Slovenia

La strada per l’indipendenza

I primi segnali della disintegrazione del secondo Stato iugoslavo si erano già manifestati decenni prima della sua effettiva caduta. È tuttavia la morte del carismatico presidente di Stato e del Partito comunista, Josip Broz Tito, il 4 maggio 1980, che viene considerata il punto di svolta di questo processo. Dalla morte di Tito fino alla seconda metà degli anni Ottanta, la politica slovena rispetto alla Iugoslavia può definirsi difensiva e orientata al mantenimento della posizione acquisita. Soltanto alla fine di quel decennio la situazione muta drasticamente. Fino alla seconda metà degli anni Ottanta non vi erano stati né valutazioni politiche né un programma nazionale da parte slovena che non sostenessero la società socialista, e neppure serie prese di posizione a favore di una piena indipendenza nazionale. L’unica eccezione fu, negli anni Sessanta, quella di alcuni programmi di emigrati politici sloveni in sostegno di una Iugoslavia multipartitica e confederativa, che in parte si ricollegavano al programma del gruppo “liberale” interno alla Lega dei comunisti sloveni al governo.

Sulle questioni economiche, le valutazioni politiche slovene evidenziavano chiaramente la posizione di una repubblica sviluppata: opposizione alle richieste di socializzare il debito, di contribuire al fondo di mutua solidarietà utilizzato soprattutto per coprire il deficit delle repubbliche sottosviluppate, e ad altre misure amministrative per la distribuzione delle merci simili a quelle adottate alla fine della Seconda guerra mondiale. Riguardo al funzionamento dello Stato federativo, l’opposizione della Slovenia era orientata contro gli sforzi per modificare l’ordine costituzionale contro i tentativi di uniformare alcuni importanti ambiti sociali, quali il settore dell’istruzione, quello scientifico e i sistemi delle macro infrastrutture. Nell’ambito della politica estera, la Slovenia si impegnò per avere contatti diretti con paesi stranieri e una rappresentanza paritaria nella diplomazia iugoslava. Nel settore degli affari interni, tuttavia, tra le questioni più accese figuravano lo status paritario della lingua slovena e il mantenimento della cultura slovena.

La credibilità dei politici comunisti sloveni fu compromessa dalla loro incapacità di risolvere i problemi fondamentali dell’economia e della democrazia (pluralismo politico) e in primo luogo dalla loro incapacità di proteggere dalle pressioni di Belgrado lo status normativo raggiunto.

La vecchia generazione di politici, consapevole della propria incapacità di far fronte alle nuove sfide, acconsentì con riluttanza al riformismo personificato da Milan Kučan, leader del partito comunista sloveno. La posizione in merito allo Stato federativo prese progressivamente forma attraverso il graduale mutamento dei rapporti tra il governo e l’opposizione emergente. Una spinta al dibattito sul futuro status della nazione/Stato sloveno provenne nel 1987 dal ben noto numero 57 di “Nova revija” (Nuova rivista), la rivista portavoce dell’opposizione slovena. Studi e saggi filosofici e sociologici si concentrarono sul problema se il popolo sloveno dovesse diventare una nazione, ossia ottenere una propria entità statale con una reale sovranità, indipendente dal controllo e dal dominio iugoslavo, e sulla necessità di introdurre un nuovo ordine, che favorisse l’espressione democratica dei cittadini sloveni, vale a dire il pluralismo politico. Con l’allargamento dello spazio democratico, era aumentata notevolmente l’influenza della società civile e dell’opposizione.

Due documenti del 1989, la Dichiarazione di maggio e la Carta fondamentale della Slovenia, riflettono chiaramente le differenti posizioni assunte dall’opposizione e dall’autorità riguardo alla Iugoslavia e all’integrazione europea. Nella Dichiarazione di maggio erano espresse le seguenti rivendicazioni:

«1) Vogliamo vivere in uno Stato sovrano della nazione slovena. 2) In quanto Stato sovrano decideremo autonomamente sulle relazioni con gli slavi meridionali e le altre nazioni all’interno di un’Europa moderna. 3) Le uniche basi possibili dello Stato sloveno sono: il rispetto dei diritti umani e delle libertà, la democrazia basata sul pluralismo politico, un ordine sociale che garantisca benessere economico e spirituale in accordo con le risorse naturali e le capacità umane dei cittadini sloveni».

