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Trentin, Bruno

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T. (Pavie 1926-Roma 2007) partecipa giovanissimo alla Resistenza combattendo in Francia e in Italia; nel 1944 è nominato comandante di una brigata delle formazioni Giustizia e libertà. Nel dopoguerra milita inizialmente nel Partito d’azione, quindi (dal 1949) prende avvio la collaborazione con il gruppo di studi economici della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), di cui nel corso degli anni Cinquanta sarà uno dei principali studiosi e che dirigerà; poco più tardi (1950) si iscrive al Partito comunista italiano, occupandosi prevalentemente di tematiche relative al lavoro e alla modernizzazione economica. Il suo ingresso nel Comitato centrale (CC) del partito giunge dieci anni dopo (1960); nel CC resterà sino al 1973, anno in cui si dimette da tutti gli incarichi politici (era stato membro del Parlamento dal 1962-1966 e consigliere comunale a Roma dal 1960) per incompatibilità con le responsabilità ricoperte nel sindacato.

È nel movimento sindacale che T. sceglie di seguire, con passione e intelligenza, la sua vocazione civile, ricoprendo incarichi di sempre maggiore rilievo: dal 1958 è vicesegretario della CGIL, quindi nel 1962 diviene segretario generale della Federazione impiegati operai metallurgici (FIOM) e, contestualmente della Federazione unitaria della metallurgia (FLM), incarichi che mantiene fino al 1977. Il 29 novembre 1988 succede ad Antonio Pizzinato (che aveva ricoperto la carica per un biennio dopo l’importante segreteria di Luciano Lama) come segretario generale della CGIL, carica che mantiene sino al 1994 quando gli subentra Sergio Cofferati. Terminata l’esperienza sindacale viene eletto, nel 1999, nelle liste dei Democratici di sinistra (DS) al Parlamento europeo (1999-2004).

Eppure, a dispetto di questa apparente totale immersione nelle problematiche nazionali del mondo del lavoro, l’interesse di T. per le questioni economiche internazionali e, conseguentemente, per il processo di integrazione europea è costante e, in molte circostanze, in grado di esprimere posizioni pionieristiche nella sinistra italiana.

L’attenzione di T. – sin dagli anni giovanili – per le questioni europee è il portato di una solida tradizione familiare: il padre, Silvio (antifascista emigrato in Francia, dove aderì al gruppo di Giustizia e libertà organizzando, durante l’occupazione tedesca, un movimento di Resistenza francese, Libérer et fedérer) aveva compiuto notevoli riflessioni teoriche sul nodo nazionalismo-Federalismo redigendo, peraltro, due progetti di costituzione federale.

Con alle spalle questi significativi insegnamenti e una stagione di studi universitari arricchita anche da soggiorni all’estero, T. si impegna nel lavoro dell’Ufficio studi della CGIL conducendo analisi che contribuiscono al mutamento di posizioni all’interno del sindacato socialcomunista. Così, pur avendo curato in occasione della nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), un volume dal significativo titolo La minaccia del piano Schuman (1952), non si colloca su posizioni acritiche, ma interroga le problematiche economiche che discendono dai progetti integrativi sollecitando, peraltro, le forze della sinistra a seguire con maggiore attenzione l’evoluzione del processo integrativo in atto (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

«Quando parliamo di un rinnovamento della nostra politica nei confronti della CECA alludiamo invece alla carenza di iniziative concrete che hanno caratterizzato questa politica fino ad oggi. Che lo vogliamo o no la CECA è, per il momento, un dato di fatto. Essa opera nell’economia europea e nella economia italiana. […] Di fronte a questa forza operante la classe operaia non può rimanere indifferente e nemmeno limitarsi ad assumere certe posizioni di principio, pur giuste e necessarie. Essa deve invece agire, con una sua politica, con un suo programma che affronti in generale e di volta in volta i problemi concreti posti in Italia dalla esistenza della CECA, per influire con la lotta e con l’iniziativa politica sugli stessi orientamenti di questo organismo e sulle ripercussioni che esso esercita» (v. Trentin, 1956, pp. 79-80).

