Compromesso di Lussemburgo

Per risolvere il contenzioso sul metodo di finanziamento della Politica agricola comune (PAC) che oppose la Francia agli altri membri della Comunità economica europea (CEE) e alla Commissione europea e che portò alla “crisi della sedia vuota” nella seconda metà del 1965, il governo francese accettò di incontrare in due riunioni a livello ministeriale i rappresentanti degli altri cinque paesi membri.

Le riunioni si svolsero dal 17 al 18 e dal 28 al 30 gennaio 1966 a Lussemburgo, poiché il governo francese aveva posto come condizione di negoziare lontano da Bruxelles. Gli incontri si conclusero con un compromesso, subito ribattezzato “compromesso di Lussemburgo”, con il quale si sanzionò la rinuncia della Comunità all’instaurazione del sistema di voto a maggioranza nel Consiglio dei ministri, previsto dai Trattati di Roma (tranne che per l’adesione o l’associazione di uno Stato terzo) e per l’inizio della terza tappa del periodo transitorio (1° gennaio 1966) verso l’Unione doganale. In realtà, esso consisteva in una dichiarazione comune, puramente politica e del tutto priva di valore legale, che rappresentava più che altro la constatazione di un disaccordo. Recita il testo originale:

1) Quando, nel caso di una decisione suscettibile di essere presa a maggioranza su proposta della Commissione, degli interessi molto importanti di uno o più partner sono in gioco, i membri del Consiglio si sforzano, in un periodo di tempo ragionevole, di arrivare a delle soluzioni che potranno essere adottate da tutti i membri del Consiglio nel rispetto dei loro interessi e di quelli della Comunità […].

2) Per quel che concerne il paragrafo precedente, la delegazione francese ritiene che, quando si tratta di interessi molto importanti, la discussione dovrà proseguire fino a quando si giunga ad un accordo unanime.

3) Le sei delegazioni constatano che una divergenza sussiste […].

4) Le sei delegazioni ritengono tuttavia che questa divergenza non impedisce la normale ripresa dei lavori della Comunità.

Nessuno dei sei governi pensava possibile imporre a maggioranza una soluzione che potesse essere lesiva degli interessi vitali di uno Stato membro. Il dissenso sul sistema di voto del Consiglio era dovuto molto più alla paura che la Francia gollista potesse utilizzare la regola del Voto all’unanimità per impedire l’adozione di misure che erano nell’interesse di altri paesi membri e paralizzare così la vita comunitaria (da qui l’insistenza sul “periodo di tempo ragionevole” e sugli “interessi della Comunità”), piuttosto che al desiderio di vedere applicata su vasta scala la regola maggioritaria (v. anche Maggioranza qualificata). La dichiarazione non faceva altro che mettere agli atti il dissenso tra i Cinque e la Francia su questo punto. In cambio di questo “accordo sul disaccordo”, la Francia otteneva l’impegno da parte dei suoi partner (al punto quinto della dichiarazione) di votare all’unanimità su diverse questioni legate alla Politica agricola comune.

Mentre il voto a maggioranza continuò ad essere utilizzato per le questioni legate al Bilancio dell’Unione europea e per aspetti secondari della PAC, il diritto di veto fu per la prima volta messo apertamente in discussione il 18 maggio 1982, quando il Consiglio deliberò a maggioranza sulla fissazione dei prezzi agricoli, contro il veto del Regno Unito che si era appellato esplicitamente al Compromesso.

Per quanto riguarda l’altro aspetto della crisi, il ruolo della Commissione, la Francia dovette accettare un ridimensionamento sostanziale delle sue richieste miranti a ridurne l’autonomia e la capacità propositiva: il “decalogo” da lei presentato fu ridotto a un “eptalogo”, che rappresentava poco più che un codice di buona condotta per la Commissione, senza alcun valore vincolante.

Francesco Petrini (2009)