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Truman, Harry Spencer

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T. (Lamar, Missouri, 1884-Kansas City 1972) è stato il trentatreesimo presidente degli Stati Uniti.

Conseguito il diploma di scuola media superiore, superò gli esami per l’ammissione all’Accademia di West Point, ma un difetto alla vista gli precluse la possibilità di intraprendere la carriera militare. Ciò non gli impedì, dopo aver lavorato per qualche anno come impiegato di banca e aver svolto successivamente una modesta attività commerciale, di essere arruolato nel Corpo di spedizione americano in Europa durante il primo conflitto mondiale. Quale ufficiale di artiglieria da campagna partecipò, quindi, nel 1917-1918 alle operazioni militari che ebbero luogo nella zona della Mosa e delle Argonne, congedandosi con il grado di capitano.

Tornato alla vita civile, riprese l’attività commerciale, aprendo una merceria a Kansas City, insieme a un ex commilitone. Ma la società fallì a causa della depressione economica che colpì gli Stati Uniti nel 1921. Non dotato di grandi mezzi finanziari, visse per qualche tempo in condizioni molto modeste. Volle, nondimeno, negli anni successivi, ripagare interamente i suoi creditori, allontanando così qualsiasi ombra sul dissesto finanziario subito.

A Kansas City, era frattanto entrato in contatto con la locale organizzazione del Partito democratico, in cui si fece apprezzare per le sue doti di equilibrio e la sua perspicace intelligenza. Frequentò in quegli anni anche una scuola serale di diritto, ciò che gli consentì, con l’aiuto del Partito democratico, di essere eletto, nel 1926, presidente del Tribunale della contea di Jackson. Mantenne poi tali incarico fino al 1934, allorché fu eletto senatore per lo Stato del Missouri.

Nell’attività parlamentare si segnalò per il sostegno dato alla legislazione sociale nell’ambito del New Deal e per l’appoggio al presidente Franklin Delano Roosevelt nello spingere il paese verso l’intervento nel secondo conflitto mondiale. Molto vicino agli ambienti che controllavano la macchina elettorale del Partito democratico, T. fu prescelto quale candidato alla vicepresidenza del paese nelle elezioni del novembre 1944, andando a occupare il posto di Henry Wallace, divenuto poco gradito in quegli ambienti per il suo radicalismo di sinistra.

Assunto alla presidenza alla morte di Roosevelt, nell’aprile 1945, toccò a T. guidare il paese nella fase finale della guerra e negli anni non meno difficili che vi fecero seguito. Egli raccolse una pesante eredità non solo perché chiamato a sostituire una figura popolare e carismatica quale era stato Roosevelt, ma anche perché quest’ultimo, col quale non aveva alcuna affinità, né familiarità, lo aveva tenuto scarsamente al corrente, nei pochi mesi trascorsi dall’inizio della loro collaborazione, dell’andamento degli affari internazionali. Di questi T. era, del resto, del tutto inesperto, oltre che poco informato.

Si affidò quindi alle indicazioni e ai consigli dei propri collaboratori, senza per questo mai rinunziare, su ogni questione, a trarre un proprio giudizio e ad assumere personalmente la responsabilità delle decisioni da adottare. Cercò, comunque, specie per quanto riguardava la politica estera, di porsi sulla scia del suo predecessore, di cui intendeva proseguire l’opera intrapresa per l’affermazione dei principi di libertà e giustizia. Emersero, non di meno, fin dall’inizio del suo mandato, per quanto riguardava lo stile di governo, alcuni chiari indizi di discontinuità, rispetto al passato, che riflettevano una personalità molto diversa e difficilmente assimilabile a quella di Roosevelt.

I due uomini erano, in effetti, agli antipodi per estrazione sociale e formazione intellettuale. Roosevelt apparteneva alla società raffinata ed europeizzata della costa orientale. Grazie all’agiatezza economica della propria famiglia, aveva potuto compiere, inoltre, i propri studi in alcune delle migliori scuole del paese. T., che non aveva una formazione accademica, proveniva dalla piccola borghesia e dalla società rurale dell’interno degli Stati Uniti e recava nella sua cultura l’impronta lasciatavi dalle esperienze, spesso difficili, da lui vissute nell’ambiente di provincia.

