Debré, Michel

D. (Parigi 1912-Montlouis-sur-Loire 1996). Il padre Robert, di origine alsaziana, è un pediatra di fama nazionale, membro dell’Institut de France; le idee politiche di Robert Debré, socialista, pacifista e al contempo ardente patriota, influenzano il giovane Michel. Questi studia alla facoltà di Giurisprudenza di Parigi e all’École libre des Sciences politiques; in seguito ottiene un dottorato in giurisprudenza. Nel 1935 entra al Consiglio di Stato come uditore; nel 1942 raggiunge il grado di maître des requêtes.

Nel novembre del 1938 D. entra nel gabinetto di Paul Reynaud, allora ministro delle Finanze (fino al marzo 1940). Il direttore di Gabinetto è Gaston Palewski, che D. ritroverà alcuni anni dopo a capo del gabinetto di Charles de Gaulle. Con lo scoppio della guerra è mobilitato come istruttore degli allievi ufficiali di cavalleria. Inviato in un’unità al fronte, nel giugno del 1940 è fatto prigioniero; riesce a evadere e a raggiungere il territorio francese sotto Vichy, dove ritorna al Consiglio di Stato. Nel marzo del 1941 Emmanuel Monick, segretario generale della Residenza in Marocco, lo chiama come collaboratore nell’Africa del Nord.

Secondo le sue memorie, l’esperienza in Marocco, il successivo soggiorno ad Algeri e i contatti ivi stabiliti convincono D. che l’unico modo per servire l’interesse della Francia è essere gollisti e che la resistenza contro i nazisti ripartirà dall’Africa del Nord. De Gaulle è per lui il simbolo della Repubblica nuova, con lui tornerà quella «Repubblica pura e dura che, nelle sventure della Patria, abbiamo tanto desiderato» (v. Debré, 1984, p. 43). Partecipa quindi attivamente alla Resistenza sotto lo pseudonimo di Jacquier: fa parte del comitato di direzione del movimento Ceux de la Résistance, attivo nella regione parigina e nell’est della Francia. Dall’aprile del 1943 è membro del Comitato generale di studi; questo Comitato, frutto dell’iniziativa di Jean Moulin, è un importante ingranaggio della Resistenza interna e, allo stesso tempo, consiglio permanente della delegazione del Comitato francese di Liberazione nazionale (CFLN). Il compito di D. è preparare la designazione dei futuri prefetti e dei commissari della Repubblica per il momento della liberazione. Il 3 ottobre 1943 è egli stesso nominato dal CFLN Commissario della Repubblica per la regione di Angers; assume questa funzione il 10 agosto 1944.

Nell’aprile del 1945 D. entra nel gabinetto di de Gaulle, all’epoca presidente del governo provvisorio della Repubblica francese: ha l’incarico di studiare una riforma amministrativa, che si traduce nella creazione dell’École nationale d’Administration. Dopo le dimissioni del generale de Gaulle nel gennaio del 1946, egli entra al ministero degli Affari Esteri come chargé de mission. Dopo una breve missione in Tunisia con il compito di riorganizzarne la funzione pubblica e l’amministrazione, alla fine del 1946 D. è incaricato di organizzare il congiungimento della Saar alla Francia. Di fronte alla nuova situazione internazionale del 1947 l’annessione gli appare come un’utopia pericolosa ed egli propone al governo francese di limitarsi a staccare la Saar dal resto della Germania, di liberarla rapidamente dal sistema d’occupazione militare e di porre le basi istituzionali di un nuovo Stato. Sul piano economico egli propone l’ingresso della Saar nell’insieme economico e monetario francese, cosa che gli sembra compatibile con l’autonomia interna. Alla fine del 1947 è segretario generale agli affari tedeschi e austriaci.

