Criteri di adesione

Riunendosi a Copenaghen, del 12 e 13 dicembre 1993, il Consiglio europeo riconobbe il diritto ad aderire all’Unione europea (UE) dei paesi dell’Europa centrale e orientale «in grado di assumere gli obblighi» a essa connessi e di adempiere a precise condizioni economiche e politiche. Nel definire queste condizioni, esso formulò tre criteri, i cosiddetti criteri di Copenaghen, ormai universalmente considerati i criteri di adesione all’Unione.

Il primo criterio si ispira all’art. 49 del Trattato dell’UE, che stabilisce il diritto di diventare membro dell’Unione di ogni Stato europeo che rispetti i principi di «libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’Uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto» (v. anche Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Il secondo criterio, cosiddetto economico, richiede che i paesi candidati all’adesione dispongano di un’economia di mercato efficiente e, in secondo luogo, che questa economia sia capace di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze del mercato dell’Unione.

Il terzo ed ultimo criterio, infine, esige il recepimento dell’Acquis comunitario, ossia il rispetto del corpus legislativo dell’Unione e l’assunzione degli altri obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione, compresi gli obiettivi di un’unione politica, economica e monetaria.

In seguito al Consiglio di Copenaghen, le istituzioni europee hanno ulteriormente approfondito le modalità e il contenuto di questi criteri.

La Strategia di preadesione per i paesi dell’Europa centro orientale varata dal Consiglio europeo di Essen (dicembre 1994), ad esempio, ha individuato alcune misure chiave del mercato interno (v. Mercato unico europeo) e alcune priorità nel ravvicinamento delle legislazioni e nel dialogo istituzionale il cui recepimento è considerato prioritario in vista dell’adesione.

Nel 1995 il Consiglio europeo di Madrid ha sottolineato l’importanza dell’adeguamento delle strutture amministrative per consentire il corretto recepimento della normativa UE a livello nazionale (v. Diritto comunitario).

Il Consiglio di Lussemburgo del 1997, infine, ha identificato alcuni precisi criteri di valutazione del recepimento dell’acquis comunitario, mentre “Agenda 2000” ha ulteriormente specificato i criteri economici.

L’insieme di questi elementi ha costituito il punto di riferimento delle relazioni sullo stato di avanzamento dei paesi candidati e associati (v. Associazione) realizzate dalla Commissione europea a partire dal 1998.

Da questi rapporti emerge il rispetto del criterio politico come prerequisito necessario all’apertura di qualsiasi negoziato di adesione. Per valutarne il rispetto, la Commissione ha esaminato elementi diversi come l’indipendenza e la trasparenza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario, la valutazione dei sistemi carcerari o il rispetto delle Pari opportunità e dei diritti delle minoranze, ecc.

Per quanto concerne il criterio economico, dai rapporti della Commissione emerge che l’esistenza di un’economia di mercato efficiente è valutata soprattutto in relazione alla liberalizzazione dei prezzi e degli scambi e all’esistenza di un regime giuridico basato sul diritto comprendente il diritto di proprietà. Fa però parte di questo criterio anche l’esame di altri elementi, quali la stabilità macroeconomica e il consenso sulla politica economica; l’esistenza di un settore finanziario ben sviluppato e l’assenza di ostacoli rilevanti all’entrata e all’uscita dal mercato. Per il secondo elemento («capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione») sono necessari un capitale umano e materiale sufficiente e adeguate infrastrutture; viene preso in considerazione inoltre il livello di ammodernamento delle imprese, la loro capacità di investire e di accedere al finanziamento esterno e il grado di integrazione economica con l’Unione.

L’acquis comunitario, infine, è stato suddiviso in diversi capitoli per ciascuno dei quali sono state identificate alcune priorità. I negoziati di adesione si sono ispirati però al principio che ciascun candidato debba adottare integralmente le norme e la legislazione vigente; vengono quindi condotte trattative solo sui settori che i candidati dichiarano di non poter applicare sin dall’adesione e per i quali richiedono un regime transitorio.

Flavia Zanon (2008)