Accordo di Cotonou
Visto il limitato successo del metodo di gestione prevalente delle Convenzioni passate, basato sulle preferenze commerciali non reciproche, e vista la necessità di adattarsi agli sviluppi internazionali quali la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica nonché ai profondi cambiamenti sociali negli Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico (ACP), l’Unione europea e il gruppo degli ACP (attualmente composto da 79 paesi) firmavano a Cotonou (Benin) il 23 giugno 2000 una nuova convenzione, che stabiliva un approccio per la cooperazione di durata ventennale, dal marzo 2000 al febbraio 2020, con una clausola di revisione ogni cinque anni.
Si trattava del risultato di una lunga fase di dibattito preparatorio, animato dal Libro verde della Commissione europea (1996), e di una fase negoziale avviata nel settembre del 1998 e conclusa appunto nel febbraio del 2000, in coincidenza con la fine della Convenzione di Lomé (v. Convenzioni di Lomé).
Gli obiettivi principali dell’accordo sono la riduzione e, in prospettiva, l’eliminazione della povertà e la progressiva integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale, rispettando gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Il nuovo approccio sotteso all’accordo intende potenziare la dimensione politica, garantire una nuova flessibilità e conferire maggiori responsabilità agli Stati ACP. Tale approccio si basa su tre dimensioni principali, vale a dire la politica, il commercio e lo sviluppo, ed è un approccio sia integrato che settoriale. Gli interventi sono rivolti a settori specifici (sanità, istruzione, nutrizione, tutela dei giovani, patrimonio culturale, pesca, trasporti, ecc.) e mirano a combinare vari aspetti della cooperazione (economici, ambientali, sociali, ecc.) al fine di indirizzare meglio gli aiuti.
Si parla esplicitamente di temi trasversali in tutti i settori della cooperazione, con riferimento a: uguaglianza tra i generi; gestione sostenibile dell’ambiente (che riguarda diversi aspetti, come le foreste tropicali, le risorse idriche, la desertificazione, l’uso delle energie rinnovabili); sviluppo istituzionale e potenziamento delle capacità.
I pilastri dell’accordo sono: una dimensione politica globale; la promozione di metodi partecipativi; le strategie di sviluppo e una concentrazione sull’obiettivo della riduzione della povertà; l’introduzione di un nuovo quadro per la cooperazione economica e commerciale; una riforma della cooperazione finanziaria.
Un importante aspetto innovativo riguarda l’inclusione di attori non statali (società civile, settore privato, sindacati) e di attori locali, sia per la formulazione che per la realizzazione delle iniziative promosse dalla Politica europea di cooperazione allo sviluppo. È riconosciuto il ruolo della società civile per il rafforzamento sia delle organizzazioni non governative (ONG) che degli enti no profit. Viene inoltre implicitamente riconosciuto il ruolo che le autorità locali possono giocare nelle strategie di sviluppo, evidenziando la necessità della compresenza di tutti i possibili attori della cooperazione decentrata del Sud e del Nord quali promotori dello sviluppo.
Il nuovo accordo è fondato sul rispetto dei diritti dell’uomo, dei principi democratici e dello Stato di diritto e sulla buona gestione degli affari pubblici (good governance) ed è arricchito da un approfondimento del dialogo politico e da un rafforzamento della cooperazione economica e finanziaria.
Particolare significato riveste l’inserimento nell’Accordo della cosiddetta “clausola di riammissione” concernente disposizioni relative alla riammissione degli immigrati illegali, anche originari di paesi terzi e apolidi, da negoziare nel quadro di accordi bilaterali. Questi accordi dovranno definire le categorie di persone alle quali si applicheranno tali disposizioni e le modalità della riammissione e rimpatrio.
Le disposizioni commerciali rappresentano un’altra delle principali innovazioni dell’Accordo: il nuovo regime dovrebbe progressivamente avvalersi delle iniziative di integrazione regionale dei paesi ACP, che sono considerate la chiave per il loro accesso all’economia mondiale.