È un incarico che dura pochi mesi perché da tempo egli ha deciso di impegnarsi in politica in prima persona: si presenta alle elezioni per l’Assemblea nazionale nel novembre del 1946 e, su consiglio dello stesso de Gaulle, sceglie di guidare una lista radicale. Tuttavia, non è eletto. Convinto delle debolezze strutturali delle istituzioni della IV Repubblica, fa parte del piccolo gruppo di fedeli che nell’aprile del 1947 fonda con de Gaulle il Rassemblement du Peuple Français (RPF), pur continuando ad appartenere al partito radicale che fino al 1951 ammette la doppia appartenenza con l’RPF. Nell’ottobre del 1948 è eletto senatore nel dipartimento di Indre-et-Loire in una lista che associa l’RPF e il Rassemblement des gauches républicaines, nuovo nome dei radicali. D. mantiene la carica di senatore del dipartimento di Indre-et-Loire dal 1948 al 1958. È eletto consigliere generale d’Indre-et-Loire dal 1951 al 1970 e nuovamente dal 1976 al 1992. Dal 1966 al 1989 è anche sindaco di Amboise. Fonda e collabora regolarmente al giornale «L’Echo de la Touraine».

Già durante la guerra D. elabora una propria riflessione sulle trasformazioni dello scenario internazionale e sulla politica estera della Francia, riflessioni che egli approfondirà e in parte modificherà nel corso degli anni successivi. Nel 1944-1945, con gli pseudonimi di Jacquier e Bruère, D. e Mönick scrivono insieme e pubblicano due testi, Réfaire la France. L’effort d’une génération e Demain la paix, esquisse d’un ordre international. Il primo è un manifesto per la riforma radicale del paese in numerosi settori, inquadrato in una visione mondiale dei problemi. Il progetto di riforma dello stato prevede un esecutivo forte, esercitato dal Presidente della Repubblica, vero e proprio monarca repubblicano eletto per dieci anni. Il secondo testo si propone di delineare un ordine a livello mondiale per salvare la civiltà dell’Occidente dalla scomparsa causata da un’altra guerra. Gli autori partono dalla constatazione che il dogma della sovranità nazionale è perito in quanto i problemi che minacciano la pace – crisi economiche, problemi sociali, aggressioni militari – non possono più essere padroneggiati dalle singole nazioni. «D’ora in poi le nazioni, volenti o nolenti, in guerra come in pace, per vivere devono cedere una parte della loro sovranità e subire la dura legge dell’unione» (Demain la paix, esquisse d’un ordre international, Plon, Paris 1945, p. 7). Questo non significa la scomparsa delle nazioni, ma la fine della loro piena sovranità. Gli autori propongono un’organizzazione internazionale suddivisa in raggruppamenti regionali non basati sui continenti, ma organizzati attorno ai bacini marittimi. In termini concreti, per la Francia ciò significa entrare a far parte di una comunità non tanto europea, quanto atlantica: «attorno all’Atlantico una concezione comune della dignità della persona umana, derivante dal cristianesimo, impregna la vita sociale. Si è stabilita una zona di solidarietà in cui nessun abitante, che ne abbia la consapevolezza o meno, non ha più sicurezza politica né economica se gli altri non la condividono con lui» (ivi, pp. 70-71).

Negli anni successivi D. sviluppa la propria riflessione sia sulle colonne dei giornali sia in altri libri. Rispondere alla minaccia dell’imperialismo sovietico è il primo obiettivo dell’alleanza duratura di queste nazioni; egli critica duramente il neutralismo e la concezione dell’Europa come terza forza. A questo si affianca un secondo obiettivo strategico, fornire una soluzione al «problema drammatico del futuro del popolo tedesco» (La Républiques et ses problèmes, Nagel, Paris 1952, p. 143): gli Alleati non devono smettere di guidare, di dirigere la Germania; dal canto suo, la Francia, prima che la Germania recuperi una parte della sua potenza e domini l’organizzazione dell’Europa, deve porsi alla guida della confederazione europea. L’Europa immaginata da D. è dunque un’Europa atlantica, saldamente legata agli Stati Uniti benché non succube.

