Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori

La carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori è un documento dal carattere non vincolante proposto dalla Commissione Delors (v. Delors, Jacques) e adottato dal Consiglio europeo nel 1989, che fissa standard comunitari di protezione per i diversi aspetti della vita lavorativa.

Nonostante misure di politica sociale fossero attive fin dai primi anni della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), per molto tempo nella Comunità non si sentì l’esigenza di codificare i diritti sociali in un testo giuridico. Ciò rispecchiava anche il fatto che, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, le stesse politiche sociali erano concepite più come complemento dell’integrazione economica che non come parte di un disegno organico in campo sociale (v. Dialogo sociale).

La situazione cominciò a cambiare con i vertici dell’Aia del dicembre 1969 e di Parigi dell’ottobre 1972, nel corso dei quali emerse la volontà di alcuni Stati membri (prima fra tutti la Repubblica Federale Tedesca (v. Germania) guidata da Willy Brandt di “approfondire” gli aspetti sociali del processo di integrazione. In particolare, il comunicato finale del secondo vertice sembrava attribuire a tali temi altrettanta importanza quanta ne era riconosciuta ai progetti di unione monetaria (v. Unione economica e monetaria).

Al notevole sviluppo delle politiche sociali (v. Politica sociale) negli anni immediatamente successivi non corrispose però alcun passo avanti dal punto di vista della codifica dei diritti sociali, che non ottennero particolare considerazione fino agli anni Ottanta. La solenne Dichiarazione di Stoccarda, del giugno 1983, e il progetto di Unione europea elaborato nel 1984 dal Parlamento europeo ponevano l’obiettivo di promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali, facendo esplicito riferimento alle costituzioni degli Stati membri e a due documenti del Consiglio d’Europa: la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e la Carta sociale europea. Quest’ultima, varata nel 1961, mirava a garantire una serie di diritti economici e sociali considerati d’importanza primaria, quali il diritto al lavoro, il diritto di associazione e di negoziazione collettiva e il diritto alla sicurezza sociale e all’assistenza sanitaria.

Lo stesso documento era richiamato nel preambolo dell’Atto unico europeo, che assegna alla Comunità anche nuove competenze in materia di sicurezza e salute sul lavoro e di dialogo sociale. Ciononostante l’intero Trattato e il progetto di completamento del mercato interno che ne è alla base venivano criticati aspramente, al momento della firma, in quanto eccessivamente sbilanciati sugli aspetti economici e sostanzialmente mancanti di una dimensione sociale.

Sono critiche alle quali Jacques Delors, presidente della Commissione europea e principale architetto dell’intero disegno, fu particolarmente sensibile. Nella sua visione (del resto ampiamente condivisa nel suo ambiente politico di riferimento, il Partito socialista francese) la realizzazione del grande mercato unico doveva infatti esser completata da un forte sviluppo della dimensione sociale (v. Mercato unico europeo). Proprio in coerenza con tali concezioni nel gennaio 1985, appena entrato in carica, Delors convocava a Val Duchesse i rappresentanti delle parti sociali, nel tentativo di dar vita a un dialogo sociale a livello europeo. E per questo alle critiche di scarsa attenzione dell’Atto unico verso i temi sociali, avanzate soprattutto dagli ambienti sindacali, il presidente della Commissione rispondeva nel maggio 1988 col progetto di una Carta che garantisse un livello minimo di protezione sociale a tutti i cittadini degli Stati membri della Comunità.

Ottenuta l’approvazione del Consiglio europeo di Hannover del mese successivo, in novembre la Commissione chiedeva al Comitato economico e sociale (CES) di elaborare un parere in materia. Era il segnale, in linea con l’orientamento seguito fin dall’entrata in carica, della volontà di Delors di coinvolgere strettamente le parti sociali, ma sembrava anche rappresentare la via migliore per ottenere l’appoggio di quegli ambienti sindacali le cui critiche avevano contribuito a stimolare il progetto stesso della Carta.

