Ungheria

Le relazioni dell’Ungheria con l’Occidente durante la Guerra fredda

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Ungheria entrò nella sfera d’influenza sovietica e di conseguenza aderì al Consiglio di mutua assistenza economica (COMECON), caratterizzato da economia centralizzata, produzione e scambi pianificati, e al Patto di Varsavia, l’organizzazione di difesa militare del blocco comunista.

Il ruolo dell’Ungheria all’interno del blocco orientale dominato dall’Unione Sovietica fu ampiamente determinato dalla rivoluzione del 1956. In particolare, alcuni anni dopo che la Rivoluzione era stata repressa e le rappresaglie erano terminate, il governo comunista cambiò politica. Gli anni Sessanta furono contrassegnati dallo sviluppo economico e dall’introduzione di maggiore libertà. Venne realizzata una certa liberalizzazione del mercato e in seguito fu addirittura possibile creare piccole imprese private (una cosa inaudita nel sistema socialista). Allo stesso tempo, gli ungheresi godettero di maggiore libertà di spostamento verso l’altra parte della cortina di ferro anche se con qualche restrizione (ad esempio disponibilità limitate di valute occidentali).

Durante la Guerra fredda, l’Ungheria cercò anche di entrare in organizzazioni internazionali fondate dal mondo occidentale, quali l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (General agreement on tariffs and trade, GATT) e il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale. L’Ungheria aderì a queste organizzazioni rispettivamente nel 1973 e nel 1982.

Per quanto concerne l’integrazione europea, per quasi trent’anni dalla fondazione della Comunità economica europea (CEE), l’Unione Sovietica e il blocco comunista non riconobbero ufficialmente la CEE e di conseguenza non esistevano rapporti istituzionali tra le parti a livello governativo. Inoltre i paesi del COMECON furono definiti dalla CEE paesi “a commercio di Stato” e ciò comportò discriminazioni commerciali. Tuttavia, in questo contesto, l’Ungheria cercò di migliorare la sua posizione all’interno del Mercato comune riuscendo a giungere a un accordo su ragioni di scambio più favorevoli riguardo ad alcuni prodotti. Tra il 1968 e il 1971 si conclusero i cosiddetti accordi tecnici o di garanzia dei prezzi (in conformità con la regolamentazione dei prezzi agricoli comunitari) tra la Commissione europea e le principali aziende esportatrici ungheresi del settore della carne suina, del vino e del formaggio. In seguito, tra il 1978 e il 1981 si giunse ai cosiddetti accordi settoriali o di autolimitazione nel settore siderurgico, tessile e dell’abbigliamento nonché riguardo a prodotti ovini e caprini. A tale riguardo, l’Ungheria fu uno dei paesi che svolsero un ruolo pionieristico nello sviluppo di legami di natura economica con la CEE (v. Balázs, 2006).

Riavvicinamento e istituzionalizzazione delle relazioni

Negli anni Settanta le relazioni tra i due blocchi iniziarono a essere più distese e sembrò realizzarsi il riconoscimento politico della CEE da parte del COMECON con alcuni tentativi di riavvicinamento. Ci furono due chiari esempi a testimonianza di ciò. Il primo fu la firma congiunta dell’Atto finale di Helsinki nel 1975 da parte dei paesi socialisti e della Comunità, che attestò la condivisione di una serie di valori da entrambe le parti. Il secondo fu l’avvio dei negoziati su un auspicato accordo quadro CEE-COMECON sul commercio, che proseguirono fino al 1981. Sebbene le trattative non sfociarono in un accordo, le periodiche riunioni di esperti segnarono di per sé un cambiamento importante nelle relazioni (v. Balázs, 2006).

Pur in qualità di membro del COMECON, l’Ungheria cercò di stabilire legami più stretti con la CEE. Il governo ungherese iniziò le trattative e alla fine firmò un Accordo di commercio e di cooperazione nel 1988 (a cui Mosca non si oppose). L’accordo aveva l’obiettivo principale di fornire una regolamentazione generale delle relazioni commerciali, tra cui l’abolizione graduale delle misure discriminatorie entro il 1995, l’instaurazione di un reciproco riconoscimento politico e l’estensione della cooperazione oltre il settore commerciale.