È del 1950 il suo testo europeista più conosciuto, Projet de pacte pour une Union d’Etats européens, nel quale egli riprende la concezione dell’associazione politica del Vecchio e del Nuovo Mondo, ossia delle nazioni dell’Europa occidentale che condividono l’ideale di libertà con l’America del Nord, come unica strada per salvaguardare la libertà e il futuro dell’Europa (Projet de pacte pour une Union d’Etats européens, Nagel, Paris 1950, p. 28). Di questa vasta comunità atlantica l’organizzazione dell’Europa sarebbe una prima e necessaria tappa. Spetta alla Francia prendere la guida del processo di unificazione dell’Europa occidentale. Secondo l’articolo 2 del suo progetto di patto, l’unione avrà competenze e poteri per assicurare: la difesa dei suoi membri; il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli; lo sviluppo della produzione mineraria, industriale e agricola; l’unificazione delle grandi regole amministrative e delle istituzioni giuridiche; il coordinamento della politica estera dei membri dell’unione. La costruzione istituzionale di D. è incentrata sulla figura di un arbitro eletto per cinque anni a suffragio universale, affiancato da due vicearbitri; si aggiungono la Corte di giustizia e due assemblee: il Senato dell’Unione e l’Assemblea delle nazioni europee, composta da deputati eletti a suffragio universale.

D. accompagna la riflessione teorica con un impegno militante concreto. Nonostante il silenzio delle sue memorie a tal proposito, dal 1947 D. diventa un militante attivo nei movimenti europeisti. È membro del Comité français pour l’Europe unie dans le cadre de l’ONU, che D. contribuisce a fondare assieme a René Courtin nel giugno del 1947 (alcune riunioni preparatorie hanno avuto luogo già alla fine del 1946). Il Comitato intende sfruttare il Piano Marshall come base per un rinnovamento delle condizioni economiche e politiche della vita internazionale. Quando, dopo il Congresso dell’Aia nel maggio 1948, il Movimento europeo raggruppa tutti i Movimenti europeistici, D. fa parte delle istanze dirigenti del gruppo francese ad esso affiliato: è presidente della Commissione culturale del Comité exécutif français. In quegli anni, se il Movimento europeo ha interesse a non staccarsi dal gollismo, a sua volta il movimento gollista non intende tagliare i ponti con il Movimento europeo.

Nel 1949 D. è il relatore al Consiglio della Repubblica della legge per la ratifica del trattato istitutivo del Consiglio d’Europa. Il suo parere è positivo, benché egli trovi la nuova istituzione insufficiente per i bisogni dell’Europa. Cosicché alla fine del 1950 D. firma l’appello per la convocazione di un’assemblea costituente europea incaricata dell’elaborazione di un progetto per un’autorità politica europea, testo firmato sia da unionisti sia da federalisti (v. Federalismo).

Nel 1949 non viene eletto come delegato all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa; in seguito è scelto come rappresentante del Conseil de la République all’Assemblea parlamentare della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), che si riunisce per la prima volta nell’autunno del 1952; in questa Assemblea fa parte della Commissione per gli affari sociali, ma si distingue rapidamente per le sue requisitorie contro la politica europea della Francia. Fa parte anche dell’Assemblea ad hoc incaricata del progetto di costituzione europea. Il suo impegno all’interno degli organismi europei prosegue anche nella seconda metà degli anni cinquanta: è rappresentante supplente della Francia all’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale creata nel 1956; è nominato rappresentante della Francia anche nell’Assemblea comune alle tre comunità (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Comunità economica europea, Comunità europea dell’energia atomica), costituita nel marzo del 1958.

Il giudizio di D. sull’iniziativa di Robert Schuman in merito alla costituzione di un’autorità europea del carbone e dell’acciaio è inizialmente positivo; nelle fasi successive, durante le quali il progetto prende corpo, egli lo critica perché ritiene che non affronti il vero problema dell’Europa, che è un problema politico: la volontà dell’Occidente di difendersi dall’URSS e di risolvere la povertà interna. Allo stesso modo, egli critica il progetto della Comunità europea di difesa (CED), poiché, sebbene egli chieda da tempo l’organizzazione di una difesa europea, il progetto gli sembra uno «strumento senza testa, […] un artificio per accettare, senza dirlo, il riarmo quasi incondizionato della Germania» (La Républiques et ses problèmes, cit, p. 184). Inoltre, dal 1951 si nota negli scritti di D. un crescente dissenso verso la politica degli Stati Uniti: non solo egli critica il loro sostegno ai governi francesi di terza forza, sostegno che permette alle forze favorevoli alla IV Repubblica di mantenersi al potere, ma ancor più disapprova la loro azione in Medio Oriente e in Africa del Nord. A suo parere la mancanza di appoggio, da parte degli Americani, alle politiche del Regno Unito e della Francia in questi teatri è in contraddizione con l’esigenza della solidarietà occidentale e con la coalizione di una civiltà dal destino comune e solidale.