Il partenariato si propone, infatti, di fornire un quadro coerente di sostegno alle strategie di sviluppo degli ACP, e in tale contesto sono incoraggiati e sostenuti i processi d’integrazione regionali intra-ACP che favoriscono l’inserimento progressivo di questi paesi nell’economia mondiale.
Per l’attuazione del nuovo regime commerciale si prevede il mantenimento fino al 2008 del sistema preferenziale di Lomé – per il quale è stato richiesto il regime di deroga dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Tale periodo, definito preparatorio, serve a preparare il cammino alla stipula di Accordi di partenariato economico regionale (APER) volti alla creazione di aree di libero scambio fra l’Unione europea e sei subregioni ACP. In particolare, il periodo preparatorio deve essere utilizzato per sviluppare le capacità dei settori pubblico e privato dei paesi ACP, per rafforzare le organizzazioni regionali e per sostenere le iniziative d’integrazione commerciale regionale.
I negoziati formali per i nuovi accordi regionali di partenariato economico hanno avuto inizio nell’ottobre 2003 con la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) e la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e dovrebbero entrare in vigore nel gennaio 2008. Tali negoziati sono andati avanti piuttosto lentamente e hanno incontrato resistenze molto forti nell’ambito della società civile dei diversi paesi, in quanto si sono manifestate preoccupazioni circa l’impatto negativo che i nuovi accordi avrebbero potuto avere in relazione alla marginalizzazione e all’esclusione di ampie fasce di popolazione dedite a settori agricoli e rurali di autoconsumo e di scambi locali, alla sostenibilità ambientale e all’accesso agli alimenti e ai mezzi per soddisfare i bisogni fondamentali.
I negoziati per gli accordi di partenariato sono stati avviati con tutti gli ACP che ritengono di essere pronti ad affrontarli, al livello che essi giudicano appropriato e secondo le procedure concordate dal gruppo ACP, tenendo conto dei processi di integrazione regionale intra-ACP in atto. I negoziati possono prevedere adeguati periodi transitori, tenere conto dei settori sensibili e accordare un calendario asimmetrico di smantellamento delle tariffe, in conformità con le norme dell’OMC.
Oltre alla liberalizzazione del commercio con questi gruppi di paesi ACP, i futuri accordi regionali dovrebbero promuovere gli investimenti e la cooperazione fra gli stessi paesi ACP.
All’azione di sostegno per l’integrazione regionale, determinante soprattutto in Africa per la configurazione del nuovo partenariato, il Protocollo finanziario, allegato all’Accordo, destina 1,3 miliardi di Euro per cinque anni.
Per i paesi ACP che non fossero rientrati nella categoria dei paesi meno avanzati (PMA) e che non fossero stati in grado di aderire agli APER, la Comunità economica europea avrebbe esaminato tutte le alternative possibili per offrire loro un nuovo quadro commerciale, equivalente alle condizioni esistenti e conforme alle regole dell’OMC.
I 39 paesi del gruppo ACP, qualificati come PMA, beneficiano di un trattamento particolarmente favorevole: l’accesso in esenzione doganale per quasi tutti i prodotti originari di questi paesi. A vantaggio delle esportazioni dei PMA sono previsti anche una semplificazione e un riesame del regime delle regole di origine e delle norme sul cumulo dell’origine.
La cooperazione in materia commerciale si estende anche a temi quali la concorrenza, la tutela della proprietà intellettuale, i servizi, gli standard tecnici e le misure sanitarie e fitosanitarie, l’ambiente, gli scambi e le norme sul lavoro, la politica dei consumatori.
I principali strumenti finanziari della cooperazione sono il Fondo europeo di sviluppo (FES) e i crediti della Banca europea per gli investimenti (BEI); è inoltre previsto il cofinanziamento con le istituzioni finanziarie internazionali e con gli Stati membri. La definizione degli interventi avviene in collaborazione con i paesi ACP con un nuovo sistema di programmazione che prevede un riesame delle allocazioni di fondi sulla base dei risultati conseguiti. Sono previsti interventi a sostegno delle riforme strutturali e settoriali e per mitigare gli effetti sociali di tali riforme.