Poco dopo, l’Europa orientale fu attraversata da cambiamenti rivoluzionari, politici, sociali ed economici. Nell’agosto 1989 venne aperta la frontiera tra Ungheria e Austria consentendo a centinaia di cittadini della Germania Est di fuggire verso Ovest (v. anche Riunificazione tedesca). L’evento ebbe luogo con il patrocinio di Otto von Habsburg e del ministro riformista Imre Pozsgay (v. Nemes, 1999). Il mese dopo i confini vennero ufficialmente aperti dal governo ungherese e in novembre cadde il Muro di Berlino provocando un effetto a catena sull’intero blocco comunista. Pertanto le rivolte più o meno pacifiche delle società dell’Europa orientale abbatterono rapidamente il vecchio regime mettendo anche fine alla precedente divisione tra Est e Ovest. Tutto ciò non sarebbe certamente accaduto senza il presidente sovietico Michail Gorbačëv che aveva una visione più liberale del futuro dell’Unione Sovietica e del regime comunista.

La Comunità europea riconobbe e sostenne subito tali cambiamenti rivoluzionari adottando tre misure nel 1989-1990: abolì le discriminazioni commerciali nei confronti di questi Stati, estese anche a loro il Sistema di preferenze generalizzato (SPG) e infine offrì un pacchetto di aiuti non rimborsabili, il Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (Poland, Hungary aid for the reconstruction of the economy, PHARE), che fu avviato inizialmente per aiutare questi due paesi e presto esteso a tutti i paesi dell’Europa centro orientale allo scopo di fornire assistenza alle giovani democrazie in transizione politica ed economica. Nel frattempo l’Ungheria divenne membro del Consiglio d’Europa, nel 1996 entrò a far parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dopo preparativi più lunghi nel 1999 aderì all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) insieme alla Polonia e alla Repubblica Ceca, primi paesi dell’area orientale. L’Ungheria si prefisse inoltre l’obiettivo di aderire alla Comunità europea entro il 1995, ma gli eventi ritardarono questo momento di almeno un decennio.

Il processo di associazione: 1990-1994

Già nel 1990-1991 furono avviati negoziati di associazione alle Comunità europee per i primi tre paesi dell’Europa centrale, e nel dicembre 1991 furono firmati gli speciali accordi di associazione, i cosiddetti Accordi europei, da Polonia, Ungheria e Repubblica Cecoslovacca (a seguito della divisione di quest’ultima federazione nel 1993, la Repubblica Ceca e la Slovacchia dovettero rinegoziare e firmare un nuovo Accordo lo stesso anno).

Gli Accordi europei furono divisi in due parti, il testo principale del trattato e il cosiddetto Accordo provvisorio sulla liberalizzazione degli scambi. Nel caso dell’Ungheria il primo entrò in vigore soltanto nel 1994, ma grazie al più semplice processo di ratifica, l’Accordo provvisorio poté già diventare effettivo nel 1992. Da quell’anno in poi ebbe inizio l’asimmetrica liberalizzazione degli scambi tra le parti: nei primi cinque anni la CEE e negli altri cinque l’Ungheria dovettero gradualmente abolire tutte le barriere doganali al commercio industriale e introdurre tariffe ridotte in settori delicati (quali l’agricoltura). Nel 2001 venne così creata un’area di libero scambio dei prodotti industriali tra l’Ungheria e la CEE dei Quindici, l’area di scambio più importante per l’Ungheria, e vennero anche decisamente migliorate le condizioni degli scambi agricoli. Il documento regolamentò anche i movimenti di capitali (liberalizzazione graduale) e le modalità di stabilimento (introducendo il trattamento nazionale) mentre per quanto riguarda i servizi questi non furono liberalizzati e la libera circolazione dei lavoratori dipese soprattutto dagli accordi bilaterali tra i singoli Stati membri e i paesi associati.

