Dahrendorf, Ralf Gustav

Sociologo, filosofo e politologo tedesco, D. (Amburgo 1929-Colonia 2009) fu uno dei più noti esponenti del pensiero liberale europeo e della teoria del conflitto di stampo weberiano. D. si espresse più volte criticamente nei confronti del liberalismo classico e del suo esasperato individualismo, cercando nel difficile equilibrio tra libertà politica, coesione sociale e benessere economico una risposta efficace alle sfide che il nuovo millennio poneva all’evoluzione delle società moderne. I suoi scritti e studi propongono la creazione di società aperte di natura universale che condividano diritti umani e civili. Come uomo politico tedesco ed europeo D. influenzò in modo critico-costruttivo il processo di unificazione europea (v. Integrazione, teorie della).

Presidente della Società tedesca per la Sociologia (Deutsche Gesellschaft für Soziologie), membro del Parlamento tedesco per il Partito liberale (Freie Demokratische Partei) sottosegretario presso il ministero degli Affari esteri, membro della Commissione europea e direttore della London school of Economics and Political science, warden del St. Antony’s College dell’Università di Oxford.

Figlio di un parlamentare del Partito socialdemocratico tedesco (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD) del Reichstag, D. fu influenzato dall’ambiente familiare, da cui venne educato alla difesa dei valori democratici. Ancora giovanissimo fu coinvolto in atti di propaganda contro lo Stato nazista che gli costarono la carcerazione e il campo di concentramento. Liberato con l’arrivo dei russi, alla fine della guerra si iscrisse all’Università di Amburgo, dove studiò filosofia, filologia classica e sociologia. Nel 1952 ottenne il dottorato di ricerca in filosofia nella stessa università con uno studio su Karl Marx. Dal 1953 al 1954 D. decise di proseguire gli studi socio-economici presso la London School of Economics and Political science e nel 1957 discute la tesi di abilitazione per una cattedra universitaria all’Università di Saarbrücken in Germania. A partire dal 1957 insegnò in varie università, inizialmente come professore di sociologia all’Università di Amburgo (dal 1957 al 1960), poi all’Università di Tubinga (dal 1960 al 1964) e, infine, all’Università di Costanza (dal 1966 al 1969).

D. si avvicinò alla politica attiva nel dopoguerra, quando divenne membro per un breve periodo della Lega tedesca degli studenti socialisti (Sozialistische Deutsche Studentenbund, SDS) guidata da Helmut Schmidt; in seguito divenne membro tedesco della SPD. Nel 1967 si iscrisse al Partito liberale (Freie Demokratische Partei, FDP), con il quale si era già candidato nelle liste regionali. A partire dal 1967 si dedicò, insieme al segretario generale Karl-Hermann Flach, al rinnovo del programma del partito.

Nel 1969 D. venne eletto al Parlamento tedesco (Bundestag) per il Partito liberale e nello stesso tempo fu nominato sottosegretario agli Affari esteri sotto il primo governo Willy Brandt, retto da una coalizione di socialisti e liberali (SPD-FDP). Fin da subito in contrasto con la Ostpolitik del cancelliere tedesco, il nuovo sottosegretario fu scelto dal governo come candidato tedesco alla Commissione europea. Nel 1970 con la nomina a commissario europeo, quindi, ebbe inizio la sua esperienza politica nell’ambito delle istituzioni comunitarie. Da principio ricoprì il ruolo di Commissario per il Lavoro e le pubbliche relazioni nella Commissione presieduta da Franco Maria Malfatti, nel 1972 fu incaricato di occuparsi delle Relazioni esterne nella Commissione Sicco Mansholt e, infine nel 1973, si dedicò al settore della Ricerca, della scienza e dell’educazione nella Commissione François-Xavier Ortoli.

A partire dal Vertice europeo dell’Aia del 1969, i Sei avevano manifestato il desiderio di stringere una più stretta collaborazione nel settore dell’educazione e della formazione; interesse che era emerso sempre più chiaramente all’interno della Comunità e che nel 1973 si era concretizzato nella creazione di uno specifico dipartimento per la formazione all’interno dell’allora Direzione generale XII (Scienza, ricerca e sviluppo) della Commissione europea. Durante il suo ultimo mandato da commissario per la Ricerca, D. aveva ripreso l’idea che era già stata di Altiero Spinelli, di realizzare uno spazio europeo della ricerca. La proposta, allora respinta, fu nuovamente rilanciata e sostenuta anni dopo da Étienne Davignon, Antonio Ruberti e Philippe Busquin, il cui impegno portò nel 2005 alla costituzione del Consiglio europeo della ricerca. Pertanto l’attuale politica europea nel campo della ricerca e della formazione (v. anche Politica della formazione professionale), sviluppatasi dopo un lungo percorso e difficili mediazioni, deve molto al sociologo tedesco e al suo lavoro in qualità di commissario europeo per la ricerca (v. Politica della ricerca scientifica e tecnologica).

