Carta di Chivasso

Il 19 dicembre 1943, nella casa di Edoardo Pons a Chivasso, un gruppo di antifascisti di diversa provenienza – la Valle d’Aosta e le Valli valdesi – e di differente estrazione politica e religiosa, si diede convegno per definire un progetto di autonomia federale per le regioni alpine nel quadro di un’Europa federale: Émile Chanoux ed Ernesto Page, della resistenza valdostana, Giorgio Peyronel, Osvaldo Coisson, Gustavo Malan e Mario Alberto Rollier, di quella valdese. Mancavano all’incontro Lino Binel, arrestato dai fascisti, e Federico Chabod, che aveva però fatto pervenire ai convenuti il suo “testo preliminare”.

La Dichiarazione dei rappresentati delle popolazioni alpine, più comunemente nota come Carta di Chivasso, è il frutto di questo incontro. Stampata e diffusa clandestinamente e, infine, pubblicata sul n. 5 de “L’Unità europea”, l’organo di stampa del Movimento federalista europeo, nel luglio-agosto 1944, venne riedita, dopo la Liberazione, nei “Quaderni dell’Italia Libera” con un commento di Chanoux dal titolo Federalismo ed autonomie.

Nella visione di Chanoux che, con Rollier, fu il principale ispiratore della Carta, il problema centrale era la ristrutturazione in senso federale degli Stati nazionali (v. Federalismo). L’incontro con Rollier implicava, però, uno spostamento di accenti e fece sì che il messaggio fondamentale della C. non fosse a la priorità del federalismo interno. I federalisti valdesi recepirono pienamente l’importanza centrale del federalismo interno, ma, avendo appreso la lezione del Manifesto di Ventotene XX erano consapevoli che al di fuori del superamento della sovranità nazionale assoluta non c’era nessuna prospettiva di reale e durevole progresso in direzione del federalismo interno. Il centralismo degli Stati nazionali aveva la sua radice fondamentale nell’anarchia internazionale, che discendeva direttamente dalla sovranità assoluta, diventata incompatibile con la crescente interdipendenza dei rapporti umani determinata dallo sviluppo delle forze produttive. In un sistema di Stati indipendenti e sovrani, la sicurezza prevaleva fatalmente sulle libertà al loro interno e favoriva, perciò, le tendenze militaristiche, centraliste, conservatrici e autoritarie. Da questa analisi discendeva che la federazione europea costituiva il préalable rispetto alle riforme interne, autonomismo compreso. Questa consapevolezza entrava pienamente nell’elaborazione della Carta, il cui messaggio più profondo e impegnativo appariva perciò l’idea del parallelismo fra federalismo sovranazionale e infranazionale.

Il contenuto della Carta di Chivasso può essere riassunto in tre punti fondamentali. La parte preponderante del documento è dedicata alla rivendicazione di una forte autonomia delle Vallate alpine nel campo politico-amministrativo (il modello esplicitamente indicato è quello dei cantoni svizzeri), in quelli della cultura e dell’istruzione (qui la rivendicazione fondamentale è quella del bilinguismo), nonché in quello dell’economia (comprendente, oltre a un controllo sulle risorse locali, forme di autonomia fiscale). In tal modo, si sarebbero cancellate le conseguenze, particolarmente rovinose per le Vallate alpine, dell’oppressione delle culture locali attuata costantemente dalla Stato nazionale centralizzatore ed esasperata dal regime fascista. In secondo luogo, tale rivendicazione riguardante specificamente le Vallate alpine era inquadrata in quella della ristrutturazione globale dello Stato italiano in direzione «di un regime federale repubblicano a base regionale e cantonale», inteso come «l’unica garanzia contro un ritorno della dittatura». Infine, la realizzazione di un regime federale a livello italiano era, a sua volta, inserita nella prospettiva della federazione europea, perché il federalismo «rappresenta la soluzione del problema delle piccole nazionalità e la definitiva liquidazione del fenomeno storico degli irredentismi, garantendo nel futuro assetto europeo l’avvento di una pace stabile duratura». Nella Carta di Chivasso erano presenti i temi delle autonomie economico-sociali accanto a quelle istituzionali e culturali, come prova l’esigenza di definire e finalizzare il prelievo delle risorse pubbliche a livello locale – oggi parleremmo di “federalismo fiscale” – e la presenza di misure di sviluppo socioeconomico insieme a misure di solidarietà sociale in grado di evitare lo squilibrio tra i livelli di sviluppo e di ricchezza tra le regioni, condizione che renderebbe impossibile un normale assetto federale.

Cinzia Rognoni Vercelli (2008)