L’intero Accordo europeo, che entrò in vigore nel 1994, fornì un quadro per un regolare dialogo politico e istituzionale, previde l’Armonizzazione legislativa, introdusse nuove aree per la cooperazione e garantì la continuazione del programma di assistenza PHARE sostenendo finanziariamente il processo di adesione, in aggiunta ai prestiti erogati dalla Banca europea per gli investimenti (v. Van den Bempt, Theelen, 1996). Tuttavia, gli Accordi europei limitarono le aspettative dei paesi dell’Europa centrale riguardo a un aspetto in particolare: questi Stati intendevano includere nel Preambolo la prospettiva di un’adesione a pieno titolo, un impegno che non era ancora condiviso dagli Stati membri (i quali si stavano preparando innanzitutto all’importante approfondimento previsto dal Trattato di Maastricht). Il Preambolo, quindi, fece solo riferimento alla volontà dei paesi associati di ottenere in futuro l’adesione.

L’approccio dell’Unione europea verso questa regione mutò nel giugno 1993, quando durante il Consiglio europeo di Copenaghen gli Stati membri dichiararono il loro impegno a favore dell’Allargamento a Est e stabilirono i famosi criteri “tre più uno” a questo riguardo. I criteri di Copenaghen (v. Criteri di adesione), vale a dire democrazia parlamentare stabile, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (v. anche Diritti dell’uomo), economia di mercato affidabile e capacità di applicare l’Acquis comunitario, furono ben accolti dall’Ungheria, sebbene il quarto criterio potesse ancora interrompere il processo di adesione vale a dire che l’allargamento a Est non rallentasse l’Approfondimento dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Dopo la svolta compiuta a Copenaghen, l’Unione e i paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO) si avvicinarono sempre più di anno in anno. Nel 1994, il Consiglio europeo di Essen offrì la possibilità ai PECO di prendere parte ai negoziati del Consiglio in modo da acquisire esperienza e farsi un’idea dell’attività quotidiana dell’UE (dialogo strutturato). Nel 1995, il Consiglio europeo di Cannes approvò il Libro bianco – una raccolta di direttive europee che regolamentavano il mercato interno da trasporre nelle legislazioni nazionali dei paesi associati (v. Libri bianchi).

In realtà, all’epoca (e precisamente nel 1996), la formula degli Accordi europei fu estesa a 10 PECO: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria e Slovenia. Ciò comportò per l’Ungheria (e per gli altri tre paesi cosiddetti di Visegrad ossia Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) che lo status iniziale di precursori svaniva e la speranza di un allargamento anticipato che comprendesse solo pochi paesi diminuiva.

Il processo di adesione: dalla candidatura all’adesione a pieno titolo: 1994-2004

Nella primavera del 1994, l’Ungheria presentò la sua candidatura all’Unione europea seguita, entro la primavera del 1996, da quella degli altri nove paesi sopramenzionati, oltre a Cipro e Malta. Lo stesso anno la Commissione europea sottopose a tutti i dodici governi candidati un questionario molto dettagliato da completarsi entro un paio di mesi. Basandosi sulle risposte ottenute, la Commissione pubblicò i suoi pareri (avis) sul grado di preparazione in vista dell’adesione e inoltrò le sue proposte al Consiglio. Alla fine, il Consiglio europeo di Lussemburgo del dicembre 1997 decise di avviare i negoziati di adesione con cinque paesi più uno, vale a dire Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Estonia e Cipro. I restanti cinque PECO non furono ritenuti pronti per tali negoziati (Malta aveva all’epoca ritirato la sua candidatura per poi ripresentarla subito dopo). Pertanto nella primavera del 1998 fu inaugurato il “processo di allargamento” e in quel quadro di riferimento furono avviati i negoziati con l’Ungheria e con gli altri cinque paesi.