Nel corso del 1952 de Gaulle, che nel frattempo esprime solennemente la propria opposizione al trattato sulla CED, affida la battaglia gollista contro questo trattato a D., che in quell’anno entra nel Consiglio nazionale dell’RPF e diventa lo specialista incontestabile degli affari europei e costituzionali. Aiutato da Christian de la Malène, segretario generale dell’intergruppo gollista al Senato, il senatore d’Indre-et-Loire usa tutte le possibilità che gli offre il regolamento del Consiglio della Repubblica per combattere la CED; interviene alla tribuna dell’assemblea della CECA, davanti alle assemblee locali, davanti agli ex resistenti, all’RPF, a Sciences-Po; pubblica numerosissimi articoli su diversi giornali e riviste. Egli ritiene che per trovare una soluzione al riarmo della Germania si penalizzi la Francia, unica nazione, tra le sei aderenti al Trattato, ad avere un esercito nazionale, un budget militare importante e ambizioni nucleari. Con la CED la Francia perderebbe il proprio esercito e perderebbe l’indipendenza della sua difesa e della sua politica estera, mentre la Gran Bretagna, che non vi aderisce, manterrebbe intatte entrambe e gli Stati Uniti godrebbero del controllo sull’esercito comune europeo attraverso l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). A causa del rifiuto degli Inglesi di entrare nella costruzione europea, delle debolezze del sistema istituzionale francese e delle oscillazioni della politica americana, secondo D. l’occasione storica della costruzione dell’Europa all’interno della comunità occidentale è stata mancata. Questo fallimento contribuisce alla rinascita della potenza tedesca, incoraggiata anche dagli stati Uniti.

La battaglia che D. conduce contro il progetto della Comunità europea di difesa, contribuendo al suo affossamento nell’agosto del 1954, gli vale «allo stesso tempo solide inimicizie, l’inizio della sua notorietà politica e la sua reputazione di nazionalista intransigente», (v. Samuel, 2002, p. 24). Non a caso, le divergenze sul progetto della CED segnano anche la fine della sua militanza nei movimenti europeisti: alla fine del 1953 D. si dimette dal Comité exécutif Français e, assieme ad altri parlamentari, forma il Comité National de Défense de l’unité de la France et de l’Union Française. Dal 1953 in poi nei suoi scritti D. non auspicherà più il trasferimento di una parte della sovranità dagli stati europei a una unione o confederazione.

Nel marzo del 1955 D. sostiene, con stupore degli altri gollisti, il Presidente del Consiglio Edgar Faure che chiede la ratifica degli accordi di Parigi sul riarmo tedesco nel quadro della NATO. Mentre molti gollisti premono per una riapertura del dialogo con Mosca, egli se ne discosta persuaso che il fallimento degli accordi di Parigi, lungi dall’accelerare il ritorno del Generale, rilancerebbe i sostenitori della sovranazionalità. De Gaulle, al quale D. illustra la propria posizione, gli lascia libertà di scelta; il giorno in cui egli espone il rapporto al Consiglio della Repubblica solo 11 su 47 senatori repubblicano-sociali (partito che riunisce gli ex membri dell’RPF) seguono D., che, pure, dall’inizio dell’anno è il loro presidente (D. rimane presidente del gruppo dei senatori dei repubblicano-sociali fino al 1958).