Ma i due differivano anche nel carattere, Roosevelt era per natura fiducioso ed ottimista. Aveva, inoltre, una felice disposizione a servirsi dei mezzi di comunicazione per raccogliere il consenso popolare. T. era, viceversa, un uomo chiuso ed anche timido, i cui modi semplici lo facevano apparire come lo stereotipo dell’americano tranquillo (the quiet american). Dietro un’apparenza modesta e di uomo schivo, alieno alla pompa e ai formalismi, si celava tuttavia un carattere combattivo, puntiglioso e risoluto.

T. ebbe a manifestare questi tratti della sua personalità appena qualche giorno dopo aver assunto le proprie funzioni presidenziali, allorché, ricevendo Molotov, lo trattò duramente, rimproverandogli il comportamento dell’URSS nei paesi controllati dall’Armata rossa e provocando una risentita reazione del suo interlocutore, il quale ebbe ad affermare che nessuno in vita sua gli aveva mai parlato a quel modo.

Ma una prova ben più significativa della propria inflessibilità, T. la diede autorizzando l’impiego dell’arma atomica contro il Giappone nell’agosto del 1945. Egli seppe assumersi, senza esitazione, la responsabilità di quella drammatica decisione nell’intento di affrettare la fine del conflitto e di risparmiare all’esercito americano le perdite che uno sbarco sulle coste giapponesi con mezzi anfibi e la prosecuzione della guerra avrebbero sicuramente comportato. Non dubitò in quelle circostanze della necessità di impiegare quell’arma micidiale, pur non potendo ignorare gli effetti d’urto e quelli radioattivi che essa avrebbe prodotto. Si limitò a raccomandare la scelta di obiettivi di prevalente interesse militare, quale erano in effetti Hiroshima e Nagasaki.

Proprio in quei giorni aveva avuto luogo a Potsdam l’ultima delle grandi conferenze tripartite del tempo di guerra. T., che incontrava per la prima volta Stalin, vi si era recato con la speranza e la volontà di avviare con lui un dialogo costruttivo. I risultati erano stati peraltro scarsi o nulli. T. si era trovato di fronte a un muro di incomprensione nel quale aveva invano tentato di aprire una breccia.

La principale questione in esame aveva riguardato il trattamento da riservare alla Germania, tra cui, in primo luogo, quella di determinarne i nuovi confini. Ma Stalin, alla vigilia di quella conferenza, aveva già deciso unilateralmente di spostare la frontiera occidentale della Polonia fino alla linea Oder-Neisse. Il dittatore sovietico, nel corso dei lavori, aveva poi avanzato una esorbitante richiesta di riparazioni, che appariva incompatibile con le risorse di cui la Germania, prostrata dalla guerra, avrebbe potuto disporre. Non potendo opporsi alle richieste sovietiche, T. si era visto quindi costretto a ripiegare sul principio che le riparazioni fossero riscosse, per la massima parte, da ciascuno delle quattro potenze occupanti, nella zona rispettivamente controllata. Ciò portava peraltro a minare l’unità economica della Germania e a determinare la divisione di quel paese anche sul piano politico, come i fatti successivi avrebbero dimostrato.

T., inoltre, non riuscì a ottenere nessuna garanzia riguardo allo svolgimento di libere elezioni e all’instaurazione di governi democratici nei paesi dell’Europa orientale, così come era stato convenuto a Yalta. In definitiva, la sola questione sulla quale era stato possibile trovare un accordo fu la costituzione del Tribunale di Norimberga contro i crimini di guerra. Ben poco era rimasto dunque del grande disegno rooseveltiano di perpetuare la collaborazione tra i paesi vincitori dopo la fine del conflitto e rendere così effettivamente operante l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

T. era tornato da Potsdam profondamente deluso. Tramontò allora anche il progetto di concedere un generoso prestito all’URSS per favorire l’opera di ricostruzione in quel paese. Naufragò inoltre, nei mesi successivi, il Piano Baruch, rivolto a impedire una corsa all’armamento atomico. T. si era reso conto che gli Stati Uniti non avrebbero potuto conservare a lungo il monopolio dell’arma nucleare. Avanzò quindi la proposta di costituire una Autorità nell’ambito dell’ONU che avrebbe dovuto gestire lo scambio di informazioni scientifiche per i soli usi civili dell’energia nucleare, nonché garantire la distruzione di tutte le armi atomiche esistenti ed assicurare efficaci controlli contro eventuali inadempienze. Nel caso di controversie nessuna delle parti in causa avrebbe potuto servirsi, inoltre, del diritto di veto. Ma la negativa accoglienza dell’URSS alla rinuncia del veto fece cadere quella proposta e la successiva acquisizione da parte di Mosca dell’arma atomica sancì la permanente frattura dell’Europa, fondata sulla reciproca dissuasione e sull’equilibrio del terrore. Ne risultò congelato l’assetto europeo uscito dal secondo conflitto mondiale. Fin dagli ultimi mesi del 1945 gravi nubi si erano delineate dunque all’orizzonte per quanto riguardava il futuro dei rapporti Est-Ovest.