I negoziati di adesione furono divisi in due fasi. La prima venne denominata processo di “screening dell’acquis” con la quale esperti della Commissione europea e dei paesi candidati si riunirono per esaminare sistematicamente l’intero acquis giuridico dell’Unione. I candidati dovettero indicare per ogni voce se era già stata trasposta nella legislazione nazionale, se lo sarebbe stata al momento dell’adesione, o se riguardo a uno specifico atto giuridico sarebbe stata necessaria una deroga temporanea. La Commissione raggruppò l’acquis in 31 capitoli (29 capitoli settoriali più questioni istituzionali e varie). Nel dicembre 1988, grazie alla presidenza austriaca, il Consiglio europeo decise di accelerare i negoziati consentendo un approccio in parallelo che rendeva non indispensabile lo screening di tutti i capitoli prima di passare alla seconda fase dei negoziati; in tal modo una volta realizzato lo screening di un capitolo si potevano iniziare i cosiddetti negoziati reali. Durante questa seconda fase gli Stati membri e i candidati negoziarono le condizioni concrete dell’adesione e quindi le deroghe temporanee all’acquis (sia in termini di diritti che di doveri) da parte dell’Unione e dei paesi in via di adesione. Questi negoziati si rivelarono ovviamente più complessi e assunsero la forma di una Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) tra i Quindici e i rappresentanti governativi dei futuri Stati membri coadiuvati dalla Commissione europea. Contemporaneamente al processo negoziale, la Commissione pubblicò ogni autunno (dal 1998 in poi) le cosiddette Relazioni sui progressi compiuti per prepararsi all’adesione valutando gli sforzi intrapresi da tutti questi paesi.

L’Ungheria creò una struttura amministrativa altamente efficiente a sostegno dei negoziati e si avvalse di diplomatici ed esperti molto preparati nel corso di questi anni (v. Pyszna, Vida, 2002). Il paese compì notevoli sforzi per soddisfare tutti i requisiti dell’Unione, e il governo si prefisse come data di ingresso l’anno 2002 e programmò di conseguenza tutto il lavoro da svolgere. La data prefissata era collegata al pacchetto chiamato “Agenda 2000” adottato dal Consiglio europeo di Berlino nel marzo 1999. In questo documento, l’UE pubblicò il nuovo quadro finanziario per gli anni 2000-2006 e indicò esplicitamente le spese previste per i sei nuovi Stati membri dal 2002 in poi. Ciò nonostante, le speranze per un’adesione anticipata dei sei paesi appartenenti alla “prima ondata” naufragarono velocemente quando il Consiglio europeo di Helsinki nel dicembre 1999 diede via libera agli altri cinque paesi più uno per iniziare i negoziati di adesione. Divenne subito chiaro che il principio dell’Unione di negoziare in base al grado di preparazione dei singoli Stati era stato scalzato da un approccio big bang. Pertanto le due ondate stabilite precedentemente (il gruppo di Lussemburgo e quello di Helsinki) cominciarono a diventare una sola nel 2000-2001; solo per Bulgaria e Romania i negoziati proseguivano a un ritmo più lento.

Nel frattempo, anche l’Unione si preparava per l’allargamento. Dopo aver stabilito il quadro finanziario all’interno di “Agenda 2000”, il Consiglio europeo di Nizza adottò inoltre il quadro istituzionale per adattarsi a 27 Stati membri. Pertanto, dopo la ratifica piuttosto accidentata del Trattato di Nizza, vennero superati anche gli ostacoli istituzionali all’allargamento. Nel giugno 2001, il Consiglio europeo di Göteborg stabilì l’obiettivo dell’Unione di concludere i negoziati con i paesi più preparati entro la fine del 2002 (affinché potessero partecipare alle elezioni del Parlamento europeo del 2004 come membri a pieno titolo) e sei mesi dopo al summit di Laeken fu confermata la prospettiva di accogliere dieci nuovi Stati membri di lì a poco (allargamento big bang approvato).

