Colorni, Eugenio

C. (Milano 1909-Roma 1944), originario da una famiglia ebraica, dopo aver abbandonato le prime convinzioni sionistiche, trasmessegli in età adolescenziale dai cugini Enzo ed Emilio Sereni, e compiuti gli studi al Liceo Manzoni, si iscrive nel 1926 alla facoltà di Lettere e filosofia di Milano. Quivi frequenta le lezioni di Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti, i maestri ai quali si sente più legato. Proprio con Martinetti (uno degli undici professori universitari a non giurare fedeltà al fascismo nel 1931) si laurea nel 1930 con una tesi su Sviluppo e significato dell’individualismo leibniziano. L’appassionato interesse di C. per la filosofia, testimoniato dai suoi molteplici contributi apparsi su varie riviste, si snoda in un tormentato e complesso itinerario. Il quale, partendo da Benedetto Croce, e attraverso una progressiva presa di distanza dall’idealismo e dallo stesso Croce, perverrà in ultimo, grazie fra l’altro a una personale recezione critica di Leibniz e Kant, oltre che dei più innovativi indirizzi scientifici, a un originale abbozzo di filosofia della scienza.

L’impegno politico di C. si svilupperà parallelamente ai suoi studi filosofici, tanto che nel 1930 subisce già un primo fermo di polizia per aver lanciato grida ostili contro il fascismo durante una lezione di Borgese. Non è esente da ciò l’influenza del gruppo che si riunisce attorno alla rivista di Lelio Basso “Pietre”, nata a Genova nel 1926 ma diventata milanese nel 1927, e alla quale lo stesso C. collaborerà. Il passaggio a una vera e propria militanza politica si avrà con l’avvicinamento agli ambienti milanesi di Giustizia e libertà, mantenendo egli i contatti con il nucleo giellista di Torino, che faceva capo prima a Leone Ginzburg e poi a Vittorio Foa, nonché collaborando alla diffusione dei “Quaderni di Giustizia e libertà”. Nel frattempo, dopo un breve periodo fra il 1932 e il 1933 trascorso come lettore di italiano all’Università di Marburgo, vince il concorso per l’insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima assegnazione al Liceo Grattoni di Voghera, nel 1934 passa all’Istituto magistrale Carducci di Trieste, città dove conosce Umberto Saba, Eugenio Curiel, Bruno Pincherle e Pier Antonio Quarantotto Gambini. Nel 1935 sposa a Milano Ursula Hirschmann, conosciuta nel 1931 a Berlino, dalla quale avrà tre figlie: Silvia, Renata ed Eva.

In seguito agli arresti torinesi del 1935, che infliggono un duro colpo al movimento giellista, C. si mette in contatto con il Centro interno socialista, sorto a Milano nel 1934 per iniziativa di Rodolfo Morandi, Lucio Luzzato, Lelio Basso e altri. La linea politica del Centro, come dichiarato nella Presentazione della redazione italiana di “Politica socialista” (la più importante rivista del socialismo italiano durante il periodo del fuoruscitismo) era quella della ricostruzione del partito e della lotta antifascista. C., negli articoli che andava pubblicando su “Politica socialista” e sul “Nuovo Avanti!”, pur aderendo a questa linea, introdurrà alcuni elementi di discussione. In particolare sulla necessaria attenzione all’apporto positivo che alcuni settori delle classi medie avrebbero potuto portare nella lotta al fascismo; ma anche, contestualmente, alla vera e propria rivoluzione socialista. In tal senso egli mostrava la sua fiducia nello spontaneismo dell’azione delle masse, considerato già esso una forma di organizzazione. Nell’intento inoltre di creare un fronte comune nella lotta al fascismo, e quindi nell’ipotesi di una possibile alleanza fra comunisti e socialisti, C. mostrerà in più occasioni il suo dissenso nei confronti della concezione leninista del partito, intravedendo le difficoltà derivanti dall’organizzazione troppo gerarchica e piramidale del partito comunista. Pur nel contesto quindi di una collaborazione possibile con esso, egli considererà assai discutibile, anche per garantire l’autonomia dei socialisti, una vera e propria unità organica fra i due partiti.