La Carta fondamentale della Slovenia era meno radicale e cercava soluzioni all’interno della federazione iugoslava, continuando a sostenere l’autogestione, sebbene in forma riveduta. La competizione tra i sostenitori delle due parti si espresse con le firme apposte su ciascun documento, ma abbastanza significativamente molti firmarono entrambi. Fu il documento più radicale, la Dichiarazione di maggio, a reggere alla prova della storia.

Nell’ultimo periodo, il governo del croato Ante Marković si impegnò a salvare la Iugoslavia applicando il concetto di “socialismo moderno”. Marković, eletto presidente nel 1989, avviò una serie di riforme economiche che avrebbero dovuto aiutare a mantenere la Iugoslavia unita. Fu tuttavia incapace di confrontarsi con la nomenklatura politica ideologicamente rigida, legata a un socialismo di tipo “monopartitico” che continuò a esercitare un’influenza decisiva sull’economia rifiutando qualsiasi riforma. Inoltre, il conflitto tra le nazioni della Iugoslavia era già diventato così teso che solo in politica estera questa funzionava come nazione unita. In Slovenia, a ogni livello, furono sollevate molte obiezioni al programma di Marković, soprattutto riguardo alla concentrazione di autorità nel consiglio esecutivo federale/governo e nella Banca nazionale di Iugoslavia. Tuttavia, malgrado le critiche, venne approvato dall’Assemblea della Repubblica di Slovenia.

Nonostante alcuni passi verso la democratizzazione e l’apertura dello spazio politico, non si avvertì alcun cambiamento sostanziale nella struttura politica della Iugoslavia e nella posizione slovena nei suoi confronti. Fu solo alcune settimane prima del conseguimento dell’indipendenza che si avviò una discussione su basi paritarie con gli organi federali e soprattutto con Marković, mentre fu solo con gli Accordi di Brioni del luglio 1991 che iniziarono gli effettivi negoziati. All’inizio del 1991, la Slovenia avviò le discussioni con i rappresentanti di tutte le repubbliche iugoslave, offrendo la possibilità di un’unione di Stati indipendenti, autonomi e sovrani (una confederazione) o di una comunità economica. Il 20 febbraio 1991, dopo il fallimento dei negoziati, l’Assemblea slovena di comune accordo adottò la risoluzione sulla sua indipendenza.

Quando alla fine di giugno del 1991 in Iugoslavia scoppiò la guerra, per evitare ulteriori conflitti l’Unione europea inviò un gruppo di osservatori in Slovenia. Il 28 giugno una delegazione speciale incaricata dei negoziati composta da tre mediatori UE (Gianni De Michelis, Jacques Poos, Hans Van den Broek) giunse a Zagabria (passando per Belgrado) per incontrare il presidente croato Franjo Tudjman, il presidente sloveno Milan Kučan e il presidente del governo federale Ante Marković. Si raggiunse un accordo sulla sospensione delle ostilità, sulla ripresa dell’attività della presidenza della Repubblica sociale federalista di Iugoslavia (RSFI, che cessò di funzionare poiché la parte serba rifiutò di riconoscere il croato Stipe Mesić come presidente) e sul rinvio della Carta costituzionale riguardante l’autonomia e l’indipendenza della Slovenia. Ciò nonostante, gli scontri si protrassero fino al 4 luglio, quando l’esercito iugoslavo si ritirò nelle caserme.

Il 7 luglio a Brioni furono avviati i negoziati presieduti dagli allora mediatori UE tra la federazione e la Croazia, la Slovenia e la Serbia, che portarono agli Accordi di Brioni. Tra le decisioni, la più discutibile fu la richiesta che Slovenia e Croazia rimandassero di tre mesi il conseguimento dell’indipendenza. Gli osservatori dell’Unione europea (UE) vigilarono sull’armistizio e sulla moratoria della procedura per l’indipendenza. In Slovenia gli Accordi di Brioni suscitarono varie reazioni, molti membri del Parlamento, soprattutto quelli appartenenti ai partiti nazionalistici, li intesero come un diktat. Il 12 luglio, tuttavia, l’Assemblea slovena li ratificò con una maggioranza di due terzi.