I negoziati sulle condizioni di adesione si conclusero durante la maratona negoziale del 13 dicembre 2002, quando fu raggiunto l’accordo definitivo. A seguito di contrattazioni bilaterali, l’Ungheria ottenne le cosiddette deroghe, o più precisamente i periodi di transizione in materia di tassazione, trasporti, Politica sociale e concorrenza (v. Politica europea di concorrenza) – la maggior parte dei quali sono già scaduti. I periodi di transizione più importanti e quindi più lunghi furono quelli riguardanti la Libera circolazione dei capitali (vale a dire per l’acquisto di terreni agricoli da parte di persone fisiche o giuridiche dei vecchi Stati membri, una deroga di sette anni e una di cinque per l’acquisto di seconde case), alcuni standard ambientali (fino al 2015), la libera circolazione dei lavoratori (basata su accordi bilaterali e possibili restrizioni per un periodo massimo di sette anni) e il settore dei pagamenti diretti agricoli (gli agricoltori dell’Europa dell’Est, compresi gli ungheresi, avrebbero gradualmente aderito al sistema ricevendo al più tardi entro il 2013 l’ammontare totale delle loro controparti dell’Europa occidentale).

Dopo averlo tradotto in tutte le venti lingue ufficiali, il Trattato di adesione fu firmato ad Atene il 16 aprile 2003. Dopo le procedure di ratifica (in Ungheria l’ingresso fu approvato da quasi l’84% degli elettori, anche se con un’affluenza piuttosto bassa del 45,6%) i dieci nuovi Stati membri entrarono nell’Unione europea il 1° maggio 2004.

L’allargamento del 2004 significò per l’Unione un aumento della popolazione e del territorio di circa un quinto. Al contempo, la povera “sposa” portò al “matrimonio” solo il 5% del PIL dell’UE dei Quindici e il livello di vita medio (PIL pro capite) dei dieci nuovi membri non raggiungeva la metà di quello medio dei vecchi Stati membri (nel 2004 questa cifra era solo del 46%). Al di là delle statistiche, bisogna tuttavia sottolineare che l’allargamento a Est dell’Unione (compresa l’adesione della Bulgaria e Romania nel 2007 e anche in prospettiva del futuro ingresso dei paesi dei Balcani occidentali) riveste l’importanza storica di aver riunito l’Europa e aver fornito un quadro di riferimento migliore per la cooperazione pacifica, la solidarietà e la prosperità.

Primi passi come Stato membro: 2004-2007

L’Ungheria aderì in realtà al suo più importante partner economico. Alla chiusura dei negoziati di adesione (2002), il contributo dell’Unione alle esportazioni aumentò dal 18% del 1989 a più del 75% e alle importazioni dal 21% al 58% nello stesso periodo (v. Palánkai, 2007). Inoltre, la parte più consistente degli investimenti esteri diretti (circa l’80%) giunse dagli Stati membri dell’UE, soprattutto da Germania, Austria, Paesi Bassi e Francia. Tale riorientamento economico da Est a Ovest fu certamente consolidato dal processo di adesione che eliminò gradualmente le barriere agli scambi. Analogamente, l’Ungheria “riorientò” il suo sistema giuridico per allineare sistematicamente la sua legislazione all’acquis (v. anche Ravvicinamento delle legislazioni). Già durante i negoziati di adesione la pubblica amministrazione ungherese fu in grado di ristrutturarsi e organizzarsi secondo le logiche interne dell’attività quotidiana dell’UE (elaborazione rapida delle posizioni nazionali, partecipazione ai negoziati multi-attore, ricerca di alleati, imparare a fare compromessi, ecc.). Allo stesso tempo, l’Ungheria si fece un’idea del funzionamento del sistema di finanziamento dell’Unione, grazie al PHARE e successivamente all’Instrument for structural policies for pre-accession (ISPA) e allo Special accession program for agriculture and rural development (SAPARD). Questi cosiddetti fondi di preadesione (pari a 3 miliardi di euro all’anno) prepararono i dieci PECO candidati, compresa l’Ungheria, ad avvalersi degli strumenti di assistenza. Attraverso tali fondi, tra il 2000 e il 2004 l’Ungheria ricevette circa 220 milioni di euro all’anno, diretti soprattutto all’armonizzazione legale e allo sviluppo istituzionale, alle infrastrutture di trasporto e agli investimenti ambientali, nonché al settore agricolo e allo sviluppo rurale.

All’atto dell’adesione, l’Ungheria intraprese un lungo processo di apprendimento e di adattamento diventando un membro dell’Unione europea molto ben preparato. Riguardo alla performance ungherese come Stato membro, tuttavia, gli ultimi tre anni e mezzo hanno dato risultati contrastanti e l’Ungheria non può ancora essere definita un membro di pieno successo.