Dopo gli arresti di Morandi e Luzzato nell’aprile 1937, spetta a C. la direzione del Centro fino al settembre 1938, data del suo arresto a Trieste. Dopo un breve periodo nel carcere di Varese, viene assegnato al confino a Ventotene, dove giunge nel gennaio 1939. Qui stringe subito amicizia con Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria, i quali divengono compagni di studio e di intense discussioni che porteranno alla maturazione del programma federalista (v. Federalismo). Spinelli e C., pur nella condivisione dell’obiettivo, cioè la federazione europea, lo rivestiranno però di valenze e motivi diversi. C. prese parte alla fase di elaborazione che precedette la stesura del Manifesto di Ventotene nel 1941, senza però sottoscriverlo; e questo per una serie di probabili ragioni. La prima era l’ambito a suo avviso poco soddisfacente della base politica e ideologica da cui traeva ispirazione il documento; e cioè sostanzialmente il tronco giellista, le dottrine liberal-democratiche e il federalismo anglossassone degli anni Trenta, supportato dalla lettura di economisti quali Wicksteed, Robbins (v. Robbins, Lionel), e Pigou. La seconda risiedeva nel problema dei rapporti diplomatici con i comunisti, che l’adesione di un socialista al Manifesto avrebbe comportato. Ma quella sicuramente decisiva, e comprovata anche dalla corrispondenza successiva tra Spinelli e C., era la scelta di campo in senso occidentale operata dagli autori. Spinelli riteneva che la federazione europea si doveva compiere con l’appoggio e l’aiuto delle democrazie occidentali, altrimenti non sarebbe mai nata. Questo per C., il quale considerava l’apporto della Russia sovietica una fondamentale forza rivoluzionaria per l’Europa, era inaccettabile. Tali divergenze non gli impediranno comunque di proseguire la sua collaborazione al progetto federalista, anche con l’intenzione di sensibilizzare l’area socialista in tale direzione.

Nell’ottobre 1941, grazie all’intervento di Giovanni Gentile, C. fu trasferito a Melfi, ove riuscì a evadere dal confino nel maggio 1943. Recatosi a Roma in clandestinità, insieme a Guglielmo Usellini e Cerilo Spinelli (fratello di Altiero), fa pubblicare il primo numero di “L’Unità europea”, destinato a diventare la voce ufficiale del Movimento federalista europeo (MFE). Dopo la liberazione dal confino di Spinelli il 18 agosto 1943, C. cercò di convincerlo a entrare nel partito socialista, facendolo incontrare con Pietro Nenni, senza tuttavia riuscire a spingere Nenni verso l’europeismo federalista, e Spinelli verso l’adesione al partito. Avendo egli comunque abbracciato oramai in pieno la causa federalista, parteciperà alla riunione di fondazione del MFE a Milano a casa di Mario Alberto Rollier il 27 e 28 agosto 1943.

A Roma C. aveva ripreso contatto con i gruppi socialisti che si erano andati organizzando negli ultimi mesi del regime fascista intorno al Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), divenendo membro della direzione provvisoria del ricostituito partito, nonché redattore capo dell’“Avanti!” clandestino. Curerà inoltre l’edizione definitiva del Manifesto di Ventotene, pubblicato nel gennaio 1944 con il titolo Problemi della federazione europea. C. vi aggiungerà una sua prefazione, nella quale sfatava il mito socialista secondo cui la federazione europea sarebbe stato il risultato automatico della costituzione di governi popolari e progressisti. Quindi poneva la priorità della federazione rispetto all’impegno per la risoluzione dei problemi istituzionali, economici, e sociali. Solo infatti in un quadro politico continentale unitario, realizzabile dopo la guerra, essi avrebbero potuto trovare soluzioni veramente adeguate attraverso un confronto tra forze politiche non appiattite in un ambito strettamente nazionale.

Alessandra Petrone (2010)