Il parere del CES, presentato nel febbraio 1989, era ispirato a una linea decisamente timida, in quanto dichiarava di volersi limitare a confermare principi già contenuti in convenzioni internazionali, e soprattutto affidava il compito di garantirli ai singoli Stati membri. L’unico aspetto più “audace” consisteva nell’adozione di un concetto estensivo di diritti sociali, non limitato alle questioni lavorative, ma comprensivo anche di materie come l’ambiente e la protezione dei consumatori, in coerenza del resto con l’idea, propria della stessa Commissione, di una Carta che interessasse tutti i cittadini. Tale concezione fu però abbandonata nel corso delle discussioni in Consiglio, al quale la Commissione trasmise la propria proposta dopo ulteriori consultazioni informali con le parti sociali (nell’iter era ovviamente coinvolto anche il Parlamento europeo, che diede il suo parere in novembre). Il documento approvato dal Consiglio europeo di Strasburgo del dicembre 1989 era così dedicato ai Diritti sociali fondamentali dei lavoratori.

La Carta era divisa in dodici sezioni, ognuna delle quali dedicata a un diverso aspetto della regolamentazione del lavoro, ai diritti ad esso connessi e alle linee di azione necessarie per dar loro reale attuazione. Così si specificava, ad esempio, che il diritto alla libera circolazione (v. anche Libertà di circolazione e di soggiorno e diritto alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea) e all’esercizio di qualsiasi mestiere su tutto il territorio comunitario richiedeva, fra l’altro, l’armonizzazione delle condizioni di soggiorno nei diversi Stati membri e l’eliminazione degli ostacoli derivanti dall’assenza di riconoscimento dei diplomi e delle qualifiche professionali. Oppure che per garantire una reale parità di trattamento e di opportunità fra uomini e donne era necessario sviluppare misure che permettessero di conciliare gli obblighi professionali con gli impegni familiari. Gli altri capitoli della Carta erano dedicati a occupazione e retribuzioni, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, protezione sociale, libertà di associazione e negoziato collettivo, formazione professionale, informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori, tutela della salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro, protezione dei bambini e degli adolescenti, degli anziani e dei disabili.

Al di là del ridimensionamento subito con la limitazione alla sola sfera lavorativa, il principale difetto della Carta sembrò subito consistere nel suo mancato inserimento nel Trattato o nel diritto derivato, e la sua conseguente riduzione a documento puramente simbolico e privo di qualsiasi effetto vincolante nei confronti degli Stati membri e delle Istituzioni comunitarie. Tale scelta dipendeva soprattutto dalla mancata firma del Regno Unito, il cui governo anticipava così quella linea di opting-out che sarà confermata in occasione del Protocollo sulla politica sociale allegato al Trattato di Maastricht.

Ciononostante, sulla base di questo fragile strumento, contenente meri “obblighi morali” per soli undici Stati membri, negli anni seguenti furono approvate decine di atti comunitari in materia sociale. Un articolo della Carta stessa prevedeva infatti che la Commissione avanzasse rapidamente proposte per la sua applicazione concreta, cosa che l’esecutivo di Bruxelles fece addirittura prima dell’adozione stessa del documento, presentando un programma d’azione con 47 proposte di atti legislativi, gran parte dei quali furono approvati entro il 1992 (v. Diritto comunitario).

Pur priva di quel valore giuridico che molti avrebbero voluto attribuirle, la Carta divenne quindi rapidamente un riferimento per le azioni di politica sociale della Comunità, e contribuì inoltre a stimolare un dibattito che, mettendo in luce le principali lacune della dimensione sociale comunitaria, avrebbe contribuito a preparare il terreno per gli importanti sviluppi degli anni successivi. La sua rilevanza sarà del resto confermata non solo dalla firma britannica seguita alla vittoria elettorale laburista del 1997, ma soprattutto dal fatto che i principi in essa contenuti saranno ripresi dalla Carta dei diritti fondamentali proclamata congiuntamente da Consiglio, Parlamento europeo e Commissione a margine del Vertice di Nizza del dicembre 2000 (v. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Lorenzo Mechi (2004)