Innanzitutto, diversamente dagli altri nuovi Stati membri, l’Ungheria non ha sperimentato quello slancio alla crescita dopo l’adesione all’UE ma, al contrario, il tasso di crescita è diminuito dal 4,8% del 2004 al 3,9% del 2006 per poi rallentare e scendere al di sotto del 3% nel 2007. Questo è certamente un risultato negativo in termini di miglioramento del tenore di vita, che rappresenta uno dei principali motivi per aderire all’UE. Con un tasso del 63,1%, in relazione al PIL pro capite (a parità di potere d’acquisto) e su una media di 100 nell’UE-25, alla fine del 2006 l’Ungheria ha perso il terzo posto diventando il quarto paese dopo Slovenia (83,8%), Repubblica Ceca (76,1%) ed Estonia (64,8%). Per un recupero più veloce l’Ungheria avrebbe bisogno di una crescita economica più dinamica e sostenibile.

Nel 2004, quando l’Ungheria e gli altri nove paesi aderirono all’Unione doganale e al mercato interno, si osservò un interessante fenomeno. Poiché già esisteva il libero scambio industriale tra i PECO e l’UE, l’espansione commerciale non si verificò con i vecchi Stati membri; gli scambi esplosero invece con quelli nuovi soprattutto nel primo anno dopo l’adesione. Inoltre si assistette a un maggiore dinamismo nel commercio agricolo sia con i vecchi che tra i nuovi Stati membri dal momento che il settore agricolo non era stato completamente liberalizzato prima dell’allargamento.

I nuovi Stati membri beneficiarono anche dei sussidi dell’UE alle esportazioni verso paesi terzi, che potevano essere utilizzati soprattutto con i loro vicini orientali.

Per quanto riguarda il settore delle esportazioni, l’Ungheria mantiene la sua competitività nel mercato interno. La maggior parte delle esportazioni industriali ungheresi avviene verso i vecchi Stati membri (in particolare la Germania) e riguarda prodotti lavorati ad alto valore aggiunto (ad es. macchinari, prodotti elettronici). Negli ultimi anni l’Ungheria ha cercato di migliorare la performance delle esportazioni (ma la sua bilancia commerciale complessiva è ancora negativa). Il suo punto debole rimane il fatto che circa l’80% delle esportazioni proviene da società estere con sede in Ungheria da cui il paese dipende fortemente.

A parte gli eccellenti risultati ottenuti dall’Ungheria nel commercio di prodotti industriali, nel settore agricolo si è verificata la situazione opposta. In realtà l’intero settore (per tradizione molto importante per l’Ungheria) aveva subito una grave recessione e contrazione: all’inizio del nuovo millennio, la produzione agricola era scesa a circa il 60% del livello raggiunto nel 1989 – e questo non era il peggior risultato tra i paesi in via di adesione (v. Pálankai, 2007). Mentre rendeva il settore agricolo più competitivo, l’Ungheria perdeva la discreta posizione guadagnata nel mercato interno nel settore delle esportazioni con un’eccedenza commerciale sempre più ridotta. Il paese è intenzionato a recuperare il dinamismo in questo settore prestando particolare attenzione alla crescente richiesta di prodotti alimentari a livello mondiale. A questo riguardo, l’Ungheria (pur sostenendo i principi della Politica agricola comune) vorrebbe avviare una revisione dell’attuale politica di riduzione della produzione.

Un’altra importante libertà nel mercato interno è la Libera circolazione delle persone e dei lavoratori. Per quanto riguarda la prima, l’Ungheria e gli altri nuovi Stati membri sono stati gradualmente integrati nell’area Schengen e l’adesione completa è prevista per il 1° gennaio 2008. Ciò riveste particolare importanza per l’Ungheria, considerata la presenza di minoranze ungheresi in tutti i paesi limitrofi. Da quando sono iniziati i cambiamenti strutturali, una delle priorità della politica estera ungherese è stata quella di riunire gli ungheresi del bacino carpatico attraverso l’adesione nell’Unione europea, dove i confini scompaiono. Certamente un altro importante traguardo per i cittadini ungheresi è quello di poter viaggiare in Europa con un semplice documento d’identità e senza controlli interni alle frontiere.