Il 18 luglio, la presidenza della RSFI annunciò inaspettatamente il ritiro dell’esercito iugoslavo dalla Slovenia in tre mesi, compiutosi poi il 25 ottobre. L’esercito iugoslavo, interamente sotto il controllo serbo, depositò alcuni armamenti ed equipaggiamenti in Croazia (dove gli scontri ebbero inizio nell’autunno 1991) e la parte più consistente in Bosnia-Erzegovina, dove presto scoppiò il conflitto più sanguinoso in territorio jugoslavo.

Quando decadde la moratoria, la Slovenia assunse il controllo dei suoi confini e adottò la propria moneta, il tallero. Il 23 dicembre 1991 fu adottata una nuova Costituzione in accordo con i principi generalmente riconosciuti di una democrazia moderna: il sistema parlamentare, la divisione dei poteri, l’uguaglianza di fronte alla legge e altre libertà politiche e socio-economiche quali la protezione dei diritti delle comunità nazionali autoctone italiane e ungheresi.

Nel settembre 1991, quando erano già scoppiati scontri accesi in Croazia, si sarebbe dovuta adottare una decisione sul destino della Iugoslavia durante una conferenza internazionale all’Aia. Una commissione speciale, la commissione di arbitrato Badinter, concluse che in Iugoslavia era in corso un processo di dissoluzione e sottolineò che la questione non riguardava soltanto la secessione delle due repubbliche, Slovenia e Croazia. La Commissione propose che tutte le repubbliche fossero successori paritari della RSFI, che i precedenti confini divenissero frontiere protette dal diritto internazionale e che i problemi dell’eredità statuale derivante dalla cessazione della RSFI dovessero essere risolti di comune accordo tra i vari Stati successori. Tuttavia, la conferenza sulla Iugoslavia, che proseguì a Bruxelles e Londra, non fu molto efficace. Alla fine fallì a causa del rifiuto da parte di Miloševič di tutte le proposte per il mantenimento della Iugoslavia, comprese quelle che prospettavano dei legami fortemente allentati. Con l’appoggio di alcuni Stati, in particolare della Germania, la Slovenia investì tutti i suoi sforzi per ottenere il riconoscimento internazionale. A dicembre, l’UE decise che il 15 gennaio 1992 avrebbe riconosciuto tutte le repubbliche iugoslave che ne avessero fatto richiesta. La Slovenia fu riconosciuta dalla Germania già nel dicembre 1991 (con validità dal 15 gennaio 1992), seguita dall’Islanda (19 dicembre 1991), dal Vaticano (13 gennaio 1992) e dalla maggioranza degli Stati membri dell’UE (15 gennaio 1992). Insieme a Croazia e Bosnia-Erzegovina, la Slovenia venne ammessa nell’ONU il 22 maggio 1992 come 176° membro.

Adesione all’UE

Nei suoi documenti strategici e al più alto livello politico, la Slovenia sottolineò costantemente la volontà e l’obiettivo di diventare membro a pieno titolo dell’UE. Fu dichiarato nei documenti programmatici che lo sviluppo ottimale a lungo termine della Slovenia era inevitabilmente legato all’adesione a pieno titolo all’UE. Sin dalla proclamazione dell’indipendenza – con l’adozione il 25 giugno 1991 in Parlamento della Carta costituzionale fondamentale sulla sovranità e sull’indipendenza della Repubblica di Slovenia nonché con l’assemblea popolare tenutasi il 26 giugno 1991 di fronte al Parlamento – il governo della Repubblica di Slovenia sottolineò costantemente che in cima alla lista delle priorità vi era l’adesione all’UE.

Un anno dopo, nel 1992, la Slovenia presentò la domanda di adesione all’Accordo europeo e richiese aiuti per la ricostruzione e il consolidamento della sua economia. Dopo l’Accordo di cooperazione tra UE e Slovenia del 1993, il governo sloveno chiese di avviare i negoziati di adesione all’UE. Nel 1993 la Slovenia diventò membro del Fondo monetario internazionale.