Nell’estate del 1971 due articoli pubblicati sul quotidiano “Die Zeit” e firmati sotto lo pseudonimo di Wieland Europa suscitarono un forte dibattito. D. allora criticò in modo tagliente il funzionamento delle istituzioni europee e mise alla sbarra il lavoro dei tecnocrati di Bruxelles (Berufseuropäer). Presto svelato l’autore degli articoli, il commissario europeo si trovò presto implicato in una polemica che ne metteva in discussione il ruolo e la fede europeista. Più volte ingiustamente tacciato di Euroscetticismo, corrente a cui non appartenne mai, D. fu piuttosto incline a mantenere una certa riserva critica nei confronti della Comunità economica europea e verso coloro i quali credevano troppo semplicisticamente di poter estendere i successi dell’integrazione comunitaria a quei settori in cui non esisteva ancora una reale convergenza dei singoli interessi nazionali (v. Integrazione, metodo della). Si considerò sempre un “europeo scettico a favore dell’Europa unita”, benché nella gestione delle sue politiche più rilevanti preferisse, per questioni di realismo politico, il carattere intergovernativo a qualunque tipo di approccio meccanicistico o connotato ideologicamente.

D. rivestì il ruolo di commissario europeo fino al 1974, quando, in seguito alle polemiche sollevate nei confronti delle istituzioni europee e delle scelte di indirizzo politico che allora si voleva dare all’integrazione comunitaria, decise di ritirarsi definitivamente dalla vita politica; scelta ancor più incoraggiata dalla nomina a direttore della prestigiosa London school of Economics.

Durante il suo mandato, D. si interrogò spesso sulla natura della Comunità europea, sul ruolo e la funzione delle sue istituzioni e sulla cosiddetta constituency, al fine di indagare e approfondire il problema della legittimazione democratica delle istituzioni europee, da molti ritenuta insufficiente (v. anche Deficit democratico). Si impegnò sempre a fondo a favore di un’Europa concreta le cui istituzioni non fossero organismi fini a se stessi, ma costituissero lo strumento per mettere in atto una stretta cooperazione intorno a temi specifici, in linea con i naturali interessi degli Stati membri. Convinto sostenitore di un metodo realistico definito da obiettivi contingenti e concretamente perseguibili, metteva in discussione il pensiero di quanti invece sostenevano un approccio “cartesiano” del fare l’Europa, basato cioè su elaborazioni ideologiche e calcoli astratti. «Tutto il periodo fra il 1969 e il 1973 – spiega – […] è caratterizzato dalla triste progressiva scoperta che non si può creare l’Europa attraverso calendari artificiali» (v. Dahrendorf, 1979, p. 134). In virtù di questo approcciò empirico, l’europeismo di D. diffidava sia del Federalismo sia del Funzionalismo, considerati entrambi un’espressione di astrattismo politico. «Dal 1973 vedo molto maggiore realismo nella storia della cooperazione europea. […] Si accetta il fatto che, in un certo senso, dobbiamo avere una Europe à la carte […], in altre parole si accetta il fatto che per poter creare delle realtà europee si deve sviluppare “l’abitudine alla cooperazione”» (ibid., pp. 134-5) (v. Europa “alla carta”).

In 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa (v., 1990), D. avanzò una serie di osservazioni sul futuro della Comunità, sul faticoso cammino verso la libertà e il progresso nei paesi dell’Europa orientale e sulle implicazioni che questi avrebbero avuto nel processo d’integrazione europea. Anche la raccolta di saggi Diari Europei (v., 1996), apparsi originariamente sulla rivista tedesca “Merkur”, costituiscono uno specchio del pensiero critico e delle riflessioni sul processo di unificazione europea che D. sviluppò durante i suoi numerosi viaggi nei paesi del vecchio continente, grazie ai quali poté incontrare numerosi uomini politici, ministri e imprenditori europei.