La circolazione di lavoratori, tuttavia, non è avvenuta in tempi così rapidi. Come detto prima, il Trattato di adesione affidò agli Stati membri il compito di risolvere individualmente tale questione. Da un lato Austria e Germania, i due potenziali paesi più importanti per gli ungheresi in cerca di lavoro, non hanno liberalizzato i loro mercati del lavoro e sembrano attenersi alla formula del periodo massimo di sette anni (ciò non proibisce di impiegare cittadini dei nuovi Stati membri, ma impone il rispetto di rigide quote che limitano l’afflusso di manodopera). Dall’altro lato Regno Unito, Irlanda e Svezia hanno aperto i loro mercati del lavoro al momento dell’allargamento (ed entro il 2007 più della metà dei vecchi Stati membri liberalizzava la mobilità dei lavoratori). Molti cittadini dei nuovi Stati membri hanno sfruttato questa occasione, in particolare polacchi, lituani e lettoni. In Ungheria, tuttavia, si è assistito a un flusso migratorio relativamente minore di lavoratori e solo 10-15 mila hanno abbandonato il loro paese per trovare lavoro in uno dei sopraccitati Stati (soprattutto nel Regno Unito). La spiegazione principale è la mobilità tradizionalmente scarsa dei lavoratori ungheresi, oltre al fatto che finora il tasso di disoccupazione è stato molto basso (6-7%) rispetto ai tre paesi citati, i quali al momento dell’adesione risentivano di alti tassi di disoccupazione a due cifre. Ciò nonostante, ultimamente questa percentuale di così grande importanza sociale è andata lentamente aumentando in Ungheria, mentre è diminuita in tutti gli altri nuovi membri, e ciò potrebbe contribuire a un’ulteriore emigrazione. Strettamente collegato a questa questione è il tasso di occupazione che è il più basso dopo quello della Polonia: l’attuale percentuale del 57% è molto lontana dall’obiettivo fissato a Lisbona del 70% per il 2010. (Al di là degli effetti positivi della maggiore mobilità dei lavoratori all’interno dell’Europa, bisogna prendere in considerazione e gestire la fuga di cervelli in tutti i nuovi Stati membri).

Esistono probabilità concrete che entro il 2013 l’economia ungherese possa registrare un’importante crescita grazie a un afflusso di circa 3 miliardi di euro dal bilancio europeo destinato allo sviluppo nazionale (v. Bilancio dell’Unione europea). La Commissione europea ha dato il via a 15 programmi operativi (compresi sette programmi regionali e altri settoriali e orizzontali) (v. Programmi comunitari). Si spera che gli imminenti investimenti nelle infrastrutture fisiche e umane, nella tutela dell’ambiente e nello sviluppo rurale possano produrre un effetto benefico sulla crescita, sull’occupazione e sul tenore di vita in genere. In realtà a questo riguardo, l’Ungheria sembra aver iniziato bene dal momento che secondo la Commissione europea ha raggiunto il miglior risultato nell’assorbimento dell’assistenza comunitaria tra i nuovi Stati membri arrivando a un tasso di pagamenti del 63% alla fine del 2006 (contro una media raggiunta dagli otto PECO di circa il 44%).

Un ulteriore slancio e una convergenza reale più dinamica alla media UE dovrebbero essere associati anche a una convergenza nominale più equilibrata e sostenibile. Quando l’Ungheria aderì all’UE, si assunse tutti gli obblighi inerenti, compresa l’adesione all’Unione economica e monetaria e la futura introduzione della moneta unica. Ciò comporta che l’Ungheria dovrà soddisfare gradualmente i due criteri fiscali e i tre monetari (i cosiddetti criteri di Maastricht) per poter accedere all’area dell’Euro. Tuttavia, nei primi tre anni dopo l’adesione (diversamente dagli altri nuovi membri) il paese si è allontanato da questo obiettivo. Nel 2006, l’Ungheria è stato l’unico Stato membro a non soddisfare nessuno dei cinque criteri: ha accumulato (in termini di PIL) un disavanzo di bilancio superiore al 9% e un debito pubblico del 66%, ha raggiunto un tasso di inflazione del 4%, tassi di interesse a lungo termine del 7,1% e inoltre la sua valuta non ha partecipato al Meccanismo di cambio europeo (ERM II). Il governo ungherese ha introdotto severe misure di austerity per diminuire il disavanzo di bilancio. A causa di questi problemi non è stata ancora fissata alcuna data ufficiale in merito all’introduzione dell’euro.