L’opposizione di D. a qualsiasi trattato che imponga cessioni di potere da parte dello stato si estende anche ai Trattati di Roma (CEE ed Euratom). In particolare, egli denuncia senza tregua il trattato dell’Euratom, ritenuto «un complotto preparato e messo a punto dallo straniero contro la Francia». Alla «falsa analisi giuridica dei trasferimenti di sovranità» si aggiunge «una concezione politica che è contro la natura delle cose: quella dell’Europa-nazione». Dietro queste costruzioni giuridiche, emerge chiaramente il fatto che CEE ed Euratom siano il cavallo di Troia per il dominio della Germania, alleato e servitore degli USA, sul continente europeo (v. Debré, 1956). Egli difende l’dea che essere europei non significhi essere favorevoli a una costruzione sovranazionale.

Tra il 1956 e il 1958, dalla tribuna del Consiglio della Repubblica D. critica instancabilmente le istituzioni della IV Repubblica e invoca il ritorno al potere di de Gaulle. Fra il 1957 e il 1958 si moltiplicano i suoi appelli affinché il generale de Gaulle sia richiamato a capo dell’esecutivo. È celebre il suo pamphlet Ces princes qui nous gouvernent e le sue invettive dalle pagine de «Le Courrier de la colère» che fonda nel 1957 e dirige. Dalle pagine di questo giornale egli ricorda costantemente il dovere di disobbedienza al regime «fino alla ghigliottina». Inoltre, difende con intransigenza il mantenimento dell’Algeria nella Repubblica.

È ministro della Giustizia nel governo de Gaulle del giugno 1958. Dall’autunno di quell’anno è anche membro del comitato centrale dell’Union pour la Nouvelle République (UNR), il partito gollista appena costituito. Nella seconda metà del 1958, quando il governo di de Gaulle si trova ad affrontare la questione della messa in atto del Trattato sulla CEE, D. è tra quanti vorrebbero che la Francia entri nell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), di cui la Gran Bretagna ha preso l’iniziativa e a cui si oppongono il generale Couve de Murville (v. Couve de Murville, Maurice).

D. svolge un ruolo chiave nella redazione della nuova costituzione della V Repubblica. Nelle sue intenzioni la carta approvata il 28 settembre del 1958 istituisce un parlamentarismo razionalizzato, nel quale il Presidente della Repubblica è custode degli interessi nazionali e il primo ministro dirige la politica della nazione. Quando viene scelto da de Gaulle, Presidente della Repubblica dal dicembre del 1958, come primo ministro, D. si considera sia come il capo della maggioranza parlamentare sia come l’uomo del Presidente.

Tuttavia, sebbene D. benefici della totale fiducia del capo dello Stato e questi gli riconosca un’ampia autonomia d’azione, nella lettura che de Gaulle dà della Costituzione alcuni ambiti politici appartengono ormai quasi esclusivamente al Presidente della Repubblica. In particolare, nel nuovo governo de Gaulle sceglie il ministro degli affari esteri, Maurice Couve de Murville, e quello che presiede alle forze armate, Pierre Guillaumat (dal febbraio 1960 sostituito con Pierre Messmer); questi due ministri agiscono sotto la direzione del Presidente della Repubblica. Nella pratica ciò si traduce anche nel fatto che D. non accompagna il Presidente della Repubblica in occasione delle sue visite ufficiali all’estero; egli contribuisce solo con i propri viaggi e con i propri incontri, limitandosi a sostenere le iniziative del capo dello Stato.

La politica europea non rientra dunque nella sfera decisionale di D., che rimane a Matignon fino all’aprile del 1962. Nondimeno, egli esprime le proprie opinioni in numerose note al Presidente della Repubblica. Egli condivide appieno la volontà del generale di costruire l’«Europa delle patrie», in cui il sovranazionalismo è respinto a favore della cooperazione intergovernativa, da estendere soprattutto all’ambito politico. «Respingo l’argomento dell’indebolimento della difesa occidentale attraverso la costruzione di questa Europa realista e responsabile. […] fisso gli obiettivi della politica estera francese: “difendere la Nazione, partecipare all’unione delle nazioni del vecchio continente, strettamente associate in seno alle nazioni occidentali”» (v. Debré, 1988, p. 381). D. non solo approva, ma rivendica anche la paternità del Piano Fouchet, che mira a istituire riunioni periodiche dei capi di Stato dei Sei, assistiti da un segretariato politico ben distinto dalla Commissione europea di Bruxelles, con l’obiettivo di rafforzare il peso degli Stati europei sullo scenario internazionale pur evitando la costruzione di un’Europa sovranazionale.

