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Voto all’unanimità

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Il voto all’unanimità costituisce uno dei tre metodi di deliberazione del Consiglio dei ministri previsti dall’articolo 205 del Trattato istitutivo della Comunità europea (CE) (v. Trattati di Roma). Tale disposizione non definisce la nozione di unanimità, che d’altronde è del tutto intuitiva, ma si limita a prevedere che le astensioni dei membri del Consiglio presenti o rappresentati non ostano all’adozione delle deliberazioni per le quali è richiesta l’unanimità. A contrario, va ritenuto che l’assenza di uno o più membri del Consiglio impedisce l’adozione di decisioni (v. Decisione) per cui sia richiesto il voto all’unanimità; la cosiddetta “politica della sedia vuota”, vale a dire la non partecipazione alle riunioni del Consiglio da parte di una delegazione nazionale, può dunque sensibilmente ostacolare il funzionamento di questa istituzione.

Il voto all’unanimità comporta evidentemente l’attribuzione di un diritto di veto a ogni singolo Stato membro. Per tale ragione, tenuto conto della costante tendenza verso una sempre più stretta integrazione che è propria dell’Europa comunitaria, il campo di applicazione di tale metodo è andato progressivamente riducendosi a beneficio del voto a Maggioranza qualificata, nel corso delle varie riforme dei trattati che si sono succedute a partire dalla metà degli anni Ottanta.

Il voto all’unanimità continua tuttavia a essere previsto in un numero significativo di casi, che possono essere raggruppati in quattro categorie. In primo luogo, i casi di decisioni del Consiglio che mirano a completare certi aspetti ben precisi dei Trattati CE e Unione europea (UE) (v. Trattato di Maastricht), ad esempio l’eventuale complemento dei diritti derivanti dalla Cittadinanza europea (articolo 22 del Trattato CE) o l’adozione dell’atto relativo all’elezione del Parlamento europeo (articolo 190 del Trattato CE) (v. anche Elezioni dirette del Parlamento europeo). In questa categoria rientrano anche le cosiddette “passerelle” (v. Passerella comunitaria), vale a dire le disposizioni che permettono di modificare in maniera semplificata le procedure decisionali (v. Processo decisionale) previste dai Trattati; ad esempio l’eventuale passaggio di taluni aspetti relativi alla Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – attualmente trattati conformemente alle procedure intergovernative del cosiddetto “terzo pilastro” (v. Pilastri dell’Unione europea) – verso le procedure ordinarie proprie del Trattato CE (articolo 42 del Trattato UE) oppure l’eventuale passaggio dall’attuale procedura di decisione del Consiglio all’unanimità previa semplice consultazione del Parlamento europeo alla Procedura di codecisione con voto a maggioranza qualificata in Consiglio nei settori della libera circolazione delle persone e della Cooperazione giudiziaria in materia civile (articolo 67 del Trattato CE), della politica sociale (articolo 137 del Trattato CE) e della politica ambientale (articolo 175 del Trattato CE).

In secondo luogo, i casi di decisioni del Consiglio cui viene riconosciuto un effetto giuridico sovraordinato rispetto alle norme ulteriori adottate dalle Istituzioni comunitarie, ad esempio la cosiddetta “decisione comitatologia”, vale a dire la decisione che stabilisce le condizioni e le modalità che la Commissione europea deve rispettare nell’esercizio delle sue competenze di esecuzione degli atti comunitari (articolo 202 del Trattato CE) (v. anche Diritto comunitario) o la decisione relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità (articolo 269 del Trattato CE) (v. Comunità economica europea).

Vi sono poi i rari casi in cui il Consiglio può derogare alle norme stabilite dal Trattato CE, ad esempio l’eventuale regressione della liberalizzazione dei movimenti di capitali (v. Libera circolazione dei capitali) da e verso i paesi terzi (articolo 57 del Trattato CE) o l’eventuale autorizzazione di un aiuto di Stato (v. Aiuti di Stato) che appaia in linea di principio incompatibile col mercato comune (articolo 88 del Trattato CE) (v. Comunità economica europea).

Infine, i casi di decisioni del Consiglio nei settori considerati politicamente sensibili, in cui gli Stati membri sono disposti a cedere la competenza (v. Competenze) alla Comunità soltanto a condizione di avere la garanzia di poter impedire l’adozione di decisioni a loro sgradite. Fra gli ancora abbastanza numerosi casi in questione si possono menzionare le decisioni in materia di Politica estera e di sicurezza comune (articolo 23 del Trattato UE), in materia di cooperazione giudiziaria penale e cooperazione di polizia (articolo 34 del Trattato UE), in materia fiscale (v. anche Politica fiscale) (articolo 93 del Trattato CE) e in parte in materia di Politica sociale (articolo 137 del Trattato CE). Va qui ricordata anche la disposizione che consente al Consiglio di esercitare le competenze implicite della Comunità adottando gli atti necessari per la realizzazione degli scopi del Trattato pur in assenza di basi giuridiche specifiche (articolo 308 del Trattato CE).

I casi relativi a quest’ultima categoria sono quelli per cui è più probabile che ulteriori riforme dei Trattati conducano al passaggio dal voto all’unanimità verso quello a maggioranza qualificata. Così il Trattato di Lisbona – che modifica profondamente gli attuali Trattati CE e UE – generalizza, pur con qualche eccezione di rilievo, il voto a maggioranza qualificata nei settori della cooperazione giudiziaria penale e della cooperazione di polizia.

La nozione di voto all’unanimità va concettualmente distinta da quella di decisione assunta di comune accordo dai governi degli Stati membri, che è prevista ad esempio per la fissazione delle Sedi istituzionali (articolo 289 del Trattato CE) o per la nomina del presidente e dei membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea (articolo 112 del Trattato CE) o dei giudici e avvocati generali della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) e del Tribunale di primo grado (articoli 223 e 224 del Trattato CE). In queste particolari fattispecie, infatti, la decisione non viene assunta dal Consiglio in quanto tale, ma è di carattere meramente intergovernativo (v. anche Cooperazione intergovernativa). Per di più essa richiede necessariamente l’adesione positiva di tutti i governi degli Stati membri e un’eventuale astensione, a differenza di quanto previsto per il voto all’unanimità, ne impedirebbe il perfezionamento.

Infine, la nozione qui in esame va tenuta distinta anche dalla nozione di consenso, che è propria del diritto delle organizzazioni internazionali. Il metodo del consenso permette di adottare decisioni senza ricorrere formalmente al voto, quando il presidente dell’organo chiamato a deliberare constati che in seno a tale organo non sussistono più evidenti opposizioni all’adozione della decisione in questione. Introdotto nella Comunità per via di prassi in seguito all’applicazione del cosiddetto Compromesso di Lussemburgo, tale metodo si è poi radicato per quanto riguarda le decisioni di carattere politico del Consiglio europeo. Il precitato Trattato di Lisbona formalizza, all’articolo 9b del Trattato UE modificato, il metodo del consenso come sistema di deliberazione ordinario del Consiglio europeo.

Paolo Stancanelli (2010)