Vedel, Georges

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V. (Auch 1910-Parigi 2002) è stato uno dei più importanti costituzionalisti francesi del XX secolo e un ascoltato consigliere di uomini politici. Agrégé in diritto nel 1936, insegnò nelle facoltà di diritto di Poitiers (1937) e Tolosa (1939), fu nominato professore alla facoltà di diritto di Parigi (dal 1948) nella cattedra di Diritto pubblico. Decano della facoltà di Diritto e scienze economiche di Parigi (1962-1967), V. fu autore di numerose pubblicazioni di diritto amministrativo, diritto costituzionale e scienza politica (Traité de droit constitutionnel, Traité de droit administratif).

Negli anni cinquanta V., di tendenza cristiano-democratica, frequentò i circoli degli intellettuali anticomunisti della rivista “Preuves”. In seguito, in numerosi interventi mise in luce le tare del parlamentarismo della IV Repubblica, diventando uno dei protagonisti del dibattito sulle istituzioni francesi. Agli inizi del decennio successivo partecipò al Club Jean Moulin e fu uno degli intellettuali che, pur opponendosi nel 1962 alla pratica del referendum di Charles de Gaulle, contribuì a far accettare l’idea dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica nelle file del centrosinistra. Sostenitore della Costituzione della V Repubblica, ne criticò alcuni aspetti, in particolare il bicefalismo dell’esecutivo, diviso tra Presidente della Repubblica e primo ministro, e condusse una pluridecennale battaglia a favore della riduzione a cinque anni del mandato presidenziale.

Il suo impegno politico non gli impedì di essere apprezzato nel ruolo di arbitro e di saggio. Per citare solo i suoi mandati principali, si ricorda che nel 1968 presiedette la commissione incaricata dal ministero dell’Agricoltura di valutare le “Prospettive a lungo termine dell’agricoltura francese 1968-1985”, vale a dire l’impatto sul settore primario francese della politica agricola delineata in sede comunitaria; l’anno seguente entrò nel Consiglio economico e sociale (mandato rinnovatogli nel 1974); nel 1980 fu nominato membro del Consiglio costituzionale dal presidente Valéry Giscard d’Estaing; nel 1993 fu presidente del Comitato consultivo per la riforma della Costituzione.

Le convinzioni europeiste di V. rappresentarono uno dei suoi engagement più importanti e originali, rafforzate dalla lunga prigionia in Germania durante la Seconda guerra mondiale. La costruzione istituzionale della Comunità europea del carbone dell’acciaio (CECA) lo interessò anche per l’innovazione rappresentata dai suoi meccanismi giuridici. Negli anni 1955-1956 partecipò al Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa creato da Jean Monnet. Come consigliere tecnico del radicale Maurice Faure, segretario di Stato agli Affari esteri (1956-1958), V. fu il principale giurista della delegazione francese alle conferenze che prepararono i Trattati di Roma, specialmente di quella di Bruxelles; egli prese parte, in particolare, alla redazione del trattato sulla Comunità europea dell’energia atomica o Euratom, ricco di problemi giuridici, contribuendo alla stesura dei sei articoli riguardanti lo statuto di proprietà delle materie fissili.

Più tardi, tra il 1971-1972, V. presiedette il gruppo ad hoc di personalità indipendenti, rappresentanti tutti i membri della Comunità, designato dalla Commissione europea e avente l’assai ampio mandato di studiare la riforma delle Istituzioni comunitarie. Il rapporto del Gruppo V., sulla base del quale la Commissione presentò le proprie proposte al Consiglio dei ministri il 26 maggio 1972, mise in luce come il problema fondamentale del sistema comunitario fosse quello della legittimità: solo l’intervento nelle decisioni comunitarie di un organo parlamentare, legittimato direttamente dai cittadini dei paesi europei, poteva colmare tale lacuna (v. Rapporto Vedel). Secondo tale rapporto non era possibile aumentare i poteri del Parlamento europeo (PE) senza riforme sostanziali; si poneva, dunque, il problema generale di un potere di Codecisione del PE nelle materie legislative e di bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) e quello del suo intervento nella nomina dei membri della Commissione. Così lo stesso V. avrebbe commentato due anni più tardi: «Solo dal momento in cui il Parlamento si arricchisse di una dimensione politica lo stesso dialogo con la commissione diventerebbe reale […]. Solo l’accrescimento di poteri del Parlamento rimetterà in questione tutta la dialettica complicata nella quale esso gioca un ruolo che, secondo il parere di tutti, non è più adatto alle dimensioni di quello che è divenuta la comunità».

Lucia Bonfreschi (2010)