isărescu si incentra sulla riduzione delle imposte sui profitti per una ripresa della produzione industriale. In ambito politico il PDSR stringe un’intesa con il Partito umanista di Romania (Partidul umanist Român, PUR) per la formazione di un Polo democratico sociale di Romania, che nelle elezioni locali (comunali e provinciali) del giugno 2000 torna a essere la prima forza del paese. Solo nella capitale l’affermazione del candidato del PD Traian Băsescu argina l’affermazione del blocco democratico-sociale, mentre a Cluj il segretario generale del PRM Gheorghe Funar è riconfermato sindaco. Il 26 novembre 2000 il 65% degli aventi diritto esprimono al primo turno presidenziale il malessere verso la classe politica al governo dando il 28% dei consensi al leader nazionalista Corneliu Vadim Tudor, che si accredita per il ballottaggio alle spalle di Iliescu (36%) e distacca gli altri candidati. Il PDSR (che aveva assorbito in settembre i socialdemocratici del PSDR) raccoglie il 36-37% tra Camera e Senato, il PRM si afferma come seconda forza del paese rispettivamente con il 19-21%. Si coagula dunque intorno a Iliescu l’appoggio dei 2/3 dei consensi: Adrian Năstase, premier e leader democratico-sociale, apre dunque alla collaborazione con altri partiti, in primis gli ungheresi dell’UDMR. Al Vertice di Nizza (v. anche Vertici; Trattato di Nizza), intanto, finalmente la Romania è contemplata dalla carta dell’Europa “allargata”, anche se risulta difficile completare il piano di riforme richiesto da Bruxelles (v. Allargamento). A livello ideologico i democratico-sociali tendono ormai verso il definitivo accredito nella famiglia socialdemocratica europea: nel giugno 2001 nasce il Partito social-democratico (Partidul social democrat, PSD), che si prepara all’entrata a pieno titolo nell’Internazionale socialista. Dall’Europa, invece, dopo l’apprezzamento (ma anche le critiche) dei Rapporti periodici e i documenti della Commissione europea, al Vertice di Copenaghen del dicembre 2002 la decisione dell’estensione dell’Unione europea (UE) a soli 10 nuovi paesi membri rinvia l’adesione Romania e Bulgaria.

La Romania arriva all’anno elettorale del 2004 con un risultato storico per Bucarest: la piena membership all’interno dell’Alleanza atlantica (avvenuta insieme a Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia e Slovacchia). D’altra parte, riguardo al processo d’integrazione europea, il paese risulta aver raggiunto importanti obiettivi (27 capitoli negoziali provvisoriamente chiusi su 31) ma deve procedere con fermezza nell’applicazione di nuove norme adottate – come quelle anticorruzione – e impegnarsi in un ultimo sforzo per la chiusura dei negoziati nel 2005. Nelle elezioni amministrative del 6 giugno 2004 la maggiore affermazione è quella dell’Alleanza DA (Alianţa dreptate şi adevăr), il cartello elettorale tra PNL e PD. Alle elezioni presidenziali del novembre si fronteggiano Adrian Năstase e Traian Băsescu, che raccolgono rispettivamente il 41% e il 34% dei consensi: al secondo turno, il 12 dicembre, Băsescu è eletto presidente della Romania per pochi voti di differenza. Si crea comunque una maggioranza di governo intorno all’Alleanza DA (premier Călin Popescu Tăriceanu, presidente ad interim del PNL). La firma del Trattato di adesione all’Unione europea, il 25 aprile 2005, segna di certo un importante evento politico-internazionale per Bucarest. Nonostante la vittoria, però, il sodalizio PNL-PD – dopo una prima fase di entusiasmo – non si consolida e nel 2006 esplodono le contraddizioni che sono nel frattempo emerse all’interno dei partiti e nei rapporti tra le personalità istituzionali ai vertici dello Stato, in particolare il presidente Băsescu e il premier Popescu Tăriceanu. L’apertura di una nuova crisi politica avviene alla fine dell’anno e si formalizza con l’uscita dei conservatori (ex umanisti) dalla compagine governativa. Lo stesso partito del premier, il PNL, risulta indebolito dalla fuoriuscita di una “piattaforma liberale” per la formazione di un Partito liberal-democratico (Partidul democrat-liberal, PLD). Il presidente Băsescu, d’altra parte, ha ormai un consenso personale che va oltre il partito di provenienza ed è legato a prese di posizione politiche di notevole popolarità (come la lotta alla corruzione, l’apertura degli archivi della polizia segreta comunista, la Securitate, fino alla condanna del comunismo romeno). Con il 1° gennaio 2007 e l’entrata effettiva del paese nell’Unione europea si conclude il lungo e non facile processo di avvicinamento a Bruxelles, ma la logorante “instabilità” di governo frena le possibilità di Bucarest di utilizzare al meglio il nuovo status. Nel referendum del 19 maggio 2007 si conferma l’appeal popolare della leadership di Băsescu, che vanifica con tale vittoria il procedimento di impeachment votato precedentemente dal Parlamento. Le prospettive di realizzazione di uno stabile e responsabile sistema “bipolare”, che sembravano avviate in Romania, appaiono ormai più complesse, anche se il paese sembra ancorato saldamente all’interno del contesto europeo.

Andrea Carteny (2007)

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