Altrettanto ardui erano apparsi frattanto i problemi che T. dovette affrontare sul piano interno. Egli era riuscito, con straordinaria tempestività, a realizzare la smobilitazione di circa quindici milioni di uomini e ad attuare una riconversione delle industrie di guerra. Ma l’abbandono del controllo dei prezzi alla fine del conflitto e l’eccezionale crescita della domanda dei beni di consumo avevano generato un elevato tasso di inflazione, da cui erano derivate continue agitazioni sociali ed una serie di grandi scioperi nazionali promossi dai sindacati per ottenere aggiustamenti salariali.

Un altro nodo della politica interna americana in quel periodo fu quello riguardante l’estensione dei diritti civili alla popolazione di colore. T. aveva fatte sue le richieste di coloro che affermavano il principio dell’eguaglianza dei diritti civili dopo che gli uomini di colore erano stati chiamati a sostenere uguali oneri e rischi nel corso del conflitto. L’opposizione all’allargamento di tali diritti proveniva non solo dal Partito repubblicano, che nel 1946 aveva riconquistato la maggioranza nel Congresso, ma anche dai parlamentari democratici provenienti dagli Stati del sud del paese.

Ma fu proprio la battaglia a favore di tali diritti a spianare successivamente il cammino di T., il quale, dopo essersi riconciliato con i sindacati e disponendo del sostegno di numerosi gruppi etnici, riuscì a vincere inaspettatamente le elezioni presidenziali del 1948. Ciò gli permise di promuovere nel 1949 un nuovo e più avanzato programma di riforme sociali, che ebbe il nome di fair deal e si ricollegava idealmente con il New Deal.

Grazie al consenso ottenuto e alla pace sociale ristabilita, T. poté giovarsi di una situazione interna nettamente migliorata, cui concorreva anche una forte crescita economica. Ma non meno positivi furono gli esiti complessivamente conseguiti in politica estera. Ciò fu la conseguenza di una svolta radicale della politica americana. Allorché, infatti, il Regno Unito, uscito economicamente indebolito dalle spese di guerra ed impegnato a costruire il welfare State laburista, dichiarò di non essere in grado di assolvere i compiti assunti per la stabilità del Mediterraneo orientale, toccò agli Stati Uniti opporsi alla pressione esercitata dall’URSS sulla Turchia per assicurarsi una base militare nei Dardanelli e quindi un ruolo privilegiato nel controllo degli stretti. Un analogo problema si pose nei confronti della Grecia, ove era in corso una guerra civile tra le forze governative e quelle comuniste assistite dall’Urss per il tramite della Iugoslavia e della Bulgaria. La stessa URSS esitava, inoltre, a dare seguito all’impegno di ritirare le forze schierate in Iran, avendo come obiettivo quello di costituire in Azerbaigian, nel nord del paese, uno Stato satellite per sfruttarne le risorse petrolifere. Questi sviluppi indussero T. ad intraprendere un’iniziativa di enorme rilievo per quanto riguardava i rapporti con l’Unione Sovietica. Il 12 marzo del 1947, a camere riunite, egli annunciò le linee programmatiche di quella dottrina del containment che da lui avrebbe preso il nome. Con la dottrina T. gli Usa assumevano l’impegno di assistere tutti i paesi minacciati da sovvertimenti interni e da pressioni esterne. Un programma di assistenza per l’importo di 700 milioni di dollari venne quindi approvato a favore della Grecia e della Turchia. L’impegno era territorialmente circoscritto per quanto riguardava la destinazione degli aiuti concessi, ma la portata di quella dottrina aveva un evidente significato globale. T. otteneva quindi di normalizzare la situazione in Grecia e in Turchia e di indurre l’Urss a ritirarsi dall’Iran.