D. diverge però da de Gaulle sul ruolo da accordare alla Germania federale in questo insieme. Certamente la costruzione dell’Europa deve servire al riavvicinamento franco-tedesco, ma egli insiste spesso sui limiti del rapporto con i tedeschi. In particolare, egli teme la potenza economica tedesca – condizione del riavvicinamento franco-tedesco è pertanto l’esistenza di una Francia con un’industria all’altezza e in grado di sostenere la concorrenza dei vicini d’oltre Reno – e insiste sulle limitazioni alla politica estera tedesca. Non solo dunque D. approva il riconoscimento della frontiera Oder-Neisse da parte della Francia (marzo 1959), ma ritiene che la Germania debba accettare le limitazioni militari, in particolare il divieto di disporre di armi nucleari. D. sospetta che la Germania abbia doppi fini nel riavvicinamento con la Francia: a suo parere Konrad Adenauer ritiene che gli USA non solo siano i garanti della sicurezza tedesca contro la minaccia sovietica, ma siano l’unica assicurazione che ha la Germania di ritrovare un giorno la sua unità. Il primo ministro francese ritrova queste sue impressioni confermate dalla sua visita al Cancelliere del 9 ottobre 1960. Dalla fine del 1960, tuttavia, D. ritiene che la posizione di Adenauer evolva: egli si convince della bontà delle intenzioni del generale nei confronti della Germania grazie alla fermezza che, contrariamente alla Gran Bretagna, la Francia dimostra nei confronti dell’URSS sulle questioni tedesche.

I principi su cui D. intende fondare l’azione del governo sono: opposizione alla tendenza alla sovranazionalità, che «crea commissioni indipendenti dall’autorità governativa e indipendenti dal suffragio universale, che è la legittimità del potere»; costruzione della solidarietà europea fondando il futuro su «una cooperazione con la nuova Germania», senza che questo significhi rottura della «costante e naturale cooperazione politica con la Gran Bretagna»; accelerazione economica del Mercato comune ponendo come condizione sine qua non l’attuazione della politica agricola comune (Discorso di D. al Congresso dell’‘Union pour la nouvelle République, Strasburgo 19 marzo 1961). Per quanto riguarda in particolare l’attuazione del Trattato sulla CEE, il governo di D. opera infatti principalmente in tre direzioni: stabilire una tariffa esterna doganale comune; aprire il mercato dei cinque partner della Francia alla produzione agricola francese; estendere il Mercato comune all’oltremare francese.

La questione algerina è l’ambito in cui si misura maggiormente la distanza crescente fra de Gaulle e il suo primo ministro, tanto che dall’aprile del 1961 la sua gestione passa totalmente nelle mani del presidente. D. cerca fino alla fine di condurre la trattativa verso uno Stato algerino associato alla Francia, che egli preferisce alla soluzione poi adottata dell’indipendenza unita a un accordo di cooperazione. Eppure, la divergenza di vedute che lo separa dal capo dello Stato in merito all’Algeria non intacca la sua lealtà nei confronti del generale. Una volta ratificati gli accordi di Evian nell’aprile del 1962, il generale ritiene necessario sostituire il primo ministro. D., secondo la sua concezione istituzionale, preferirebbe che le sue dimissioni siano precedute dallo scioglimento dell’Assemblea e da nuove elezioni, cosa che il generale rifiuta. Il 14 aprile del 1962 D. rassegna le dimissioni su domanda del generale.

Battuto alle elezioni per l’Assemblea nazionale del 1962 nel suo dipartimento d’Indre-et-Loire, ritrova un seggio parlamentare come deputato della Riunione tra il 1963 e il 1966. È ministro dell’Economia e delle finanze nel governo di Georges Pompidou (1966-1967), incarico che gli viene confermato dopo la sua rielezione come deputato della Riunione alle elezioni legislative del 1967. In disaccordo con la linea politica seguita da Pompidou durante il maggio ’68, da lui ritenuta troppo lassista, e ritenendo che gli accordi di Grenelle rimettano in causa la ripresa economica e finanziaria, D. rassegna le dimissioni.