Rispetto al passato, il nuovo sistema di programmazione degli aiuti concessi dalla Comunità conferisce maggiore flessibilità al partenariato e responsabilità agli Stati ACP, in particolare introducendo un sistema di programmazione evolutiva che abolisce la distinzione tra aiuti programmabili e aiuti non programmabili (aiuti, questi ultimi, programmati unilateralmente dalla Comunità senza un precedente dialogo e previo accordo con il paese ACP interessato). Infatti, gli Stati ACP sono investiti di maggiori responsabilità nella definizione degli obiettivi, delle strategie e degli interventi e nella gestione e nella selezione dei programmi. Soprattutto, il processo di programmazione si basa sui risultati. Gli aiuti finanziari d’importo fisso non sono più un diritto automatico. Gli aiuti non rimborsabili vengono assegnati in base a una valutazione delle necessità e delle prestazioni basata su criteri negoziati fra gli Stati ACP e la Comunità. Tali criteri riflettono gli obiettivi principali del partenariato, come ad esempio la riduzione della povertà.
Il principale strumento della programmazione degli aiuti non rimborsabili è la strategia di cooperazione nazionale (SCN), elaborata per ciascuno Stato ACP dalla Commissione e dallo Stato stesso. Tale strategia stabilisce un orientamento generale per l’impiego degli aiuti e viene completata da un programma indicativo operativo contenente le operazioni concrete con relativo calendario per l’esecuzione. È stato introdotto un meccanismo di esame annuo per modificare la SCN, il programma operativo o le risorse concesse.
Anche i programmi regionali sono soggetti a un sistema di programmazione evolutiva che si basa sulle stesse componenti.
Il quadro del nuovo partenariato intende superare il tradizionale approccio fondato sugli aiuti ai progetti e sulle preferenze commerciali, per puntare a un rafforzamento della capacità di offerta dei paesi ACP in termini qualitativi e quantitativi. Non sono stati prorogati gli strumenti System for the stabilisation of ACP and OCT export earnings (STABEX) e System of stabilization of export earnings from mining products (SYSMIN) delle Convenzioni di Lomé, ma è stato previsto un sostegno supplementare in caso di fluttuazione dei proventi delle esportazioni. In tale ottica si prevede un sostegno ampliato e rafforzato agli investimenti e allo sviluppo del settore privato, anche attraverso interventi volti a promuovere il settore finanziario e bancario. Particolare cura è rivolta ai servizi finanziari alle microimprese. Si attribuisce inoltre priorità all’accesso ai servizi di base per tutti, all’istruzione e alla formazione, nonché allo sviluppo di infrastrutture informatiche e per le comunicazioni.
Il nuovo accordo di Cotonou, in sintonia con gli orientamenti più recenti prevalenti a livello internazionale, dedica molto spazio (l’intero capitolo 7) allo sviluppo del settore privato e degli investimenti. Il partenariato non è più limitato agli Stati membri, ma coinvolge tanti soggetti come la società civile, gli enti locali, il settore privato dei paesi ACP e dell’Unione europea.
Investimenti e sviluppo del settore privato formano anche oggetto di un corpo organico di disposizioni (artt. 74-78) fra le quali assumono rilievo quelle che prevedono la fornitura di risorse finanziarie a lungo termine per promuovere la crescita del settore privato e quelle relative a fondi e programmi di garanzia per l’assicurazione contro rischi legati agli investimenti.
I testi dettagliati relativi agli obiettivi e alle strategie di cooperazione allo sviluppo, in particolare le politiche e le strategie settoriali, sono inseriti in un compendio contenente gli orientamenti operativi per i campi o i settori di cooperazione specifici.
La quota di partecipazione degli Stati membri al FES si basa in parte sul prodotto nazionale lordo (PNL) e in parte sulle responsabilità storiche (coloniali) nei confronti degli ACP. Visto che il FES non è iscritto all’interno del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) (in termini tecnici, non è budgetizzato), non è soggetto al principio dell’annualità: il fondo dovrebbe in teoria avere un orizzonte decennale, ma non sempre questo è vero e solitamente il contributo effettivo al fondo è ritardato.