Il 10 giugno 1996, Slovenia e UE firmarono l’Accordo di Associazione e il governo della Repubblica di Slovenia presentò ufficialmente domanda di adesione all’UE. L’11 novembre 1996 fu firmato l’Accordo interinale sul commercio tra UE e Slovenia (in vigore dal 1° gennaio 1997), con cui venne implementata la parte commerciale dell’Accordo di associazione e rafforzata un’area di libero scambio tra UE e Slovenia. Nel maggio 1997, la Slovenia adottò i Criteri di adesione, confermando la sua volontà di diventare membro a pieno titolo dell’UE.

Il 16 luglio 1997 fu presentato nell’ambito di “Agenda 2000” il Parere della Commissione europea sui paesi candidati. Dopo la relazione favorevole, nel dicembre 1997, la Slovenia si attestò nel primo gruppo di candidati per i negoziati, che iniziarono ufficialmente il 31 marzo 1998. Il 1° maggio 2004, divenne membro a pieno titolo dell’Unione europea. Un anno prima, nel plebiscito del 23 marzo 2003, l’89,64% degli elettori sloveni si pronunciò a favore dell’adesione all’UE. L’adesione fu sostenuta da tutti i partiti politici, tranne il Partito nazionalista sloveno che espresse le sue riserve e il suo Euroscetticismo.

In qualità di membro dell’UE, la Slovenia ha i suoi rappresentanti in tutte le Istituzioni comunitarie, gli organi e gli enti e partecipa attivamente al processo di decision-making. Ha sette eurodeputati al Parlamento europeo e un commissario alla Commissione europea e, come tutti gli altri membri, ha diritto a un voto nel Consiglio dei ministri.

Nel periodo tra il 2004 e il 2006, la Slovenia fu un beneficiario netto dei fondi del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea). Si calcola che abbia ricevuto circa 392,7 milioni di euro più di quanto vi abbia contribuito. Il totale dei fondi di cui ha beneficiato tra il 2004 e il 2006 ammonta a 1,23 miliardi di euro. Quasi un terzo è stato destinato all’agricoltura, un quinto alle politiche strutturali (dai Fondi strutturali finalizzati a ridurre i ritardi di sviluppo tra le diverse regione dell’UE e dai Fondi di coesione per progetti relativi all’ambiente e alle infrastrutture dei trasporti), un buon sesto alla politica interna (per istituire la frontiera Schengen e nei settori quali ricerca e sviluppo, istruzione, cultura, occupazione, ambiente, sanità, ecc.), un quarto per abbattimenti forfettari (per rafforzare la liquidità e per la compensazione di bilancio) e un sesto come aiuti di preadesione.

Nell’anno finanziario 2007 si stima che la Slovenia abbia ricevuto 582,1 milioni di euro dal bilancio generale UE, mentre il suo contributo è stato di 317,1 milioni di euro.

Oltre agli aiuti finanziari e allo sviluppo derivanti dall’adesione all’UE, hanno conosciuto un incremento anche le opportunità di lavoro per i cittadini sloveni in altri Stati membri dell’UE, soprattutto da quando nel 2007 la Slovenia entra nello spazio Schengen. Il 1° gennaio 2007 il paese consolida i suoi legami con altri membri UE in qualità di 13° Stato che ha adottato come moneta l’euro. Tuttavia, è stata la Presidenza dell’Unione europea a costituire la sfida più importante per il giovane paese. Come primo dei nuovi membri, la Slovenia ha assunto la presidenza dal 1° gennaio fino al 30 giugno 2008.

Presidenza slovena del Consiglio UE e i suoi risultati

Il programma della presidenza slovena è stato in larga misura già definito nel programma tripartito di 18 mesi di presidenza (Germania, Portogallo e Slovenia) e si è basato sull’agenda ereditata dal Consiglio UE. La stessa Slovenia ha definito i seguenti cinque settori di azione prioritari:

Il futuro dell’Unione e l’entrata in vigore in tempi rapidi del Trattato di Lisbona. Dopo la firma del Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, tutti gli Stati membri si sono concentrati sul completamento delle procedure di ratifica. Il 29 gennaio 2008 la Slovenia è stato il secondo Stato membro UE a ratificare il Trattato ed entro la metà di maggio 13 paesi l’avevano ratificato. Sebbene l’esito negativo del plebiscito irlandese sia stato demoralizzante, la Slovenia ha fatto del suo meglio per trovare insieme all’Irlanda una soluzione adeguata per tutti i membri UE.

