Consiglio europeo

La formalizzazione della “prassi dei vertici” tra i rappresentanti degli Stati membri della Comunità

Il Consiglio europeo costituisce l’organo più peculiare dell’intero quadro delle Istituzioni comunitarie dell’Unione europea. Ciò è dovuto alla sua particolare evoluzione, e soprattutto alla natura di tale organo, che – a distanza di oltre quaranta anni dalla sua prima apparizione – continua tuttora a dividere gli studiosi di Diritto comunitario.

Originariamente, nessuno dei Trattati comunitari contemplava il Consiglio europeo. Tuttavia, nell’ambito della Cooperazione intergovernativa sempre presente nel sistema comunitario, allo scopo di dibattere questioni attinenti alla vita e allo sviluppo delle Comunità e all’integrazione degli Stati membri (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), i capi di Stato e di governo degli Stati membri erano soliti incontrarsi nell’ambito di cosiddetti Vertici, dando corpo così a una prassi decorrente già dal 1961 e fino ai primi anni Settanta del secolo scorso (in particolare, nel 1961, con cadenza semestrale, si tennero due incontri rispettivamente a Parigi e a Bonn, al fine di effettuare un primo bilancio del primo quadriennio di cooperazione comunitaria).

Fin dal principio, tuttavia, emerse la comune volontà dei rappresentanti degli Stati membri di continuare a incontrarsi periodicamente per effettuare analisi congiunte sull’avanzamento dell’integrazione comunitaria e valutare le strategie da adottare per favorirne la crescita e lo sviluppo.

In esito al Vertice di Parigi, tenutosi il 9-10 dicembre 1974, i capi di Stato e di governo degli Stati membri partecipanti decisero per la prima volta di formalizzare tale prassi: così, venne adottata una dichiarazione nella quale si sancì che, con cadenza quadrimestrale e ogniqualvolta fosse risultato necessario, i rappresentanti degli Stati membri, insieme ai ministri degli Affari esteri, si sarebbero regolarmente incontrati sia come Consiglio delle Comunità, sia come organo di cooperazione politica.

Tale scelta rappresentò indubbiamente un beneficio per l’evoluzione del diritto comunitario, garantendo lo sviluppo di un’efficace cooperazione intergovernativa parallela ma estranea al quadro istituzionale comunitario, in grado di dare impulso all’attività delle Comunità, tanto più visto il monopolio spettante alla Commissione europea per l’adozione di atti comunitari. Così, il Consiglio europeo si assunse il ruolo di promotore dell’indirizzo politico della Comunità, in un’epoca in cui nessun’altra istituzione svolgeva questa funzione, anche perché la cooperazione politica non rientrava allora nelle attribuzioni previste dai Trattati di Roma a favore della Comunità.

Peraltro, questa formalizzazione dei vertici creò, almeno inizialmente, alcuni problemi nei rapporti interistituzionali della Comunità economica europea (CEE) che, all’epoca, dovevano ancora essere appieno affinati: infatti, la previsione secondo cui il Consiglio europeo poteva riunirsi anche come Consiglio dei ministri rischiava di creare eventuali sovrapposizioni fra questi due organi.

Tali problemi vennero tuttavia progressivamente risolti, mediante un’accentuazione del ruolo del Consiglio europeo come organo di cooperazione politica intergovernativa in senso stretto, limitando in tal modo il rischio di possibili problemi di raccordo con il Consiglio dei ministri. A ben vedere, talora una certa sovrapposizione con le competenze del Consiglio si è comunque realizzata, benché nettamente prevalente (e da tempo ormai acquisita in via esclusiva) sia sempre rimasta la funzione propulsiva rispetto all’azione delle altre istituzioni comunitarie (in particolare, Commissione e Consiglio dei ministri), volta in definitiva a favorire l’integrazione comunitaria.

Le modifiche introdotte dall’Atto unico europeo

L’istituzionalizzazione del Consiglio europeo all’interno della struttura comunitaria venne sancita dall’Atto unico europeo (AUE) del 1986.

A norma dell’art. 2 AUE, infatti, «Il Consiglio europeo riunisce i capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché il presidente della Commissione delle Comunità europee Essi sono assistiti dai ministri degli Affari esteri e da un membro della Commissione. Il Consiglio europeo si riunisce almeno due volte l’anno».

Per comprendere appieno le ragioni dell’adozione di questa disposizione, occorre ricordare che negli anni immediatamente antecedenti l’adozione dell’AUE, l’integrazione comunitaria aveva subito un rilevante rallentamento. Donde la previsione, all’interno di questo trattato, di un nuovo soggetto all’interno del quadro comunitario, e di un obbligo in capo ad esso di riunirsi, al fine di esercitare in misura maggiore la sua funzione di impulso e spinta dell’integrazione europea.