Per quanto concerne le istituzioni e l’applicazione del Diritto comunitario, le prestazioni dell’Ungheria sono positive. Occorre sottolineare che l’allargamento da 15 a 27 Stati membri non ha ostacolato il funzionamento delle istituzioni e l’integrazione dei nuovi Commissari, funzionari europei, membri del Parlamento europeo o giudici è avvenuta senza intoppi. Anche in merito alla trasposizione delle Direttive (v. Direttiva) i risultati che l’Ungheria sta raggiungendo sono positivi e il paese rimane in cima alla classifica degli Stati membri, al terzo posto. Inoltre, finora solo in tre casi l’Ungheria è comparsa davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) (su deferimento della Commissione europea) per non aver ottemperato al diritto comunitario.

In sintesi (v. Túry, Vida, 2007) l’Ungheria ha i suoi punti deboli e i suoi punti di forza come membro dell’Unione europea. È in atto in realtà una “pressione diplomatica” sull’Ungheria affinché raggiunga risultati migliori come Stato membro in vista della presidenza dell’UE che nella prima metà del 2011 spetterà all’Ungheria coadiuvata da Spagna e Belgio (detentori della presidenza nel 2010) (v. anche Presidenza dell’Unione europea). In quel periodo l’Ungheria sarà necessariamente alla ribalta e quindi il governo ha già iniziato a prepararsi all’evento.

Conclusioni

Pur appartenendo al blocco d’oltre cortina controllato dai sovietici, l’Ungheria ha sempre perseguito buone relazioni con il mondo occidentale. Come sottolineato prima, durante la Guerra fredda ha aderito al GATT, al FMI e alla Banca mondiale stabilendo buone relazioni anche con la CEE. L’Ungheria ha svolto un ruolo primario nell’abbattimento della cortina di ferro ed è stato tra i primi paesi ad aderire al Consiglio d’Europa, alla NATO e infine all’Unione europea. Sia sotto il profilo politico che quello economico, l’UE ha rappresentato la principale “ancora di salvezza” per l’Ungheria, a partire dai cambiamenti strutturali. L’economia dell’Ungheria è profondamente interconnessa al Mercato interno e il suo sistema giuridico e istituzionale ha raggiunto un alto livello di conformità. Tuttavia, l’Ungheria dovrebbe impegnarsi maggiormente per raggiungere una convergenza sia reale che nominale (espressa in termini di tenore di vita nonché di indicatori fiscali e monetari per poter aderire all’area dell’euro).

A livello politico (a parte alcuni contrasti come accadde ad esempio quando il governo ungherese mostrò la sua esitazione riguardo agli impegni dell’UE in materia di diversificazione delle importazioni di energia) l’Ungheria si è dimostrata un partner collaborativo, impegnato verso riforme istituzionali/costituzionali, verso un ulteriore approfondimento e un ulteriore allargamento. Concretamente ciò significa che l’Ungheria è stata il secondo Stato membro (dopo la Lituania) a ratificare il Trattato costituzionale ed è anche favorevole al Trattato di riforma (v. Costituzione europea). L’Ungheria è anche a favore di una liberalizzazione maggiore nel Mercato interno (ad esempio riguardo alla Libera circolazione dei servizi), di un ulteriore allargamento dell’UE (considerati gli ungheresi che vivono intorno ai confini nazionali) e inoltre vorrebbe promuovere la Politica europea di vicinato dell’UE.

Krisztina Vida (2007)