Il lancio positivo del nuovo ciclo della strategia di Lisbona. Per consentire al nuovo Trattato di entrare in vigore il 1° gennaio 2009, la presidenza slovena ha anche gestito le attività preparatorie per l’attuazione del Trattato di Lisbona. Basandosi su consultazioni informali su varie tematiche, la presidenza ha anche elaborato un rapporto per documentare il suo operato. Al Consiglio europeo di primavera è stato lanciato con successo il secondo ciclo triennale della Strategia di Lisbona rinnovata. È stato deciso che non occorrevano cambiamenti radicali delle priorità o dei processi e che bisognava concentrarsi sull’attuazione dei programmi di riforma. Tra i risultati della presidenza slovena merita di essere menzionato l’accordo di compromesso degli Stati membri UE di continuare a lavorare nei settori prioritari definiti nel 2006 anche dopo il 2010.

Questione clima-energia. Una dei dossier prioritari della presidenza slovena è stato il pacchetto energia e cambiamenti climatici pubblicato dalla Commissione europea alla fine di gennaio 2008. Il Consiglio europeo di primavera ha preso decisioni politiche strategiche per giungere a una conclusione positiva e tempestiva dell’accordo: l’impegno di giungere a un accordo tra gli Stati membri prima della fine del 2008 e una distribuzione degli sforzi tra gli Stati membri. Era di fondamentale importanza adottare un pacchetto legislativo prima del 2009, per permettere all’UE di svolgere un ruolo fondamentale nel nuovo negoziato internazionale sul clima a Copenaghen a dicembre 2009. Dopo ampi e intensi dibattiti, si è giunti a un accordo politico tra gli Stati membri. Un obiettivo comune a cui hanno contribuito riunioni informali con il Parlamento europeo. Uno dei successi della presidenza slovena riguarda i passi avanti compiuti circa il terzo pacchetto del mercato interno per l’energia, che riguarda la liberalizzazione del mercato nazionale del gas e dell’elettricità. Presentando una proposta di compromesso, la Slovenia è riuscita ad allineare la posizione dei 27 Stati e a raggiungere un ampio consenso d’opinione su parti cruciali di tutte e cinque le proposte di legge, riguardanti sia l’elettricità che il gas.

Rafforzamento della prospettiva europea per i Balcani occidentali. Durante la presidenza slovena è stata avviata una rete di Accordi di stabilizzazione-associazione con i paesi dei Balcani occidentali. Sono stati firmati accordi con la Serbia e la Bosnia-Erzegovina. Tale rete promuove i processi di integrazione dei Balcani occidentali, contribuendo pertanto alla stabilità e alla prosperità generale della regione. Iniziative nei singoli settori della cooperazione regionale e dello sviluppo economico risultano di particolare importanza, quali: il dialogo sulla liberalizzazione dei visti avviato con tutti gli Stati dei Balcani occidentali, il conferimento alla Commissione europea del mandato per avviare negoziati per un accordo sul trasporto, l’accordo sulla creazione di un meccanismo d’investimenti per i Balcani occidentali, il rafforzamento della cooperazione tra la regione e l’UE nel settore della protezione civile, l’avvio di un’iniziativa per trasferire la metodologia UE e preparare una relazione della South Eastern Europe organised crime threat assessment (SEE OCTA, Valutazione della minaccia della criminalità organizzata nell’Europa sud-orientale) e per trasferire le raccomandazioni sulla Lotta contro il terrorismo ai paesi dei Balcani occidentali.