Il livello di risorse per il IX FES (2000-2005) è stato pari a 13,5 miliardi di euro, cui si sono sommati 10 miliardi di euro previsti nei precedenti FES e non erogati. Il Protocollo finanziario allegato all’Accordo (allegato I) indicava le allocazioni di fondi del IX FES a favore dei diversi strumenti di cooperazione prevedendo, in particolare, che 10 miliardi di euro fossero riservati come sovvenzioni (a dono) al sostegno dello sviluppo a lungo termine; 1,3 miliardi di euro come sovvenzioni per il sostegno alla cooperazione e all’integrazione regionale degli Stati ACP; 2,2 miliardi di euro fossero destinati alla investment facility. L’Italia vi ha contribuito per il 12,54%.
A ciò si sono aggiunti, nello stesso periodo, gli interventi della BEI, pari a 1,7 miliardi di euro, in forma di prestiti concessi sulle proprie risorse. Si trattava di una ripartizione strategica perché riservava somme importanti all’integrazione regionale e alla nuova facility per gli investimenti. La BEI gestisce i prestiti concessi sulle sue risorse unitamente alle operazioni finanziate sul Fondo europeo per gli investimenti, le restanti risorse sono amministrate dalla Commissione.
Dal 1° marzo 2005, un quadro finanziario di cooperazione pluriennale copre gli importi degli impegni che cominciano il 1° gennaio 2008 per un periodo di cinque o sei anni. Per il nuovo periodo, l’Unione europea intende mantenere gli aiuti almeno allo stesso livello del IX FES, rimanenze escluse, cui occorre aggiungere gli effetti dell’inflazione, della crescita nell’ambito dell’UE e del suo Allargamento a venticinque (2004) e ventisette (2007) Stati membri.
Due organismi sono destinati a fornire assistenza alle società e alle imprese e a promuovere l’agricoltura e lo sviluppo rurale: il Centro per lo sviluppo delle imprese (CSI) e il Centro tecnico per l’agricoltura e la cooperazione rurale (CTA).
L’attività di programmazione del IX FES avviene attraverso la definizione di appositi documenti di strategia (Country strategy paper, CSP) la cui preparazione si svolge a Bruxelles. I documenti sono approvati dal Comitato FES.
In conformità con quanto previsto dalla specifica clausola dell’Accordo (all’articolo 95), la prima revisione quinquennale è stata negoziata tra il maggio 2004 e il febbraio 2005. Obiettivo specifico di questo processo di revisione è stato quello di migliorare efficacia e qualità del partenariato, eccetto per quanto riguarda le disposizioni in materia di cooperazione economica e commerciale non oggetto di revisione quinquennale.
In particolare, il nuovo accordo riveduto riflette i nuovi orientamenti internazionali e dell’Unione europea, a seguito delle trasformazioni avvenute dopo l’11 settembre 2001, e abbraccia una gamma di temi nuovi, contemplando una disposizione volta a potenziare il dialogo politico e riferimenti alla lotta contro il terrorismo, alla cooperazione in materia di lotta contro le armi di distruzione di massa e al tribunale penale internazionale (TPI).
In materia di strategie di sviluppo, invece, sono stati esplicitamente inseriti nuovi elementi quali gli “Obiettivi del millennio per lo sviluppo” e lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Sul piano finanziario, da un lato è stata dedicata attenzione al fondo investimenti a favore dei paesi ACP, gestito dalla Banca europea per gli investimenti; da un altro lato, si sono riviste le procedure di attuazione e di gestione, grazie a una semplificazione di tali procedure e all’introduzione, in particolare, di una maggiore flessibilità nella destinazione delle risorse. Non è stato precisato nei dettagli il nuovo quadro finanziario pluriennale. A questo proposito, l’Unione si è impegnata a mantenere la sua politica di assistenza ai paesi ACP a un livello almeno equivalente a quello convenuto per i primi cinque anni di applicazione dell’accordo di Cotonou.
Marco Zupi (2005)