In una stagione in cui il mutamento di linea nel Partito socialista italiano (PSI) deve ancora manifestarsi, mentre nelle file comuniste si è lontani dal traguardo europeista che giungerà un ventennio più tardi, covano sotto le ceneri intelligenze critiche capaci di cogliere, oltre ai limiti, anche i vantaggi dell’unione dei mercati; il gruppo degli economisti, che fanno capo all’Ufficio studi della CGIL o alla Camera del lavoro di Milano o, ancora, che collaborano alla rivista “Politica ed economia” (per restare nel campo comunista), sono senza dubbio – per gli studi compiuti e l’attenzione posta alle tematiche relative all’impiego dei fattori produttivi, al procedere dell’automazione e del modello fordista, nonché alle problematiche legate al commercio internazionale – la categoria intellettuale che per prima mostra segnali di attenzione.

Per uomini come T., Ruggero Spesso, Eugenio Peggio o Silvio Leonardi la realtà sociale in cambiamento è il dato di partenza di ogni riflessione. Le loro personalità danno impulso agli studi sulle ricadute nazionali dei mutamenti economici internazionali e influenzano il sindacato a costruire una nuova visione sia della situazione sociale del paese, sia del processo di integrazione europea, svincolate ambedue da ogni impostazione dogmatica.

Non va peraltro ignorato che, per la CGIL, dalle iniziative comunitarie possono discendere occasioni di crescita per i lavoratori italiani; il Mercato comune europeo (MEC) (v. Comunità economica europea) rappresenta, in questo senso, una grande occasione. Secondo T., intervenuto sull’argomento sul numero dell’aprile 1958 di “Rassegna sindacale”, «i salari italiani sono i più bassi del mercato del lavoro europeo. Questo fatto attribuisce ai sindacati italiani una precisa funzione nel quadro di una intensificazione del movimento rivendicativo e di un suo auspicabile coordinamento su scala europea: contribuire a rialzare i redditi, il cui livello molto basso già vincola e vincolerà sempre più in futuro ogni azione sindacale per aumentare i salari negli altri paesi. L’interdipendenza crescente dei mercati nazionali del lavoro, nell’ambito dell’Europa occidentale e del MEC in particolare, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto per agire di conseguenza».

La lettura non preconcetta della modernizzazione economica consentì alla CGIL di superare l’istintivo protezionismo verso la CECA portandola a distinguersi dalla stessa Federazione sindacale mondiale (FSM, da cui uscirà definitivamente nella seconda metà degli anni Settanta), fino a riconoscere nell’edificio europeo l’ambito privilegiato della propria iniziativa. In questa evoluzione il lavoro di T. fu fondamentale; prova ne è il convegno economico indetto dall’Istituto Gramsci nel marzo 1962 a Roma su iniziativa di Giorgio Amendola, in cui T. svolse la relazione principale per la CGIL e, a detta di De Felice, la più significativa: l’analisi di T. si staccò «nettamente dalle altre, per ampiezza di respiro culturale, per la tematica individuata come centrale, per la più forte e insistita accentuazione degli elementi di novità collegati allo sviluppo» (v. De Felice, 1995, p. 807).

Mauro Maggiorani (2010)

Bibliografia

Chiti Batelli A., La sinistra italiana, i sindacati e l’Europa, Lacaita, Manduria 1979.

De Felice F., Nazione e sviluppo: un nodo non sciolto, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, Einaudi, Torino 1995.

Del Biondo I., L’Europa possibile. La CGT e la CGIL di fronte al processo di integrazione europea (1957-1973), Ediesse, Roma 2007.

Trentin B., La situazione economica italiana e la lotta del movimento operaio contro il capitalismo monopolistico di Stato, in “Critica economica”, n. 5, ottobre 1956.

Trentin B., Il coraggio dell’utopia: la sinistra e il sindacato dopo il taylorismo, intervista di Bruno Ugolini, Rizzoli, Milano 1994.

Trentin B., La città del lavoro: sinistra e crisi del fordismo, Feltrinelli, Milano 1997.