Dopo la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, la Slovenia si è impegnata per la stabilità nella regione sostenendo la presenza dell’UE in Kosovo con la missione EULEX e i suoi rappresentanti speciali (v. anche Politica europea di sicurezza e difesa). Grazie a questi sforzi è stato possibile mantenere l’unità dell’UE in tutte le questioni più importanti ed evitare la destabilizzazione della regione. I negoziati di adesione con la Croazia e la Turchia sono proseguiti. Con il primo paese, la Slovenia ha aperto quattro capitoli e con il secondo due. Alla fine del 2008, tuttavia, la Slovenia ha revocato il suo sostegno a ulteriori negoziati di adesione con la Croazia poiché questa nei suoi documenti per l’adesione ha adottato una linea di confine tra i due paesi sulla quale non si era ancora raggiunto un accordo.

Promozione del dialogo tra culture, credenze e tradizioni nell’ambito dell’Anno europeo del dialogo interculturale. Simbolicamente e di fatto la presidenza slovena è iniziata con l’inaugurazione a Lubiana dell’Anno europeo del dialogo interculturale, seguita da numerose conferenze, dibattiti e altri eventi. Sono state lanciate svariate iniziative finalizzate a rafforzare e a diffondere il dialogo interculturale tra tutta l’opinione pubblica europea. Sono state intraprese diverse azioni per favorire l’integrazione sul piano culturale relative alle relazioni esterne dell’UE, alla gioventù, all’educazione, al multilinguismo e alla cultura. In particolare, la presidenza si è impegnata a promuovere il dialogo interculturale con i paesi del Mediterraneo, dei Balcani occidentali e di altre regioni. Uno speciale contributo sloveno a questo riguardo è stata la creazione nel giugno 2008 dell’Università euro-mediterranea con sede a Pirano.

Riunioni al vertice, risposte della Presidenza a eventi imprevisti e alcuni dati statistici. Durante la presidenza si sono svolti quattro vertici tra UE e paesi terzi: UE-Giappone, UE-LAC (paesi dell’America Latina), UE-USA e UE-Federazione russa, tutti con l’obiettivo di rafforzare la dimensione strategica delle relazioni e dei partenariati tra l’UE e i paesi terzi e di fornire al contempo l’opportunità per discutere le questioni attuali globali, regionali, economiche, di sicurezza e altre, compresi i cambiamenti climatici e l’energia.

Un altro importante risultato è stata la conferma del mandato per aprire negoziati su un nuovo accordo tra l’UE e la Russia, che sostituirà l’accordo di partenariato e di cooperazione.

È insito nei compiti della presidenza anche l’obbligo di fronteggiare eventi che non possono essere previsti, e per i quali quindi è impossibile essere preparati in anticipo. La presidenza slovena ha reagito a tutti gli eventi inaspettati con tempestività e in modo molto apprezzato. Il Consiglio europeo di marzo ha affrontato le turbolenze dei mercati finanziari. Sono state aggiornate tre ampie e dettagliate tabelle di marcia in diverse aree relative alla regolamentazione e alla vigilanza dei mercati finanziari. È stato firmato ed è entrato in vigore un memorandum d’intesa sulla cooperazione transfrontaliera in materia di stabilità finanziaria.

La presidenza ha dovuto fronteggiare gli eventi in Kenia e nel Ciad, le sommosse nel Tibet, il terremoto in Cina e il ciclone nel Myanmar (Birmania).

Conclusioni

In breve tempo e senza grandi scompigli e problemi, la Slovenia si è integrata nell’UE. L’adesione europea ha consentito al paese di conseguire valori e interessi nazionali fondamentali, apprezzati da tutti i paesi, ovvero sicurezza, benessere e sviluppo. Prima dell’adesione, la Slovenia era considerata il nuovo membro più preparato, oggi è il nuovo membro più integrato. Il fatto che tra tutti i nuovi membri la Slovenia partisse da un’ottima base politica ed economica ha contribuito per molti versi a farle guadagnare questa posizione. Va comunque sottolineato che la Slovenia non era tra gli Stati appartenenti al cosiddetto “socialismo reale”.

Box 1 → Banca di Slovenia

Box 2 → Democrazia liberale della Slovenia

Box 3 → Ufficio governativo per gli Affari europei della Slovenia

Dušan Nečak (2010)