In Perché l’Europa? Riflessioni di un europeista scettico (v., 1997) D. portava avanti una serie di riflessioni sulle prospettive del processo d’integrazione europea, indicando nella distanza tra l’apparato burocratico della Comunità e l’opinione pubblica europea la ragione di una vasta crisi di consenso nei confronti del progetto di unificazione europea. Il politologo tedesco, interrogandosi sul funzionamento delle istituzioni comunitarie in rapporto alle aspirazioni dei cittadini europei, ammoniva che le potenzialità insite nel processo d’integrazione europea sarebbero rimaste inespresse senza un rilancio di obiettivi più concreti, dotati di vantaggi percettibili e in linea con gli interessi dell’opinione pubblica europea. In tal senso, D. seppe cogliere e analizzare compiutamente molti degli aspetti costitutivi della crisi recente del processo di unificazione europea, individuandone l’origine nelle questioni inerenti la giustizia, l’ordine sociale, la disoccupazione, la competitività economica, i mutamenti geopolitici degli anni Novanta e una crescente sfiducia nel sistema-Europa. Secondo il sociologo tedesco, il processo di unificazione europea sarebbe dovuto avvenire sulla base degli interessi collettivi che riguardano le popolazioni europee ed essere più legittimato da un punto di vista democratico. Infine, D., scettico nei confronti dell’Allargamento, esortava a non sottovalutare i rischi derivanti dall’inclusione di paesi che, pur appartenendo all’area geografica europea, si differenziavano per cultura e tradizione.

In altre parole, D. manifestò sempre riserve nei confronti di coloro che propugnavano un “europeismo integralista”, a suo modo di vedere privo di realismo politico. Più propenso alla ricerca di una cooperazione mirata su temi d’interesse collettivo immediato che trascinato da un idealismo ottimistico, il filosofo tedesco fu sempre molto critico nei confronti degli “euro-fanatici”, verso i quali si pose in antitesi in quanto li riteneva troppo entusiasti nel credere «ancora che l’Unione europea [potesse] trasformarsi in una specie di Stato-nazione solo più grande: Gli Stati Uniti d’Europa» (v., 2001, p. 33). Al contrario D. teneva a marcare puntualmente gli aspetti deficitari della costruzione europea e i limiti politico-istituzionali della Comunità come il bilancio, l’indirizzo delle politiche comunitarie, la natura tecnica della sua costruzione, ecc. Dalle sue considerazioni, filtrate da una prospettiva neoliberale, emerge un’Unione europea troppo condizionata dalla burocrazia e dal protezionismo, poco incline, invece, alla promozione di un ordinamento liberale condiviso. Tuttavia, egli non negò mai l’esigenza di procedere verso un Approfondimento dell’integrazione sulla base della cooperazione interistituzionale, della ricerca di obiettivi catalizzanti e del progressivo rafforzamento della democrazia europea (v. Dahrendorf et al., 1991; v. Dahrendorf, 2001).

Dopo il 1974 D. si dedicò esclusivamente alla carriera accademica e presiedette fino al 1984 la prestigiosa London school of Economics. Dal 1984 fino al 1986 lavorò all’Università di Costanza e nel periodo successivo, dal 1986 al 1987, alla Fondazione Russell Sage a New York. Dal 1987 al 1997 fu rettore del St. Antony’s College dell’Università di Oxford, istituto specializzato in studi internazionali. Inoltre, dal 1982 al 1987 presiedette la Fondazione Friedrich-Naumann.

Dopo aver conseguito la cittadinanza britannica nel 1988, nel 1993 D. fu nominato Lord a vita dalla regina Elisabetta II. A partire da quel momento divenne membro della House of Lords come cross-bencher (membro indipendente, non affiliato ad uno specifico partito). Inoltre, dal gennaio 2005 ricoprì il ruolo di professore presso il Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung. Nel 2002 gli fu conferito il premio Walter Hallstein indetto dall’Università e dalla città di Francoforte in accordo con la Dresdner Bank. Oltre ai numerosi riconoscimenti, il sociologo tedesco ricevette nel 2007 il premio “Principe delle Asturie”, prestigioso attestato nel settore delle scienze sociali, e nel 2009 ottenne il Premio Schader dell’omonima fondazione per le scienze sociali. Infine, D. fu tra i patrons (carica onoraria affine a quella di senatore a vita) dell’Internazionale liberale, organizzazione mondiale dei partiti politici d’ispirazione liberale fondata nel 1947.

Elisabeth Alber (2012)