Rispetto a quanto stabilito in esito al Vertice di Parigi del 1974, l’art. 2 AUE non forniva tuttavia grandi elementi di novità: a parte avere trasformato una prassi in un obbligo, e di aver definitivamente cristallizzato la composizione del Consiglio europeo e la periodicità delle sue riunioni, l’AUE non chiariva quale fosse la sua natura, né specificava le competenze e i poteri a esso attribuiti. Tanto che, correttamente, si può escludere che l’AUE abbia mutato la natura del Consiglio europeo di mero organo intergovernativo di cooperazione politica: infatti, e in primo luogo, il Consiglio europeo non veniva espressamente annoverato fra le istituzioni comunitarie, disciplinate dall’art. 3.1 AUE. Inoltre, l’art. 31 AUE escludeva espressamente che gli atti adottati dal Consiglio europeo potessero essere impugnati davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Infine, nessuna disposizione dell’AUE precisava quali fossero le competenze a esso attribuite, né il Consiglio europeo veniva neppure menzionato nel titolo III AUE, specificamente dedicato alla cooperazione politica.

Il lacunoso quadro normativo al riguardo caratterizzante l’AUE non impedì tuttavia al Consiglio europeo di continuare a rappresentare in concreto la massima istanza di cooperazione politica intergovernativa fra gli Stati membri, né di proseguire la sua funzione di indirizzo politico esercitata fin dalle origini. Così, anche nei momenti più delicati del processo di integrazione europea, questo soggetto ha continuato sempre più a svolgere la funzione di “grimaldello politico”, indispensabile per consolidare l’azione comunitaria nei settori di sua competenza e per intraprendere politiche nuove, anche non specificamente previste dal Trattato CEE.

Il Consiglio europeo nel Trattato di Maastricht

Il quadro istituzionale delle Comunità non è stato rivoluzionato dal Trattato di Maastricht, il quale non ha quindi provveduto ad alcuna trasformazione del Consiglio europeo in un’istituzione comunitaria propriamente detta.

Ciononostante, sono state dedicate al Consiglio europeo apposite disposizioni nell’ambito dei diversi pilastri dell’Unione europea, volte a delineare più compiutamente il suo ruolo e le competenze a esso attribuite (v. Pilastri dell’Unione europea).

Innanzitutto, sono state confermate sia la composizione del Consiglio europeo, sia la periodicità delle sue riunioni: l’art. 4.2 TUE, infatti, da un lato precisa che fanno parte del Consiglio europeo i capi di Stato e di governo degli Stati membri; il Presidente della Commissione europea; i Ministri degli Affari Esteri degli Stati membri e un membro della Commissione. Dall’altro lato, stabilisce che il Consiglio europeo si riunisce almeno due volte all’anno sotto la Presidenza del capo di Stato o di governo dello Stato membro che esercita la Presidenza dell’Unione europea.

Oltre a questo, il Trattato di Maastricht ha voluto chiarire la funzione di cooperazione politica esercitata fin dalle origini dal Consiglio europeo, stabilendo che esso «dà all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali» e che «il Consiglio europeo presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle sue riunioni, nonché una relazione scritta annuale sui progressi compiuti dall’Unione» (v. anche Parlamento europeo).

Ma non soltanto. Molto opportunamente, al Consiglio europeo sono stati attribuiti particolari compiti nell’ambito del settore della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Così, l’art. 13 TUE attribuisce al Consiglio europeo il compito di definire i principi e gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa, e di decidere, anche su Raccomandazione del Consiglio dei ministri, le strategie comuni che l’Unione europea deve attuare nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune. L’art. 17 TUE, inoltre, conferisce al Consiglio europeo la facoltà di provvedere alla definizione progressiva di una politica comunitaria di difesa comune (v. anche Politica europea di sicurezza e difesa). Infine, l’art. 23.2 TUE attribuisce al Consiglio europeo un potere di conoscere, su richiesta del Consiglio dei ministri, di una opposizione manifestata da uno Stato membro nei confronti dell’adozione di una decisione adottata in ambito PESC che richieda la maggioranza qualificata, trasferendo al Consiglio europeo il potere/dovere di deliberare con Voto all’unanimità sulla questione riferitagli dal Consiglio a norma della disposizione in esame.