Ma l’impegno americano non poteva essere solo di natura militare. L’Europa, uscita devastata e impoverita dal secondo conflitto mondiale e colpita da continue agitazioni sociali, appariva un terreno quanto mai fertile per l’espansione della propaganda e dell’ideologia comunista. Di qui prese l’avvio un vasto programma di aiuti per la ricostruzione del vecchio continente, che assunse il nome di “European recovery program”, comunemente conosciuto come Piano Marshall, dal nome del nuovo segretario di Stato che ne diede l’annuncio in un discorso tenuto all’Università di Harvard nel giugno del 1947. Il piano prevedeva un impegno complessivo da parte americana di 13,2 miliardi di dollari, composto in massima parte di doni e per il resto da crediti a basso tasso di interesse. Ma la fondamentale caratteristica di quel programma fu la decisione di affidarne la gestione ai sedici paesi europei che ne beneficiavano. Questi ultimi costituirono a tale scopo una struttura unitaria, l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), con sede a Parigi, che ebbe la funzione di realizzare per la prima volta un vasto coordinamento economico tra i paesi del vecchio continente. Il Piano fu altresì esteso alla Repubblica federale, nata nel 1949. Esso favorì la riconciliazione franco-tedesca e aprì la via a quella progressiva integrazione economica che sarebbe sfociata nella creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom).

L’opera di T. non fu dunque solo determinante per la ricostruzione dell’Europa ma, sia pure indirettamente, pose le fondamenta per il suo successivo processo di integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Siffatto processo fu reso possibile dalle condizioni di sicurezza di cui l’Europa poté giovarsi. Una prima eloquente manifestazione della volontà americana di difendere l’Europa fu la decisione di T. di rispondere al blocco di Berlino proclamato dall’URSS con l’organizzazione di un ponte aereo che consentì di soccorrere la popolazione della parte occidentale di quella città, fin quando, un anno dopo, il blocco fu tolto. Ma fondamentale a questo riguardo apparve essenzialmente l’iniziativa americana di promuovere, con il Trattato di Washington del 1949, la creazione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), vero cardine della Comunità atlantica, di cui gli Stati Uniti assunsero la guida sul piano sia politico che militare. T. mostrò così di attribuire un rilievo prioritario al teatro europeo. Altre alleanze difensive furono tuttavia da lui promosse nel grande Medio Oriente e in Asia.

Inadeguata peraltro risultò la politica del containment per sostenere la Cina nazionalista. Il sostegno dato al regime corrotto ed impopolare di Chiang Kai Shek apparve scarsamente convinto. Tuttavia il passaggio all’area comunista del più popoloso paese del mondo creò un autentico shock nell’opinione pubblica americana. Ciò spiega la determinazione con la quale T. difese la Corea del Sud dopo l’aggressione di quel paese da parte della Corea del Nord con il sostegno cinese. La guerra di Corea, durata tre anni, dal 1950 al 1953, poté chiudersi pertanto con il ritorno alle frontiere preesistenti. L’aggressione alla Corea del Sud spinse inoltre T. a concludere, nel 1951, il trattato di pace con il Giappone, visto come una barriera contro l’espansionismo cinese e il cui ruolo fu largamente rivalutato anche perché quel paese venne a costituire una vetrina dell’Occidente per il modello di democrazia politica e di economia di mercato prescelto.

La lotta contro il comunismo divenne quindi il principale obiettivo della politica di T. Ma quella lotta ebbe anche alcuni inquietanti risvolti sul piano interno poiché alcuni settori politici ne trassero l’occasione e il pretesto per una denunzia e una autentica crociata contro le infiltrazioni di spie, vere o presunte, al servizio di Mosca. Per qualche anno il maccartismo, tramutatosi in una vera caccia alle streghe, godette di un largo favore presso l’opinione pubblica americana e determinò una sorta di psicosi collettiva.

A tale campagna, tuttavia, T. si oppose nettamente, dimostrando che la sua fermezza nel combattere il comunismo non gli impediva di valutare con equilibrio e senza pregiudizi i fatti denunziati. Per analoghe ragioni, egli non esitò a destituire il popolarissimo generale MacArthur, che si era pronunziato, durante la guerra di Corea, per un’estensione del conflitto in territorio cinese.

Poco noto al grande pubblico prima di assumere il mandato presidenziale, T. rivelò delle straordinarie qualità politiche che gli permisero di esser circondato da una crescente stima e di essere riconosciuto come uno dei più grandi presidenti nella storia americana.

Antonio Ciarrapico (2012)