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Antonio, Giolitti

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G. (Roma 1915-ivi 2010), nipote di Giovanni Giolitti, compì i suoi studi a Roma, laureandosi in giurisprudenza. Allevato nell’atmosfera liberale e antifascista della sua famiglia, nel 1941 aderiva al PCI e diventava redattore nella sede romana della casa editrice Einaudi. Durante la guerra fu commissario politico della brigata partigiana Garibaldi, operante nella Valli di Lanzo in Piemonte. Nel 1945 era nominato membro della Consulta e nel 1946 entrava nell’Assemblea costituente nelle liste del Partito comunista. Dal 1948 fu membro del gruppo comunista della Camera dei deputati, eletto nel collegio di Cuneo-Asti-Alessandria. Rieletto nel 1953, nel 1958 si presentava nelle liste del PSI dove nuovamente conseguiva il seggio parlamentare, che avrebbe conservato fino alla sua nomina a Commissario europeo nel 1977.

Nel 1956 G. aveva preso posizione contro l’intervento sovietico in Ungheria. Di qui un lungo confronto con gli organi dirigenti del PCI, a cui diede forma nel suo saggio, Riforme e rivoluzione (1957) e in un intervento all’ VIII Congresso del PCI nel 1958 a cui seguirono le sue dimissioni da quel partito. La sua formazione si era indirizzata verso l’economia politica, e di carattere economico furono gli incarichi direttivi assunti nell’ambito dell’organizzazione comunista e negli interventi della sua attività parlamentare. Divenne in seguito responsabile della sezione economica del PSI e tenne questo ruolo nei dibattiti che accompagnarono la formazione del centrosinistra. Si schierò con la corrente autonomista a fianco di Riccardo Lombardi. Con la formazione del primo governo organico di centrosinistra assunse la carica di ministro del Bilancio e della programmazione nel primo governo di Aldo Moro con il compito precipuo di formulare il piano economico del governo. Impostato su linee keynesiane, con rigore scientifico, e postulando una collaborazione con le parti sociali e un coordinamento dei variegati programmi di intervento pubblico, fu proprio il Piano Giolitti, assieme ad altri temi programmatici, causa della crisi del governo nel giugno 1964.

Schieratosi sulle posizioni di Lombardi, critiche verso il prosieguo della collaborazione di centr-sinistra; se ne distaccava nel 1969, in occasione del primo congresso del Partito socialista unificato, formando con il deputato socialista Loris Fortuna, che sarebbe divenuto uno dei leader storici della campagna per il divorzio in Italia, la corrente di Impegno socialista, favorevole a una ripresa del centrosinistra su nuove basi programmatiche (che aveva elaborato a partire del 1967 nel suo Socialismo possibile). Nel 1970 tornava al ministero del Bilancio nel primo governo di Emilio Colombo, per ricoprire poi la stessa carica nel IV governo Rumor nel luglio 1973.

Il III governo di Giulio Andreotti lo designava nel 1976 come secondo membro italiano, dopo l’uscita di Altiero Spinelli nella Commissione europea. G. Assumeva l’incarico nel gennaio 1977, sotto la presidenza di Roy Jenkins, e lo avrebbe tenuto anche nel quadriennio successivo sotto la presidenza di Gaston Thorn, assumendo il portafoglio relativo al Fondo regionale che era stato istituito dalla Conferenza di Parigi del 1972 (v. anche Fondo di coesione). Era succeduto in quell’incarico al commissario scozzese George Thomson, essendo a capo della competente direzione comunitaria Renato Ruggiero. Trovò il lavoro avviato su di un solido impianto tecno-burocratico, basato su criteri automatici che lasciavano poco, pressoché nullo, spazio ad interventi discrezionali d’ordine politico. G. aveva rilievo tuttavia l’attività di controllo delle procedure e degli obbiettivi. Il Fondo aveva per destinazione i “territori” in posizione di squilibrio economico rispetto alle aree europee di più intenso sviluppo, ed era diviso in quote nazionali che riguardavano soprattutto il Regno Unito, l’Italia e l’Irlanda, a cui in un secondo tempo si sarebbe unita la Grecia. G. svolse un’intensa attività di raccordo con questi paesi. Le preoccupazioni maggiori venivano dall’Italia, per il non rispetto delle procedure e la tendenza a ricevere i fondi senza un’indicazione progettuale, tanto che G. dovette minacciare la Regione Sicilia di tagliare ogni erogazione affinché seguisse le regole. Di rilievo fu anche l’intervento in Campania finalizzato alla realizzazione del Centro direzionale di Napoli. Più in generale Giolitti si propose di far fare un salto di qualità alla gestione del Fondo, in relazione anche agli accresciuti poteri di intervento del Parlamento europeo, dopo la sua elezione diretta, e che portò subito a una particolare attenzione verso la politica regionale, con riguardo, tra l’altro, all’analisi delle spese non obbligatorie e alla congruità degli obbiettivi da conseguire (v. anche Politica di coesione). L’altra linea di intervento perseguita da G. fu quella di coordinare gli interventi comunitari, in particolare quelli del Fondo regionale e del Fondo sociale europeo (FSE), basati sui diversi assunti, quanto ai destinatari. Aveva ricevuto anche delega da Jenkins ai fini di questo coordinamento che doveva tuttavia scontrarsi con forti resistenze interne alla Comunità.

Fu da questa esperienza che maturava la necessità di una riforma del Fondo regionale. G. vi attese nel suo secondo mandato. Negli anni Settanta i governi laburisti avevano patrocinato l’attività del Fondo. Con l’arrivo di Margareth Thatcher l’interesse inglese venne meno. Si imponeva d’altra parte l’obbiettivo di rendere più stretto il legame della Comunità con il sistema delle autonomie regionali europee. L’inefficienza operativa, che derivava anche dai meccanismi di automaticità delle procedure di erogazione e la ripartizione nazionale rigida delle quote, che da più parte si chiedeva di rivedere, spinsero infine nel 1981 ad avviare la riforma. G. riuscì ad attuarla, introducendo quella maggiore flessibilità che consentiva meglio sia l’individuazione sia la trasparenza degli obbiettivi perseguiti. Riservava inoltre a grandi progetti pilotati da Bruxelles una quota del Fondo stesso. Pur nei suoi limiti la riforma G. introdusse principi che costituirono un solido punto di partenza per la successiva riforma di Jaques Delors, che venne imponendosi dopo l’ingresso nella Comunità del Portogallo e della Spagna.

Rilevante fu poi l’attività di G. nel compito parallelo di rappresentanza degli interessi nazionali nell’attività della Commissione, che era un implicito viatico per ciascun commissario. In particolare vanno ricordati due momenti salienti, quello dell’accordo sul nuovo “Serpente monetario” europeo dove svolse un’attività di raccordo nazionale ed europeo, godendo la sua persona, presso i partner europei, del prestigio della assoluta affidabilità, soprattutto col presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. Così pure nella riforma della Politica agricola comune (PAC) che interessò la Commissione agli inizi degli anni Ottanta.

Lasciato l’incarico europeo nel 1984, G. fu eletto nel 1987 senatore, come indipendente di sinistra, nelle liste del PCI. Nel 1992 non avrebbe rinnovata la candidatura e si sarebbe ritirato dalla vita politica.

Piero Craveri (2012)

Bibliografia

Agostini M.V., Regioni europee. Scambio ineguale. Verso una politica regionale comunitaria?, il Mulino, Bologna 1977.

Giolitti A., Lettere a Marta, il Mulino, Bologna 1992.