Nel governo Couve de Murville, formato nel luglio del 1968, D. ricopre il ruolo di ministro degli Affari esteri. Al Consiglio dei ministri delle Comunità europee del 27 settembre si oppone con veemenza alla proposta tedesca di rafforzare le Comunità prima dell’allargamento e di far partecipare i paesi candidati all’allargamento (Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia) alle discussioni sulla cooperazione tecnologica. Si tratta per la Francia di opporsi all’allargamento della CEE, secondo le decisioni già palesate da de Gaulle. In novembre, al Consiglio dei ministri D. propone un piano di rilancio del Mercato comune, con lo scopo di consolidare l’Unione doganale e la politica agricola e di sviluppare una Politica industriale, ma mantiene il disaccordo totale con gli altri cinque membri in merito all’allargamento della Comunità.

Nel 1969, benché critico verso la riforma regionale e la riforma del Senato presentate del ministro Jean-Marcel Jeanneney, difende il “sì” una volta che, in aprile, queste sono sottoposte ai cittadini tramite referendum. Dopo la partenza del generale e l’elezione a Presidente della Repubblica di Georges Pompidou, D. è ministro di Stato con l’incarico della difesa nazionale nel governo di Jacques Chaban-Delmas nel 1969 e nel primo governo di Pierre Messmer, formato nel luglio del 1972. D., che è pienamente convinto del valore di quella che è stata la politica militare e di difesa di de Gaulle, intende perpetuarne i principi. In particolare non transige in merito all’affermazione del carattere nazionale delle forze armate – il compito fondamentale delle forze armate francesi è assicurare la sicurezza della Francia e dei francesi, assicurare l’indipendenza del suo territorio e della sua politica, la sua libertà di destino e quella dei suoi cittadini – e alla necessità di una difesa moderna ossia efficace, quindi con armamento nucleare. Anche in queste vesti egli continua a difendere il principio della sovranità nazionale contro ogni trasferimento di poteri alle Comunità. «L’integrazione europea e atlantica, privando i responsabili eletti dal popolo della loro responsabilità in ambito di difesa, ci condannava allo stesso tempo alla decadenza e al neutralismo, vale a dire alla rinuncia» (v. Debré, 1988, p. 366).

Dopo le sue dimissioni del 18 gennaio 1973 non ricopre più incarichi governativi. Dal 1973 al 1988 è deputato del partito gollista Union des démocrates pour la République (che si trasforma nel 1976 nel Rassemblement pour la République) per il dipartimento della Riunione. In rottura con gli orientamenti governativi adottati dopo il 1973 e soprattutto dopo il 1974, nonché con la linea politica del partito gollista ormai nelle mani di Jacques Chirac, D. si erge a difensore ad oltranza dell’ortodossia gollista – in particolare dell’indipendenza della nazione francese – contro la politica troppo liberale ed europea del presidente Valéry Giscard d’Estaing. Egli si batte in Parlamento e si rivolge direttamente ai francesi contro il “giscardo-chiracchismo”, censore implacabile di una V Repubblica che ai suoi occhi ha deviato dal solco dell’insegnamento di de Gaulle, in particolare nell’ambito della politica estera e della difesa.

Sebbene si sia opposto all’elezione diretta del Parlamento europeo e abbia creato il Comitato per l’indipendenza e l’unità della Francia, il 10 giugno 1979 si presenta alle elezioni per l’Assemblea delle comunità europee con la lista Difesa degli interessi della Francia in Europa. È eletto e diventa presidente del suo gruppo all’Assemblea, ma rassegna le dimissioni da queste funzioni nel 1980. L’anno successivo si candida alle elezioni presidenziali francesi raccogliendo un modesto 1,64% dei voti. Nel 1988 non si ricandida al seggio di deputato.

Il 24 marzo 1988 D. è eletto all’Accademia francese.

Lucia Bonfreschi (2012)