Il Trattato di Maastricht attribuisce peraltro nuove competenze al Consiglio europeo anche nel primo pilastro, segnatamente nell’ambito dell’Unione economica e monetaria. Più precisamente, l’art. 99.2 del Trattato CE impone al Consiglio dei ministri di riferire al Consiglio europeo le risultanze dei progetti sugli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri. Inoltre, la stessa disposizione obbliga il Consiglio europeo ad adottare delle conclusioni in merito agli indirizzi di cui sopra, sulla base delle quali il Consiglio dei ministri, deliberando a maggioranza qualificata, adotterà una raccomandazione volta a definire i medesimi.

Nonostante le modifiche introdotte dal Trattato di Maastricht, appare ancora oggi preferibile ritenere che il Consiglio europeo non sia divenuto una delle istituzioni comunitarie. Tale indirizzo interpretativo appare meritevole di accoglimento in quanto, da un lato, il Consiglio Europeo non è menzionato tra le istituzioni comunitarie espressamente elencate dall’art. 7 CE; dall’altro lato, le competenze che gli sono attribuite si collocano nell’ambito della PESC e dell’Unione economica e monetaria, la quale, benché interna al primo pilastro, rimane comunque “eccentrica” rispetto alla Comunità.

D’altro canto, l’inquadramento delle competenze del Consiglio europeo nell’ambito del quadro giuridico dell’Unione Europea consente di escludere che tale organo possa qualificarsi come una mera conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative). Si tratta, quindi, di un soggetto per certi versi “atipico”, idoneo tuttavia a costituire, un punto di riferimento rilevante nel Processo decisionale delle istituzioni comunitarie e dell’Unione europea, oltre a rappresentare il maggior organo di cooperazione politica fra gli Stati membri.

Il Consiglio europeo nel Trattato di Lisbona

I successivi Trattato di Amsterdam del 1997 e Trattato di Nizza del 2001 non hanno modificato le disposizioni relative al Consiglio europeo. Importanti novità con riguardo al Consiglio europeo sarebbero invece arrivate con l’entrata in vigore del Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Come noto, il Trattato costituzionale, e il progetto politico che ne era alla base, è stato abbandonato a causa del voto negativo espresso da Francia e Paesi Bassi nei rispettivi referendum popolari. Peraltro, le modifiche a suo tempo concordate nel Trattato costituzionale sono state largamente recepite anche nel successivo Trattato di Lisbona. Tale Trattato, pur non ancora in vigore alla data in cui il presente contributo viene scritto, individua innovazioni di sicuro rilievo dedicate al Consiglio europeo, sulle quali appare quindi opportuno un breve cenno.

Il Trattato di Lisbona, pur non modificando sostanzialmente le competenze del Consiglio europeo, ne precisa natura e funzioni, e soprattutto lo inserisce all’interno del «quadro istituzionale dell’Unione», dedicandogli un’intera disposizione (l’art. 15 del nuovo TUE): si conferma la funzione di indirizzo politico del Consiglio europeo e di orientamento delle «priorità politiche generali», senza comunque attribuire ad esso alcuna funzione legislativa.

Innovazioni sono invece previste nella composizione del Consiglio europeo, a loro volta derivanti dalle modifiche introdotte a livello di organi dell’Unione: ad esso, infatti, fa parte anche il “nuovo” presidente dell’Unione europea (rectius, del Consiglio europeo, v. infra), mentre il nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza partecipa ai lavori.

Viene anche codificata la più recente prassi (che nuovamente si trasforma in obbligo) di convocarsi con cadenza trimestrale, salva la convocazione da parte del presidente di riunioni straordinarie. Soprattutto, vengono introdotte norme di procedura sui lavori del Consiglio europeo, relative alla convocazione, alla facoltà di ciascun componente di farsi assistere da un ministro ovvero, nel caso del presidente della Commissione, da un suo membro, alle modalità di adozione delle decisioni.

Com’è noto, peraltro, la parte più innovativa del Trattato di Lisbona riguarda il “nuovo” Presidente del Consiglio europeo, eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo, rieleggibile ma revocabile con votazione a maggioranza del Consiglio europeo in caso di impedimento o colpa grave. Al presidente, che in forza delle modalità di elezione sopra indicate non fa più capo ad uno Stato membro, viene inoltre attribuito un ruolo più incisivo rispetto a quello delle attuali presidenze di turno dell’Unione: in particolare, egli svolge il compito di presiedere e animare le riunioni del Consiglio europeo; assicura la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione col presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”; assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, salve le attribuzioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, con cui il presidente deve coordinarsi. Di rilievo è anche il compito di presentare una relazione ai componenti dopo ciascuna riunione, previsto dal Trattato di Lisbona tra le nuove funzioni del Presidente, nell’ottica proprio della valorizzazione del Consiglio europeo come istituzione, e non più soltanto quindi come “momento” di incontro al vertice dei rappresentanti degli Stati membri.

Francesco Munari e Fabio Macrì (2008)